lunedì 27 dicembre 2021


 
QUEL GIORNO IL MONDO TREMERÀ (Armaguédon, F/I/B 1977)

DI ALAIN JESSUA

Con ALAIN DELON, JEAN YANNE, Renato Salvatori, Michel Creton.
THRILLER
Due figure marginali, che vivono da sottoproletari in baracche, da sempre ai margini, nella Francia degli anni Settanta: al più sveglio dei due arriva un forte indennizzo assicurativo, e da quel momento, mette in atto un piano per sfogare tutta la rabbia ingurgitata di una vita di negazioni, repressioni e mortificazioni. Il progetto folle comporta un grosso attentato da compiere,  denominato "Armaguédon", con qualche cadavere sparso in precedenza: oltre alla polizia e ai servizi segreti, entra in gioco uno psicoanalista-star, che cerca di anticipare le.mosse dello psicopatico, il quale si porta dietro come complice l'amico dalla forza di un colosso ma dalla mente di un bambino (molto bravo Renato Salvatori in questo ruolo). Il film ha un impianto classico da thriller francofono dell'epoca, si prende i suoi tempi narrativi senza accelerazioni, arriva ad un finale con la dose di tensione adeguata: i suoi difetti sono, principalmente, nella presentazione di personaggi come quello del protagonista Delon ( anche produttore del film, che appare dopo una ventina di minuti di proiezione), che entra in scena salvando una giovane aspirante suicida, pare coltivare un ménage familiare normale, salvo, ad un certo punto, esplodere in uno sfogo in cui lamenta lo stress del dovere esplorare la mente altrui. In una storia permeata da un pessimismo di fondo miscelato ad una malinconia netta e onnipresente, il confronto attoriale lo vincono i "cattivi" Yanne e Salvatori, che danno le sfumature più calibrate ai loro personaggi di reietti.

sabato 18 dicembre 2021


 
CRY MACHO (Cry Macho, USA 2021)

DI CLINT EASTWOOD
Con CLINT EASTWOOD, Eduardo Minett,
COMMEDIA/DRAMMATICO/AVVENTURA
Non lo ferma nemmeno la pandemia, figuriamoci l'età: passata la novantina, Clint Eastwood continua a girare film al ritmo di uno all'anno, più o meno, e, seppure ai tempi di "Gran Torino" aveva fatto girare la voce che sarebbe stata la sua ultima interpretazione, si prende pure il lusso di stare di fronte alla macchina da presa. Il suo ultimo lavoro, che è la regia numero
venticinque della sua carriera, è l'adattamento cinematografico di un romanzo di N.Richard Nash , in cui un vecchio ex campione di rodeo viene assoldato, per bisogno di soldi, da un ricco uomo d'affari affinché si rechi in Messico a prendere suo figlio, e sottrarlo alla madre, che in pratica è una capo gang. Benché sembri complicata assai l'impresa, il protagonista riesce a farsi seguire dal ragazzo, che si porta sempre dietro un gallo da combattimento chiamato "Macho": tra il vecchio e il giovane nasce un rapporto forte, con il secondo che sviluppa una fiducia inedita in un altro essere umano, e, seppure il viaggio sia costellato di complicazioni, tra auto che vengono rubate, scagnozzi alle calcagna e inevitabili momenti del dunque, ci sarà l'occasione anche dell'incontro con una bella signora messicana che accoglierà e metterà al riparo i due fuggiaschi. Picaresco nell'anima, sia per struttura che per spirito, "Cry Macho" non è uno dei lavori maggiori diretti da Eastwood, semmai un'operina che cerca la leggerezza, con una venatura romantica di fondo ( il finale è spiccicato a quello di "Avengers:Endgame", fateci caso): anche se i suoi novantun anni cominciano ad avere il loro peso sul tosto Clint (in effetti molto più in là con gli anni di quanto il ruolo richieda), coglie comunque un'occasione al volo per spianare la pistola almeno una volta nella storia e fa brillare gli occhi a una bella donna. E tuttavia, quello che del film conquista, è la riflessione sulla dichiarazione d'amore alla vita in cui questo lungometraggio consiste, nello sguardo che rimane meravigliato, pur con nove decenni addosso, verso il sorriso di una bambina o una carezza a una bestiola, e a ogni volta che sorge il sole o cala la penombra della sera. E si lascia la sala con un moto d'affetto verso questa quercia d'uomo quasi secolare.

giovedì 9 dicembre 2021


 
SHANG-CHI E LA LEGGENDA DEI DIECI ANELLI (Shang-Chi and the Legend of the Ten Rings, USA 2021)

DI DESTIN DANIEL CRETTON
Con SIMU LIU Awkwafina, Meng'Er Zhang, Fala Chen.
AZIONE/FANTASTICO/AVVENTURA
Esaurita la prima ondata da sbarco con i nomi più "pesanti" della Casa delle Idee, così era chiamata la Marvel dal suo creatore, Stan Lee, dopo "Avengers:Endgame" e qualche uscita di scena, gli Studios di Spider-Man e Capitan America ha dovuto rilanciare con personaggi amati dai fans, ma più di nicchia: ecco quindi Shang-Chi, eroe dalle mille mosse di arti marziali, che negli anni Settanta fu un vero e proprio cult, ma che, storicamente, non ha lo stesso seguito dei super tizi principali. Poi, prima di sequel illustri come quelli di "Thor" e "Doctor Strange", e prima della nuova versione degli acquisiti dalla 20th Century Fox, Fantastici 4 e X-Men, tocca agli "Eterni". Tornando a questo personaggio, che attrae innanzitutto fans dall'Asia, così come Black Panther "agganciava" prima degli altri la comunità afro, viene inquadrato inizialmente come un ragazzo qualsiasi, la cui famiglia originaria vive in Cina, e negli States fa un lavoro ordinario: finché, una sera, rientrando su di un tram assieme all'amica del cuore e viene assalito da un branco di tipacci, capitanato da un colosso rumeno, e quindi sfodera un vero e proprio arsenale di autodifesa con rapidissime mosse di arti marziali. Ci sono in gioco scontri che provengono dall'antichità, e un conflitto che potrebbe avere ripercussioni assai serie sul mondo... Diretto da Destin Daniel Cretton, che ebbe buon successo due anni or sono con "Il diritto di opporsi", e conferma la strategia dei Marvel Studios di affidare a registi giovani, con almeno un titolo promettente alle spalle, progetti di peso, "Shang-Chi e la leggenda dei dieci anelli" è godibile sul piano action, ma non aggiunge molte novità all'universo marvelliano:  lo scontro finale poteva essere gestito in maniera più visionaria, il protagonista Simu Liu non è particolarmente espressivo, e risulta piuttosto differente dal personaggio sulla carta, e forse manca un cattivo dal carisma sufficiente. Tuttavia il film ha funzionato sui mercati, visto che è già annunciato un seguito, di qui a poco tempo.

lunedì 6 dicembre 2021


 
È STATA LA MANO DI DIO (I, 2021)

DI PAOLO SORRENTINO 

Con FILIPPO SCOTTI, Toni Servillo, Teresa Saponangelo, Marlon Joubert.

DRAMMATICO/COMMEDIA/GROTTESCO 

Un walkman sempre sul fianco, come tenevano le pistole i cowboys, le cuffiette sempre al collo, in pieni anni Ottanta, per  Fabio, o Fabietto   la vita a Napoli è tutta una scoperta, tra eventi pubblici (l'arrivo di Diego Armando Maradona nell'Estate '84 nelle file della squadra di Ferlaino) e cose private, tra famiglia, idee sul futuro e progetti da realizzare, una sensibilità tenuta a freno perché fin troppo acuta, la Donna e il Sesso cose quasi insormontabili: Paolo Sorrentino ci ha messo tanto di sé in questo suo lavoro, sentitamente autobiografico, che narra anche la tragedia che colpì il regista in adolescenza, con la perdita dei genitori. E in mezzo, un'aneddotica copiosa, tra fatti divertenti e momenti sconfortanti, con un filo di follia, come in tutte le storie delle famiglie. È un film napoletano fino al midollo, "È stata la mano di Dio", per il suo umorismo, la sua vitalità, la casualità di ogni incontro e quell'affrontare la vita con sfacciataggine e filosofia, ben recitato da tutti, con un Servillo che con Sorrentino gioca sciolto come non mai, un'adeguatissima spalla femminile come Teresa Saponangelo, una fulgida Luisa Ranieri che a quasi quarantasette anni si concede un nudo che farà storia ( e va sottolineato che il regista sa valorizzare soprattutto le bellezze in età matura, vedi Elena Sofia Ricci in "Loro", o Sabrina Ferilli ne "La grande bellezza"), e tutto un corollario di attori importanti e di nome, come Gallo, Carpentieri, che prestano la propria faccia per ruoli secondari. Però l'impressione che la pellicola ti lascia è che sia dispersiva, vive di fin troppi accumuli, inciampa su "fellinismi" fin troppo esibiti, come la nave tutta illuminata che parte di notte, l'emiro che passa di notte, in una piazza deserta, affiancato da una bellezza di madrelingua ispanica che si rivela sgarbata, si protragga in una durata anche eccessiva: intendiamoci, il film è da vedere, perché, soprattutto quando non insiste sul piano grottesco, e viaggia sulla commedia, ha momenti felici ( il pranzo con l'attesa del nuovo fidanzato della zia, politicamente assai scorretto e condito da umorismo sapido), e la cifra così personale della regia di Sorrentino si riscontra eccome. Solo che, come succede spesso per i progetti fin troppo personali, o più anelati dai registi e magari rimandati per anni per questioni di realizzabilità, pratiche o economiche, non tutto è a fuoco, qualcosa appesantisce il risultato, si prova la sensazione che, con minor coinvolgimento personale di chi è alla regia, probabilmente l'opera sarebbe stata ancora meglio. Regista che oramai è considerato, alla stregua di quelli che hanno lasciato il segno veramente, per via di uno stile talmente marcato quanto esclusivo, Paolo Sorrentino è un autore con sicuramente ancora tanto da dire: il "film della vita" lo ha realizzato qui, può passare oltre, e ne aspetteremo nuovi segnali.


mercoledì 1 dicembre 2021




5 È IL NUMERO PERFETTO ( I, 2019)
DI IGORT

Con TONI SERVILLO, Valeria Golino, Carlo Buccirosso, Antonio Nemolato
NOIR
Da una graphic novel da lui stesso scritta e disegnata, ecco l'esordio del fumettista Igort dietro alla macchina da presa. Cast di napoletani purosangue, per una storia che proprio in un capoluogo campano terra di scontri all'ultimo proiettile e regolamenti di conti sì svolge: il protagonista è un sicario professionista che narra la sua vicenda a chi, come lui, è fuggito su un'isola lontana a finire i propri giorni. All'uomo hanno ucciso il figlio, che faceva il suo stesso mestiere, e, grazie all'aiuto di un collega, dichiara guerra al clan che ha ordito la trappola per il ragazzo: ampio numero di morti ammazzati, agguati e sparatorie, riprese in maniera stilizzata, per recuperare prospettive e tagli che riconducono alla grafica delle strisce a fumetti. Toni Servillo, che sfoggia un naso imponente, si presta al gioco con convinta adesione, e vedere Carlo Buccirosso in versione hard boiled è sicuramente uno dei motivi d'attrazione di questa pellicola, alla quale forse qualche compiacimento registico di troppo non giova pienamente; tuttavia, quando il film si risolve a diventare la storia di un uomo che ha vissuto di ferocia tutta la propria esistenza, e me diventa improvvisamente saturo, fino a provare un moto di pietà ( che gli costerà caro), proprio a un passo dal compiere la propria vendetta. E il finale amaro, ma lucido,è la cosa più memorabile di un lungometraggio d'esordio che potrebbe fare sospettare potenzialità ancora da da valorizzare di un regista venuto dal mondo del disegno.

lunedì 1 novembre 2021



 MADRES PARALELAS ( Madres paralelas, ES 2021)

DI PEDRO ALMODOVAR
Con PENELOPE CRUZ, MILENA SMIT, Israel Elejalde , Aitana Sanchez-Gijon.
DRAMMATICO
Si apre il film con un servizio fotografico che è anche un gioco di seduzione tra uomo e donna, si conclude con una foto che ricostruisce idealmente una terribile scena di morte, la fossa comune nei campi di vittime di un paese decimato dalle falangi franchiste. È infatti un film esplicitamente più politico del solito, nella sequenza di pellicole firmate da Pedro Almodovar, che prende posizione sia sul dover fare delle scelte sulla parte dalla quale stare ( esemplare il dialogo tra Penelope Cruz e Aitana Sanchez-Gijon, che si dichiara "completamente apolitica", ma, guarda strano, dà addosso solo a "quelli di sinistra"), sia sul dovere della memoria storica di ogni Paese, che ha subito dittature o guerre, e che deve rammentare ai giovani chi abbia pagato per la loro libertà, affinché siano ad essa un valore. Janis( Penelope Cruz) e Ana ( Milena Smit) si incontrano in ospedale, mentre stanno per dare alla luce due bambine, e il Caso, o il Fato, le lega per via di un errore: dolore da perdita, conflitti e passione sono ad un passo, ma, alla fine, pare voler sottolineare il regista, la Vita trova sempre una strada. Se ci sono degli appunti da fare a questa nuova opera dell'autore di "Julieta" è, forse, il rapporto tra le due protagoniste, che diventa un legame sentimentale, e appare un po' una forzatura narrativa, ma per Almodovar, si sa, la sessualità è cosa liquida; inoltre, per buona parte del film, vuoi per le musiche che rimandano molto al cinema hithcockiano, si ha la sensazione che il personaggio di Ana nasconda, dietro il volto da bambola, una minacciosità latente, che invece non viene confermata. Ma il film rientra tra le cose migliori girate dal regista spagnolo negli ultimi anni, e, parrebbe, che abbia conquistato una maturità nuova e uno smalto da narratore forte dopo anni opachi, quelli dopo la vittoria agli Oscar con "Tutto su mia madre". Benissimo condotto il cast, nel quale brilla di luce propria, per intensità espressiva, calibratura dei toni e umanizzazione delle imperfezioni del personaggio, una Cruz da premio.

domenica 24 ottobre 2021


 
WIDOWS- Eredità criminale (Widows, USA 2019)

DI STEVE MCQUEEN

Con VIOLA DAVIS, Michelle Rodriguez, Elizabeth, Liam Neeson.
THRILLER
La quarta regia di Steve McQueen, ovverosia il film venuto dopo l'Oscar vinto per "12 anni schiavo" è una rilettura cinematografica di una miniserie britannica, riadattata per gli Stati Uniti: nella quale un gruppo di donne, vedove di una banda di rapinatori rimasti uccisi durante un colpo, è costretta a compiere la fruttuosa rapina dietro ricatti e pressioni da parte di chi ha mani in politica ma gioca anche con il crimine. E i colpi di scena non mancheranno. Il film si sviluppa mostrando i diversi caratteri di donne che devono fare di necessità virtù nell'allearsi per sopravvivere e per mettere a segno un'impennata operazione criminale: magari, è vero che in alcuni tratti dell'elaborazione della rapina la sceneggiatura si fa ellittica, rimanendo vaga, ma la costruzione dei rapporti tra i personaggi compensa, intrigando lo spettatore, forte anche di un cast fatto di nomi importanti, anche quando relegati in seconda fila. Tipo Robert Duvall nelle vesti del vecchio politico che espone la filosofia della destra ultraconservatrice (curioso, visto che l'anziano e bravissimo Bob è uno dei repubblicani di ferro di Hollywood), o Colin Farrell in quelle del figlio che disprezza il genitore ma non risulta migliore, in fin dei conti. McQueen non ha indulgenza neppure con gli oppositori dei detentori del potere, accusandoli di corruzione e legami con la criminalità; e l'intera pellicola, oltre a dimostrarsi un thriller di buona scuola, definisce un quadro sia di società basata sul malaffare, che di ricorso a una solidarietà non convenzionale, che non lascia indifferenti. Nonostante la generale freddezza della critica, e la tiepida accoglienza del pubblico, un buon film di genere, ma con spunti che fanno discutere e pensare. 

venerdì 15 ottobre 2021


ORE DISPERATE ( The desperate hours, USA 1955)
Di William Wyler
Con FREDRIC MARCH, HUMPHREY BOGART, Martha Scott, Robert Middleton.
DRAMMATICO
La scena si apre sulla colazione di una famiglia borghese, in cui ognuno si appresta a far partire la sua giornata: il padre legge il giornale prima di andare al lavoro, la madre sistema tutti prima di organizzare le cose da fare durante il giorno, tra casa e fuori, la figlia ha qualcosa da dire ai genitori, il figlio comincia a crescere e a non voler essere più solo il pargoletto. Irrompono poi tre evasi, che metteranno in pericolo tutti, ma sarà anche l'occasione per verificare la tenuta dell'unità familiare e in qualche modo ripartire, dopo la paura e la violenza che entrano nell'abitazione e nelle vite "tranquille" dei componenti della famigliola. William Wyler girò un dramma con lati noir, che si risolve in un confronto tra due maschi alfa, il solido, un po' rigido, rigoroso Fredric March e il duro, ma non spietato, selvatico Humphrey Bogart. La tensione elaborata via via che la situazione progredisce è di buon livello, vedasi la scena in cui, in ufficio, March è gravemente sotto pressione e si gioca moltissimo in una telefonata, mentre il  fidanzato della figlia preme anch'esso per farsi avanti e annunciare il rapporto con la ragazza; ottima la prova del più sadico dei tre "invasori", Robert Middleton, che sfoggia la cattiveria genuina e fiera di sé di un ragazzino malato in un corpaccione d'uomo piuttosto imponente. Bogey, già dalla salute compromessa, indossò questo ruolo senza paura di mostrare rughe e borse in primo piano ( del resto, un detenuto di lungo corso lindo e in ordine sarebbe stato un inciampo non da poco), mentre March offre compostezza, una forza quieta che nonostante il personaggio sia spesso sotto scacco, reagisce con efficacia. Rifatto poi nel 1990 da Michael Cimino con minore riuscita commerciale, innescò un vero e proprio schema da invasione, toccando uno dei non pochi nervi scoperti della società USA.

lunedì 4 ottobre 2021


 
007- NO TIME TO DIE ( No time to die, GB/USA 2021)

DI CARY FUKUNAGA

Con DANIEL CRAIG, Leah Seydoux, Rami Malek, Ralph Fiennes.

AZIONE/AVVENTURA

Titolo "resistente" all'offensiva della pandemia, dato che i produttori della serie hanno cortesemente ma fermamente rifiutato offerte robustissime delle piattaforme digitali per mandare questo attesissimo capitolo numero 25 delle avventure di 007 online e sulle TV, per farne il simbolo del ritorno al cinema ( e di questo va dato atto, ai produttori, in un'era di grande confusione e rimandi, di aver mantenuto saldo il timone), "No time to die" è stata prima grossa produzione, insieme al sequel di "Top Gun", che dovrebbe arrivare in Novembre, ad aver subito un'inedita sospensione per l'arrivo del Covid, e rischiare moltissimo a livello di incassi. Sebbene Daniel Craig avesse rilasciato dichiarazioni risentite sulle possibilità di tornare ad impersonare James Bond dopo l'uscita di "Spectre", quarto episodio con l'attore nei panni del personaggio fleminghiano, eccoci al suo passo d'addio, in cui addirittura figura tra i produttori. Rispetto alle precedenti ere bondiane, i film con l'ultimo interprete, dal 2006 hanno tutti un filo conduttore che ne fa un'unica storia divisa in segmenti: ecco quindi la spia inglese in viaggio di piacere a Matera, assieme alla bionda Madeleine, con cui alla fine dell'episodio precedente si era allontanato a bordo della sua Aston Martin, subire un attacco da parte di nuovi nemici forse collegati alla Spectre, e forse no( e la sequenza, che è il prologo che precede i titoli di testa, entra di diritto nell'antologia delle grandi scene action della serie). Lo ritroviamo cinque anni dopo ormai ritirato dal servizio, in un "buen retiro" giamaicano, ove va a scovarlo l'alleato della Cia Felix Leiter assieme ad un altro agente, per chiedere il suo aiuto nel contrastare un nuovo potente nemico affiorato sulla scena criminale, e sebbene l'inglese offra un iniziale diniego, è ovvio che tornerà al centro dell'azione. Per essere un film nato in mezzo alle controversie (slittamenti per problemi mondiali  e posizioni recalcitranti del protagonista a parte, ricordiamoci che il Bond 25 era inizialmente assegnato a Danny Boyle, che ha mollato il progetto per dissidi con la produzione, e ha rilevato la regia il director di "True detective" Cary Fukunaga), "No time to die" è venuto fuori come un episodio che i fans della serie, ma anche quelli del cinema d'azione in generale, si rivedranno volentieri più di una volta: le pecche principali sono la durata un po' elefantiaca, di due ore e tre quarti, anche se la pellicola non annoia davvero, e che Rami Malek, per colpa di una sceneggiatura che non gli offre moltissimo spazio in scena, non diventi uno dei cattivi memorabili della serie, nonostante le ambizioni, e il peso che le sue azioni hanno, di fatto. Craig ha impersonato, va detto, un James Bond diverso dai predecessori, anche dal più amato di tutti, il grande Sean Connery, perché, per quanto spesso le imprese del suo agente segreto ( relativamente tale, perché, come rilevava lo stesso Roger Moore, terza personificazione di 007, quando arrivava sembravano già conoscerlo tutti....), la sua versione dell'eroe che dal 1962 conquista le platee, è meno epidermica, si fa più male negli scontri, è più coinvolto nei rapporti e molto meno cinico nell'affrontare nemici e alleati. E qui, addirittura, si ritroverà a compiere una scelta terribile, ma necessaria, che renderà un capitolo a sé stante questo, e la  conclusione della sua partecipazione alla serie particolarmente da ricordare.













mercoledì 22 settembre 2021


 
18 REGALI (I, 2020)

DI FRANCESCO AMATO

Con VITTORIA PUCCINI, BENEDETTA PORCAROLI, Edoardo Leo, Sara Lazzaro.

DRAMMATICO 

Una visita di controllo certifica alla futura mamma Vittoria Puccini il buono stato di salute della bimba che ha nella pancia, ma le rivela che lei è invece minata da un cancro che non lascia speranza alcuna: nella tremenda condizione della gioia della gravidanza ferita dalla consapevolezza che probabilmente non vedrà nemmeno la sua piccola, la giovane donna prepara diciotto regali da dare all'erede per ogni compleanno, finché non arriverà appunto alla maggiore età. Su uno spunto tratto da una storia purtroppo realmente accaduta, il torinese Francesco Amato realizza un film che sta su due piani narrativi paralleli, ma complementari: ci fa incontrare la ragazza cui è destinata la singolare "eredità" che dà il titolo alla pellicola proprio a un passo dal compimento del diciottesimo anno di età, ce la mostra rancorosa, in tensione con il padre, intraprendere una sorta di fuga da casa, ma nella stessa sera ha un incidente, che le fa incontrare la donna che l'ha partorita. Allo sbigottimento della fanciulla fa eco la preoccupazione della sua genitrice, che non la riconosce e vive la gravidanza e gli ultimi mesi di vita con determinatezza e comprensibile agitazione. Il trucco narrativo c'è, e si intuisce abbastanza presto, anche se la regia sembra non voler decidersi a scoprire le carte: il film non è ricattatorio, e gli va riconosciuto, e non usa ogni mezzo per arrivare all'effetto lacrima, come si poteva subodorare leggendo il soggetto. Però se Vittoria Puccini fornisce una buona interpretazione, misurata e onesta, meno bene figura Benedetta Porcaroli, emersa nella serie "Baby" su Netflix, piuttosto monocorde nel ruolo tuttavia non semplice della figlia carica di rabbia, né, questa volta, convince appieno un buon interprete abituale quale Edoardo Leo: meglio figurano attori in ruoli di contorno come Marco Messeri, che interpreta il padre della protagonista. Il film, quarta regia di Amato, evita di piazzare "trappole" lacrimogene, vuole probabilmente raccontare una parabola di vita fondandola sulla speranza che questa, nel suo rinnovarsi, sconfigga il fato spesso ingiusto che porta dolore: tutte buone intenzioni, che non sempre portano a risultati completamente apprezzabili.







 
CROCE E DELIZIA ( I, 2019)

Di SIMONE GODANO

Con ALESSANDRO GASSMANN, FABRIZIO BENTIVOGLIO, JASMINE TRINCA, Filippo Scicchitano.

COMMEDIA

Da non confondere con l'omonimo film diretto da Luciano De Crescenzo nel 1995, "Croce e delizia" è una commedia che racconta una storia d'amore non comunissima, tra due uomini non più giovani, che fino ad allora si erano pensati e riconosciuti eterosessuali, poi è capitato loro di innamorarsi. La qual cosa inquieta e manda in crisi i loro figli, al  punto che la figlia del più attempato dei due propone al figlio dell'altro l'attuazione di un piano per mandare in fumo i propositi di matrimonio dei due padri. Ambientato d'Estate a Gaeta, il film ha il merito di non cercare la risata in eccesso, basando molto della sua riuscita sul lavoro del cast, che si permette di tenere buoni interpreti come Lunetta Savino in ruoli secondari. C'è la sensazione che  sceneggiatura e regia non sfruttino appieno la potenzialità del tema, forse per tenere troppo equilibri: però va riconosciuto alla pellicola di avere attenzione per i caratteri,  senza manicheismi, sottolineando la fragilità di chi fa scelte sbagliate, arrogandosi le decisioni per gli altri. Se Fabrizio Bentivoglio con impudente leggerezza tratteggia il personaggio cui il titolo del film allude ("Lui è parecchio croce, e un po' delizia...."), è Alessandro Gassmann a sobbarcarsi il ruolo più sofferto, cui infonde un'umanità di prim'ordine, nelle sue confusioni, dubbi e titubanze, mentre Jasmine Trinca si prende la scomodità della figlia che complotta per scongiurare l'unione, tratteggiandola comunque senza regalarsi nessuno sconto, allo stesso tempo mostrando anche tutti i bocconi amari dovuti ingoiare dal personaggio in precedenza, per essere giunto a rappresentare quasi una nemesi per l'unione dei due uomini. Si può eccepire che un carattere sostanzialmente egoista, capace di frivolezze che pesano come incudini sulle spalle altrui, come quello del personaggio di Bentivoglio, difficilmente possa cambiare, essendo anche in fase matura, ma la scena del ricongiungimento in mare è una vera e propria sequenza sentimentale, un atto d'amore che può commuovere.








mercoledì 8 settembre 2021


 
NOMADLAND (Nomadland, USA 2020)

DI CHLOE ZHAO

Con FRANCES MCDORMAND, David Strathairn, Charlene Swankie.
DRAMMATICO
Vincitore dello scorso festival di Venezia, "Nomadland" si è affermato anche all'ultima notte degli Oscar vincendo tre delle statuette più importanti: miglior film, migliore regia, e migliore attrice protagonista. Un risultato notevolissimo, data la particolarità del periodo che stiamo vivendo, tra blocchi, chiusura delle sale, diversa distribuzione dei film tra piattaforme digitali e altro. Inoltre, se Frances McDormand va a eguagliare Meryl Streep con tre Oscar vinti, la regista di origine cinese Chloe Zhao, prossima autrice del kolossal Marvel "The Eternals", diviene la prima regista asiatica a aggiudicarsi l'ambito premio, e la seconda regista donna in assoluto a conquistarlo, dopo Kathryn Bidgelow nel 2010. Di fronte a tanta significativa affermazione,  si prova quasi imbarazzo a non provare entusiasmo, ma se la pellicola è una pertinente riflessione sulla deriva della società dei consumi, e su come l'individuo possa rimanerne ai margini per salvaguardare sé stesso, raramente si prova coinvolgimento per l'errabonda avventura della protagonista. Girato quasi in stile documentaristico, frammentario nella narrazione, tra dialoghi che durano lo spazio di un breve confronto, esprime in alcuni momenti una poetica del disagio, con Frances McDormand immersa in spazi deserti, spersa nella ricercata non stabilità del suo personaggio. Ma se è apprezzabile che Oscar importanti siano andati ad una regista, e ad una delle interpreti più brave degli ultimi trent'anni ( è la sua terza statuetta), va detto anche che quest'ultima ha convinto maggiormente altre volte, e che dell'Oscar per il miglior film sarebbe stato più meritevole "Minari", che forse puntava su una struttura filmica più classica, ma che incide maggiormente nello spettatore, emozionandolo e lasciandogli qualcosa dentro, oltre la visione. Qua, ad essere sinceri, appare un premio dato per enfasi, e per rottura degli schemi, più che per il valore della pellicola stessa: lo dirà il tempo, qual è la giusta valutazione su questo film, certo. Già aver dato voce a una fetta di popolazione, forse marginale, ma di fatto esistente, è un atto di coraggio da plaudire. Ma non si sfugge alla sensazione di fin troppa grazia, tra Leone e Oscar.

giovedì 26 agosto 2021


 
DOMENICA È SEMPRE DOMENICA (I, 1958)

DI CAMILLO MASTROCINQUE 

Con ALBERTO SORDI, VITTORIO DE SICA, LORELLA DE LUCA, MARIO RIVA.

COMMEDIA

Se, come io stesso ho ripetuto più volte, la commedia spesso deve raccontare il proprio tempo per permettere sia nel presente una lettura migliore di società e costume, sia, e forse, soprattutto, per testimoniare ai posteri come fossero certi aspetti di una società nel dato tempo di realizzazione e uscita del film, "Domenica è sempre domenica" può considerarsi una valida rappresentazione di tale teoria. Si racconta, in un flusso rapsodico, fatto di piccole storie che si intrecciano attorno al fortunatissimo programma televisivo "Il Musichiere", condotto da Mario Riva, un'Italia alla mano, forse sempliciona, un po' rigida ma alle porte del boom economico, con ricchi scialacquatori, industriali in gamba con passatempi un po' anomali, volti celebri con lati obiettivamente differenti da quelli pubblici. Delle storielle che si intersecano l'una nell'altra, quella che forse appare meno utile è quella della cameriera vistosa che lascia la casa dove lavorava per andare in treno a Roma: vi sono Ugo Tognazzi e Dario Fo, che compare tra i passeggeri dello scompartimento, ma appare una parte fine a sé stessa, e tuttavia, l'interprete di "Venga a prendere un caffè da noi" nei film degli anni Cinquanta, a mio parere non risulta calibratissimo, cinematograficamente parlando, con troppe mossette e gesti sopra le righe. Meglio la parte con l'ex alto ufficiale Vittorio De Sica sommerso dai debiti e posseduto dal demone del gioco, così come il film viene ricordato, più che altro, per una caratterizzazione sordiana di un concorrente al gioco, ingegnere e titolare d'industria integerrimi e scorretto partecipante al gioco. Mastrocinque gestisce con professionalità attori e sceneggiatura, anche se, va detto, in mano a un Salce o a un Risi in forma questa pellicola avrebbe guadagnato in mordente, sfruttando meglio certi chiaroscuri potenziali.




 





 
I NOSTRI MARITI (I, 1966)

DI LUIGI FILIPPO D'AMICO, LUIGI ZAMPA, DINO RISI

Con ALBERTO SORDI, UGO TOGNAZZI, JEAN-CLAUDE BRIALY, Nicoletta Machiavelli.

COMMEDIA 

Ne "Il marito di Roberta" un compassato quarantenne, che ha per consigliere personale il parroco, conosce e sposa una giovane bellezza che ha un po' troppa simpatia per gli abiti maschili e i passatempi non da signorina, al punto da rivelarsi poi desiderosa di cambiare sesso; nell'episodio seguente, "Il marito di Olga", una coppia giovane, circondata da fin troppe attenzioni dei parenti di lei, che invocano al più presto l'arrivo di un erede, senza tenere conto di una curiosa mancanza di interesse alle grazie della pur bella mogliettina da parte del coniuge, e nell'episodio conclusivo, "Il marito di Attilia", un vispo maresciallo dell'Arma manda un carabiniere sotto le mentite spoglie di muratore per far breccia nel cuore della moglie di un ladro latitante e quindi fare leva sulla gelosia del malvivente, anche se poi bisogna sempre tener conto del fattore umano, e ancora più di quello sentimentale... Trittico a episodi legati da un esile motivo comune, quello di coppie un po' fuori dagli schemi, "I nostri mariti", come da tradizione in questo tipo di operazioni, è diseguale, con molta differenza di ispirazione, ma anche di incisività nella realizzazione dei tre segmenti, per la firma di tre registi assai diversi tra loro. Infatti, colpisce, e oggi, cinquantacinque anni dopo la sua uscita ancora di più si nota, l'episodio "d'autore", e cioè quello di Risi, è il meno sapido dei tre, con un Tognazzi che mette più che altro mestiere nel tratteggiare il carabiniere che si innamora della popolana dal cuore d'oro. Mentre l'episodio di D'Amico, è probabilmente quello più dirompente, visto che tratta di un cambiamento di sesso a metà anni Sessanta, e la passione ottusa del personaggio di Sordi, che si ostina a non capire, né tantomeno accettare la realtà della situazione ( ma se si deve essere sinceri, né la moglie e né il contorno di madre e zie sono dipinti con simpatia, visto che hanno taciuto molto sulla vera natura della ragazza, o, perlomeno, le sue tendenze), è seguita con partecipazione: così come il minifilm centrale, quello di Zampa, è quello più carico di sottile velenosità, dipingendo una provincia ipocrita e di false apparenze, in cui, tra le righe, si racconta di come, purché non se ne parlasse in giro, si potesse accettare un'omosessualità in famiglia, arrivando a dare il benvenuto a un figlio fatto con un altro uomo, usato per la procreazione e non per altro, pur di mettere a tacere le voci di paese. Nel cast, oltre a un Sordi sospeso tra frustrazione e tremebonda speranzosità, si distinguono sia Nicoletta Machiavelli, sposa non troppo femminile, e Jean-Claude Brialy, per la forte ambiguità che inocula nel suo personaggio .







 CRAWL- Intrappolati ( Crawl, USA 2019)
DI ALEXANDRE AJA
Con KAYA SCODELARIO, Barry Pepper, Amy Metcalf, Anson Boon.
HORROR/AZIONE

Il titolo si riferisce sia al moto dei coccodrilli sulla terraferma,  dato che appaiono lenti e striscianti, sia allo stile omonimo di nuoto, che, infatti, data la trama, risulta di forte importanza, nel contesto: la giovane protagonista, che avrebbe dovuto diventare una campionessa delle piscine, sotto lo sguardo del padre ambizioso, cresciuta, ha dovuto accettare lo sfascio della propria famiglia; inoltre, quando si abbatte un uragano sulla cittadina dove vive il ruvido genitore, la ragazza si precipita, nonostante le forze dell'ordine tentino di bloccare chiunque si avvicini al luogo, fino alla casa avita, ove ritrova il padre. Ma nella cantina hanno avuto modo di entrare alcuni degli alligatori che hanno invaso la piccola città allagata.... Alexandre Aja aveva suscitato interesse qualche anno fa con "Alta tensione", discontinuo ma con buoni momenti, e Hollywood lo aveva attirato affidandogli progetti come "Piranha 3D", e altri: il regista francese ha una discreta mano narrativa, e, pur essendo un B-movie, "Crawl" ha una buona tensione narrativa, e, nonostante la storia sia potenzialmente limitata, per un discorso di collocazione tra spazio entro cui l'azione si muove, e di tempo filmico in cui i fatti accadono, lo spettatore non ha modo di annoiarsi. Certo, ci sono facilonerie non da poco (scaricare un revolver in bocca ad un animale da quattrocento Kili circa che ti ha addentato il braccio fino al gomito non è proprio una cosa semplice...), nonché degli errori di gestione degli effetti speciali ( attacchi degli alligatori improvvisi, senza che l'acqua attorno si muova, per dire): ma in un film sostanzialmente a due, tra i  coprotagonisti Kaya Scodelario e Barry Pepper ( attore valido, cui il cinema americano non ha offerto occasioni adeguate) l'intesa è buona, e un finale fin troppo consolatorio non compromette più di tanto la suspence fin lì efficacemente montata.

lunedì 26 luglio 2021


 
VOLEVO NASCONDERMI (I, 2020)

DI GIORGIO DIRITTI 

Con ELIO GERMANO, Andrea Gherpelli, Francesca Manfredini, Valerio Traldi.

DRAMMATICO/BIOGRAFICO 

Uscito appena dopo il festival di Berlino 2020, e quindi penalizzato fortemente dalla maledetta esplosione dell'emergenza Covid, "Volevo nascondermi", quarta regia in quindici anni di Giorgio Diritti, è divenuto poi il film simbolo della ripartenza delle proiezioni collettive della prima riapertura delle sale, nell'Estate seguente. Ovunque presentato, il film su Antonio Ligabue, ha fatto incetta di premi, dal festival tedesco, ove Elio Germano si è aggiudicato il premio quale migliore interprete, ai David di Donatello ( sette vinti), ai Nastri d'Argento. Concepito come un racconto di una vita, ma con la scansione irregolare di una mente non consueta come quella del pittore protagonista, il film ne narra l'infanzia infelice in Svizzera, e il prosieguo carico di dolore filtrato dalla sensibilità smisurata, dagli attacchi d'ira e dalla creatività dell'artista in divenire. Diritti illustra con partecipazione una vita solitaria, tra l'ignoranza che deride quel che non capisce ed è per forza di cose "diverso", e il percorso tra stupori come di un fanciullo, e ritrosie caratteriali, di un genio dalle spine evidenti. Mai pietistico o troppo insistente sulle potenziali derive verso il melodramma, il film è scritto e diretto con sobrietà e apre alla compassione verso una creatura tanto disgraziata, quanto tenace nel cercare di esprimere il proprio mondo interiore: la scena in cui Ligabue ritrova la signora che ne aveva incoraggiato l'estro è realizzata con raro tatto, e suscita una commozione non scontata. Un cast funzionale, attorno alla strepitosa prova di Elio Germano, che infonde alla raffigurazione del pittore una carica che la padronanza dei propri mezzi attoriali calibra nella furia e nella tenerezza. Nota di merito, tra le altre cose, ai truccatori, che compiono un lavoro magistrale sugli attori, facendo percepire il segno del tempo con la massima verosimiglianza.







 DUE SOTTO IL DIVANO (Hopscotch, USA 1980)

DI RONALD NEAME
Con WALTER MATTHAU, Glenda Jackson, Ned Beatty, Sam Waterston.
COMMEDIA
L'agente CIA di lungo corso Walter Matthau viene silurato dal nuovo dirigente Ned Beatty, che gli preferisce il più giovane Sam Waterston: indispettito dal trattamento ricevuto dopo anni spesi al servizio dell'Agenzia, il protagonista scrive un libro di memorie che sa benissimo che gli costerà dei rischi, ma diventa rapidamente un best-seller. Segue una sfida a distanza tra Matthau e Beatty, con mosse a sorpresa e stratagemmi per mettersi nel sacco a vicenda. Due anni dopo il grande successo di "Visite a domicilio", vengono rimessi insieme Walter Matthau e Glenda Jackson, per ripetere il buon gioco di attori che aveva determinato il risultato del film del '78. Ma alla bravissima attrice inglese la sceneggiatura riserva troppo poco spazio per farne risaltare le doti, e la regia dell'onesto Ronald Neame, anch'egli britannico, tiene il timone senza impennate. Alla fine, il film è gradevole, ma per nulla memorabile, Matthau va di mestiere, e il resto del cast  per conseguenza si adegua. La battuta migliore? Una bella pilota di aerei che ha appena trasportato Matthau gli dice "Lei è simpatico, mi ricorda molto mio padre." E la sardonica risposta: "È sempre stato il mio problema!".

giovedì 22 luglio 2021



 BLACK WIDOW (Black Widow, USA 2020)

Di CATE SHORTLAND

Con SCARLETT JOHANSSON,  Florence Pugh, David Harbour, Rachel Weisz.
Anche questa grossa produzione ha conosciuto il non semplice stallo del lockdown che ha bloccato le sale cinematografiche, tenendole chiuse per mesi, facendole riaprire giusto un soffio prima dell'Estate; se l'ultimo 007, pronto per uscire ad Aprile 2020, è annunciato per il prossimo Novembre come titolo forte di fine 2021, "Black widow" è stato distribuito sia sulla piattaforma Disney +, che nelle sale cinematografiche. E se in America l'effetto di questa condizione ibrida pesa sugli incassi, visto che a una prima settimana entusiasmante per la casa di produzione, ne è seguita una seconda molto meno segnata dall'afflusso di spettatori desiderosi di vedere in azione l'unico Avenger femmina del primo titolo della serie. Sappiamo tutti che è un episodio "compensativo", dato che la Vedova Nera cui dà volto e forme Scarlett Johansson, non apparirà oltre nel mondo Marvel, essendo deceduta senza possibilità di ritorno in "Avengers- Endgame", sacrificatasi per permettere di vivere all'amico e compagno di ventura Hawkeye. Il film racconta il lasso di tempo che vide Natasha Romanoff fuggire in Russia dopo essersi schierata con Captain America contro le scelte governative che obbligavano i supereroi a una forma di controllo sotto lo Stato. Si svela così parte del segreto passato dell'eroina, come sia stata addestrata, e a chi è legata nella sua terra madre. Più violento della media dei film marvelliani finora usciti, più complesso nella presentazione dei caratteri, con una componente adulta obbligata, nel leggere rapporti e azioni dei personaggi principali, rappresenta una nuova fase, come si sapeva, dell'universo Marvel cinematografico. Dopo una scena d'avvio molto concitata, il film prosegue in una prima parte che presenta altre accelerazioni action di buon livello, come la fuga dal carcere di massima sicurezza circondato dalla neve, e arriva ad una seconda metà più teorica, in cui si rasenta, per eccesso di volontà di fare chiarezza, la macchinosità in un paio di occasioni. Tuttavia le citazioni dagli 007 dell'era Roger Moore non dispiacciono, la tesi dei legami di vita che possono dimostrarsi anche più tenaci e inestinguibili di quelli di sangue è trattata con cura, e le due ore e un quarto di proiezione non pesano affatto.


martedì 20 luglio 2021


RAYA E L'ULTIMO DRAGO ( Raya and the last dragon, USA 2020)

DI DON HALL, CARLOS LOPEZ ESTRADA, PAUL BRIGGS, JOHN RIPA

ANIMAZIONE

AVVENTURA/FANTASTICO 


Nell'era delle piattaforme digitali, rafforzate dall'effetto della obbligata permanenza domestica di milioni di potenziali fruitori, i film di produzione grossa pronti per uscire verso la metà del 2020 sono rimasti incastrati nella più grande sospensione che la distribuzione cinematografica abbia conosciuto. Ed ecco che titoli atti a totalizzare incassi considerevoli hanno dovuto conoscere una bizzarra uscita ibrida: sono stati immessi sulle rispettive piattaforme appartenenti agli studios che li hanno prodotti, o a queste sono stati ceduti, e poi sono stati fatti uscire anche nelle sale, ma per forza i risultati non hanno convinto. Che senso ha andare al cinema a spendere gli 8 euro di un biglietto quando si può vedere a casa con la miglior definizione lo stesso film, avendo già speso per gli abbonamenti (e lasciamo stare le visioni piratate)? Parlando del film, la storia di una giovane guerriera di stirpe nobile che parte alla ricerca dell'ultimo rimasto dei draghi che in un'epoca anteriore proteggevano gli uomini dal Male, qui sintetizzato in un Nulla che paralizza e rende uguali a statue, e nell'impresa viene accompagnata da una banda di fortuna che, al di là della parvenza brancaleoniana, riesce a contribuire all'epico intento, non è certo un'idea nuova. Però va dato atto a questo neoclassico disneyano, la cui tecnica di animazione somiglia, visto che tendenza vuole, al tipo di cartoon con personaggi meno bidimensionali, come Pixar ha insegnato, ha un intento educativo genuino: in una fase storica di recrudescenze nazionaliste, di miopia storica e di politici che trovano riscontro a fomentare le divisioni tra i popoli, ma anche tra le classi sociali, l'idea di un'umanità che trova la propria forza solo nell'unificare le forze, va apprezzata eccome. E lo sguardo sui cattivi, una volta tanto, induce a ritenerlo solo persone che hanno sbagliato strada davvero. 





 

venerdì 2 luglio 2021


MURDER AT  1600- Delitto alla casa bianca
( Murder at 1600, USA 1997)
DI DWIGHT D. LITTLE
Con WESLEY SNIPES, DIANE LANE, Alan Alda, Ronny Cox.
THRILLER

Chi ha ucciso la bella stagista bionda che abbiamo visto, nei titoli di testa, impegnata in un amplesso con un uomo, nelle stanze della Casa Bianca? Il 1600 del titolo originale è appunto il numero civico della dimora quadriennale ( a meno di una rielezione) del presidente degli Stati Uniti d'America: la ragazza uccisa aveva una tresca con il figlio del numero 1 americano, e viene scelto, per venire a capo della faccenda, un poliziotto nero dal senso pratico e dai modi spicci come Wesley Snipes, che sarà affiancato nell'indagine da una affascinante ex militare ora al servizio della Security presidenziale, che ha il volto sempre splendido di Diane Lane. La scoperta non sconvolge lo spettatore, ma risulterà un colpo di scena per i personaggi principali. Giallo medio, di onesta fattura, da parte di un regista che non dirà più di tanto in carriera, che si svolge per gran parte nella White House e nei suoi sotterranei e punti meno noti: il film è accettabile, a patto di non aspettarsi grandi cose, ma si risolve nel finale in un'americanata bella e buona, quando il presidente stende con un pugno il colpevole e il passo dopo è un prevedibilissimo scatto di suspence che negli anni Novanta era una logica inevitabile in ogni thriller di confezione.
 

venerdì 25 giugno 2021


L'INCREDIBILE VITA DI NORMAN
(Norman: the moderate rise and tragic fall of a New York fixer, USA 2016)
DI JOSEPH CEDAR
Con RICHARD GERE, Lior Ashkenazi, Michael Sheen, Steve Buscemi.
COMMEDIA/DRAMMATICO
I "fixer" in inglese sono quelli che ci mettono una pezza, o che rattoppano: nel gergo politico-economico, sono quelle figure non ufficiali, di mezzo, che si possono chiamare intermediari, o spregiativamente "intrallazzatori", personaggi che, tramite conoscenze, riescono a far stringere accordi importanti, proporre a personalità il modo di passare il tempo libero, fare incontrare, passando da vie traverse, figure altrimenti difficili da accomunare. Nel film diretto dall'israeliano Joseph Cedar, Norman Oppenheimer è un membro della comunità ebraica newyorkese che per ingraziarsi un viceministro dello stato d'Israele in visita nella metropoli USA, lo avvicina e gli regala un paio di scarpe di lusso: vorrebbe portarlo con sè ad una cena con un petroliere, ma il giovane politico non si presenta, scusandosi poi con una telefonata. Passa del tempo, e il giovane politico fa carriera, diviene ministo e l'americano fa sapere di essere legato a lui da solida amicizia, e di conseguenza proliferano le richieste di favori, che Oppenheimer accoglie a dismisura, sovraccaricando di aspettative la gente che gli circola attorno: ma non ha tenuto conto di quanto in politica ci possa essere di tagliente e rischioso. Partito come una commedia su un individuo che per tutta la storia non riusciremo mai a definire ambizioso, folle o semplicemente anelante a una qualche importanza nella propria comunità ( e in questo vanno fatti i complimenti a Richard Gere per la finezza dell'interpretazione), "L'incredibile vita di Norman" si tramuta via via in un amaro apologo sulla tortuosità della politica e sulla sua distanza, oggi, dal cittadino comune: il finale drammatico, con una scelta filosofica che esenta dalla retorica, proprio per la particolarità con cui si va verso una conclusione a modo suo annichilente per il protagonista, è esposto con misura e intelligenza. Negli ultimi anni va dato atto ad una star non esente da impennate e tonfi clamorosi ( vedi i suoi primi dieci anni di carriera, esploso come sex-symbol con "American gigolò" e "Ufficiale e gentiluomo", affondato negli anni successivi, per risorgere con "Affari sporchi" e "Pretty woman", e lo sdoganamento della chioma brizzolata...) come Gere di aver scelto ruoli e film che forse non attirano il grosso del pubblico, come in questo caso, il film sugli homeless e "La cena", ma pongono questioni morali non d'accatto, con approcci che portano alla riflessione sincera, con prove convincenti in ruoli complessi: peccato che in un luogo tradizionalmente "liberal" come la Academy non ci facciano molto caso, ignorando sistematicamente i lavori di questo attore che probabilmente meriterebbe di essere insignito di qualche riconoscimento, a questo punto della sua ormai ultraquarantennale carriera.

 

giovedì 17 giugno 2021



FIUME ROSSO ( Red river, USA 1948)

DI HOWARD HAWKS

Con JOHN WAYNE, MONTGOMERY CLIFT, Joanne Dru, Walter Brennan.

Ascritto prestissimo nei classici del western, "Fiume rosso" inquadra da subito i temi che  vuole esplorare: l'amicizia virile che non conosce stagioni, il carisma e i lati oscuri di un leader, l'avventura che diventa epica nel tentare un'impresa che vale una vita, gli spazi senza confini da attraversare e vivere. Howard Hawks girò questo film affidando a John Wayne e Walter Brennan, che rendevano sullo schermo con rara sintonia e capacità di rendere reali i loro battibecchi e cenni d'intesa, due ruoli che torneranno nel suo cinema, l'Eroe (pur con contorni negativi, qua, piuttosto sottolineati) e il suo Aiutante indispensabile: al contempo, fece debuttare un attore giovane che si rivelerà magnifico, Montgomery Clift, il quale, appunto, proprio qui apparve per la prima volta sul grande schermo, anche se "Odissea tragica", girato subito dopo, uscì prima nei cinema. Storia di un rapporto paterno e filiale non biologico, ma naturale, dato che i due personaggi principali si incontrano nel lungo prologo che occupa la prima ventina abbondante di minuti della storia, e si fiancheggiano e si osteggiano fino alla fine, giungendo infine ad uno scontro inevitabile proprio a due passi dal finale, il film mantiene intatta, a oltre settant'anni dalla sua realizzazione, la carica epica che accompagna il viaggio dei mandriani e della folta mandria da portare agli acquirenti; in mezzo, assalti indiani, scontri al piombo, gesti d'amicizia e sentimenti d'amore che nascono. Straordinario il passo di Hawks nel dipingere il crescendo che porta i personaggi di Wayne e Clift a prendersi duramente a pugni ( con tanto di inaudito, per l'epoca, sangue che compare sui volti dei due) e appena dopo placarsi e scambiarsi uno sguardo di affettuosa complicità. Quando il cinema si fa naturalmente Mito.

 

giovedì 10 giugno 2021


ENOLA HOLMES ((Enola Holmes, GB 2020)
DI HARRY BRADBEER
Con MILLIE BOBBY BROWN, Louis Partridge, Henry Cavill, Sam Claflin.
AVVENTURA/GIALLO
Doveva essere un titolo di punta per le sale cinematografiche, ma poi l'impatto del Covid ha cambiato anche qua le cose, e così "Enola Holmes", tratto da un romanzo di Nancy Springer, è andato dritto sulla piattaforma Netflix e ha realizzato un numero enorme di download, arrivando ad essere uno dei successi dell'anno, risultando il settimo film più visto di sempre dagli utenti. Se ne prospetta quindi già un sequel. L'avventura della giovane Enola, sorella minore dei più conosciuti Sherlock e Mycroft, che di punto in bianco vede sparire la madre che per anni l'aveva addestrata sia a sviluppare l'intelligenza che a cavarsela in situazioni rischiose, che avvia la ricerca della genitrice e, al contempo, aiuta un giovanissimo nobile a salvare la pelle e a cercare di capire chi abbia interesse nell'eliminarlo ( c'è in gioco un'importante riforma di progresso per la Gran Bretagna) è chiaramente da ascrivere tra i "film per ragazzi", ma la regia sa costruire una relativa suspence che tiene su il lato "giallo" della pellicola e parallelamente apporta sequenze d'azione senza che risultino posticce. Semmai, nonostante sia l'attore più celeberrimo del cast, è molto meno fondamentale di quanto si presuma la presenza di "Superman" Henry Cavill, ma la spigliata Millie Bobby Brown tiene botta egregiamente e ispira simpatia. Al punto che, come si diceva prima, un nuovo episodio di questa eroina derivata alla lontana dagli scritti di Conan Doyle non suona minaccioso.

 


FACCIO UN SALTO ALL'AVANA (I, 2011)
DI DARIO BALDI
Con ENRICO BRIGNANO, Aurora Cossio, Francesco Pannofino, Paola Minaccioni.
COMMEDIA
Fedele Diotallevi ha sposato una donna erede di una famiglia facoltosa, da cui non viene stimato: suo fratello Vittorio ha sposato la di lei sorella, ed è creduto morto da sei anni, quando, per casualità, spunta un video in cui si scopre che l'uomo è vivo ed è a Cuba. Prontamente il fratello parte alla volta dell'isola centroamericana per recuperarlo, scoprendo che l'altro campa di intrallazzi, si è rifatto una vita nonostante sia padre di due gemelle, e non ci pensi neanche a tornare in Italia. Stupito e affascinato dalla vita a L'Avana, il protagonista comincia ad andare in confusione... Lo spunto, va da sé, viene da "Riusciranno i nostri eroi..." di Scola, ma tra questo ed il film che vedeva Sordi e Blier andare alla ricerca di Manfredi in terra d'Africa ci corre cometrangugiare qualcosa in scatoletta e  mangiare una pietanza realizzata da uno chef di categoria. Molta di questa commedia del Duemila vorrebbe ammiccare a modelli classici, lanciare nuovi volti per il cinema brillante, magari già conosciuti via televisione, come spesso è accaduto nella storia del nosto cinema, ma Brignano è tra quelli che da diversi anni prova a decollare, ma regolarmente non spicca il volo: è sempre uguale a sé stesso, fa quasi sempre il tipo del fregnone coinvolto in qualcosa che gli turba l'esistenza e gliela risolve, e raramente strappa almeno sorrisi convinti, non parliamo di risate vere e proprie. Diretto anonimamente da Dario Baldi, il filmetto approda alla conclusione più ovvia, senza lo straccio di una minima sorpresa, e ,soprattutto, senza far sì che non si arrivi ai titoli di coda a suon di sbadigli.