venerdì 30 ottobre 2015


NOI E LA GIULIA ( I, 2015)
DI EDOARDO LEO
Con LUCA ARGENTERO, EDOARDO LEO, STEFANO FRESI, CLAUDIO AMENDOLA.
COMMEDIA
Tre quarantenni, in un punto della vita in cui si ritrovano in crisi piena, si incontrano casualmente, complice un agente immobiliare che fissa con tutti insieme per far loro vedere un casolare da rimettere in sesto in aperta campagna: pur assurda, la situazione fa sì che i tre decidano di mettersi in società per farne un agriturismo, un pò come ultima spiaggia, un pò per ritrovare rispetto e fiducia di se stessi. Messisi all'opera, vedono arrivare un tipetto dall'aria sbruffona, a bordo di una Giulia che spara note di musica classica ad altissimo volume: l'ometto chiede loro il pizzo, dato che è un membro della camorra organizzata, ma viene sequestrato dai tre, divenuti quattro per l'arrivo di un creditore di uno di loro, e le faccende si complicano un bel pò. Poi arriveranno anche una ragazza incinta, e due guagliuncelli affiliati ad un clan... Il terzo film diretto da Edoardo Leo, tratto dal libro "Giulia 1300 e altri miracoli", di Fabio Bartolomei, ha avuto un discreto successo di pubblico, e conquistato diversi premi, tra Nastri d'argento, David di Donatello, Ciak d'oro e altro: c'è da dire, subito, che è una commedia con un buon impianto di scrittura, spesso spinge a sorridere, anche se non dipinge un bel quadro italiano, è ben recitata, anche e soprattutto dai caratteri secondari, vedi il comunista irriducibile di Claudio Amendola ed il guappo'e niente di Carlo Buccirosso, il quale è uno dei talenti comici più sottovalutati del cinema e teatro italiano (magari il toscano messo in bocca alla pur brava Anna Foglietta, non è impeccabile, ma ci si può passar sopra...). Quel che un pò smorza gli entusiasmi su questo film comunque garbato e da consigliare, è l'ultimo terzo di storia, che prende un verso non dissimile dalle commedie di Massimiliano Bruno, con camorristi da operetta, soluzioni che si trovano in uno schioccar di dita, ed un buonismo un pò di maniera che fa sfumare parte dell'effetto positivo suscitato. Però Leo è uno in gamba, sia davanti che dietro alla macchina da presa ( ha un'eleganza di inquadratura che ricorda il miglior Nuti), e si spera possa fare ancor di meglio.

THE TWILIGHT SAGA:BREAKING DAWN parte II
(The Twilight saga:Breaking Dawn part II, USA 2012)
DI BILL CONDON
Con KRISTEN STEWART, ROBERT PATTINSON, TAYLOR LAUTNER, Michael Sheen.
FANTASTICO/SENTIMENTALE
Finalmente, i giochi si compiono: le sottotrame varie, dal confronto inevitabile con i Vulturi, casta di vampiri aristocratici che vogliono dire la loro sull'unione tra Bella e Edward, i rapporti a regolare il triangolo una volta passionale ma mai concretizzatosi tale tra i due e il licantropo Jacob vengono definiti una volta per tutte, le nozze sono avvenute, e la protagonista, rimasta incinta, è sospesa tra vita, morte e non-vita (lo stato dei vampiri e tutte le creature non morte, insomma). Non che si stesse con il fiato così sospeso, ma se ai botteghini questa serie di cinque pellicole ha fatto filotto, evidentemente a qualcuno interessava. Senza stare a ripetersi, nulle le sorprese, visto che ogni cosa, più o meno, va come gli spettatori un pò più adulti prevedevano fino dal primo capitolo, con una soluzione al dilemma sentimentale molto soft, una serie di momenti rimasti cristallizzati tra un'azione ed un'altra, tra un dialogo ed uno seguente, che in letteratura sarebbe una serie infinita di puntini di sospensione, un Edward sempre più inebetito e imbelle, e una Bella sempre più antipatica ( ma su questo piano, difficile indire una gara a chi lo è di più, sono tutti degli assi...), e si giunge infine al confronto con alleanze insolite, su una distesa di neve. Ma, nonostante ciò si svolga con lotta regolare, ad un certo punto viene pure da chiedersi se non ci si sbagli a giudicarlo male, e vuoi vedere che si parla di una lotta di classe, ma poi ci si tranquillizza, trovando confermata la brutta impressione percepita per tutti i capitoli: è un'ennesima farsa della trama, sostanzialmente ingannando lo spettatore, con doppia colpa. Quella di star raccontando, ciò che non sta accadendo concretamente, e lasciandosi un viatico per un eventuale nuovo sviluppo, con  duello definitivo tra clan. Cosa che non è augurabile alla propria pazienza cinefila.

martedì 27 ottobre 2015


NON E' PIU' TEMPO D'EROI (Too late the hero, USA 1970)
DI ROBERT ALDRICH
Con CLIFF ROBERTSON, MICHAEL CAINE, Ian Bannen, Ken Takakura.
GUERRA
Nelle Filippine, nel 1942, viene inviato un ufficiale americano ad aggregarsi ad un battaglione inglese, per contrastare l'avanzata giapponese: la missione del drappello ove viene incorporato il recalcitrante statunitense (a inizio pellicola, viene mandato controvoglia dal suo comandante, Henry Fonda in un cameo incisivo, nonostante fosse stato rassicurato sulla sua mancanza dal fronte) è di distruggere una stazione radio nemica, nella jungla. Non sarà facile, e non ne torneranno vivi in molti: anche perchè, tra commilitoni, può scattare una lotta omicida per non seguire gli ordini ritenuti portatori di morte sicura. Si è sempre distinto, il cinema di Aldrich, per il suo andare controcorrente, eppure spesso anticipando tempi e temi: gli scontri fratricidi all'interno degli eserciti che la Storia ci ha presentato come vincitori e portatori di una supremazia morale (il Bene, insomma), il nemico che va sconfitto, ma a sorpresa può essere meno peggiore dei propri alleati, i patti e i duelli virili, consumati all'ultimo sangue, e pure le contorsioni dei rapporti tra personaggi. Non è forse uno dei lavori più belli del regista di "Che fine ha fatto Baby Jane", questo "Too late the hero", però contiene pagine cinematografiche di livello, vedi l'avvincente corsa finale incrociata, sotto il fuoco dei cecchini nipponici, e il risvolto del cinico a tutti i costi che, sopravvissuto, rende omaggio al compagno/rivale idealista. Più violento dei film bellici coevi (Peckinpah era di là da venire, nel genere), il film ha momenti in cui allenta troppo il ritmo narrativo, e impennate che coinvolgono lo spettatore: nel cast, ricco di volti celeberrimi, di categoria la sfida tra l'americano Robertson, che il regista volle a tutti i costi come protagonista, nonostante la scarsa convinzione dei produttori (l'attore vinse l'Oscar per "I due mondi di Charly" durante la lavorazione di questo lungometraggio), e il britannico Caine.

domenica 25 ottobre 2015


THE TWILIGHT SAGA:BREAKING DAWN-Parte I
(The Twilight Saga:Breaking dawn-Part one, USA 2011)
DI BILL CONDON
Con KRISTEN STEWART, ROBERT PATTINSON, TAYLOR LAUTNER, Peter Facinelli.
FANTASTICO/SENTIMENTALE
Come risaputo e detto più volte, uno dei motivi del successo ben oltre le attese della serie "Twilight" fu il forfait del capitolo della saga di "Harry Potter" a fine 2008, e molti dei giovanissimi fans avvezzi oramai alla serializzazione anche su schermi cinematografica degli eroi favoriti, si buttarono su questo mèlange composto da un triangolo sentimentale tra una ragazza malinconica, un vampiro dall'aspetto giovanissimo, ed un lupo mannaro di origine pellerossa, fatto soprattutto di rinvii, dalla serie di romanzi, quattro, di Stephenie Meyer, divenuti cinque nella versione per il cinema. In fase di conclusione, siamo alle prese con le decisioni importanti finalmente prese, quella di Bella e Edward, di sposarsi, e per lei, di diventare una vampira e abbandonare la sua umanità. Passata per varie mani di regista, la serie suscita un forte sconcerto in chi segue il cinema in maniera sconsiderata come ogni cinefilo definibile tale: non c'è cosa che non si sia già vista, meglio proposta, anche in B-movies più onesti, con vampiri che non fingono di essere di buon cuore, evitando di azzannare gli esseri umani, ogni passo minimamente decisivo della storia narrata in cinque pellicole è sospeso e rimandato di ore di proiezione, e, nella sostanza si può dire che la vicenda, spacciata per epica , ma molto fuffosa, in realtà, si poteva comodamente condensare in un film di 100 minuti. Vogliamo parlare delle prove attoriali, di una monotonia avvilente? E della pochezza di spessore dei personaggi, con un'eroina che esibisce un'espressione corrucciata in ogni inquadratura, un eroe romantico dalla mollezza estenuante, ed un terzo incomodo che sembra prendere vita solo quando può togliersi la maglietta e mostrare gli addominali? E della regia di Bill Condon, che fin qui aveva fatto cinema migliore, che non realizza una scena che sia una minimamente memorabile? Brutto cinema, di una noia abissale, di cui resta un mistero l'affezione dei fans.

giovedì 22 ottobre 2015


OBIETTIVO MORTALE (Wrong is right, USA 1982)
DI RICHARD BROOKS
Con SEAN CONNERY, Robert Conrad, John Saxon, G.D. Spradlin.
GROTTESCO/AZIONE
La notizia è una merce, e va saputa vendere: un reporter specializzato in scoop da zone di guerra, si dà da fare per catturare anticipazioni su una crescente tensione tra l'Occidente e i maggiori fornitori di petrolio del Medio Oriente, fino a scoprire una vera e propria congiura, con morti ammazzati ed intrighi spionistici. Ma vale di più portare alla luce la verità, o andare incontro ad una guerra mondiale pur di guadagnare copertine e prime time? Una satira che punta abbastanza al grottesco, diretta da Richard Brooks, con Sean Connery protagonista assoluto, in una delle non molte pellicole su registro umoristico girate dall'attore scozzese, con uno stuolo di caratteristi di prim'ordine (G.D.Spradlin, Robert Conrad, John Saxon, Hardy Kruger, Henry Silva, Robert Webber, più piccole ma utili parti per Katharine Ross e Leslie Nielsen): nel mirino gli intrallazzi intrisi di oro nero e sangue, di tradimenti e cospirazioni, in un crescendo che rasenta il demenziale, a conti fatti. Però la carica derisoria del film è tenuta troppo spesso in sordina, e, ad un certo punto, non si capisce bene a cosa stiamo assistendo: come commedia non è abbastanza divertente, come film d'azione non gira a dovere. Certo, la carne al fuoco non è poca, e si sente che la sceneggiatura avrebbe ambizioni mordaci eccome: ma come satira appuntita, si possono citare esempi molto più azzeccati. Connery non lesina divertita partecipazione, al punto da strapparsi via il parrucchino nell'ultima scena, ma non è servito a dovere dalla regia, forse non del tutto a proprio agio, di Richard Brooks.

IO NO SPIK INGLISH ( I, 1995)
DI CARLO VANZINA
Con PAOLO VILLAGGIO, Maurizio Marsala, Ian Price, Paola Quattrini.
COMMEDIA
L'assicuratore Sergio Colombo lavora per una compagnia che viene assorbita da un colosso inglese, e naturalmente, non spiccica una parola dell'idioma della casa madre: rischia il posto di lavoro, e così si reca in Gran Bretagna per un corso intensivo, ma, dato che il protagonista è Paolo Villaggio, per sbaglio finisce in una classe di ragazzini, e dovrebbe seguire le regole impartite ai suoi compagni di ventura. Ottenne un buon successo di pubblico questa commedia diretta da Carlo Vanzina, al punto da generare, due anni più tardi, un seguito delle avventure di Colombo, alle prese con il Giappone in "Banzai". Quello che dovrebbe innescare la comicità è il paradosso dell'uomo attempato che si ritrova ad essere trattato come un preadolescente, e, con una famiglia che non dimostra il minimo interesse per lui, nonostante i sacrifici fatti, ritrovare il piacere delle cose risvegliando il bambino che è dentro di sè: benchè Villaggio abbia dimostrato in altre pellicole le potenzialità per reggere un discorso simile, che contiene anche una sua vena poetica. Purtroppo, come è spesso accaduto nelle commedie dei fratelli Vanzina, la superficialità un pò fessa la fa da padrona, le situazioni sono fin troppo finte, e viene raccontato un mondo che non sta nè in cielo, nè in terra. Se poi Paolo Villaggio prova a tratteggiare un personaggio un pò fuori dai suoi schemi di maggior successo, salvo ricorrere alle ormai logore mani chiuse nelle portiere, espressioni atterrite e le esclamazioni di dolore fisico che un tempo erano il suo pezzo forte, poi si sono tramutate in qualcosa di stantìo, il filmetto si risolve in una bolla di sapone dal breve tragitto.

sabato 17 ottobre 2015


LO STAGISTA INASPETTATO (The intern, USA 2015)
DI NANCY MEYERS
Con ROBERT DE NIRO, ANNE HATHAWAY, Anders Holm, Rene Russo.
COMMEDIA
Che fare per riempire le giornate se hai settant'anni, una buona condizione economica, sei americano, vedovo e eri molto in gamba sul lavoro? Facile, tramite un annuncio ti candidi come stagista "senior" e cominci a collaborare con un'azienda che lavora online. Nello specifico caso, la ditta produce e vende vestiti appunto su Internet, ma in un anno ha avuto così tanto successo che la fondatrice stenta a controllarla, e così, il di lei socio affida al signore appena arruolato un imprecisato ruolo di "collaboratore" della boss: la quale gira per il capannone ove ha sede la sua azienda in bicicletta per risparmiare tempo, risponde alle telefonate a catena, ha pochissimo tempo per scambiare idee con chi la circonda, e sta letteralmente fondendo. I modi garbati e l'esperienza del nuovo venuto, dapprima guardati con diffidenza e quasi insofferenza, metteranno a posto le cose in ogni campo, come da copione. Nancy Meyers si è scritta e diretta questa commedia, che parla di terza età connettendola con il mondo di oggi, in cui la nevrosi da successo e la troppa operatività può disintegrare la vita privata di chi dedica fin troppo di sè alla propria riuscita professionale: bisogna riconoscere alla regista e sceneggiatrice, di proporre temi che non tutti, a Hollywood, ma anche altrove, saprebbero inserire in un film per platee copiose. Certo, tutto fila a puntino in questa storia, dove un gentleman si insinua in un'azienda e migliora la vita un pò a tutti, con i consigli e le proprie azioni, ognuno è inserito in un contesto borghese dal quale i gravi problemi sembrano essere distanti anni luce, al massimo un matrimonio che è in forte bilico, può raddrizzarsi con un pò di pazienza e delle ammissioni tra le lacrime agli occhi. Però un lungometraggio che, in tempi in cui il poco rispetto degli altri sembra essere un effetto collaterale dell'aggressività cui spingono i mass media e i modelli indicati come vincenti, sottolinea che la gentilezza è un valore da riscoprire, non può non meritare simpatia. Robert De Niro e Anne Hathaway, tra pacatezza e nevrosi a stento controllata, ingaggiano un duello attoriale di buon livello, e l'apice della bravura dell'attempata star torna fuori, dopo diversi film di poco conto, soprattutto nella scena in cui, da uomo d'altri tempi, fatica a nascondere il proprio imbarazzo alla giovane donna che vuol semplicemente confidarsi con lui, ma sul letto della propria camera di hotel. Leggero, ma molto gradevole.

IL NOSTRO AGENTE FLINT (Our man Flint, USA 1966)
DI DANIEL MANN
Con JAMES COBURN, Lee J.Cobb, Gila Golan, Edward Mulhare.
COMMEDIA/SPIONAGGIO
Derek Flint è un agente segreto americano che è specializzato in quasi tutto: sa lottare sfoggiando arti marziali, ha uno charme considerevole su donne di ogni etnia, ha un accendino che all'occorrenza può aiutarlo in ogni frangente, e soprattutto, sa come cavarsela di fronte ad ogni pericolo. Uscito a ruota dopo i primi successi di James Bond, "Il nostro agente Flint" ricalca, in chiave di parodia, il superomismo della spia creata su pagina da Ian Fleming, e divenuta mito al cinema con il volto, inizialmente, di Sean Connery. Flint ha un capo che ne detesta l'assoluta efficienza, donne che spasimano per lui e accettano placidamente di essere sue e condividerlo con altre, un'organizzazione criminale contro, che vorrebbe creare un mondo migliore e più sicuro a livello di clima, ma in nome del libero arbitrio il superspione ne distruggerà base e schemi. Interpretato con la giusta dose di ironia e atleticità da un James Coburn con piglio da simpatica canaglia, il film risulta spesso divertente, fino almeno a quando non si prende troppo sul serio, e si fa ripetitivo, con scontri e prodezze che non lo distinguono granchè dai momenti meno riusciti della serie di 007, quelli in cui l'azione a tutti i costi fa perdere interesse allo spettatore. Ha avuto due seguiti, ed è un peccato che non sia tutta la pellicola all'altezza dei primi due terzi, perchè avrebbe potuto rappresentare una satira arguta e avanti sui tempi.

HOTEL TRANSYLVANIA 2 (Hotel Transylvania 2, USA 2015)
DI GENNDY TARTAKOVSKY
ANIMAZIONE
FANTASTICO/COMMEDIA
Uscito tre anni fa con un buon successo internazionale, "Hotel Transylvania" indovinò la miscela di umorismo e riferimenti al cinema e letteratura dell'orrore, con i mostri classici, da Dracula all'Uomo Lupo, dall'Uomo Invisibile alla Mummia, per tacer del mostro di Frankenstein, conquistando incassi solidi un pò dappertutto. Nel seguito si vuole che Dracula, divenuto nonno di un bimbo per discendenza per metà vampiro, e metà umano, voglia insegnare al piccolino i rudimenti della propria stirpe, d'accordo con il genero fannullone, e mandando i genitori del piccolo in vacanza negli States, per facilitare la sua trasformazione in creatura della Notte: naturalmente, poco o nulla del piano concepito dallo zannuto progenitore andrà come egli vorrebbe, ma buon sangue, appunto, non mente mai.... Molto divertente nella prima parte, questo secondo episodio cala sensibilmente nella restante metà dello spettacolo: le gags soprattutto nelle scene corali sono numerose, e non semplici da seguire tutte, giacchè, come il genere demenziale predilige, spesso sono sullo sfondo le cose più esilaranti. Nel tirare le somme, il film procede più per inerzia che per compiere la narrazione, e sottolinea il fatto che ci sia un ultraconservatore come Adam Sandler dietro all'operazione, giungendo verso un finale strafamilista, puerile e che piacerà più che altro agli spettatori piccoli, lasciando insoddisfatti quelli più grandi. Il regista Genndy Tartakovsky ha già fatto sapere che, se la produzione intenderà girarne un terzo, non sarà della partita, e probabilmente ha ragione.

giovedì 15 ottobre 2015


BLACK MASS-L'ultimo gangster
DI SCOTT COOPER
Con JOHNNY DEPP, Joel Edgerton, Benedict Cumberbatch, Dakota Johnson.
NOIR
Esiste davvero Jim "Whitey" Bulger, criminale di stampo mafioso di discendenza irlandese, che negli anni Settanta e Ottanta fu lasciato libero dagli agenti federali, in cambio di informazioni e una collaborazione attiva, per poi perdere le tracce dell'uomo anni dopo, e riuscire a rintracciarlo solo in tarda età del malavitoso, divenuto uno dei più ricercati uomini di quegli anni. In realtà, per come lo racconta il film, Bulger, come molti altri delinquenti, approfittò dei benefici della collaborazione, per eliminare molti rivali, e allo stesso tempo, consolidare i propri traffici. "Black mass" è stato presentato a Venezia, all'ultimo Festival, riscuotendo recensioni buone, e adesso è uscito nei cinema internazionali. E' un crime-movie con un cast ricco di facce note ( da citare, perlomeno, uno degli attori più sottostimati, in proporzione alla bravura, del cinema USA come Kevin Bacon), che sarà il probabile rilancio della carriera di Johnny Depp, la quale da qualche anno girava un pò a vuoto; qui la star si riscopre attore, stempiandosi, con lenti azzurre, dando tratti crudeli e un sarcasmo maligno ad un boss che, tra le righe, sembra essere un, non si sa quanto consapevole, omaggio a Klaus Kinski. Scott Cooper ha il merito di scegliere trame interessanti per i propri film, ma deve imparare a gestire il ritmo del racconto: ad una prima parte molto ben costruita, in cui il pur malvagio "Whitey" viene esplorato anche nei, pochi, tratti umani che possiede, l'espandersi del suo piccolo impero ed i legami con i vari personaggi, nella seconda il ritmo cala sensibilmente. E invece di un crescendo, la pellicola va incontro ad una decelerazione che non le giova molto. Comunque, un buon film d'ambientazione criminale, che con qualche ritocco ben dato, avrebbe potuto essere molto di più.

mercoledì 14 ottobre 2015


HUMANDROID (Chappie, USA/MEX/SA, 2015)
DI NEILL BLOMKAMP
Con SHARLTO COPLEY, Dev Patel, Hugh Jackman, Watkin Tudor Jones.
FANTASCIENZA
In un futuro in cui l'altamente tecnologico avrà tracce di già pronto da rottamare, la Polizia utilizzerà degli androidi antropomorfi per le incursioni, i pronti interventi e le azioni ad alto rischio: gli Scout. Progettati da un giovane ingegnere, vengono preferiti al più ingombrante, e probabilmente più micidiale modello guidato a distanza, tipo drone, che vola e può contare su una potenza di fuoco maggiore. Tra i due progettatori che hanno concepito i diversi modelli, nasce un'inimicizia, e un esemplare che ha avuto gravi danni in un intervento, viene riprogrammato, con una nuova tecnica che gli dà una coscienza quasi umana: l'inaspettato gesto di tre rapinatori, che rubano il robot, genererà una situazione sempre più pericolosa. Dopo il non travolgente risultato commerciale di "Elysium", Neill Blomkamp fa un mezzo passo indietro, e ambienta questo film in un contesto che richiama, soprattutto scenograficamente, il lungometraggio che lo lanciò, "District 9": ma questa sua pellicola, è andata ancora peggio. Non è tutto da buttar via, perchè il sudafricano è un autore con una visione propria del mondo, soprattutto futuro, e una coscienza sociale radicata e interessante: la fatiscenza del mondo diviso in classi in maniera troppo netta e la stupidità di chi rincorre il profitto senza scrupoli sono costanti della poetica di un regista che, se lasciato lavorare, produrrà ancora cose importanti (infatti gli è affidato un nuovo capitolo di "Alien", direi scelta azzeccata eccome). Quello che nuoce a "Chappie" è una dimensione un pò troppo asfittica, fin troppi richiami a "Pinocchio" e "Robocop", tanto per fare due esempi pratici: però il ponte tra idealisti e reietti, e il fattore umano che, prepotentemente torna sempre a farsi valere in ogni ambito, se pure lo si volesse escludere, sono motivi di interesse, e di spessore di racconto, che vanno sottolineati. Nel cast, bene (per quanto pettinato tipo avventore d'osteria russa) Hugh Jackman in un ruolo antipatico ma ben reso, e il febbrile Watkin Tudor Jones, tossico, violento, inaffidabile ma alla fine umanissimo.

giovedì 8 ottobre 2015


THE GREEN INFERNO  ( The Green Inferno, USA 2013)
DI ELI ROTH
Con LORENZA IZZO, Ariel Levy, Nicolàs Martinez, Aaron Burns.
HORROR/AVVENTURA
Sperso per due anni nei meandri della distribuzione, anche se il nome di Eli Roth è, per gli appassionati del cinema horror più truculento, divenuto una garanzia di sequenze abbondantemente forti, "The Green Inferno" è uscito nei cinema, con reazioni miste di critica e pubblico: da un punto di vista degli incassi, pellicole come questa, e quelle cui si ispira, tutto il genere "cannibalesco", nelle sale hanno sempre avuto una quantità di spettatori relativamente esigua, salvo divenire oggetto di culto, e film chiaramente non per tutti, ma che fanno discutere. La trama, che vede un gruppo di universitari idealisti viaggiare in Perù per fermare, con l'aiuto delle riprese mandate via web, il disboscamento di una foresta e l'annullamento di un'antica tribù fuori dal tempo, subire nel corso del viaggio di ritorno un incidente, che la consegnerà proprio agli indios da salvare: però, questi hanno il non piacevole vizio di nutrirsi dei disgraziati che riescono a catturare... Che non sia un film per occhi troppo sensibili, o stomaci troppo delicati, va da sè, però a Roth, che gira abilmente quanto inciampa in errori grossolani, non indugia nemmeno troppo sulla crudeltà degli antropofagi, va dato atto di perseguire temi politici, anche se non va troppo di moda: questi "green warriors 2.0" da gita domenicale sono "utili idioti" per chi della globalizzazione conosce solo la via del profitto sempre e comunque, a scapito di equilibri, umanità e prospettive. Il film scade quando ammicca al demenziale, come nella sequenza della gabbia in cui, tra attacchi di diarrea e onanismo si sfida lo spettatore a prendere il tutto sul serio, e i personaggi si comportano quasi sempre come se la minaccia di essere trucidati e divorati non riguardasse loro: la recitazione non è delle più elevate, ma il lento vorticare della minacciosità legata all'alimentazione incide la pellicola fino dalle prime scene. Dal punto di vista dell'impatto, e della riuscita, "Hostel" rimane il miglior lavoro, fino a qui del regista, che continua ad alternare in maniera impacciata, alto e basso, ingenuità balzane ( le capanne dei cannibali paiono estrapolate da un villaggio vacanze, tutte equidistanziate e ben tenute...) e momenti di cinema-cinema ruvido ma efficace, e rimane sempre la sensazione che, se non sbracasse, Roth potrebbe essere un autore di genere con qualcosa di serio da dire.

martedì 6 ottobre 2015


TOTO' E CLEOPATRA ( I, 1963)
DI FERNANDO CERCHIO
Con TOTO', Magali Noel, Franco Sportelli, Gianni Agus.
COMMEDIA
Cleopatra ispirò diversi sceneggiatori, tra i Cinquanta e i Sessanta, sia che ne raccontassero la vita, chiaramente romanzata ("Cleopatra", storico flop di Joseph L. Mankiewitz) o la mettessero in burla, come "Due notti con Cleopatra" con Sordi e la Loren, e questo "Totò e Cleopatra". Nel quale il comico napoletano interpreta sia Marco Antonio che suo fratello Totonno, e, come altre volte nei film che vedono protagonista il principe della risata, molte delle gags vengono basate sul gioco dei sosia. Diretto da Fernando Cerchio, che non dà grande personalità alla storia, nè verve ai momenti più scanzonati, il film è tutto sommato decoroso, anche se, pur con un doppio Totò, le occasioni di divertimento non sono così fitte. Buona figura fanno le consolidate spalle del comico, come Gianni Agus, Mario Castellani, e Magali Noel fa una Cleopatra fascinosa ma fin troppo gesticolante: è l'ultima fase della carriera di un titano del cinema brillante non solo italiano, sfiancata da fin troppe pellicole girate a catena. Come in squadre mediocri con un grande centravanti, cui vengono serviti numerosi palloni, tanto prima o poi salverà la baracca, molti di questi film di scarsa qualità erano cuciti sulle spalle di Totò, che comunque garantiva divertimento e qualche risata la riscuoteva comunque, ma elaborare tutto un film su tre o quattro battute è come costuire una casa su fondamenta di carta velina....

INSIDE OUT (Inside out, USA 2015)
DI PETE DOCTER, RONNIE CARMEN
ANIMAZIONE
FANTASTICO/COMMEDIA/SENTIMENTALE
Come colori primari, le cinque emozioni basiche ( Gioia, Tristezza, Disgusto, Paura, Rabbia) di una ragazzina in una fase delicata della sua vita, visto che è alle soglie della pubertà, e si è trasferita dal Minnesota in cui è cresciuta a San Francisco, con una situazione non semplice in casa, in cui il padre è alle prese con difficoltà lavorative, vivono di vita propria: gestiscono i ricordi, controllano l'umore, a volte difficoltosamente collaborando tra loro. L'ultimo titolo Pixar sta macinando incassi considerevoli, come quasi tutti i film prodotti dalla casa che con "Toy Story" rivoluzionò, di fatto, il concetto di animazione al cinema. La sceneggiatura ha la capacità di appassionare lo spettatore, dopo avergli mostrato, per metà racconto, come funziona la mente e come le emozioni abbiano un vero e proprio mondo da organizzare, inquadra i due personaggi più opposti, Gioia e Tristezza, facendo loro compiere un viaggio per salvare l'equilibrio della loro ospite. Al di là dell'inventiva di animatori e sceneggiatori, che, appunto, creano un microuniverso con crepacci, creature, punti di riferimento e passaggi che flirtano con l'astrattismo, è vero che è una pellicola che forse, agli spettatori sotto i dieci anni, potrà parere in alcuni momenti più faticosa di altre partorite dalle grandi majors dei disegni animati, ma è un bellissimo tentativo di spiegare che i passaggi da un'età ad un'altra dell'esistenza sono meccanismi inevitabili, e che predisporsi al cambiamento può solo aiutare a viverli meglio. Divertente, ma più spesso intimo e dedito a sfiorare chi lo guarda nella propria memoria, e sull'importanza del ricordo, del vissuto insiste a ragione, per sottolineare che è fondante in ogni essere vivente, "Inside out" è uno dei lavori più complessi, e felicemente risolti di Pixar e Disney associati.