venerdì 31 luglio 2015


TIN MEN-Due imbroglioni con signora
( Tin men, USA 1986)
DI BARRY LEVINSON
Con RICHARD DREYFUSS, DANNY DE VITO, Barbara Hershey, John Mahoney.
COMMEDIA
Prima di "Good morning, Vietnam", il film che presentò bene Barry Levinson alla critica internazionale, dopo aver realizzato già altre due pellicole come "A cena con gli amici" e "Piramide di paura", fu questo "Tin men", con sottotitolo italiano non proprio sfolgorante: due agenti di commercio, in un'America degli anni Sessanta, che vendono alluminio illustrandolo come la materia del futuro, che per caso ( o no?) si scontrano in strada, sfasciandosi l'auto a vicenda, per poi via via farsi dispetti sempre maggiori, con uno dei due che va a letto con la moglie dell'altro, fino a giungere ad un'inaspettata svolta morale, che porta i due nemici a confrontarsi e trovare una sorta di stima reciproca, nella sconfitta. Commedia satirica su una fase USA solitamente dipinta come quella in cui il "self-made man" era il simbolo della nazione da esportare e tenere come punto di riferimento, il film di Levinson mostra qualche annetto, visto oggi, ma è ben recitato dal cast, con il livore di De Vito e l'immaturità di Dreyfuss, in primo piano: su una bella colonna sonora ricca di successi dei Sixties, il film fa simpatia perchè, se da un lato ironizza su un mito del capitalismo americano, dall'altro guarda con bonarietà alle vicende di due poveracci, meno infami di quanto possa sembrare, che possono sembrare opportunisti, inaffidabili e meschini, ma riescono a compiere un gesto nobile che li riabilita. Buona la ricostruzione d'epoca, di vent'anni prima rispetto all'uscita del film.

RISCHIO TOTALE ( Narrow margin, USA 1990)
DI PETER HYAMS
Con GENE HACKMAN, ANNE ARCHER, J.T.Walsh, Harris Yulin.
THRILLER
Una bella donna sulla quarantina incontra un uomo in un appuntamento al buio, e dopo la cena accetta l'invito di lui nel suo appartamento, ma il distinto signore è coinvolto in traffici poco edificanti con un malavitoso, che piomba nella sua casa, accusandolo di avergli rubato somme forti di denaro, e lo fa uccidere da uno sgherro: testimone non vista del delitto, la donna viene nascosta in un rifugio dai federali, ma viene scoperta, e riesce a scappare solo con l'aiuto di un procuratore, su un treno... Remake de "Le jene di Chicago", noir del 1952, di Richard Fleischer, "Rischio totale" vede Gene Hackman e Anne Archer tribolare assai per sfuggire a sparatorie, killer stipendiati, e tra un attacco via elicottero, un inseguimento in automobile, e tutta la seconda parte giocata nel ristretto spazio in moto di un treno, Peter Hyams confeziona un discreto thriller di puro consumo, che, sebbene non riesca a stupire troppo lo spettatore più esperto di complotti  con i colpi di scena che ha preparato (quello finale sul tetto del treno, è abbastanza prevedibile, pur ben collocato), avvince e diverte. Hackman è a proprio agio nei panni di un professionista che si trasforma imprevedibilmente in uomo d'azione, Anne Archer all'epoca sembrava poter ambire ad un'altra carriera, dopo il successo di "Attrazione fatale" (divenuta celebre troppo tardi, forse, e non dotatissima a livello recitativo), e ogni caratterista dalla faccia riconoscibilissima apporta al film la propria dote. 

mercoledì 29 luglio 2015


IL FIDANZATO DI MIA SORELLA
( How to make love like an englishman, USA 2014)
DI TOM VAUGHAN
Con PIERCE BROSNAN, Salma Hayek, Jessica Alba, Malcolm McDowell.
COMMEDIA/SENTIMENTALE 
La commedia sentimentale, oggi denominata "rom com", tanto per darle una spolverata di nuovo, è un genere sempre valido, quanto uno dei più scontati, abitualmente, in circolazione sugli schermi, grandi e piccoli che siano. Quindi, spesso, si arriva alla fine della visione di un titolo di questa categoria, stirandosi e considerando che si è appena visto un filmetto magari gradevole, senza pretese, che fino dai primi fotogrammi avevamo capito come sarebbe andata a finire, e ovviamente bene. "Il fidanzato di mia sorella", in questo senso, non differisce troppo da valutazioni simili, con Pierce Brosnan professore di letteratura dal fascino sempreverde, che fa capitolare la bella studentessa Jessica Alba, che rimane incinta, e annuncia l'importante cambiamento all'uomo stesso, la sera in cui la di lei sorella, l'editor Salma Hayek, torna per una visita e conoscere questo fantastico nuovo boyfriend della ragazza. Come sempre, in queste storie, il Caso ci mette lo zampino e ci sono clamorosi sviluppi... Per quanto appunto la sceneggiatura veleggi verso un happy end che giunge nonostante varie svolte e peripezie, comunque, è una commediola piacevole, che acquista gradimento soprattutto per via della bella performance dell'attore protagonista, che figura anche come produttore: infatti, un uomo tendenzialmente egoista e dal cuore scapestrato, che si responsabilizza via via, e arrivato ad un'età in cui c'è l'ultima chiamata per fare i conti e i bilanci, accumula incertezze e si butta nel mai facile ripensamento di tutto il proprio vissuto. Brosnan, in una delle sue prove migliori al cinema, passa da una bellissima donna all'altra ( ma la Alba è molto meno incisiva della Hayek, a livello attoriale, non è una novità...), e Malcolm McDowell fornisce la prova di un inguaribile vecchiaccio, dedito a una vita di superficiale indisponenza. 

lunedì 27 luglio 2015


PIXELS ( Pixels, USA 2015)
DI CHRIS COLUMBUS
Con ADAM SANDLER, Michelle Monaghan, Kevin James, Josh Gad.
FANTASCIENZA/COMMEDIA
In pieno rispolvero di tutto ciò che "fa" anni Ottanta, poteva non venir fuori un film che mette in mezzo i gloriosi videogames "arcade" di Atari,Coleco e compagnia varia? Sulla Terra arrivano le versioni distruttive e concrete dei millepiedi di "Centipede", le barre spara palline di "Arkanoid", le astronavi fatte a mosca di "Galaga", la sfera vorace di "Pac-Man"... e per combatterli, un presidente USA giù nei sondaggi e abilissimo a far figure poco edificanti davanti all'audience popolare, ma che trova il tempo di andare a farsi una birra in un pub con un amico d'infanzia (....sic), ingaggia l'amicone e altri ex-campionissimi della sala giochi, per combattere i pericolosi alieni che hanno scambiato i messaggi contenenti videogames per una dichiarazione di guerra, partita trent'anni terrestri fa, e gli invecchiati "nerds" faranno meglio di esercito e aviazione. Chris Columbus, dopo i primi due episodi di "Harry Potter" non ha più ripetuto exploits al botteghino, quello che perplime maggiormente dell'operazione alla base di questo blockbuster, è che uno come lui, dietro a successi quali "Gremlins", appunto molto rappresentativi di tal decade, non coglie lo spirito di quei tempi, mai prendendo il tono demenziale che spingeva al meglio un lungometraggio che chiaramente ispira questo, come "Ghostbusters": autoironia qui ne circola poca, stoccatine a Obama ce ne sono eccome (d'altra parte Sandler è dichiaratamente un repubblicano convinto), e lo spettacolo, se può inizialmente far sorridere lo spettatore sulla quarantina, che ha speso diverse monete con i vari "Burger Time" e "Joust", anch'essi presenti e citati, poi ne motiva i successivi sbadigli. Forse possono divertirsi i ragazzi, a patto che non abbiano compiuto gli undici anni, e non si pongano una minima domanda di logica narrativa...

I CAVALIERI DALLE LUNGHE OMBRE 
( The long riders, USA 1980)
DI WALTER HILL
Con JAMES KEACH, DAVID CARRADINE, STACY KEACH, RANDY QUAID.
WESTERN 
La storia della banda di Jesse e Frank James è un classicissimo del western, rivisitata a più riprese da autori di ogni tipo e risma, e nel 1980, appena reduce dal trionfo internazionale de "I guerrieri della notte", Walter Hill realizzò il suo sogno: girare un film del genere di "Sentieri selvaggi" e "Tamburi lontani", proprio sulle scorribande dei James e soci. L'idea forte della pellicola è di aver messo insieme, nel ruolo di fratelli, clan veri e propri, come i Quaid, i Carradine, i Keach (che tra l'altro figuravano come coproduttori): nell'esiguo panorama del cinema di prateria, cavalli e duelli degli anni Ottanta, proprio nell'anno in cui uscì pure il kolossal che, incolpevolmente, decretò quasi la fine del West su grande schermo, "I cancelli del cielo", di un altro sognatore hollywoodiano come Michael Cimino. Hill gestisce piuttosto bene la materia narrata, ma il suo film ha il difetto di narrare vicende note, con l'andatura della rapsodia, procedendo quasi per aneddoti invece di trovare una fluida chiave per dipingere l'epopea ribalda di banditi divenuti una leggenda al contrario, ma segretamente ammirati da molti fans del western. Tra gli interpreti, il più in palla sembra essere David Carradine, e la scena più bella è quella del duello al coltello nel saloon tra questi, nei panni di uno dei fratelli Younger, e un indiano geloso interpretato da James Remar, mentre James Keach nei panni di Jesse James ne dà una versione più scolorita di altri colleghi come Brad Pitt. Un discreto western, forse un pò sopravvalutato per via della scarsità di titoli simili nella decade che si era appena aperta quando questo lungometraggio comparve. 

BABADOOK  (Babadook, AUS 2014)
DI JENNIFER KENT
Con ESSIE DAVIS, NOAH WIESEMAN, Daniel Henshall, Barbara West.
HORROR
Che l'Uomo Nero sia una delle paure ancestrali dell'infanzia dell'Uomo Moderno, è assodato: che il "Babau" , con il nome rielaborato all'australiana, come suggerisce il titolo, abbia la forza delle inquietudini dei lati oscuri di una mente giovane, che trova tutto ciò di cui possa aver terrore negli anfratti non illuminati di una casa, è altrettanto risaputo. Ben accolto da molta stampa di settore, giunge anche sui nostri schermi questo horror oceanico realizzato l'anno scorso, che narra di una giovane vedova, che vive con il figlioletto in una grande casa, ancora scossa dal gravissimo evento occorso alla sua famiglia. Il bambino è ingegnoso, ma inquietante e isolato: le sue stranezze mettono a disagio gli altri bambini, e la madre si sente altrettanto spersa, tra una sorella che la tratta con durezza, e l'ambiente lavorativo, un ospizio in cui fa l'inserviente, ha l'unico conforto delle buone parole di un'anziana vicina di casa. Quando, ad un certo punto, compare un libro rosso che annuncia l'iter del "Babadook", appunto, cominciano ad accadere cose sinistre, che sono i segnali dell'insinuarsi della creatura troppe volte evocata, e forse meno fantastica di quanto si pensasse... Girato in economia, con effetti speciali più affini all'artigianato che ai moderni prodigi della CGI, il film ha un'ottima prima parte, quella in cui si gioca su una tensione psicologica effettiva, e che tra l'abilità della regista  e la bravura dei due interpreti principali, la stranita Essie Davis e l'emaciato quanto espressivo Noah Wieseman, riesce a tenere lo spettatore in allerta per molti minuti: meno bene nella seconda, quando ci si avvia alle conclusioni, e si ripetono fin troppo momenti già visti in vari classici dell'orrore, come "Poltergeist","L'esorcista", e perfino, per lo spunto, "Possession" di Zulawski. Però il film funziona, eccome, dimostrando per l'ennesima volta che è possibile fare buon cinema anche con mezzi esigui, se le idee girano per il verso giusto. 

domenica 26 luglio 2015


PROFESSIONE GIUSTIZIERE
(The Evil that men do, USA 1984)
DI J.LEE THOMPSON
Con CHARLES BRONSON, Theresa Saldana, Joseph Maher, Josè Ferrer.
AZIONE
In Sudamerica, negli anni Ottanta, i regimi imperanti utilizzavano spesso la tortura per sobillare, massacrare e tenere sotto scacco i popoli oppressi: in  "Professione giustiziere", un medico dai metodi particolarmente ricercati quanto crudeli, viene assunto da vari governanti per effettuare ogni tipo di sadismo sui disgraziati che vengono a lui sottoposti. Viene chiamato in causa un ex-killer molto abile, che vive in un buen retiro, per eliminare il dottore-mostro e la di lui sorella, altrettanto anima nera e socia del congiunto. Una delle nove collaborazioni tra J.Lee Thompson e Charles Bronson è "Professione giustiziere", con il divo dell'action-movie sulla via del tramonto, per sopraggiunti limiti di età (avrebbe comunque girato altri episodi della serie "Il giustiziere della notte", e qualche altro titolo da duro), ma ancora in forma; rispetto ad altre pellicole che vedono Bronson sterminare file di cattivi che l'hanno colpito duro, ma hanno sottovalutato gli effetti della sua vendicatività, questo accenna uno sfondo sociologico-politico, con una rivolta di uomini tenuti come schiavi, nel finale. Chiaro che non si debbano ricercare finezze, ma Thompson aveva molto mestiere, e il baffuto Charles, soprattutto se si confronta a molti suoi eredi, rivisto oggi acquista spessore e appare meno spaccone. Finale con giustizia inesorabile, tra le rocce del Messico. Il titolo originale, "Il Male che gli uomini commettono", per chi non lo sapesse, è una citazione del "Giulio Cesare" scespiriano. 

I SEDUTTORI DELLA DOMENICA
(Les seducteurs, F/I 1980)
DI BRYAN FORBES, EDOUARD MOLINARO, GENE WILDER, DINO RISI
Con ROGER MOORE, LINO VENTURA, GENE WILDER, UGO TOGNAZZI.
COMMEDIA
Struttura ad episodi classica, per una pellicola uscita al crepuscolo del filone. Primo episodio inglese, con Roger Moore autista di un riccone che bluffa sulle proprie generalità, sfruttando gli averi del principale per accaparrarsi belle ragazze da portare a letto, ma c'è anche una signora piacente che se da un lato potrebbe essere un'altra conquista, potrebbe anche fargli saltare il gioco;secondo francese, con Lino Ventura che per compiacere un facoltoso cliente americano dovrebbe dargli in pasto la bella segretaria, ma i modi dello statunitense, uniti al fascino della donna lo mettono in crisi e sulla china di un ripensamento; terzo capitolo americano, con Gene Wilder nei tragicomici panni di un uomo timidissimo, che non si sente all'altezza di una relazione sentimentale, ma conosce una donna che lo spinge oltre i propri limiti, salvo riservargli un'amara sorpresa; e il numero quattro, italiano, contempla un signore borghese che, non appena la moglie se ne va per un weekend, ripesca un'agendina su cui sono segnati diversi numeri di vecchie fiamme per una trasgressione lunga due giorni, ma andrà incontro solo a delusioni. Dei quattro pezzi di film, quello iniziale di Forbes basa parecchio sul savoir-faire di Moore, ma è scontatissimo e poco divertente, mentre il secondo, di Molinaro, è meglio, per come imbastisce una gazzarra sentimentale con spirito wilderiano, con un insolito Ventura contrapposto ad un arrogante Robert Webber; il terzo episodio, diretto dallo stesso Gene Wilder, è il migliore, con nevrosi, tenerezze e una buona interpretazione dell'attore di un uomo testardamente infelice, mentre il quarto, diretto da un Dino Risi non troppo convinto, ha un discreto Tognazzi, ma ha poco succo. La più bella delle signore in scena è una sensualissima Sylva Koscina, in piena maturità, che fra varie trasparenze interpreta un'affascinante signora sola che rivela doti inquietanti.

venerdì 17 luglio 2015


TERMINATOR GENISYS (Terminator Genysis, USA 2015)
DI ALAN TAYLOR
Con ARNOLD SCHWARZENEGGER, EMILIA CLARKE, Jay Courtney, Jason Clarke.
FANTASCIENZA 
Il progetto della prosecuzione della saga di "Terminator" aveva avuto una falsa partenza nel 2009 con "Terminator:Salvation", episodio non male, a dire il vero, ma che non aveva avuto seguito per via di problemi legati alla casa che deteneva i diritti su personaggi e storia: adesso, con il ritorno di Arnold Schwarzenegger al centro dell'operazione, si è dato vita ad un "retcon" (viene da "retroactive continuity", cioè altera storie già conosciute rielaborandole con elementi nuovi, decretandone sviluppi differenti) che ci riporta alle scene iniziali del lungometraggio che aprì le battagliere danze nel 1984. Si rimanda un cyborg all'epoca odierna da un futuro disastroso, ma la differenza è che Sarah Connor è consapevole delle sorti proprie e del mondo,e che ha accanto un Terminator programmato per proteggerla dagli attacchi dei suoi simili: Kyle Reese, il combattente che nel numero 1 viene spedito a cercare di salvare la ragazza, e divenire il padre del capo della resistenza alle macchine John Connor, rivive, e c'è un progetto chiamato "Genisys" che è l'anticamera dell'espansione del progetto Skynet. Il limite dell'episodio cinque della serie sono i troppi rimandi presenti nella prima parte, ai titoli precedenti, ma anche a molto altro cinema degli anni Ottanta ( Schwarzenegger che tiene sospeso qualcuno nel vuoto come in "Commando", c'è chi si sfila da una lunga lama che lo ha trapassato avanzando, come Artù in "Excalibur"...), e la sensazione che questo copione sia la fusione di due spunti forse reputati con troppo poco fiato per diventare lungometraggio: di positivo, il fatto che quando si sgancia da citazioni e omaggi, come nella seconda parte, l'azione prende campo e la lotta contro l'inesorabile gioco del Fato si fa più appassionante, complice anche la forte autoironia dello stesso Schwarzenegger, cyborg con artrosi meccanica, e puntigliosa rivendicazione della propria validità ("Vecchio, non obsoleto." ripete spesso). Probabilmente la serie ha poco altro da dire, ci sono però delle cose non spiegate, o misteriose, che potranno avere senso solo se ci saranno episodi che seguiranno questo, ben accolto in generale a livello di incassi, seppure in America non abbia sbancato (un quesito per tutti: chi ha mandato il Terminator T800 a proteggere Sarah Connor?).

giovedì 16 luglio 2015


LA RECLUTA (The rookie, USA 1990)
DI CLINT EASTWOOD
Con CLINT EASTWOOD, CHARLIE SHEEN, Raoul Julia, Sonia Braga.
AZIONE
Lo si può considerare l'ultimo lavoro "di genere" vero e proprio della filmografia da regista di Clint Eastwood: costruito sull'abbinamento di un poliziotto dalla pelle dura e dalla forte esperienza e di un giovane che imparerà a farsi crescere il pelo sullo stomaco per tenere testa al crimine, ma anche al maturo collega, "La recluta" è un film poliziesco tutto sommato discretamente realizzato, ma che paragonato anche a "Debito di sangue", tanto per citare un titolo con cui potrebbe essere imparentato, è di diverse lunghezze inferiore. Celebre per la scena in cui il duro Clint viene in pratica "violentato" dalla sensuale e felina Sonia Braga, è un film di routine, con un soggetto risaputo (è di scena la caccia a una gang di ladri d'automobili dai metodi violenti, che i due coprotagonisti combattono senza quartiere), una buona mano nel dirigere le sequenze d'azione, che non ebbe il successo sperato alla sua uscita. Nel cast, se Eastwood mostra un'ironia di base piuttosto solida, Sheen perde il confronto mettendoci molta verve, ma la costar gioca da fermo spiazzandolo. Meglio i cattivi Sonia Braga, che ha pochissime battute ma presta una forte fisicità al proprio personaggio di malvivente attiva e spietata, e Raoul Julia, un attore scomparso troppo presto, quasi sempre interessante e ben concentrato sul ruolo da interpretare. 

lunedì 13 luglio 2015


RUN ALL NIGHT- Una notte per sopravvivere
( Run all night, USA 2015)
DI JAUME COLLET-SERRA
Con LIAM NEESON, Joel Kinnaman, Ed Harris, Vincent D'Onofrio.
AZIONE
Sicario di lungo e tristo corso, Jimmy Conlon è sempre stato al servizio del boss della mafia irlandese Shawn Maguire, ma un caso della (mala) vita li mette contro: il figlio del primo, che fa l'autista di limousine, è testimone di un doppio delitto commesso dal figlio del secondo, e si innesca così una spirale di violenza inesorabile, che vedrà ribaltati i rapporti e cadere molte vittime. Nel giro di una notte, tra inseguimenti, decisioni prese nei pressi di un grilletto da tirare o meno, confronti familiari e di amicizie di lunga data, un padre e un figlio si riavvicineranno dopo anni di vuoto: diretto dallo spagnolo Jaume Collet-Serra, questo thriller ha raccolto un consenso maggiore del previsto presso la critica, solitamente avvezza a stroncare molti degli ultimi lavori con Liam Neeson. Certo, l'attore irlandese ci ha messo del suo per arrivare a questa considerazione avuta dai recensori, con diverse pellicole dimenticabili, però c'è da dire che, se è ormai una garanzia nel ruolo dell'ammazzasette, è un interprete che comunque imprime qualcosa di personale nei personaggi che gli toccano, con un disincanto misto ad una voglia di riscatto che stridono, ma addosso a lui funzionano allo stesso tempo: gli fa buon controcanto Ed Harris, che riveste con finezza un gangster capace di ferocia e affettuosità. Meno bene risulta Joel Kinnaman, che presta solo la sua fisicità, e poco altro, al figlio del protagonista, e la sua scontrosità risulta troppo programmata per colpire. Collet-Serra regala uno scontro all'ultimo sangue con il sopravvissuto che tiene abbracciato il morente, sullo sfondo un'alba metropolitana, degno di Sam Peckinpah, e a dire il vero, tutta la parte finale ha un sapore western non d'accatto, che aggiunge fascino al lungometraggio. 

GARDENIA BLU ( Blue Gardenia, USA 1953)
DI FRITZ LANG
Con ANNE BAXTER, RICHARD CONTE, Raymond Burr, Ann Sothern.
GIALLO
Cuore infranto (aspettava il ritorno del fidanzato soldato in Corea, che le ha fatto sapere che sposerà un'altra), la telefonista Norah accetta l'invito a cena di un pittore che corre dietro a molte gonne, e dopo essersi ubriacata  e aver respinto le avances dell'uomo, si sveglia con lui cadavere, un attizzatoio a terra e uno specchio rotto intorno: tutto sembra dimostrare la sua colpevolezza, ma un giornalista che già da un pò le faceva una discreta corte, non è convinto della cosa, e indaga. "Gardenia blu", che è anche il titolo della canzone che Nat "King" Cole in persona canta nella sequenza del locale della cena tra la protagonista e la sua presunta vittima, fu un viatico per Fritz Lang per riprendere piena attività lavorativa, dopo essere stato incluso tra coloro accusati di "attività antiamericane" nell'era del maccartismo: infatti, a livello di plot giallo è abbastanza semplice, un soggetto "normale" affidato ad un maestro del cinema. Gradevole e ben girato, è un giallo catalogabile nella cinematografia "minore" di Lang, probabilmente realizzato in una fase di transizione, appunto, che tuttavia dimostra, se ce ne fosse stato bisogno, come un regista di talento sappia trarre il meglio da uno spunto senza troppe pretese. Una delle cose migliori della pellicola è il cast: Anne Baxter regge un ruolo in cui la passività del personaggio viene compensata dal candore dello stesso, Richard Conte e Raymond Burr si mettono con bravura al servizio della regia, e Ann Sothern inietta, nel ruolo secondario ma importante dell'amica del cuore di Norah, uno charme e una sicurezza che fanno colpo.

lunedì 6 luglio 2015


CONTAGIOUS-Epidemia mortale ( Maggie, USA 2015)
DI HENRY HOBSON
Con ABIGAIL BRESLIN, ARNOLD SCHWARZENEGGER, Joely Richardson, Douglas M.Griffin.
HORROR/DRAMMATICO
Ci sono voluti anni per portare a compimento la realizzazione di "Maggie",e l'arrivo di Arnold Schwarzenegger in doppia veste di coprotagonista e coproduttore, ha permesso la riuscita dell'operazione: pur non essendo più un nome da incassi spaventosi, lo stagionato Arnie è sempre un nome di peso nell'industria cinematografica americana. In un'epoca in cui gli zombies, soprattutto dopo il successo straordinario della serie tv "The Walking Dead", sono diventati un genere di successo della narrativa su schermo, di qualsiasi misura sia, viene qui narrato il controcanto drammatico dell'orrore, dalla parte delle vittime, solitamente puramente funzionali alla tensione e agli effetti più forti. Non c'è spiegazione, come nei film di Romero, si diventa morti viventi lentamente, dopo essere stati infettati, e non c'è medicina che tenga: coloro che diventeranno zombies, affamati di carne viva, verranno prelevati e spediti in "quarantena", il che significa che saranno rinchiusi in edifici sigillati, a sbranarsi tra loro, cercando di contenere il virus e le sue letali conseguenze. L'adolescente Maggie è stata morsa, e viene riportata a casa dal padre, Wade, che nonostante le regole, non se la sente di abbatterla o consegnarla alle autorità, seppure i segni della perdita di controllo della ragazza e del male che la sta mutando siano sempre più chiari ed evidenti. La regia di Hobson, venuto dalla pubblicità, è tra le cose che limitano un pò questo film girato con pochi soldi, ma ben svolto: si può definirlo più un dramma con sfondo e venature orrorifiche, che un horror vero e proprio. Il dilemma straziante che affligge un padre incapace di mettere fine a un processo di peggioramento della sua creatura è ben reso, intelligentemente non si sono assegnati monologhi di dubbia credibilità all'ex-Conan, ma il suo personaggio esprime una dolenza forte, passiva verso l'inesorabilità della malattia, e resistente contro chi vuole strappargli la cosa che più ama al mondo, rivelando un attore migliore di come lo abbiamo sempre inquadrato. Abigail Breslin, nella sostanza la vera protagonista del film, dà risalto alla tragedia di una ragazza che non conoscerà altri sviluppi della propria esistenza, con spessore e partecipazione. E la malinconia nascosta nella fertile età della seconda fase della giovinezza viene fuori con tutta la sua crepuscolare bellezza. Atipico, per questo destinato a scarso successo commerciale.

domenica 5 luglio 2015


LA TALPA (Tinker,Tailor,Soldier,Spy,F/GB 2011)
DI TOMAS ALFREDSON
Con GARY OLDMAN, Colin Firth,John Hurt,Mark Strong.
SPIONAGGIO
I tre romanzi con Smiley per protagonista sono conosciuti come la "trilogia di Karla",e sono considerati tra i migliori usciti dalla penna di John LeCarrè,creatore di bestsellers spionistici come Ian Fleming,ma agli antipodi,come risaputo,dallo stile e dalle ambientazioni dell'inventore di 007:da noi la traduzione di "Tinker,Tailor,Soldier,Spy",romanzo uscito nel 1974,divenne "La talpa",ed ebbe gran successo l'omonimo sceneggiato trasmesso nell'80 con Alec Guinness nei panni del dolente funzionario del controspionaggio che deve smascherare,tra gli amici e colleghi,colui che lavora in realtà per il KGB. Ne è stata fatta ora una versione per il cinema con un cast di alto livello,assegnata allo svedese Tomas Alfredson,che aveva raccolto consensi ampi con "Lasciami entrare",ed in effetti era adattissimo per realizzare in immagini questa sceneggiatura.Tra le cose che colpiscono maggiormente de "La talpa",versione 2011,oltre ad una conduzione attoriale che trae fuori il meglio dagli intepreti e in chiave di misunderstatement ne cava emozioni e reazioni forti,è l'ambientazione negli anni Settanta,diversa da quella che solitamente si capta nei film americani,più avvezzi a dare toni sgargianti e "sparati" a quell'epoca:questo 1973 è muffoso,grigio,i colori smorti ed i vestiti ordinari,la cena natalizia dei vertici del controspionaggio britannico con apice in un Babbo Natale con maschera di Lenin e l'inno russo cantato sarcasticamente da tutti i convitati non è lontana dalle cene sociali viste in "Fantozzi". Le violenze lasciate fuori campo,con le conseguenze esposte,commentano drammaticamente la Gran Tragedia del Potere tra le due superpotenze,e uomini che commissionano o compiono delitti atroci sono infine esseri umani comunque vulnerabili nei sentimenti:l'unica cosa che li ferisce o li rende deboli,fa crollare il loro mondo o barcollare il loro sentire è la comparsa dell'Amore.Così come nel film vampirico che l'ha preceduto,il re dei sentimenti nel cinema di Alfredson è lo sconvolgimento di tutto,il suo stile non ha fretta,alla Eastwood trova il proprio ritmo al proprio interno,sapendo distribuire colpi di scena e crescita della tensione.Dopo anni da comprimario di lusso,finalmente Gary Oldman torna protagonista,cresciuto se possibile nella gestione di sè:gli basta mutare uno sguardo per descrivere un pensiero o un cambiamento d'umore del proprio personaggio,fragile e spietato,protervo e amaro.Intorno tutti bravi,con un applauso in più per quell'attore spigoloso e senza paura di concedersi a ruoli negativi quale sta risultando Mark Strong.

J.EDGAR ( J.Edgar,USA 2011)
DI CLINT EASTWOOD
Con LEONARDO DI CAPRIO, Armie Hammer,Judi Dench,Naomi Watts.
DRAMMATICO/BIOGRAFICO
"L'informazione è Potere." Su questo assunto si è basata l'intera esistenza di John Edgar Hoover,rifondatore dell'FBI e simbolo della paranoia assoluta,campione di detenzione del proprio ruolo,nonostante i cambi di presidenza,i passaggi della Storia ed il mutare della società americana.Apparso come figura sullo sfondo in svariati film degli ultimi anni,gli viene dedicato ora un lungometraggio,da parte di Clint Eastwood,che ne ha fatto la sua trentatreesima regia,in anni in cui gira più o meno una pellicola ogni nuova stagione:non era certo semplice realizzare un film su una figura programmaticamente sgradevole,quasi un "babau" per gli USA,un mastino dei dossier,quanto intento a non lasciar trapelare notizie su di sè,anche se la sua più o meno repressa omosessualità è stata riconosciuta."J.Edgar" si svolge come una sorta di flusso di coscienza,mai lineare nel legare i flashback al presente narrato con Hoover ormai anziano,con "Tricky Dick" Nixon al comando della Casa Bianca:tra la giovinezza,il rapporto con una madre oppressiva e severa,il brutto carattere che si lascia andare a rappresaglie se contrariato,il caso Lindbergh,i Kennedy e l'assassinio di Martin Luther King,si dipana in parallelo un'esistenza al sicuro nel bunker degli uffici dirigenziali del Bureau,con un rapporto sentimentale mai dichiarato del tutto (secondo la sceneggiatura le cose sono sempre state platoniche....) ed una forma inesauribile di fobia del comunismo che avrebbe potuto distruggere l'America,se si fosse allentata la tensione. Benchè ben ricostruito a livello di ambientazione,e curato come tipico del cinema eastwoodiano,"J.Edgar" non arriva ai livelli di diversi grandi film dell'autore,come "Mystic river","Gli spietati",e "Million dollar baby",ed è vero che non si può chiedere un capolavoro a chi gira praticamente un film all'anno:il resoconto storico-politico è discreto,ma è freddo,la tragedia di un uomo che ha assorbito Potere per un'arco di tempo lunghissimo solo per servirsene come metodo di ricatto e di mantenimento del proprio status non coinvolge lo spettatore,mentre è un'altra cosa lo sguardo sul rapporto di Hoover con il suo collaboratore Tolson,che vive di una delicatezza toccante,specialmente nella scena della morte del protagonista,sorprendentemente malinconica e struggente,che diviene una vera e propria scena d'amore.Può darsi che Di Caprio riesca ad aggiudicarsi finalmente il premio Oscar questa volta,perchè la scelta di imbruttirsi viene quasi sempre premiata dall'Academy (vedi Charlize Theron,ad esempio),ma non è la sua interpretazione migliore:pur constatando l'impegno dell'attore,la caratterizzazione di Hoover risulta in più frangenti monocorde,meglio figurano Judi Dench nel ruolo di una madre senza pietà,e Armie Hammer nei panni del compagno di lavoro e di vita Tolson. Un buon film,che legge pagine di Storia americana senza vera partecipazione,però.

COSE DA PAZZI ( I,2005)
DI VINCENZO SALEMME
Con MAURIZIO CASAGRANDE,VINCENZO SALEMME,Lidia Vitale,Biagio Izzo.
COMMEDIA
Il cinema di Vincenzo Salemme deriva quasi sempre da suoi lavori teatrali,che solitamente sono migliori della versione cinematografica,anche perchè l'autore-attore napoletano nasce proprio come uomo da palcoscenico.Spesso uno dei fattori che contraddistinguono le storie raccontate dalla sua penna riguardano handicap,qui invece è di scena una questione morale:per una famiglia normale,con conti da pagare,una condizione meno felice di quanto si fosse sperato,è giusto accettare soldi che arrivano per posta,e si parla di cifre di decine di migliaia di euro,che tutti i mesi giungono in una busta?Una risposta logica c'è,e verrà fuori nell'ultima parte del film,dopo che i personaggi si saranno scontrati,avranno rischiato di mandare all'aria la famiglia,e avranno temuto che ci sia qualcosa di losco dietro tutto ciò.I duetti tra Casagrande,questa volta il vero protagonista,e Salemme rivelano la scafata confidenza recitativa dei due,che si trovano ad occhi chiusi,dopo anni di collaborazione,semmai "Cose da pazzi" parte bene,poi via via perde gas e si fa più meccanico negli sketch e nei dialoghi.Ma il numero del personaggio di Salemme nel denunciare il suo smarrimento dopo la caduta degli ideali che l'avevano portato a credere nel comunismo è insieme una riflessione di filosofia spicciola,ed una delle migliori definizioni del concetto di sinistra mai sentite al cinema,che l'attore interpreta tutto d'un fiato,con rabbia,dolore e amarezza di una genuinità sostanziosa.Un pezzo di bravura che vale il film.

L'ARTE DI VINCERE( Moneyball,USA 2011)
DI BENNETT MILLER
Con BRAD PITT,Jonah Hill,Philip Seymour Hoffman,Robin Wright.
DRAMMATICO
Se un gioco va avanti da anni,decenni secondo certe regole,e canoni,come pensare di riuscire a distinguersi e vincere qualcosa se siamo senza i mezzi adatti a giocarsela alla pari con i campioni? Ispirandosi alla storia vera di Billy Beane,un General Manager di una squadra di baseball di medio budget,"Moneyball" racconta come un metodo nuovo di pensare la gestione di una squadra può influire non solo sullo specifico sport,ma su tutti,tagliando e investendo in corsa,cercando di capire cosa appesantisce il team e cosa lo migliorerebbe,cambiando ruoli  e rischiando sugli uomini. E' anche una storia sulla necessità del coinvolgimento in quello a cui si lavora,visto che il protagonista è un personaggio che non guarda le partite giocate,ma le ascolta in radiocronaca,e non viaggia con la squadra:diretto dal regista di "Truman Capote:a sangue freddo",Bennett Miller,ne ripresenta pregi e difetti.Se da una sceneggiatura di nomi molto quotati quali Steven Zaillian ("Schindler's list") e Aaron Sorkin ("The social network") ricava buoni dialoghi,un'attenta costruzione dei caratteri e un'accurata ricostruzione d'ambiente, la regia a volte si fa sorprendere in tempi morti,una durata tutto sommato eccessiva della narrazione,e,ma questo è forse dovuto alla nostra tendenziale estraneità al baseball,ci sono troppi tecnicismi e tatticismi nei discorsi per non far sorgere un pò di noia. Pitt fa un discreto numero,ma se dovevano candidarlo per l'Oscar sarebbe stato molto meglio per il ben più complesso ruolo sostenuto in "Tree of life",e un pò sprecato appare Philip Seymour Hoffman nel ruolo laterale dell'allenatore che non assimila i cambiamenti imposti dal manager.Come insegnano molte cose,se al protagonista non riesce di centrare ogni obbiettivo,i suoi metodi faranno comunque scuola e serviranno a migliorare lo sport,ma,appunto,non solo in tale ambito le cose funzionano così.

THE SOCIAL NETWORK ( The social network,USA 2010)
DI DAVID FINCHER
Con JESSE EISENBERG,Andrew Garfield,Justin Timberlake,Rashida Jones.
DRAMMATICO
Forse il film di David Fincher che ha raccolto,a livello di critica,maggiori consensi immediati e considerato da subito come uno dei migliori lungometraggi della stagione in cui è uscito,"The social network" è un dettagliato racconto sulla nascita del fenomeno Facebook,una delle icone di questi anni,esplosa con la forza di un'atomica nella comunicazione,e entrato immediatamente nel DNA delle attuali generazioni,dai 10 agli oltre 50 anni di età,importante ai tempi dell'elezione di Obama anche per la diffusione del personaggio pubblico.Come sottolinea la sceneggiatura di Aaron Sorkin,la cosa nasce da una delusione sentimentale da parte di un individuo che non parte come vincente,il classico cervello attivo ma fragile,nascosto dietro un'apparenza da nerd,e alla fine dei giochi avere centinaia di contatti sul social network può essere anche un modo di far finta di non essere fondamentalmente soli.Dialogato con veemente densità,conta su un cast giovane e di belle speranze,ben condotto da un regista via via sempre più importante nella schiera di directors di età media,il film è forse anche troppo lungo,e tempesta lo spettatore appunto con una raffica continua di discorsi per compensare la mancanza d'azione vera e propria,forse,mettendo in scena i tradimenti,gli opportunismi,le rivalità di chi ha fondato una cosa che teoricamente si rapporta ad amicizie nuove,da riscoprire o rinsaldare,anche oltre la distanza vera e propria,sia di luoghi che di anni. Interessante ma con qualche linea di pedanteria,fa parte del lato "teorico" del cinema fincheriano,come "Panic room" e "The fight club",individua problemi specifici della nostra società,in tempi di concezione globale,ma personalmente preferisco il Fincher che sa rivestire i film di genere di nuovo smalto,vedi l'ultimo "Uomini che odiano le donne","The game" e "Se7en".

THE AVENGERS The Avengers,USA 2012)
DI JOSS WHEDON
Con ROBERT DOWNEY JR.,CHRIS EVANS,CHRIS HEMSWORTH,ERIC BANA.
FANTASTICO
I preparativi erano cominciati da qualche anno,e da qualche titolo a sfondo,ma anche a sostanza,supereroistici,l'assemblaggio del gruppo de "I Vendicatori",come da sempre sono battezzati in casa Marvel, "Il gruppo degli eroi più potenti della Terra" era quasi un atto dovuto al pubblico pagante e sempre numeroso,considerati anche i numeri degli ultimi lungometraggi con protagonisti Thor e Capitan America.Da par suo,la Marvel ha avuto coraggio nell'affidare un kolossal di questo genere ad uno sceneggiatore che fino ad ora aveva diretto solo un film,e tuttavia Joss Whedon ha saputo fare il salto dalla pagina scritta alle immagini in movimento:"The Avengers" è un film fantastico e d'azione,con una forte connotazione umoristica che a tratti rammenta certe invenzioni dei Looney Tunes.Ad ogni personaggio è riservato spazio per il movimento e per evidenziare le proprie caratteristiche e non è perso neanche qualche tratteggio psicologico interessante.Poteva risolversi in una baracconata rumorosa e poco più,mentre invece va dato atto a Whedon e tutti i suoi collaboratori di aver tratto il meglio dalle strisce a fumetti,con accenni alla fuga della retorica patriottistica latente in alcuni personaggi (Cap,Iron Man) e alla necessità di sfruttare il meglio di elementi diversissimi tra loro ma estremamente funzionali se capaci di coordinarsi. L'umorismo di Iron Man,la sensualità della Vedova Nera,il carisma di Capitan America,la furia belluina di Hulk,la ribellione innata di Hawkeye e la forza di Thor sono ben resi da un cast ben assortito che scavalca la potenziale pericolosità di frasi che potrebbero risultare anche ridicole,in altro contesto e ambientazione.Divertimento assicurato,tensione ben sviluppata ed un sequel già in cantiere,con il malvagio dio Thanos che conclude la pellicola promettendo nuovi disastri.A un film di supereroi che chiedere di più?

UN ITALIANO IN AMERICA (I,1967)
DI ALBERTO SORDI
Con ALBERTO SORDI,VITTORIO DE SICA,Franco Valobra,Alice Condon.
COMMEDIA
Regia numero tre per Alberto Sordi,che inverte l'assunto del suo leggendario "americano a Roma" per raccontare le disavventure di un poveraccio in terra d'America,per un ricongiungimento in tv con il padre da anni lontano,che lo porterà a vestirsi da gondoliere per il farsesco abbraccio in diretta davanti alle telecamere,e dietro al genitore che teoricamente ha fatto fortuna,sbriga affari continuamente,e in realtà è un parassita,vile e perennemente in fuga da tipi e tipacci.La cosa migliore di questo film diretto e interpretato da Sordi è la prova di Vittorio De Sica,in una delle ultime performances di peso di fronte alla macchina da presa,che mette qualcosa di personale in un personaggio avvezzo a giocarsi tutto a dadi e carte,si fa divorare dalla febbre del gioco,e tuttavia risulta più divertente del collega/discepolo,che è vecchiotto per la parte del figlio fregnone e talmente ingenuo da far cadere le braccia a chiunque.Lo sguardo del Sordi regista,coadiuvato dall'inzupposa musica di Piero Piccioni,spesso uguale a se stessa nelle varie colonne sonore composte per i film del commediante,è quello di un turista che rimane a occhi spalancati dalle luci ingombranti degli States,dalle sue strade piene di gente e,come descritte nel lungometraggio,vuote di umanità,in cui ad ogni angolo c'è l'occasione di mettersi nei guai. Già le prime due regie di Sordi avevano messo sull'avviso che nella veste di regista Albertone era assai meno talentuoso che come interprete,viziato infine dalle bacchettate un pò bigotte che non si è mai risparmiato in nessun film da lui diretto:questo è già un bel passo indietro,con poche occasioni per sorridere,e che trova solo nella ribellione al padre degenere in sottofinale una scena che ha qualcosa di che ricordarsi.Ma appunto,considerata la statura del Sordi attore,i film diretti da lui giungevano puntuali a deludere la critica,e spesso anche il pubblico,come in questo caso.

PICNIC (Picnic,USA 1955)
DI JOSHUA LOGAN
Con WILLIAM HOLDEN,KIM NOVAK,Rosalind Russell,Cliff Robertson.
DRAMMATICO
Come spesso raccontato dal cinema,la provincia americana è un pentolone ben decorato,ma che può covare marciume o cose poco edificanti,sotto una cornice meccanicamente gaia,che un elemento sconosciuto può fare imbizzarrire,e lasciar emergere dal magma roseo il suo peggio:un "hobo",vagabondo a cavallo dei vagoni dei treni,ritorna dopo molti anni in un paese in cui è cresciuto,e basta la sua presenza a torso nudo per scompigliare,nei borghesissimi e ovattati Fifties,l'ordine precostituito di unioni matrimoniali programmate,una fasulla collettività che premia egoismi e ripetizioni croniche di un vissuto laccato,ma senza emozione.Esordio alla regia per Joshua Logan,che portò sullo schermo un lavoro teatrale ambito e spigoloso,per l'epoca,che coraggiosamente e vestendosi da melò,in realtà agendo da critica avvelenata a certa impostazione ultraconservatrice,regala l'occasione per grandi performances a William Holden,duro,ribelle ma di fascino rude sulle signore,e più onesto di quanto venga pensato e detto sul suo personaggio,e a Kim Novak,bellissima,fragile e più limpida di quanto il panorama attorno a lei possa essere:numerose le ottime parti secondarie,dalla zitella senza ritegno,prigioniera della propria paura di rimanere sola e additata dai compaesani come caso umano Rosalind Russell,a Susan Strasberg,e Cliff Robertson,un'opera che può contare su attori validi e ruoli ben scritti.Che si permette di negarsi il lieto fine,ma tuttavia non chiude la porta ad una possibilità di cambiamento,di speranza su una seconda possibilità che ne decreta la serietà d'intenti.

venerdì 3 luglio 2015


THE FAST AND THE FURIOUS:TOKYO DRIFT
(The Fast and the Furious: Tokyo Drift, USA 2006)
DI JUSTIN LIN
Con LUCAS BLACK , Bow Wow, Nathalie Kelley, Sung Kang.
AZIONE
Per un tortuoso caso della continuity, va detto che gli eventi narrati in questo terzo capitolo della serie "Fast and Furious" sono collocati dopo il sesto episodio, in realtà: è il film meno collegato agli altri della serie partita nel 2001, e, in controtendenza, cresciuta di successo in progressione, tanto che l'ultimo dei segmenti usciti, il settimo, ha fatto sfracelli al box-office, complice anche la tragica dipartita di uno dei protagonisti, Paul Walker, che ha fatto in tempo a girare quasi tutto il numero sette, prima di morire in un incidente stradale accanto ad un amico. Qua c'è un giovane dal carattere impetuoso, che sembra avere un debole per mettersi nei guai con i motori, che si trasferisce in Giappone, dopo aver combinato l'ennesimo disastro con una macchina: va dal padre militare in carriera, che è di stanza appunto nella capitale nipponica, ma ben presto si trova contro una gang di affiliati alla Yakuza, che operano nelle corse clandestine, e il "drift" è appunto una specialità che non è per tutti i corridori. Se la spettacolarità delle gare e degli inseguimenti è quasi scontata ( ma qui è resa peggio che in altri titoli, oltre che della serie, di azione in genere), siamo alle prese con un lungometraggio che pare scritto da un sedicenne non particolarmente intelligente, e con una visione del mondo retrograda e deplorevole: donne considerate trofei o  di pura decorazione, sguardo benevolo su chi sgarra al codice della strada, o tende a combinare una smargiassata dietro l'altra, polizia assente o colpevolmente inutile, la malavita come parte della società  con cui è bene fare conti e patti. Un protagonista discretamente insulso come Lucas Black, e l'apparizione finale di Vin Diesel come strizzata d'occhio ai fans sfegatati: scambio di battute-tipo, "Ehi, c'è la polizia...", "Tranquillo, siamo a 197 all'ora...sopra i 180 neanche provano ad inseguirci." "Questo paese mi piace sempre di più!". Visto il target di spettatori cui un film così è rivolto, considerarlo diseducativo, oltre che imbecille, è il minimo.

TORNO INDIETRO E CAMBIO VITA ( I,2015)
DI CARLO VANZINA
Con RAOUL BOVA, RICKY MEMPHIS, Giulia Michelini, Max Tortora.
COMMEDIA
Da "Ritorno al futuro", "Peggy Sue si è sposata", tanto per fare due esempi soli, sono molte le pellicole, quasi sempre in chiave di commedia con tonalità fantastiche, che hanno per protagonisti persone che hanno l'occasione di fare un salto temporale al periodo della loro giovinezza, e poter cambiare qualcosa che determinerà un notevole cambiamento del flusso della loro vita futura. Al di là del fatto che la morale è più o meno sempre la medesima ( con tutti i difetti del presente, non si cambia nulla, va bene così, in fondo...), i Vanzina questa volta, a livello di sceneggiatura e idee, hanno proprio messo il minimo sindacale: senza una spiegazione nemmeno azzardata, e lo avevano già fatto ne "Il cielo in una stanza", i personaggi principali si ritrovano sbalzati indietro di venticinque anni. Rimangono con la solita fisionomia, ma se si vedono in uno specchio, trovano le loro versioni giovanissime, così come li vedono gli altri ( che pensatona...), e se Bova può impedire a se stesso di sposare la donna che poi lo lascerà per un altro, Memphis vuole cambiare il percorso di sè, scapolo indefesso, e della madre, alcolista senza tregua. In sè, il film è innocuo e fessacchiotto come una qualsiasi fiction domenicale, senza spessore nè credibilità alcuna verso il mondo che propone. Il problema è che le scarsissime occasioni di sorriso le fornisce tutte Max Tortora nel ruolo secondario del padre di uno dei protagonisti, per il resto, il cast è quasi mai convincente: Bova non è un attore brillante, però è volenteroso, Memphis sembra essere sullo schermo per procura, la Minaccioni dà una versione di un'ubriacona da recita delle sagre di quartiere, la Michelini è tutta mossette e gesti esagitati. Va bene la leggerezza, ma l'inconsistenza è altra cosa...