lunedì 29 giugno 2015


JURASSIC WORLD ( Jurassic world, USA 2015)
DI COLIN TREVORROW
Con CHRIS PRATT, BRYCE DALLAS HOWARD, Nick Robinson, Ty Simpkins.
FANTASCIENZA/AVVENTURA 
Annunciato e rimandato per oltre un decennio, dato che il terzo capitolo era stato quello che aveva segnato il passo, commercialmente parlando (ma anche a livello qualitativo, il peggiore in assoluto), l'episodio quarto del franchise inaugurato nel 1993 da Steven Spielberg, tratto dal best-seller di Michael Crichton, è uscito con gran fragore: in pochi giorni ha divelto diversi record di incassi, piazzandosi netto e gonfio di denaro in cima alle classifiche mondiali. Pur cambiando il nome in "Jurassic world", e consegnando l'operazione nelle mani del misconosciuto Colin Trevorrow, che fin qui aveva diretto solo una commediola, la Amblin e la Universal hanno fatto centro, perchè appunto, i numeri stanno dando ragione eccome a chi chiedeva di prolungare la serie delle avventure dei dinosauri ricreati sulla Isla Nublar. In questo film, ci si riallaccia in particolare al primo dei segmenti della serie, con più citazioni, e anche scene rifatte (il brontosauro morente trovato dai protagonisti, i ragazzi persi in mezzo agli animali preistorici, la grande sala dove si concludeva il primo, e ospita il climax, qua) , e tra i meriti del franchise va dato lo schierarsi dalla parte, comunque, degli animali, ricreati per speculazione dagli uomini, che puntualmente mostrano la loro stupidità e cinismo, sottovalutando i grossi rischi legati ad un atto contro natura. Però, se il film è benissimo realizzato, per quanto riguarda gli effetti speciali, che hanno sposato in pieno la causa della computer graphic, e il ritmo tiene, i dialoghi sono elementari, quando non puerili, i personaggi abbastanza schematici, e le incongruenze, o dimenticanze, non mancano (per esempio, la miriade di pterodattili liberatasi e abile anche a emigrare altrove, che fine fa?). Chris Pratt conferma il suo anno fortunato, sottolineando la sua candidatura all'essere tra gli eroi dello schermo USA nei prossimi anni, Bryce Dallas Howard prova a mettere un pò d'umorismo in un carattere purtroppo molto condizionato da una sceneggiatura che lo fa risultare tra i peggio scritti, e probabilmente tutto ciò era previsto: l'importante era rimettere in moto la colossale macchina da soldi, che naturalmente prevede almeno altri due sviluppi.

domenica 28 giugno 2015


IL MALE OSCURO (I/F, 1989)
DI MARIO MONICELLI
Con GIANCARLO GIANNINI,Emmanuelle Seigner, Stefania Sandrelli, Vittorio Caprioli.
DRAMMATICO
"Monicelli ha capito il romanzo di Berto." Titolava così la recensione de "Il male oscuro", su "La Nazione", ventisei anni fa, scritta da Sergio Frosali: il romanzo vinse il Campiello e il Viareggio nel  1964 , e Mario Monicelli ne trasse un film, coprodotto tra Italia e Francia, venticinque anni più tardi, sulla crisi che coglie uno sceneggiatore a nevrosi continua, che si perde tra due donne, una matura, l'altra giovanissima, una crisi d'ispirazione lunghissima, un romanzo sempre da definire, e l'età che avanza. Del libro è stato detto che era di traduzione assai ostica, considerando che si risolve in una sorta di flusso di coscienza, con un uso particolare di periodi e punteggiatura: il film, che è una produzione accurata, ha il merito di intavolare un discorso benintenzionato sulla depressione e sulle implicazioni psicanalitiche che comporta, ma risente, forse, di una fase in cui il cinema italiano ammiccava fin troppo al formato televisivo, probabilmente per cercare una via d'uscita ad uno stallo che da una decina d'anni lo aveva spesso limitato. Il problema è che tempi e montaggio, ad esempio, fanno somigliare il  lungometraggio ad un film per la tv o ad uno sceneggiato, pur con diversi nomi di buona caratura in gioco: certo non aiuta film e regista un Giancarlo Giannini esagitato, con una prova artificiosa, quasi mai del tutto credibile, così come di pura rappresentanza appare l'amante Stefania Sandrelli. Monicelli rende bene gli attacchi di panico del protagonista, con le sue visioni distorte ed impaurite, ma non tiene bene il registro della storia, che a volte pare un dramma trattato con fin troppa leggerezza, altre una commedia amara e con parti drammatiche acute. Meglio nelle intenzioni, che nello svolgimento.

sabato 27 giugno 2015


FIORE  DI CACTUS ( Cactus flower, USA 1969)
DI GENE SAKS
Con WALTER MATTHAU, Ingrid Bergman, Goldie Hawn, Jack Weston.
COMMEDIA
Basare la propria vita sentimentale su bugie e inganni dell'altrui buona fede è meschino, ma il dentista Julian Winston ha un atteggiamento proprio così: scapolo impenitente, ha inventato alla giovane amante che ha famiglia, la moglie ha problemi psicologici, e non se la sente di lasciarli per lei, giocando sull'innamoramento della ragazza e dei problemi di coscienza della stessa. Sebbene sia abile nel carosello di menzogne che ha ordito, ad un certo punto deve dare materializzazione alla più matura rivale della giovane, e così ottiene il favore della segretaria, una bella signora che vive con garbata rassegnazione la vita solitaria che si è scelta, di fingersi sua coniuge. Ovviamente, le cose non andranno come il marrano vorrebbe. Gene Saks si conferma come un professionista bravo nel dirigere gli attori, che magari non dà grande respiro ai soggetti alla fonte delle pellicole che ha girato, ma sa bene come dare tempi agli interpreti e far scambiare le battute: uscito nella fase a cavallo tra gli anni Sessanta,che segnò l'apice del sottogenere di film brillanti tratti da commedie celebri sul palcoscenico, tra adattamenti di Neil Simon e altri, e buoni attori che sapevano trarre il meglio dai personaggi che venivano loro affidati, "Fiore di cactus" è una commedia gradevole, con finale sentimentale, che non le nuoce. Del cast, valida la freschezza ingenua della frizzante Goldie Hawn, che si combina bene con la pacata grazia di Ingrid Bergman, e fa piacere riscontrare un Walter Matthau quasi defilato, pure se è il vero protagonista, che lascia spazio alle colleghe con misura e stile.

martedì 23 giugno 2015


THE CHANGELING ( The changeling, CAN 1980)
DI PETER MEDAK
Con GEORGE C.SCOTT, Trish Van Devere, Melvyn Douglas, Joshua Jackson.
HORROR
Appena dopo i titoli di testa, il musicista John Russell assiste impotente ad un incidente in cui muoiono moglie e figlia: l'uomo, stimato artista, affitta una grande casa, che ha la poco piacevole particolarità di far sentire rumori come qualcuno che batte contro qualcosa, ad una certa ora della notte. In più, lentamente la situazione si fa sempre più inquietante, fino ad una vera e propria apparizione: il razionale deve far posto al paranormale, e una presenza che vuole comunicare con l'uomo, a proposito di un fatto tragico avvenuto nell'abitazione, si fa sempre più insistente... Per alcuni è un titolo di culto, addirittura Martin Scorsese lo ha definito tra i film più spaventosi che abbia visto, e, seppure non famosissimo, è un film che tra gli appassionati di cinema dell'orrore, è stimato e apprezzato. Diretto da un cineasta qua e là interessante, ma mai davvero del tutto convincente, come Peter Medak, è una "ghost-story" che ha una buona prima parte, in cui la tensione viene montata con cura e si gioca parecchio sull'attesa di quello che potrà succedere, e convince meno quando arriva il momento di tirare le somme del racconto. E il finale è abbastanza scontato: peccato perchè sequenze come quella della pallina che torna,rimbalzando giù dalle scale, le inquadrature da lontano, oppure quelle che si allontanano dai personaggi in scena mettono lo spettatore sul chi vive, procurando qualche brivido di qualità. George C. Scott fornisce una buona interpretazione, che giova al film e conferma la bravura di un interprete forse non ricordato come meriterebbe. 

lunedì 22 giugno 2015


IL SOLDATO DI VENTURA ( I/F, 1976)
DI PASQUALE FESTA CAMPANILE
Con BUD SPENCER, Enzo Cannavale, Philippe Leroy, Mario Scaccia.
COMMEDIA/AVVENTURA
La disfida di Barletta si tenne nel Febbraio del 1503, ed è considerata, da sempre, uno smacco per i solitamente più potenti militarmente "cugini" d'Oltralpe ed una vittoria italiana (anche se, come sappiamo, i nostri compatrioti combatterono per conto, in pratica, degli spagnoli): di nessun conto, storicamente parlando, è però un episodio tramandato e celebre. Sull'eroe della vicenda, Ettore Fieramosca, venne girato un film con Gino Cervi nei panni del mercenario divenuto paladino, e questa commedia d'azione, che nel periodo di massimo fulgore della carriera di Bud Spencer, lo vede anche, come nella serie "Piedone", con la propria vera voce. Girato come un'avventura picaresca, con vari sviluppi rocamboleschi della faccenda, fino alla tenzone vera e propria, "Il soldato di ventura" è uno dei famosi "film medi" come non si fanno più, oggi, che Festa Campanile tiene insieme con mestiere, qualche lungaggine, dando maggior risalto all'aspetto cialtronesco, atto a sottolineare, come sempre, lo spirito lazzarone ma indomito degli italiani, messi di fronte al momento della verità, e la tronfia rappresentazione dei transalpini. Un buon cast in cui spiccano Enzo Cannavale, cui tocca il ruolo di spalla comica del protagonista, e Philippe Leroy, antagonista di classe, per un filmetto qua e là godibile, ma che non lascia una gran traccia di sè. 

giovedì 18 giugno 2015


L'ULTIMA RUOTA DEL CARRO ( I,2013)
DI GIOVANNI VERONESI
Con ELIO GERMANO, Alessandra Mastronardi, Ricky Memphis, Alessandro Haber.
COMMEDIA
Dagli anni Settanta a, più o meno, oggi, l'Italia vissuta da un "uomo medio": l'arrivo della droga su larga scala, le BR, l'ascesa craxiana, Tangentopoli, Forza Italia, l'atmosfera disincantata e cafona di oggi. Dal percorso di vita di Ernesto Fioretti, un autista che ha appassionato Giovanni Veronesi raccontandogli quello che gli è successo, un film che è appunto una scorribanda, al piccolo trotto, lungo gli avvenimenti più importanti che hanno contraddistinto il nostro Paese, e hanno in qualche modo condizionato la vita dell'uomo comune. Diciamo che lo spunto è più bello del film che ne è venuto fuori, che per quanto volenteroso, nel voler riallacciarsi alla commedia italiana più classica, quella di Monicelli, Risi, Scola, vuole, adottando una chiave leggera, narrare anche momenti meno felici, con una prospettiva ad altezza di persone qualsiasi: purtroppo, per troppa carne al fuoco, il passo alla superficialità è breve, e comunque la pellicola si mantiene su un registro più che dignitoso. Funziona bene il cast, con Ricky Memphis quasi più in palla dell'istrionico e duttilissimo Elio Germano, e ancor più l'artista folle, sregolato e amabilmente cialtrone interpretato da Alessandro Haber, che dona risvolti di spessore al personaggio: meno bene il trucco, che segna malamente il tempo che passa sui volti degli interpreti. Rimane un dubbio: non è chiarissimo se la raccomandazione e la "spintarella", qui assolutamente cruciali per tirare a campare, siano viste come metabolizzate dalla mentalità italica come necessarie, e pazienza, o c'è del sarcasmo nel proporre il tema. Nel caso, non è sempre palpabile.

domenica 14 giugno 2015


TOMORROWLAND- Il mondo di domani
(Tomorrowland, USA 2015)
DI BRAD BIRD
Con  BRITT ROBERTSON, GEORGE CLOONEY, Raffey Cassidy, Hugh Laurie.
FANTASCIENZA
Costato una cifra ingente, e atteso come uno dei blockbuster dell'anno dalla casa di produzione Disney, "Tomorrowland" non riprenderà, se non a fatica, le spese avute per realizzarlo: eppure, la regia di Brad Bird, la presenza di una star come George Clooney e un divo della tv quale Hugh Laurie come antagonista, ed un vistoso sforzo per effetti speciali e scenografie, parevano quel che ci vuole per attrarre numerosi spettatori nelle sale. Dopo un prologo ambientato nel 1964, l'azione viene spostata ai giorni nostri, c'è una ragazza molto intelligente, forse speciale, che si ritrova coinvolta in una vicenda che le svelerà un mondo parallelo, verità raggelanti sul futuro, e però anche una probabile via d'uscita dalle visioni più inquietanti sul Domani. Bird, con evidenza, guarda soprattutto ad un pubblico di ragazzi, annettendo al suo messaggio "verde" una trama piuttosto movimentata e ricca di scene d'azione, con trovate tecnologiche di buon impatto, il tutto permeato da un'ironia e da un tono bonario che ha il sapore dei più riusciti lavori "live action" Disney degli anni Sessanta. C'è da dire che, tuttavia, certe cose lasciano perplessi, e più di una volta, lo spettatore più adulto si trova a chiedersi come mai la sceneggiatura abbia un'introduzione al cuore del racconto molto lunga, e si ritrovi a tirar via su alcuni snodi importanti, e in quasi tutta la parte che anticipa il finale, e, soprattutto, come mai il controcanto tragico della vicenda (un amore per forza di cose impossibile) sia lasciato in secondo piano. Degli attori, uno sdrucito e fortemente invecchiato George Clooney fa buona figura, ma la carica entusiasta delle promettenti Britt Robertson e Raffey Cassidy ( da tenere d'occhio, per la personalità sfoggiata) lo sovrastano. Divertente e simpatico, anche se talvolta i dialoghi sono fin troppo costruiti, e risultano quasi artificiosi, considerando, più che altro, il giovanissimo target cui l'operazione punta.

giovedì 11 giugno 2015


LA LEGGENDA DI ROBIN HOOD ( The adventures of Robin Hood, USA 1938)
DI MICHAEL CURTIZ e WILLIAM KEIGHLEY
Con ERROL FLYNN, Olivia De Havilland, Basil Rathbone, Claude Rains.
AVVENTURA
Capostipite del genere avventuroso, ma anche uno dei più celeberrimi titoli dedicati all'arciere ribelle di Sherwood, "La leggenda di Robin Hood" rimane un classico della Hollywood pre-bellica, con uno dei ruoli iconici di Errol Flynn: certo, guardandolo quasi ottant'anni dopo dalla sua realizzazione, fa un effetto differente, probabilmente, da quello voluto da Curtiz e dal co-regista Keighley, ma le scene d'azione rimangono ben congegnate, il tono dato all'avventura, a metà tra la scorribanda umoristica e il racconto spavaldo di eroi tutti d'un pezzo , convince, e le ingenuità varie si fanno perdonare, anche per il buon livello di confezione dell'operazione. Sul piano attoriale, a un Flynn atletico ma per il resto monocorde, è da preferirsi la melliflua minacciosità di Basil Rathbone, e ovviamente il nuovo doppiaggio non è mai all'altezza della situazione, troppo affettato e impostato: la fotografia sgargiante compensa certi utilizzi delle musiche non sempre esattamente all'uopo ( durante il duello nel fiume con Frà Tuck, c'è un pezzo vagamente melenso che non ha ragion d'essere nella sequenza...), e comunque ci si diverte con la briosità della messinscena. Certo, "Robin e Marian" di Richard Lester è un'altra cosa, ma ci si può accontentare...

TOLGO IL DISTURBO ( I/F, 1990)
DI DINO RISI
Con VITTORIO GASSMAN, Valentina Holtkamp, Elliott Gould, Dominique Sanda.
DRAMMATICO
Uscito da una clinica psichiatrica dopo quasi vent'anni, l'ex-direttore di banca Augusto rientra nella casa che gli appartiene, ove vivono la nuora, il nuovo compagno, la nipotina Rosa e la figlia dell'uomo, Samantah, ma la convivenza non è semplice, tra lo spaesamento del protagonista e la scarsa collaborazione di una famiglia messa insieme con  forzature varie,e così assistiamo ad un difficoltoso reinserimento del personaggio principale nella società e nel quotidiano: antichi elementi di un sodalizio che molto ha dato al cinema italiano, Dino Risi e Vittorio Gassman si ritrovano una volta ancora, descrivendo una storia di solitudine, follia e asprezze varie, qua e là annaffiata di un vago umorismo stralunato. Ma, per la verità, nonostante il tema presentasse molte potenzialità, il film, purtroppo, non funziona granchè: gli episodi in cui incappa Augusto sembrano slegati tra loro, anche se puntano a descrivere un "fuori", una "normalità" che solo molto teoricamente è tale, in cui ipocrisia e convenzioni dettano legge, e benchè la regia ci provi, il senso poetico della timida follia dell'anziano dalla mente compromessa sfugge alla sceneggiatura ed al racconto. In una dimensione da film per la tv, se Gassman presta una fragilità quasi inedita ad un carattere spesso credibile, Elliott Gould fornisce una prova di rara fastidiosità, all'insegna dell' "overacting", così come Dominique Sanda dà poco colore all'antipatica nuora: un film nato vecchio, e per l'appunto non coinvolgente come invece sarebbe dovuto essere.

domenica 7 giugno 2015


JUPITER-Il destino dell'universo ( Jupiter ascending, USA/AUS 2014)
DI ANDY E LANA WACHOWSKY
Con MILA KUNIS, CHANNING TATUM, Eddie Redmayne, Sean Bean.
FANTASCIENZA
Battezzata Jupiter in omaggio al più grande dei pianeti del nostro sistema solare, una ragazza dal preannunciato glorioso futuro, più che altro pulisce bagni, quando è cresciuta: ma le sue sorti sono invece, in un'altra dimensione, quelle della reincarnazione di una matriarca che ha generato, oltre a quelle esistenti in tale spazio, anche la razza umana. Difesa da un guerriero cocciuto che indossa una sorta di pattini volanti, la ragazza sarà cruciale nelle sorti di una guerra dinastica che potrebbe avere effetti devastanti su entrambe le dimensioni. Progetto costoso e barocco, nello stile dei Wachowsky Bros., "Jupiter ascending" è il primo film in 3D girato dal duo, e avrebbe dovuto rilanciare la loro carriera, dopo l'ambizioso tonfo di "Speed racer", ma nonostante il budget di quasi 180 milioni di dollari, non ha entusiasmato le platee, e a malapena ha coperto i costi di produzione. Nonostante la spettacolarità di scenografie e il buon ritmo delle scene d'azione, il tutto si risolve in una specie di remake non ufficiale de "Il quinto elemento", che già di per sè, quanto a idee originali, non era certo un campioncino: agli Wachowsky, come sempre, piace generare molte aspettative, scagliando lo spettatore in un microverso che potrebbe indurre interesse e attrarre la curiosità, ma nella sostanza c'è molta prevedibilità, e, più di una volta, vengono in mente almeno una manciata di film dove si è già vista la scena cui si sta assistendo. Mila Kunis e Channing Tatum prestano la loro fisicità, ma poco altro, l'oscarizzato Eddie Redmayne fa un cattivo dalla voce soft e dai voleri malvagi, ma lo spessore dei personaggi è di poco maggiore alla carta velina.

"FURY"
DI DAVID AYER
Con BRAD PITT, LOGAN LERMAN, Shia Laboeuf, Michael Pena.
GUERRA
Uomini in guerra, nell'abitacolo di un carro armato, nella Germania sull'orlo del crollo, nel 1945, ma come una belva ferita, l'esercito tedesco è ancora pericolosissimo: un novellino da dattilografo si ritrova a dover fare il mitragliere sul "Fury", modello di non nuova generazione, comandato dal duro sergente "War Daddy" e dalla sua squadra compatta e scafata. Uscito vari mesi dopo la sua uscita americana, per problemi della distribuzione, arriva alla vigilia dell'Estate "questo film bellico, che in patria ha raggiunto la somma di 85   milioni di dollari, giungendo a un totale di 210, con gli introiti internazionali: la guerra non è più uno scontro tra buoni e cattivi, come già Aldrich, Fuller e altri ammonivano già diversi anni fa, ma più e meno umani, al di là delle divise indossate . Strutturato su tre scontri, che naturalmente comportano atti di violenza e sopravvivenza forti, il film mostra le brutture e la pressione che subisce anche chi sta vincendo una guerra, perchè ciò che si è visto, e fatto, segna a fondo: David S. Ayer, finora più volenteroso che bravo, gira uno "war movie" solido, con qualche limite in verosimiglianza ( soprattutto verso il finale), e rende alquanto bene la tensione dei soldati impegnati a dare la caccia ai nemici, o a sopravvivere ai momenti più cruenti: la lunga scena dell'incontro con le due tedesche nel villaggio disastrato dai bombardamenti è il punto di svolta narrativo, che carica di maggior emotività il racconto. Tra gli interpreti, curioso che a Brad Pitt, in uno dei ruoli più complessi, fatto di buio e luce, non sia arrivata una nomination, perchè l'avrebbe largamente meritata, meno convincente l'imploso Shia Laboeuf: il furore che dallo schermo si riversa sul pubblico, è merito di una sceneggiatura ben ripartita e dalla densità delle interpretazioni, comunque di buon livello.

martedì 2 giugno 2015


AL PIACERE DI RIVEDERLA ( I, 1976)
DI MARCO LETO
Con UGO TOGNAZZI, Francoise Fabian, Miou-Miou, Alberto Lionello.
GIALLO/COMMEDIA
Funzionario ministeriale continuamente scambiato per commissario nell'indolente, meschina provincia da cui proviene e viene rimandato per capire se una vecchia conoscenza è caduto da un balcone per disgrazia, intenzione o se è stato spinto, Mario Aldara è un uomo sconfitto sentimentalmente, che va a prostitute regolarmente, perchè l'unica donna che ha amato gli è stata portata via proprio dal morto su cui indagherà: se emotivamente l'uomo ha un'immaturità di fondo terribile, ed è affetto da una balbuzie invincibile, è altrettanto fondata la correttezza, e l'onestà con cui affronterà beghe e cose malsane che incontrerà. Dal romanzo "Ritratto di provincia in rosso", di  Paolo Levi, che co-scrisse anche la sceneggiatura, insieme a Ruggero Maccari, Maurizio Costanzo ed al regista, un giallo con toni da commedia, come all'epoca usava dalle nostre parti, vedi i successi de "La donna della domenica" e "La mazzetta": contestato aspramente da certi ambienti cattolici, che vedevano con indignazione la tesi, certamente non simpatizzante con il mondo clericale, il film non è riuscitissimo. Il regista de "La villeggiatura" prova a fare il verso a Dino Risi, senza averne la caustica profondità, troppo spesso riducendo i personaggi a macchiette, dando loro solo un versante, e cavandosela spesso con la bravura di Ugo Tognazzi, che dona una sapida amarezza al protagonista, apportando una dimensione ironica che giova comunque. Meno brutto di quanto molti, soprattutto in rete, lo hanno catalogato, praticamente dimenticato nella filmografia dell'attore cremonese, anche se non ha inciso molto, nemmeno lì.

IL RAGAZZO INVISIBILE (I, 2014)
DI GABRIELE SALVATORES
Con LUDOVICO GIRARDELLO,  Noa Zatta, Valeria Golino, Fabrizio Bentivoglio.
FANTASTICO
Va dato atto a Gabriele Salvatores di cercare vie non prevedibili, per il proprio cinema, e quello italiano: le escursioni nel noir di "Amnesia" e "Quo vadis, baby?", i drammi di "Come Dio comanda" e questa avventura fantastica, realizzata a quasi sessantacinque anni, dimostrano la vitalità del regista, che ha preferito forse smarrire il favore di larghe fette di pubblico, per perseguire un'idea di cinematografia atta a recuperare il mai troppo rimpianto "film di genere", che in molti rammentano ma in pochissimi hanno il coraggio di provare a rimettere in piedi. Con tutto ciò, dire che "Il ragazzo invisibile" è un'operazione riuscita, è altro discorso: ambientato in una Trieste troppo dimenticata, come altre parti d'Italia, dalle macchine da presa, vede un adolescente scoprire di avere una dote straordinaria, divenendo invisibile al prossimo (ma ha anche altri poteri, che verranno fuori alla distanza), e scoprirà nuove verità sul proprio passato, cercando di avere anche un futuro. Perchè qualcuno vuole catturarlo, e metterlo insieme ad altri ragazzi che hanno talenti non comuni, da imparentarli con i supereroi ammirati sulle pagine dei fumetti. Tutto sommato il film ha un inizio ed una fine, e non dimentichiamo che il target volutamente cercato, è quello dei molto giovani,e si nota come Salvatores e la sceneggiatura vogliano coinvolgerli, parlando anche dei piccoli grandi problemi della pubertà, fase unica dell'esistenza, fatta di splendore e buio, gioie infinite e sofferenze acute. Però, ci troviamo alle prese con un film volenteroso, con qualche buon accorgimento visivo, ma che confrontato ad un qualsiasi titolo spettacolare proveniente da Hollywood, fa la figura di quello che si impegna, ma non ce la fa: basta guardare la scena della caccia al ragazzo da parte di un personaggio dalla doppia (tripla,forse?) faccia, peraltro largamente prevedibile nella sua ambiguità, per accorgersi di quanto siano sequenze fantastiche macchinose. E poi la logica: ma come, mettere tanti ragazzi con potenzialità segrete nello spazio di un quartiere? E i cattivi sono così debellabili, pur sapendo di poter dovere affrontare un domani dei giovani con probabili poteri speciali? Ludovico Girardello potrebbe diventare un attore interessante in futuro, ha le perplessità necessarie in mimica facciale che servono, e se Valeria Golino è credibile come mamma con patemi d'animo, Fabrizio Bentivoglio è vistosamente a disagio, e tira fuori l'interpretazione peggiore della sua bella carriera, svogliato, mai credibile, in scena come se dovesse fare un favore all'antico amico Salvatores. Apprezzabile per intenti e grinta, poco convincente il risultato finale. Vediamo cosa escogiterà per il suo prossimo lavoro, il regista di "Marrakech Express".

WHIPLASH (Whiplash, USA 2014)
DI DAMIEN CHAZELLE
Con MILES TELLER,J.K.Simmons, Melissa Benoist, Austin Stowell.
DRAMMATICO
Dura la vita al conservatorio: ne escono bene solo quelli veramente di talento, la selezione è impietosa, e le prove non sono meno dure di quelle di una scuola militare. L'aspirante fenomeno musicale Andrew, giovane batterista che ambisce a eguagliare la fama di Charlie Parker, salvo dimenticarsi che è stata più che altro postuma, ed ha proceduto imperterrito verso lo sfascio esistenziale, morendo giovane : ma per Andrew conta solo la musica, i rapporti umani sono d'impiccio, e quando incontra l'insegnante, altrettanto dedito alle note, ai limiti del fanatismo, che concepisce il proprio mondo come una disciplina in cui solo chi dà oltre le proprie possibilità può esprimersi, va in scena un conflitto che porta a conseguenze anche gravi. A conti fatti, "Whiplash" è stato il vero trionfatore della notte degli Oscar: tre statuette vinte, e non era scontato, consegnando ad un bravissimo J.K.Simmons quella per il miglior attore non protagonista, anche se, in sincerità, il suo ruolo non è meno fondamentale per la storia di quello sostenuto da Miles Teller, che presta una stolida protervia al suo immaturo campione con le bacchette, inclassificabile fuori dalla sala prove, a livello umano. Un film non straordinario, ma ben giocato per la tensione continua che lo anima, su due figure ostiche, e meno ostili, tra di loro, di quel che possa sembrare, perchè succede di tutto nei rapporti, passando dalla soggezione al riconoscimento di un medesimo spirito, alla violenza e ad una riconciliazione, che passa per la verità reciproca. Chazelle potrebbe rivelarsi un regista su cui avanzare delle aspettative in futuro, magari imparando a dare più respiro al racconto.