lunedì 27 febbraio 2017

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MAMMA O PAPA'? ( I, 2017)
DI RICCARDO MILANI
Con PAOLA CORTELLESI, ANTONIO ALBANESE, Carlo Buccirosso, Matilde Gioli.
COMMEDIA
Abbiamo ormai assodato che rifare film francesi è diventata una consuetudine, nel nostro genere brillante, ma non sono convinto che sia una buona cosa, sempre: va bene, abbiamo rivenduto in ogni dove "Perfetti sconosciuti", che avrà vari rifacimenti, ma qualche idea in più, per buttarla in ridere, su cose che accadono in Italia, ci saranno, no? Nel 2015 è uscita oltralpe la commedia "Papa ou maman", ed ecco nella versione nostrana i coniugi Paola Cortellesi e Antonio Albanese che decidono di separarsi, perchè è sfumato parecchio di quel che li univa, e, da buoni borghesi, è bene chiuderla civilmente: però come dirlo ai viziatissimi tre figli, che danno già diversi problemini da par loro? Le cose precipitano, poi, quando il padre, ginecologo, inizia una relazione con una giovane praticante, e nella moglie si innesca una reazione abbastanza inferocita.... Di "Mamma o papà?" emerge una contraddizione: che Albanese e la Cortellesi, da parte loro, sono anche diligenti e bravi, ma il problema è che i loro personaggi non funzionano. Il film è scritto senza verve, ed è affidato al regista sbagliato, perchè Milani, pur non essendo un regista straordinario, ha fatto anche cose di pregio come "Il posto dell'anima", non ha il ritmo di una commedia che vorrebbe essere briosa. E i tre figli, invece di essere dei simpatici pestiferi come tante volte abbiamo visto  sullo schermo, sono già insopportabili dopo due minuti che ce li hanno presentati. In più, che dire dello sperpero in ruoli secondari, senza spessore e relegati più che mai sullo sfondo di interpreti tutt'altro che di terza categoria, come Claudio Gioè, Matilde Gioli, Carlo Buccirosso e Stefania Rocca? Uno svarione, anche uggioso, bello e buono, questo film, altrochè....

domenica 26 febbraio 2017

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ARRIVAL ( Arrival, USA 2016)
DI DENIS VILLENEUVE
Con AMY ADAMS, Jeremy Renner, Forest Whitaker, Michael Stuhlbarg.
FANTASCIENZA
Non è la prima volta che un film di fantascienza arriva a tante nominations agli Oscar, perchè nel 1977, "Guerre stellari" ne ottenne dieci, con sei statuette vinte, più una speciale per la creazione di robot e creature: però, per un genere che, purtroppo, per molti anni è stato snobbato dai produttori ed era come dimenticato, è una rivincita arrivare alla notte degli Academy Awards con otto candidature, tra cui quella per il miglior film dell'anno. Affidato al canadese Denis Villeneuve, "Arrival" narra, come dice il titolo, l'arrivo di una dozzina di astronavi in luoghi disparati come Cina, Siberia, Sierra Leone, Australia, Stati Uniti: i militari intervengono subito, attendendo segnali dagli alieni, e ingaggiano una linguista ed un fisico, per decifrare possibili messaggi e cercare di capire cosa siano e cosa vogliano gli ospiti. Come ci ha abituato il regista, con le sue pellicole precedenti, i suoi protagonisti hanno di fronte a loro strade tortuose, e spesso dolorose: nei primi minuti conosciamo la pena della protagonista, che ha perduto la figlia, e si porta dentro un fardello di cordoglio, e ne seguiamo i passi incerti nella missione-confronto con i due extraterrestri "di stanza" in USA. Esentati dalla gravità, i delegati della Terra si introducono nella nave venuta dal cosmo, e le creature, che assomigliano a due grandi cefalopodi, rispondono alle sollecitazioni con misteriosi schizzi di inchiostro vaporoso: ma sono un pericolo o potenziali "amici"? Saranno i tempi, non gioiosi, che stiamo vivendo, con le loro incertezze e le tensioni che pesano, ma è curioso che nella corsa all'Oscar siano stati designati titoli con protagonisti che hanno perso e disperatamente, ma anche insperatamente, qualcosa li riporta alla vita e ad una forma di senso per andare avanti, per vie molto traverse: "Arrival" non è un film di fantascienza particolarmente rivoluzionario, ma si può dire che sia, quarant'anni dopo, una sorta di "Incontri ravvicinati" più cupo, eppure anche più risoluto nell'infusione di nuova speranza verso ciò che non conosciamo. Perchè, se la risposta più ovvia è attaccare per primi, è anche la più sbagliata, e può portare a conseguenze gravissime: toccherà ai misteriosi alieni, assolvere il non semplice compito di discernere cosa sia una minaccia, e cosa sia un gesto di empatia. Amy Adams è sempre più intensa, anche se, forse, in "Animali notturni" aveva fornito una prova ancora più matura, e, dopo questo interessante lavoro sulla necessità dell'abbandono della Paura del futuro, e di ciò che non sappiamo ancora, ci si sente più convinti della scelta di far dirigere il sequel di "Blade Runner" a questo regista, che accetta il rischio di infondere spessore a storie e personaggi, nonostante nomi e alti budget, e la nota diffidenza hollywoodiana a uscire dal consueto e dallo spettacolo più rutilante.

giovedì 23 febbraio 2017

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MANCHESTER BY THE SEA ( Manchester By the Sea, USA 2016)
DI KENNETH LONERGAN
Con CASEY AFFLECK, Lucas Hedges, Kyle Chandler, Michelle Williams.
DRAMMATICO
Manchester negli USA è nel New Hampshire, nel cui gelo invernale è ambientata la maggior parte di questo film, candidato a sei premi Oscar a questa edizione degli Academy Awards. Si comincia con un'ariosa uscita in mare, ma fa parte del passato: l'oggi del protagonista Lee è fatto di solitudine, un lavoro da portiere-tuttofare di quattro stabili, sfruttato e malinconico, e ubriacature al pub in solitaria, cui seguono spesso scontri con altri avventori. Eppure, nei ricordi, c'erano una moglie, tre figli, amicizie, un lavoro che rendeva. E quando viene informato della morte del fratello, la sua reazione è spiazzante, quasi come se gli avessero comunicato un ritardo del treno, anzichè la perdita di un consanguineo: perchè Lee mette a disagio le persone, con i suoi silenzi impenetrabili, e i suoi sguardi atoni. Il film diretto e scritto da Kenneth Lonergan, alla terza regia, che appare nel film brevemente nelle vesti di un passante con cui ha una discussione il protagonista, ha meno nominations degli altri rivali, ma tutte importanti, non tecniche, e potrebbe, a sorpresa, portare a casa qualcuno dei premi. Contrariamente a molto cinema di oggi, appare come un elogio della lentezza, e, in pratica, è senza musica fino a metà film, quando si decide a raccontare quello che è successo a quest'uomo sperso, apparentemente anaffettivo, senza più interesse in niente, ma che viene forzato a riprendersi delle responsabilità, divenendo il tutore di un nipote che ha l'egoismo vitale di un adolescente, e col quale si scontra ripetutamente, ma con il quale sviluppa un rapporto comunque forte. "Manchester by the sea" si prende tutto il tempo che ritiene di necessitare, oltre due ore e un quarto di proiezione, ma non dà mai la sensazione di eccesso di minutaggio, come quelle ballate aspre, ma che arrivano al cuore, per toccare lo spettatore ad un livello profondo. Casey Affleck, in un'interpretazione tutta in levare, dà un'interpretazione memorabile, di quelle che possono segnare la carriera di un interprete, in un film che, senza essere furbamente ricattatorio, riesce a commuovere, con un racconto di perdita e vita, che è un apologo sul perdono, sentimento nobile, come la pietà, e come lei non scontata o disponibile per chiunque.

mercoledì 22 febbraio 2017

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L'OCA SELVAGGIA COLPISCE ANCORA
( The Sea Wolves, GB/USA/CH 1980)
DI ANDREW V.MC LAGLEN
Con ROGER MOORE, GREGORY PECK, DAVID NIVEN, Trevor Howard.
AZIONE/GUERRA
Il titolo originale è più onesto, visto che parla di "Lupi di mare", anzichè cercare l'effetto-bis inventando una connessione che è molto forzata: perchè "I quattro dell'Oca Selvaggia", con questo "L'Oca Selvaggia colpisce ancora", ha in comune i produttori, il regista Andrew V. McLaglen, uno dei protagonisti, Roger Moore, e il genere, ma poi basta così. Se nel film del '78 c'era un battaglione di mercenari, in questa pellicola i soldati sono di Sua Maestà britannica, in azione a Goa, nell'Oceano Indiano, per sabotare la Marina tedesca, che sta facendo strage di sommergibili inglesi. Anche l'ambientazione storica è del tutto differente, e anche, se si vuole, la chiave adottata dal regista, il quale nel lungometraggio che contemplava tra gli interpreti anche Richard Burton, Richard Harris e Hardy Kruger, mostrava scontri ad alto tasso di violenza, mentre qua pare di assistere ad un film che mescola spionaggio e guerra, ma nei canoni di un cinema anni Cinquanta. Piuttosto blando nel racconto, il film non è indecoroso, ma nemmeno avvince:e, per quanto, pare, racconti fatti realmente accaduti, con tanto di presentazione, nei titoli di coda, dei veri militari impersonati dai vari attori, lascia piuttosto perplessi il fatto che per una missione altamente pericolosa e, a giudicare dalla posta in gioco, cruciale per la guerra contro il Reich, sia ingaggiato un commando nel quale la mascotte è il cinquantaduenne Roger Moore. Delle star presenti, a Niven la parte umoristica, mentre Peck dà una prova di puro e stanco mestiere.
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PARIS BLUES ( Paris Blues, USA 1961)
DI MARTIN RITT
Con PAUL NEWMAN, SIDNEY POITIER, Joanne Woodward, Diahann Carroll.
DRAMMATICO
Parigi, un luogo che da sempre ispira il cinema americano, e anche gli artisti statunitensi di ogni tipo: due musicisti statunitensi, che infiammano cantine e locali à la page, un bianco ed un nero, vivono gagliardamente, tra bisbocce, serate accese, donne e clamori. Incontrano due giovani connazionali, in vacanza per due settimane nella capitale francese, e cominciano a frequentarle: propensi a continuare una vita alla ricerca della "botta" del successo, i due uomini onestamente dicono alle due ragazze che non sono intenzionati a ritornare in USA con loro, e fare una vita "normale". Ma l'amore, si sa, non sente ragioni, e confonde le carte. Più sentimentale che drammatico, "Paris Blues" è un mèlò senza spargimenti di lacrime affrante, con una dose di amarezza contenuta, che viaggia verso una conclusione in parte prevedibile, agrodolce. E', tra l'altro, uno dei primi film americani in cui si vede un personaggio far uso di droghe; in cui una star della musica come Louis Armstrong fa una parte, breve ma incisiva, con un gran numero musicale, e si affrontano tematiche razziali senza farne il fulcro, ma dando spazio, come un regista spesso impegnato come Martin Ritt, anche in una produzione dichiaratamente commerciale. Non è uno dei titoli più celebri della carriera delle due star Paul Newman, e Sidney Poitier, ma è un film apprezzabile: e dei due divi, rende meglio Newman, che dona maggiori sfumature al proprio personaggio. 
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NON SI RUBA A CASA DEI LADRI ( I, 2016)
DI CARLO VANZINA
Con VINCENZO SALEMME, MASSIMO GHINI, STEFANIA ROCCA, MANUELA ARCURI.
COMMEDIA
"Vanzinata" è stato un termine coniato da un critico negli anni Novanta, quando il cinema dei figli di Steno sembrava sempre più uno specchio dei tempi, il che, per quanto riguarda il genere commedia di costume, sarebbe anche un pregio, ma, naturalmente, comporta, nel contesto, anche una dose sovrabbondante di superficialità e di rischio di scadere nel risaputo, quando non nel volgarotto. In questa ultima fatica di Carlo e Enrico Vanzina, un imprenditore d'origine napoletana, sposato con una piemontese, in un batter d'occhio perde un appalto e si ritrova al verde: caso vuole che la coppia, andata da un "Compro Oro", incontri i domestici filippini che un tempo lavoravano da loro, e che questi li indirizzino a sostituirli dall'attuale datore di lavoro, un maneggione, con sventola accanto, che vive di lussi e intrallazzi. Ovviamente, salterà fuori che le vite dei quattro sono connesse, e nessuno ne sapeva niente.... C'è un punto in cui può sembrare che ci sia un'eco della commedia all'italiana dei Risi, dei Monicelli, ed è la scena del pranzo tra Salemme e Ghini al mare, con camminata sulla spiaggia: in cui i personaggi paiono acquistare spessore, e forse si può parlare di qualcosa di diverso dalla solita commediola con poche idee, non troppe risate, e una visione beatamente qualunquista dell'Italia e della vita. Ma è un'impressione che dura poco, perchè più che ci si avvicina al finale, e più aumentano le improbabili capriole della sceneggiatura, che in un'overdose di faciloneria, aggiusta quasi tutto. A dire il vero, è una delle non troppe volte in cui c'è un tentativo di scrittura più accurata, che il gioco degli attori non sbraca, e che qualche tenue sorriso viene riscosso dal film: che, però, assomiglia troppo da vicino, per ritmo e allestimento, alle tante fiction rassicuranti dei canali maggiori, per dire qualcosa che, anche vagamente, sia davvero mordace.

lunedì 20 febbraio 2017

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ENRICO RAVA: NOTE NECESSARIE ( I, 2016)
DI MONICA AFFATATO
DOCUMENTARIO
Triestino per caso, ma piemontese di famiglia e di formazione, Enrico Rava è uno dei jazzmen più celebri d'Italia, e dalla carriera più longeva e costellata di successi: figura-chiave del panorama musicale colto italiano, e non solo, Rava ha avuto una vita artistica avventurosa, errabonda, da Roma all'Argentina, agli Stati Uniti, e tantissime collaborazioni con altri musicisti importanti. "Enrico Rava: Note necessarie" è un viaggio nel suo mondo, girato nel 2015 e presentato nel 2016, che è la dimensione di un ultrasettantenne ( è del 1939, suona da professionista dalla seconda metà degli anni Cinquanta) ancora con la voglia di stare sul palco, e confrontarsi con giovani colleghi. Il documentario gira tutto intorno a Rava, incolla considerazioni, fa chiacchierare tante persone che hanno avuto a che fare con lui, dal fratello maggiore a suonatori che con questo artista hanno collaborato, accenna al fumetto di Altan che ne aumentò l'icona. E ovviamente fa parlare anche lui, che racconta la sua esperienza, parla della musica, si fa vedere mentre è intento a "fare musica": questo documentario, ben realizzato e che sfiora l'ora e mezza di durata, è piacevole e può affascinare anche chi non è un jazzofilo di ferro, come il sottoscritto, per la capacità di incuriosire e attrarre verso un modo di concepire un'arte come un eterno "work in progress", e per la passione per la musica e la fame di vita che ancora attraversano lo sguardo apparentemente burbero, ma anche inaspettatamente ironico, di Enrico Rava. E, che si lasci andare ad estrosi duetti con un altro talentuoso non snob come Stefano Bollani, o che si esalti in un assolo di tromba dal ritmo incalzante, sembra sempre sul pezzo, e che non abbia ancora voglia di mollare.

sabato 18 febbraio 2017

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LEGO BATMAN- Il film ( The Lego Batman movie, USA 2017)
DI CHRIS MCKAY
ANIMAZIONE
COMMEDIA/AVVENTURA/FANTASTICO
Il successo mondiale di "The Lego Movie", quasi mezzo miliardo di dollari al box-office mondiale, ha spinto la Warner Bros. a mettere in cantiere, anche dietro forti richieste di fans, uno spinoff che vedesse al centro Batman, e il suo mondo, virato in chiave umoristica, ovviamente, con i mattoncini danesi a formare il tutto. Visto che da anni circolano vari videogames e corti con omini-Lego a riproporre parodie di "Star wars" & co., l'idea era tutt'altro che da disprezzare: e l'avvio, con la solitudine del supereroe vista in prospettiva ironica, è incoraggiante. Chiaramente, oltre a quel che accade a Gotham City e dintorni, in un tripudio citazionistico, c'è spazio anche per Lord Voldemoort, King Kong, il Kraken di "Scontro di titani", Dracula e tanti altri personaggi dell'immaginario collettivo. Però, come c'era da ipotizzare, il rischio che un'idea buonissima per  un divertimento di dieci minuti, se gonfiata a film può stancare. Soprattutto, l'effetto delle battute e strizzate d'occhio a raffica su cui è improntata tutta la pellicola, più che altro nella prima parte, è quello che può fare un ragazzino spiritoso che per un pò fa ridere, poi innesca una reazione di vaga noia, che può diventare irritazione. E, come accade in molte pellicole statunitensi delle quali il target sono, principalmente, gli adolescenti, è abbastanza curioso che un'operazione che poggia per il 90% sul sarcasmo, non risparmi sviolinate sentimental-familiste cercando di intenerire per forza la platea. Nel complesso, certo, non mancano le occasioni per sorridere o anche ridere, ma la sensazione che la cosa non sia gestita al meglio rimane. E comunque, preparatevi: oltre al sequel del "Lego movie" originale nel 2019, arriverà anche un altro spinoff sui Ninja l'anno prossimo. E se gli incassi pagheranno, aspettiamoci anche la versione "leghizzata" di "Il signore degli anelli", "Godzilla", "Star Trek", "Spider-Man" e chi più ne ha......

venerdì 17 febbraio 2017

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PROPRIO LUI? ( Why him?, USA 2016)
DI JOHN HAMBURG
Con BRYAN CRANSTON, JAMES FRANCO, Zoey Deutch, Megan Mullally.
COMMEDIA
Provate ad invertire "Ti presento i miei", con un padre di una ragazza che viene invitato, con il resto della famiglia, a conoscere il boyfriend della figlia, che li ospita per un fine settimana nella casa molto di lusso, quanto eccentrica, del giovane, che ha usi e costumi assai particolari: all'osso, è il fulcro di questa commedia uscita a fine anno negli Stati Uniti, che oppone Bryan Cranston, divenuto attore da nome prima dei titoli dopo il successo della serie "Breaking Bad", e James Franco, perenne oggetto misterioso, attore che si spende in mille attività artistiche, e che sullo schermo alterna titoli da grandi platee a lavori molto di nicchia. La prima gag, quella del compleanno con video inatteso, va detto, è riuscita e fa ridere: ma a seguire, il registro si fa ancor più triviale, e le gags sono scatologiche, quando non forzatamente volgari. Non che un umorismo sboccato sia da bocciare a priori, ma qui si pretende di far ridere su situazioni imbarazzanti e sulla provocazione fine a se stessa: e se si deprecano, da anni, i vari Boldi e De Sica per il cadere sempre su quegli argomenti lì, non c'è motivo di accogliere benevolmente una commediuccia che può far sghignazzare qualche adolescente, ma che risulta anche troppo lunga, e non riesce ad essere nè satirica, nè irriverente. Peccato per Cranston, qui sprecato, per quanto volenteroso a prestarsi su tonalità da commedia: Franco va in modalità occhi socchiusi per tutto il film, ed è un pò troppo grandicello per quel che richiede il ruolo. Del cast, quella che risulta meno malconcia è, tutto sommato, Megan Mullally, ex co-star della serie "Will & Grace". 

sabato 11 febbraio 2017

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SMETTO QUANDO VOGLIO- MASTERCLASS
( I, 2016)
DI SYDNEY SIBILIA
Con EDOARDO LEO, Stefano Fresi, Libero De Rienzo, Valeria Solarino.
COMMEDIA/AZIONE
Ogni promessa è debito, e come appunto annunciato da Sydney Sibilia, il gruppo di ricercatori, cervelli non in fuga ma un pò al perso, che si improvvisavano fuorilegge del primo "Smetto quando voglio", tornano, due anni dopo, in un capitolo di mezzo, visto che il conclusivo lo hanno girato, in pratica, contemporaneamente, come accadde anni fa per "Ritorno al futuro" parte II e III: non solo, ma questo atto secondo si conclude con un'anticipazione ampia di quel che accadrà nel numero tre. Si comincia con i "prodi" in carcere, e la sceneggiatura si perita di raccontarci com'è potuto succedere, ripartendo da un anno e mezzo prima: c'è un patto con una funzionaria di Polizia, che vuole arrivare a chi fa girare una diffusissima droga modernissima, e ha bisogno appunto della più strampalata gang della capitale. Sibilia, che, visti i buonissimi numeri del primo capitolo, ripropone gags e personaggi, aggiungendo il mercante d'armi particolari Giampaolo Morelli, la butta però più sull'azione, stavolta, girando, nella sequenza dell' "assalto al treno", una scena che tecnicamente non ha niente da invidiare ad analoghe commedie "action" americane, e giocando sul paradosso di intellettuali che devono buttarsi in imprese malandrine, uomini di pensiero che devono diventare tipi d'azione, anche fisicamente non idonei a certe avventure. Il film, per essere un sequel, è scorrevole, e sfiora le due ore di durata suscitando simpatia e ampliando il discorso, mettendo in gioco un nemico inusitato, che vedremo ancor di più nel prossimo episodio. Nel cast, confermata la verve stralunata del gruppo, in cui spicca la "normalità" ad un tempo gaglioffa e ingenua di Edoardo Leo: unico appunto sulla sceneggiatura, una lieve e sottotraccia misoginia, visto che i due personaggi femminili della storia sono inquadrate come rompiscatole (queste donne che partoriscono sempre nel momento sbagliato...), o opportuniste. E tuttavia, anche questo plot, come quello di "Perfetti sconosciuti", potrebbe diventare un appetibile remake sotto altra bandiera, attenzione.

giovedì 9 febbraio 2017

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ALLIED- Un'ombra nascosta ( Allied, USA 2016)
DI ROBERT ZEMECKIS
Con BRAD PITT, MARION COTILLARD, Jared Harris, Matthew Goode.
SPIONAGGIO/GUERRA
Dopo aver sperimentato nell'elaborazione grafica nel cinema, traducendo in versioni animate la recitazione di numerose stars di Hollywood, Robert Zemeckis torna ad un canone più classico, in tutti i sensi, perchè, anche nella struttura e nel tipo di chiave narrativa adottata, "Allied" è un film di intrighi, azioni di guerra, slanci amorosi e tensioni che appartengono al cinema di spionaggio bellico più tradizionale. Si apre con la bellissima discesa sulla sabbia del deserto, vista dall'alto, del protagonista, Brad Pitt nei panni di un agente segreto canadese paracadutato in Marocco per raggiungere una collega francese, nell'organizzare l'attentato ad un alto funzionario tedesco: tra il gioco pericoloso del dover recitare una coppia di sposi che non si erano in realtà mai visti prima, e la tensione dell'operazione, scocca la scintilla dell'amore tra i due. Dopo la missione, i due si sposano e tornano a vivere a Londra, ma all'uomo viene detto di aprire gli occhi, perchè, forse, colei che ha scelto per moglie, non è dalla sua parte... Accolto tiepidamente dalle platee sui due lati dell'oceano, nonostante l'allure dei due protagonisti, e la direzione di un regista vincitore dell'Oscar, e capace di realizzare titoli che hanno accumulato vere e proprie fortune, "Allied" paga probabilmente pegno per la smaccata classicità dell'intreccio, e dell'allestimento: però è un lungometraggio di buon livello, e, ancor più, una rivisitazione di classici del sospetto alla "Notorious" o alla "Maschere e pugnali", con capovolgimenti di situazione e suspence viva tenuta su da una conduzione sicura e curata. E' vero che non sta nè in cielo nè in terra la mise di Pitt calato nel bel mezzo del deserto, che si reca a piedi tra le dune e sotto il sole cocente verso i suoi contatti, ma è altrettanto vero che è un'introduzione quasi sognante, da cinefilia dura e pura. Forse il tutto è abbondantemente retrò, ma nel senso piacevole del termine.

lunedì 6 febbraio 2017

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SPLIT ( Split, USA 2017)
DI M. NIGHT SHYAMALAN
Con JAMES MCAVOY, ANYA TAYLOR-JOY, Betty Buckley, Haley Lu Richarson.
THRILLER
Nella prima metà degli anni Novanta, venne annunciato un film che sarebbe stato diretto da James Cameron, intitolato "The crowded room": sarebbe stata la storia di un uomo con una ventina di personalità differenti, e chissà se M. Night Shyamalan non si sia in parte ispirato a questo film mai realizzato, per scrivere e dirigere questo "Split", che, a sorpresa, sta diventando un inaspettato campione d'incasso in USA, visto che, costato 10 milioni di dollari, sta rasentando i 100 al box-office americano. Tre ragazze sequestrate da un giovane uomo con la mente alterata, che ha sviluppato 23 personalità differenti, anche una femminile, e cela la ventiquattresima, che è chiamata "La Bestia", la più pericolosa di tutte: una delle tre, rispetto alle altre, pare avere dei punti in comune con il sequestratore, e forse ha la chiave per salvare tutte dalla brutta fine che si prospetta loro... La "rinascita" di Night Shyamalan, celebrata su diversi giornali di settore, in realtà è cominciata con il precedente "The visit", che, pur con qualche dejà-vu, nella sostanza era più inquietante di questo thriller che sembra sempre dilungarsi, in ogni sequenza, più del dovuto ( e comunque il regista de "Il sesto senso" non è mai stato esattamente un velocista, diciamolo), quando arriva a buttar giù le carte risulta confuso narrativamente, e giunge ad un finale fin troppo inverosimile, quanto inferiore alle attese. Per quanto James McAvoy sia bravo a tratteggiare le varie facce della psicopatia del proprio personaggio, "Split" non fa mai realmente paura, anche se, probabilmente, ha fatto colpo sul pubblico, che gli ha tributato un buon risultato commerciale. A conti fatti, la cosa migliore del lungometraggio è la breve scena, appena dopo i primi titoli di coda, con un riallacciamento ad un titolo precedente del regista, veramente ben giocata.

sabato 4 febbraio 2017

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LA LA LAND ( La La Land, USA 2016)
DI DAMIEN CHAZELLE 
Con EMMA STONE, RYAN GOSLING, John Legend, Rosemarie DeWitt.
MUSICALE
Premessa: quando vedete su un manifesto "Candidato a 10 premi Oscar", o giù di lì, tenete sempre presente che il numero di candidature, è vero che di fatto favorisce quasi sempre la corsa ai premi maggiori ( ma negli ultimi anni la tendenza è un pò cambiata...), ma non è un voto, come se al film fosse dato un 10 e lode. Semplicemente, oltre alle candidature importanti, probabilmente viene riconosciuto che nei vari aspetti tecnici, come il montaggio, il sonoro, la fotografia, eccetera, la medesima pellicola è meritevole di premio. Detto questo, il candidato numero 1 ai prossimi Academy Awards è "La La Land", con 14 candidature, come è riuscito solo a "Eva contro Eva" e "Titanic". Damien Chazelle, che aveva colto robusti apprezzamenti critici con il precedente "Whiplash", apre con un numero che è un dichiarato omaggio al musical più classico, con una mattina trafficata, in cui gli automobilisti fermi su una congestionata highway si lanciano in un gioioso buongiorno ballato e cantato: a seguire, due elementi della fila si sfiorano, per due volte, poi si incontrano, e si innamorano, complice la passione per "Gioventù bruciata" e l'amore per cinema e musica. Aspiranti a carriere lei da attrice, lui da musicista jazz, si ostinano a perseguire il proprio sogno, gocce in milioni di altri pretendenti ad Hollywood e dintorni, ma il talento, quando c'è, può essere una chiave che apre tante porte: però seguire un'aspirazione comporta anche delle scelte non facili, e non è detto che il sentimento possa bastare a far durare una relazione. "La La Land" è un dichiaratissimo, sfacciato, appassionato tributo non solo al musical, ma al cinema stesso, e al contempo una storia d'amore aggraziata, fragile e potente come quelle che lasciano il segno: Emma Stone e Ryan Gosling, con ironia, leggerezza, grinta e intensità danzano tra le stelle e dove capita, e come nei più accesi incontri amorosi, il racconto è fatto più che altro di loro due, e non di quel che scivola e circola loro attorno. Se Gosling si conferma uno degli attori più "cool" della propria generazione, lavorando sulle mezze tinte, la Stone dà una prova forse ancora più sentita, e prenota, di fatto, una vittoria all'Oscar difficile da strapparle: e quel che più tocca di questa storia di note, batticuore e passi di danza, è la considerazione che i percorsi della vita possano far finire i rapporti, ma in uno sguardo che brucia il tempo intercorso, fa spazio ad un rimpianto inestinguibile, e non ne lascia ad alcuna forma di rancore, si possa rivivere un sentimento, ed un'ipotesi di vita intera. Al di là delle scelte diverse fatte.