domenica 30 settembre 2018

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UNSANE ( Unsane, USA 2018)
DI STEVEN SODERBERGH
Con CLAIRE FOY, Jay Pharoah, Joshua Leonard, Juno Temple.
THRILLER
In un'era in cui è regolare senza guardare davvero ciò cui si appone una firma, di fatto autorizzando qualcuno a fare ciò che non abbiamo avuto tempo o voglia di controllare, Steven Soderbergh gira un thriller, completamente girato con Iphone, che verte su questo, mescolandolo ad un caso di stalking destinato a degenerare in  una spirale di terrore e violenza. "Unsane" inquadra da subito la sua protagonista Sawyer come una donna spigolosa, malfidata, ostica, ambiziosa, che cerca avventure nei locali con sconosciuti, salvo recedere all'ultimo momento, e risultando ossessionata da un uomo che l'ha perseguitata: durante una seduta da una analista che la segue, le viene fatto firmare un modulo, e da lì in poi comincia la sua discesa in inferi che hanno i corridoi asettici di un centro di riabilitazione, e l'ermetica chiusura verso l'esterno di personale che agisce non in buona fede. Soderbergh, come in "Effetti collaterali", attacca un sistema con gravi falle verso chi dovrebbe assistere, quale quello sanitario americano, nonostante le riforme obamiane, accusando anche le compagnie assicurative che fanno lucrare sulla pelle delle persone, innescando un rituale di speculazioni a costo della salute mentale e fisica di chi ne finisce vittima. In parallelo, gira un thriller che è una sfida tra una perseguitata ( che ha l'intelligenza di rendere sgradevole) ed un maniaco ossessivo: non tutto gira alla perfezione, soprattutto quando il film giunge agli snodi decisivi della trama, con qualche ellisse di troppo. Però la tensione è bella alta per tutta la durata del lungometraggio, la sperimentazione delle riprese non toglie nulla alla riuscita dello spettacolo, gli interpreti rendono bene (Claire Foy sta in equilibrio perfetto tra il far parteggiare apertamente lo spettatore per lei e il dare connotati anche spregevoli al suo personaggio), e il film funziona eccome, portando il pubblico a ragionamenti sulla reale autonomia e libertà di chiunque, di fronte a sistemi che con metodi subdoli lavorano assiduamente a ledere o rovinare il campo dei diritti.

sabato 29 settembre 2018

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CLOWN ( Clown, USA/CAN 2014)
DI JON WATTS
Con ANDY POWERS, LAURA ALLEN, Peter Stormare, Elizabeth Wismere.
HORROR
Mai mettere costumi trovati per caso, può succedere qualcosa di strano e pericoloso. Accade ad un agente immobiliare, buon padre di famiglia, di dover indossare costume e trucco da pagliaccio per sostituire il clown che avrebbe dovuto divertire il figlioletto e gli amici alla festa di compleanno del bambino. L'uomo ha trovato l'occorrente nel baule di una casa che deve vendere, e se la festicciola si chiude con successo, la brutta sorpresa è che nè la parrucca, nè il trucco, nè il vestito si fanno togliere. Ma è solo l'inizio... Realizzato nel 2014, ed uscito prima da noi che in USA, dove è arrivato sugli schermi solo nel 2016, "Clown" ha comunque dato una notevole spinta alla carriera del regista Jon Watts, il quale ha ricevuto l'offerta dalla Marvel di dirigere "Spiderman:Homecoming"; benchè incentrato su un racconto di possessione demoniaca, il film, a livello di horror, segue più gli schemi dei film sui licantropi, sia nell'evolversi del maleficio, sia nelle sequenze in cui il mostro è a caccia delle proprie vittime. Apparentemente più attento alle atmosfere che all'effetto splatter ( ma c'è Eli Roth tra chi ha scritto e prodotto la pellicola...), per poi accentuare il lato sanguinario nella seconda parte, "Clown" è un racconto pauroso che qua e là sa essere efficace, ma che soffre un minutaggio cospicuo, e dà più di una volta la sensazione che con venti minuti in meno, il risultato ne avrebbe giovato. Qualche pecca di sceneggiatura ( un personaggio importante sparisce senza far sapere cosa gli accade definitivamente, la scena nel bosco si chiude in maniera brusca), tutto sommato, senza brillare particolarmente, il film si fa seguire anche se non dice in pratica alcuna novità nel genere. Vero, i clowns sono sinistri, ma sul tema ha detto di più Stephen King con "It". 

giovedì 27 settembre 2018

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HALLOWEEN- 20 ANNI DOPO ( Halloween H20:20 years later, USA 1998)
DI STEVE MINER
Con JAMIE LEE CURTIS, Josh Hartnett, LL Cool J., Adam Arkin.
THRILLER
Capitolo sette delle imprese sanguinarie di Michael Myers, colosso indistruttibile che dal 1978, con il suo muoversi come un automa, dal volto coperto da una maschera del capitano Kirk di "Star Trek", massacra entusiasticamente giovani avventati intorno al 31 Ottobre, giorno in cui viene festeggiato "Halloween". Del classico "slasher movie" di John Carpenter ricorrono ora i quarant'anni, abbiamo avuto anche un remake, ed il suo seguito, e ne sta giungendo un altro per provare a far ripartire la serie di scannamenti, preferibilmente con grossi coltelli da cucina, ma Myers espone anche una vena pratica nell'arrangiarsi. Infatti, questo episodio si apre con un triplice delitto, in cui adopera anche un pattino da ghiaccio (su un giovanissimo Joseph Gordon-Levitt), ma Steve Miner, al terzo incontro con l'assassino generato dall'autore di "1997:fuga da New York", avendo già girato il secondo ed il terzo segmento, cerca di diluire le incursioni omicide del serial killer, mettendo tra i tre morti iniziali e quelli successivi un bel pò di tempo. Viene rimessa in gioco la prima nemesi del mostro, la Laurie impersonata da Jamie Lee Curtis, che nel frattempo ha avuto un figlio ormai cresciuto, e si procede verso l'ineluttabile gran finale al sangue. Miner è stato uno degli esponenti meno beceri del genere, capace di un'impaginazione accorta, senza cedere all'effetto "gore" ad oltranza, ed infatti qui confeziona un thriller capace, certo, di momenti violenti, ma che ha un suo decoro. Ovviamente, per sconfiggere un folle che rasenta l'invulnerabilità di un "Terminator", occorre un espediente esagerato, come appunto nella conclusione l'eroina escogita: apparentemente la sequenza conclusiva chiude il cerchio, ma sappiamo che le cose sono andate diversamente eccome.....
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L'UOMO DELLA STRADA FA GIUSTIZIA ( I, 1975)
DI UMBERTO LENZI
Con HENRY SILVA, Raymond Pellegrin, Luciana Paluzzi, Silvano Tranquilli.
DRAMMATICO
I vendicatori nel cinema italiano di serie B degli anni Settanta, da Maurizio Merli a Claudio Cassinelli, da Franco Gasparri a Tomas Milian, fino a Henry Silva, erano ciò che un certo pubblico voleva vedere: di fronte all'ondata di crimine efferato, con rapimenti, rapine a mano armata, stupri, omicidi e pestaggi, lo Stato appariva lento o con le mani legate, e quindi mettere "l'onesto cittadino", che subisce un torto in modo drammatico, quando non addirittura tragico, che segna la sua esistenza, alle calcagna dei malviventi, ricorrendo ad una violenza inevitabile, mandava la gente a casa teoricamente contenta. Sinistramente, quello che accade per certi versi sui social network oggi, sui quali si registra un pericoloso aumentare di invocazioni a metodi draconiani per sconfiggere chi delinque: "L'uomo della strada fa giustizia", rispetto ad altri titoli similari, mette una relativa critica a chi applica la legge del taglione affrontando i criminali, dicendo senza mezze misure che chi organizza ronde e missioni punitive è pari a uno squadrista. L'ambiguità del film, però, si rivela quando all'esacerbato ingegnere Henry Silva, cui viene uccisa la piccola figlia poco dopo l'inizio del racconto, dopo molti tentennamenti, botte prese e tentativi di scoraggiarne l'impeto investigativo, capita un fucile in mano, e si può immaginare benissimo come finirà. Lenzi, rispetto a Castellari e Massi, abbozzò un tentativo di dare una chiave politica, meno reazionaria nel girare film di questo genere, va detto, onestamente. Però alla fine è sempre la solita sbobba, con qualche sequenza d'azione girata professionalmente, tanto sangue schizzato, violenze varie perpetrate con soddisfazione: Henry Silva è espressivo quanto un portacenere, e riesce a fare a pugni con l'impermeabile per quasi tutto il film, senza sporcarlo o sciuparlo, meglio Raymond Pellegrin nel ruolo del commissario sotto pressione. 
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NATA IERI ( Born yesterday, USA 1950)
DI GEORGE CUKOR
Con JUDY HOLLIDAY, WILLIAM HOLDEN, BRODERICK CRAWFORD, Howard St. John.
COMMEDIA
Il ricco, arrogante e intrattabile Harry Brock va a Washington per combinare affari probabilmente poco puliti, ingraziandosi un deputato: l'uomo, di quelli "fattisi da sè", vende stracci e ha fatto una fortuna investendo giusto, ma per poter incontrare i membri della società che conta, deve presentare una compagna adeguata. Cosa che non risulterebbe essere la fidanzata di lungo corso "Billie", ex-ballerina di night club, e per questo Brock assume per qualche giorno il giornalista "liberal" Paul Verrall per insegnarle un pò di bei modi e qualche nozione di cultura: ovviamente, la cosa si rivolta contro al trafficone... Tratto da una pièce teatrale di Garson Kanin, "Nata ieri" è un classico della commedia USA, che satireggia l'America ottusa, attenta solo a far profitto e a bearsi della propria tronfia ignoranza, e che palesemente simpatizza con l'ala liberal hollywoodiana: George Cukor dipinge con tratti sapienti ogni personaggio che entra in scena, lavorando di cesello sui caratteristi, vero cuore del cinema brillante di sempre, e ottenendo interpretazioni di alto livello da Judy Holliday, Broderick Crawford e William Holden (anche se quest'ultimo, va detto, è quello che rende meno, forse perchè ha il personaggio più definito da subito). L'Oscar assegnato alla Holliday è giustissimo, sia per la forte componente di humour che l'attrice sa infondere al suo personaggio, sia per come, nell'unica scena drammatica della pellicola, quella in cui viene picchiata e forzata a firmare carte losche, aggiunge un aspetto meno leggero alla sua bionda apparentemente svampita. Pur girato quasi tutto nello stesso ambiente, della suite affittata dal riccastro Brock, il film riesce ad essere arioso, briosissimo e con un'ironia succosa e non datata, a dimostrare che, oltre ad essere un gran direttore d'attrici, Cukor era anche un regista di una evidente finezza.

martedì 25 settembre 2018

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GOTTI- Il primo padrino ( Gotti: In the shadow of my father, USA 2018)
DI KEVIN CONNOLLY
Con JOHN TRAVOLTA, Stacy Keach, Pruitt Taylor-Vince, Spencer LoFranco.
DRAMMATICO/BIOGRAFICO
Da anni rimandato, con diversi nomi scorsi ipoteticamente sia davanti (Sylvester Stallone) che davanti ( Nick Cassavetes e Joe Johnson) alla macchina da presa, arriva il film sul boss di Cosa Nostra John Gotti; pare che siano stati dei membri della famiglia del "Padrino" a indicare John Travolta come il più credibile delle star hollywoodiane ad impersonare il capomafia, e la regia è stata rilevata da Kevin Connolly, ex-attore alla  terza regia. Dal 1973 al 2002, trent'anni di epopea malavitosa seguendo la carriera di Gotti dalla manovalanza come killer al trono di capoclan, via numerosi omicidi e atti violenti, regolamenti di conti e sfide interne alle Famiglie mafiose, fino al carcere e alla malattia che spensero il gangster più famoso della fine del Novecento. Se la regia di Connolly inanella molte scene che sanno di dejà vu, con abbracci imperiosi tra accoliti a Cosa Nostra, spari alle spalle, frasi solenni e tradimenti assortiti, estetizzando quanto possibile le riprese, la sceneggiatura procede per accumulo, senza dare una vera struttura all'andirivieni tra passato remoto e passato prossimo, oltre tutto piazzando in apertura, ed in chiusura, un Gotti che ammica al pubblico sornione del tutto fuori luogo in un contesto del genere. Se John Travolta riveste con enfasi un ruolo non semplice e quando non si lascia andare troppo a smorfie esagerate, ogni tanto lascia intravedere il buon attore che sa essere se ben diretto, la recitazione di tutti gli altri è sovraccarica: in più, considerando la tragedia personale che accomuna la coppia John Travolta-Kelly Preston ( che dà un'esagitata versione della moglie del mafioso) ai coniugi Gotti, con la perdita di un figlio, affiora qualcosa di morboso che era molto meglio non far emergere. E il finale, con la "gente comune" che inneggia al boss ricordando come sapesse far andar meglio le cose nella comunità, è una specie di  propaganda alla mafia "vecchio stile" di cui si faceva a meno volentieri.

lunedì 24 settembre 2018

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ESCAPE PLAN 2 - RITORNO ALL'INFERNO
( Escape Plan 2: Hades, USA/CHI 2018)
DI STEVEN C. MILLER
Con HUANG XIAOMING, SYLVESTER STALLONE, Dave Bautista, 50 Cent.
AZIONE
"Escape Plan" aveva riunito le due star dell'action più celebri degli anni Ottanta, Sylvester Stallone e Arnold Schwarzenegger ( ma si erano già visti insieme nei primi due "Expendables", per meno minuti), e non era parso un film così campione di incasso come nelle intenzioni di chi lo ha prodotto: ma le logiche di mercato, oggi, sono cambiate moltissimo, e se un film al cinema non guadagna tre volte i costi di produzione, vero metro del successo di un'operazione, ha possibilità di recuperare con le vendite ai canali tv, sia pay che generaliste, alle piattaforme online, e i mercati un tempo poco appetibili, come quelli asiatici, possono ribaltare l'andamento economico di un kolossal che in Occidente stenta. In questa prospettiva, è  normale che buona parte delle spese per produrre questo "Escape Plan 2" siano cinesi, che il vero protagonista sia un giovane divo del cinema di arti marziali, Huang Xiaoming, e i nomi "pesi" da mettere in bella vista sui manifesti siano appunto il "redux" Stallone e Dave Bautista: però, se il settantunenne Sly nei primi trenta minuti di film compare due volte brevemente, e di più nella seconda parte della pellicola, Bautista fino a metà non si vede, ed è un pò più presente nella conclusione. Ambientato in un carcere in cui vengono in realtà relegati campioni di combattimenti a mani e piedi nudi, dopo essere sequestrati, denominato appunto "Hades" ("Ade" per sottolinearne la condizione tipo inferi), il film è ripetitivo, uggioso nonostante sfori di pochissimo i novanta minuti di durata, fa sembrare un qualsiasi film con Van Damme un piccolo classico, e evidenzia che i due attori occidentali presenti nel cast hanno aderito puramente per incassare l'assegno-premio per il poco tempo messo a disposizione. Infatti, Sylvester Stallone ha firmato anche per un terzo capitolo, quantomai non necessario.

venerdì 21 settembre 2018

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IL TUTTOFARE ( I, 2018)
 DI VALERIO ATTANASIO
Con SERGIO CASTELLITTO, GUGLIELMO POGGI, Clara Alonso, Elena Sofia Ricci.
COMMEDIA
Come può un neolaureato in Giurisprudenza dire no all'offerta di entrare come giovane aiutante di un importante avvocato, percependo diecimila euro al mese? Succede a Antonio, che viene assunto dal celeberrimo legale Bellastella, che lo introduce ad ambienti di lusso e conoscenze facoltose: ovviamente c'è un però. Il ragazzo dovrebbe sposare una bella argentina che è l'amante del datore di lavoro: la situazione si fa ingarbugliata da subito, perchè sarà solo la prima di numerose, impensabili complicazioni legate al principe del Foro malandrino... Valerio Attanasio esordisce nella regia, con un film di cui ha scritto soggetto e sceneggiatura, che guarda alla commedia classica, introducendo un personaggio che parte candido, al cospetto di un sistema corruttivo, abbagliante e fondato su scambi e raccomandazioni, fino a coinvolgere perfino figure della mafia. In questo senso, viene assegnato a Sergio Castellitto un ruolo che avrebbe fatto il Sordi dei tempi d'oro, un bugiardo scorretto capace di diverse variazioni, abile a lavorarsi le persone e a stravolgere le situazioni in nome della propria convenienza, in alcuni momenti al punto da rasentare la schizofrenia. Il film è gradevole, garbato e scorrevole, salvo accumulare fin troppe cose poco verosimili, e sbracare nella conclusione, con tanto di sparatoria che risulta eccessiva rispetto a quel che si è visto fino ad allora. Se Castellitto istrioneggia efficacemente, e si defila un pò troppo presto rispetto allo svolgimento del racconto, Guglielmo Poggi ha una faccia da bravo figliolo e risulta credibile nel progressivo sbalordimento del giovanotto riguardo alle enormità in cui lo caccia il rapporto con l'avvocato di grido: peccato, perchè fino ad un certo punto, "Il tuttofare" è una visione convincente, ma, appunto, perde l'occasione per risultare un debutto memorabile autocompiacendosi un pò troppo.

martedì 18 settembre 2018

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BONE TOMAHAWK ( Bone Tomahawk, USA 2015)
DI S. CRAIG ZAHLER
Con KURT RUSSELL, PATRICK WILSON, Richard Jenkins, Matthew Fox.
WESTERN
Due milioni di dollari per girare un film con attori conosciuti, in America, è come partire per girare l'Europa con una decina di euro in tasca: tanto di cappello a S. Craig Zahler, che per esordire come regista, ha realizzato un western contaminato con l'horror molto "gore", con tale cifra, irrisoria per i canoni hollywoodiani. Ambientando un racconto che attinge da classicissimi come "Sentieri selvaggi", dato che si tratta di un piccolo manipolo di uomini alla ricerca di una donna bianca rapita da alcuni pellerossa, quasi tutto in piane desertiche, e in una grotta che è il covo dei rapitori, ove si svolge il climax della storia: e qui il riferimento è per certi versi "Soldato blu". Ma se il film di Ralph Nelson era un western appunto "normale" per quattro quinti della sua durata, e diventava un titolo impressionante negli ultimi venti minuti nella ricostruzione di un massacro da parte della cavalleria, di violenza inaudita per l'epoca, il primo film diretto da Zahler imbocca la via dell'horror cannibalistico, assai in voga alla fine degli anni Settanta, con i B-movies divenuti di culto come "Cannibal Ferox" e "Cannibal Holocaust". Infatti, gli indiani qui rappresentati come nemesi sono ripudiati dagli uomini delle altre tribù, essendo un clan mai progredito dopo la preistoria, che emettono grida impressionanti ( viene poi mostrato come sia possibile) e trucidano ferocemente le prede umane prima di divorarle: il film è girato con sapienza, ruvido, con una certa cura nella descrizione dei personaggi ( splendido il "tocco" Cicoria di Richard Jenkins, sprovveduto come un bambino ma capace di impensabili risorse), un utilizzo della fotografia di alto livello, e gioca la carta del saper impressionare lo spettatore (almeno una sequenza non è decisamente raccomandabile a tutti) senza preannunciare la strada che la pellicola prenderà. Arrivato al terzo lungometraggio, presentato a Venezia, un poliziesco con protagonisti Vincent Vaughn e Mel Gibson, Zahler potrebbe essere un nome che ci darà qualche cinefila soddisfazione.

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LA COPPIA DEI CAMPIONI ( I, 2016)
DI GIULIO BASE
Con MASSIMO BOLDI, MAX TORTORA, Anna Maria Barbera, Flora Canto.
COMMEDIA
L'accoppiata del benestante e del proletario costretti a convivere per un viaggio, quante volte l'abbiamo vista al cinema? Se il lombardo Boldi, nella finzione si chiama Fumagalli, vota Lega, è per dividere l'Italia in due, tifa Milan ed è un manager di una grossa compagnia, la quale organizza una sorta di lotteria aziendale, il cui primo premio consiste nell'estrazione di un paio di biglietti per la finale della Champions League, a Praga, gli si abbina il "romanaccio" Tortora, magazziniere nella capitale per la stessa società, di sinistra e contestatore, appassionato della Roma. Il viaggio, naturalmente, si complica, e i due dovranno formare una stizzosa alleanza, con una scommessa che andrà onorata solo dopo un anno, durante la finale della Champions successiva. Tra Boldi, che appare goffo e assai fuori registro, intento a fare smorfie che magari trent'anni fa potevano suscitare qualche accesso di riso, ma ora sembrano più che altro a un passo dall'essere patetiche, e Tortora, che ha dei numeri, ma non ha mai davvero sfondato al cinema, non sembra esserci molto affiatamento, e il duetto si risolve in un'imitazione della formula di un tempo assieme a Christian De Sica ( a Natale si riformerà il classico duo dopo tredici anni di carriere separate), con un'apparizione becera di Massimo Ceccherini e i soliti giochetti di parole flosci di AnnaMaria Barbera. Si è visto anche di peggio, vero, con qualche cinepanettone, ma Giulio Base, all'inizio degli anni Novanta, sembrava uno che girasse film di genere, sì, ma con altre ambizioni: l'insuccesso commerciale dell'operazione certifica che l'esperimento è andato maluccio....

domenica 16 settembre 2018

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UN MOSTRO E MEZZO ( I, 1964)
DI STENO
Con FRANCO FRANCHI, CICCIO INGRASSIA, Alberto Bonucci, Margaret Lee.
COMICO
Ancora non erano gli eroi delle seconde e terze visioni, dato che i loro numerosi film insieme prosperavano nelle sale di periferia per tutti gli anni Sessanta e Settanta, con riedizioni insistite, ma Franco Franchi e Ciccio Ingrassia, cominciarono a parodiare i generi e i titoli più celebri, reinterpretandoli a modo loro, con personaggi cuciti addosso. Vero che non sarebbe questo il caso, visto che "Un mostro e mezzo" sarebbe stato scritto pensando ad accoppiare Boris Karloff, che era a Roma a girare "I tre volti della paura", nel ruolo dello scienziato pazzo, e Totò, in quello della "cavia". L'incontro, che avrebbe fatto la gioia di qualche cinefilo sfegatato, non si verificò, e il film divenne un veicolo per il duo siciliano. Steno, all'epoca una garanzia dietro la macchina da presa, se si cercava di affidare un film dalle dichiarate intenzioni commerciali, dirige senza sbavature un copione di poco succo, confidando nell'affiatamento di Franco & Ciccio: però il filmetto, che forse quando uscì poteva presentare qualche tenue motivo di divertimento, visto oggi pare veramente poca cosa, e invece di ridere, ogni tanto si sbadiglia. Non tra le cose più impresentabili del duo, si capisce, ma l'avvio falso tenebroso nel cimitero alla Mario Bava lasciava sperare in qualcosa di meno grossolano. 
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THE EQUALIZER 2 - Senza perdono 
( The Equalizer 2, USA 2018)
DI ANTOINE FUQUA
Con DENZEL WASHINGTON, Ashton Sanders, Pedro Pascal, Melissa Leo.
THRILLER/AZIONE
L'azione si apre su un treno in Turchia, sul quale "The Equalizer" Robert McCaul, in versione rasata a zero, con zuccotto e barba, che affronta un malavitoso locale che ha rapito la propria figlia, solo per infliggere un dolore all'ex-moglie: tornato in USA, dopo aver riportato la bambina alla madre, il giustiziere ex-ufficiale della DIA, riciclatosi come taxista, mette a posto altra gente, e, in parallelo, seguiamo le azioni efferate di un gruppo di assassini che eliminano persone di rilevanza politica a Bruxelles. Quando l'amica di McCaul, che indaga sulla questione, viene uccisa, il protagonista comincia ad indagare e una pista lo porta a scoperte che avrebbe preferito non fare. Sequel dell'adattamento cinematografico della serie televisiva "Un giustiziere a New York", "The Equalizer 2" contempla la quarta collaborazione tra il regista Antoine Fuqua e la star Denzel Washington, e forse è il miglior titolo girato insieme dai due. Non che manchino gli inciampi, vedi le fin troppe opere di bene compiute da McCaul nella conclusione, e che, ad esempio, in tutta la parte della gang di strada che cerca di cooptare il ragazzo vicino di casa del protagonista, c'è una certa scarsezza di verosimiglianza ( una bandaccia che gira armata e commissiona omicidi così arrendevole? Mah...): però  il film è ben girato e, a livello di tensione, gioca bene le proprie carte, tipo nella sequenza in cui il ragazzo si nasconde nella casa di McCaul per sfuggire un pericolo. Si può anche dire che individuare chi sia a capo dell'intrigo sia abbastanza facile, per chi ha una minima conoscenza dei meccanismi del thriller, però va anche riconosciuto che la resa dei conti finale, su uno scenario quasi apocalittico di un posto di mare in piena tempesta, è un pezzo di cinema d'azione da antologia per costruzione e svolgimento. Washington sopperisce con il carisma e la ricerca di convincenti mezzi toni da attore consumato alle molte relative perplessità che possono suscitare le sue performances di lotta. Uno dei non moltissimi casi in cui il secondo episodio è anche migliore del primo. 

martedì 11 settembre 2018

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SAPORE DI TE ( I, 2014)
DI CARLO VANZINA
Con EUGENIO FRANCESCHINI, MARTINA STELLA, KATY SAUNDERS, GIORGIO PASOTTI.
COMMEDIA/SENTIMENTALE
In teoria, "Sapore di te" è l'atto terzo della serie cominciata nel 1983 con "Sapore di mare" e proseguita l'anno seguente con "Sapore di mare 2- Un anno dopo": amori, bugie, gelosie, sentimenti contrastati tra i giovani sulle spiagge versiliane, mentre, sullo sfondo, i grandi tessono intrallazzi, fanno pasticci, e ogni tanto esprimono qualche malinconia sui bei tempi andati. Diretto da Carlo Vanzina, ha in realtà poco a che fare con le due pellicole degli anni Ottanta, pur essendo ambientato, appunto, lungo l'Estate dell'84 e dell'85 ( con epilogo nel 2013, con i protagonisti che si reincontrano adulti, chiosa già scelta negli altri due lungometraggi). C'è il ragazzo bruttino che prende sempre una sbandata per quelle belle che gli preferiscono il più atletico amico del cuore, la bellina e introversa figlia di un commerciante tifoso romanista sfegatato che sceglie i luoghi di villeggiatura per seguire la compagine di Liedholm e Falcao, la tedesca che ha un concetto personale della fedeltà, l'onorevole socialista che vuole spingere l'amante verso la notorietà, il bagnino che non disdegna avventure con le avventrici dello stabilimento balneare, e via enumerando. Vanzina tenta il rilancio di una formula che, onestamente, indovinò trentacinque anni fa, ma paragonati alla recitazione dei giovani del cast, Jerry Calà e Christian De Sica paiono James Stewart e Cary Grant, le occasioni per sorridere sono rade, le battute dei dialoghi forzatissime in bocca ai poco capaci attori, e si salvano con un pò di mestiere i "vecchi" Vincenzo Salemme e Maurizio Mattioli, pur facendo ben poco per uscire dai loro consueti clichès interpretativi. Di rara bruttezza, "Sapore di te" riesce nella mirabile impresa di unire una concatenazione di fatti inverosimile, una lettura superficialissima dell'epoca scelta ( la fanatica rivoluzionaria con il gatto "Mao"? Nell'84???), un forte pressapochismo dell'allestimento, e una povertà di idee impressionante. Ma era proprio necessaria questa mossa?
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12 SOLDIERS ( 12 Strong, USA 2018)
DI NICOLAI FUGLSIG 
Con CHRIS HEMSWORTH, Michael Shannon, Michael Pena, Navid Negahban.
GUERRA
Sebbene abbia dell'incredibile, pare che la vicenda narrata in "12 Soldiers" sia accaduta realmente, e sia stata in documenti di Stato desecretati da poco: in pratica, dodici militari americani scelti inviati in Afghanistan appena dopo l'11/9, per dare una mano a una milizia ribelle per combattere i talebani di una provincia afghana, in un preambolo della guerra che si scatenerà a breve, e ancora, in pratica, non è finita. Anche se il regista non è di provenienza USA, essendo Fuglsig danese, questo film di guerra in cui i soldati vanno al galoppo contro il nemico ( un "warstern"?) è una bella inzuppata di retorica, diciamolo: il protagonista che vede l'attacco alle Twin Towers in tv e scalpita per andare a dare una lezione al "nemico", al punto da prendere a calci la scrivania negli uffici del comando, vari discorsi patriottici lungo lo scorrere della pellicola, Al Qaeda raffigurata in un comandante talebano che sembra una versione macabra di Sandokan. Le scene d'azione sono realizzate bene, anche se spesso ad alto tasso di improbabilità ( vedi guerriglieri nemici che sparano sempre mira, o stanno fermi ad aspettare le mitragliate dei soldati USA, ma questo è un classicissimo del genere bellico fino dai tempi di John Wayne, e comunque su tutte la scena del carro armato che spara un colpo e tutti gli assaltatori a cavallo si abbassano schivando la cannonata...): il film potrà piacere a qualche appassionato di war-movies, ma rimane deprecabile l'utilizzo di un attore quale Michael Shannon, altrove di ben altro valore, e si constata che Chris Hemsworth fatica ad uscire dalla caratterizzazione del Dio del Tuono marvelliano ( anche se va riconosciuto che in "Blackhat" non se la cavava male), mentre ci si domanda come Michael Pena abbia accettato di interpretare un personaggio così scritto male, e relegato ai margini.

mercoledì 5 settembre 2018

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MISSION:IMPOSSIBLE- FALLOUT
( Mission: Impossible- Fallout, USA 2018)
DI CHRISTOPHER MCQUARRIE
Con TOM CRUISE, Henry Cavill, Rebecca Ferguson, Simon Pegg.
AZIONE/SPIONAGGIO
Tra Londra, Parigi ed il Kashmir, si dipana la sesta avventurona della squadra dell'IMF, organizzazione parastatale invisa ai colleghi della CIA per la sua efficacia, capitanata dall'agente segreto dalla testa dura e dalla pelle coriacea Ethan Hunt, che dal 1996 (ventidue anni, quasi come Bond!) significa azione ad alto livello adrenalinico con produzione di serie A per maestranze e confezione. E' un diretto seguito dell'episodio precedente, "Mission:Impossible-Fallout", perchè si riparte, in pratica, dalla conclusione che vedeva imprigionato il superterrorista Solomon Lane, leader dell'associazione eversiva "Il Sindacato", ora convertita ne "Gli Apostoli": Hunt si porta dietro i fidatissimi Benji (Simon Pegg) e Luther (Ving Rhames), si è perso per strada, senza che ci venga chiarito perchè, William Brandt (Jeremy Renner), torna sulla scena la bella Ilsa (Rebecca Ferguson), e si aggiunge il britannico Walker (Henry Cavill). In ballo ci sono sfere di plutonio che servono ai terroristi per realizzare un attentato nucleare di vasta portata: riusciranno i nostri eroi a sventarlo? Che si inerpichi su pareti rocciose ardue, sfrecci per le vie di una metropoli a cavallo di una moto, difenda una signora a filo di coltello ad un party esclusivo, o corra a perdifiato fino in cima ad un grattacielo, mr. Tom Cruise, anche co-produttore della pellicola, sembra vivamente intenzionato a non mollare l'osso come star al centro di un'operazione come questa. Affidato alla regia, per la seconda volta nel franchise ( fatto inedito), di Christopher McQuarrie, "Mission:Impossible- Fallout" fa bene il suo mestiere, intrattenendo per circa due ore e mezzo, senza perdere ritmo e, certo, giocando con l'incredulità dello spettatore, come ci ha abituato questa saga che sfida sempre di più il tetto dell'inverosimiglianza, in nome della spettacolarità, e della cura con cui viene costruita ogni scena d'azione. Si può argomentare che spacconate d'eroi d'azione se ne sono viste fin troppe, ma va riconosciuto a Cruise & soci di aver piazzato alcuni momenti di cinema di qualità visiva che divengono all'istante brani da antologia del genere, vedi la lunga e coinvolgente lotta tra gli elicotteri in uno dei punti cruciali del racconto. E Hunt appeso ad una corda, in volo incontro al giorno che sorge, è un'immagine vivida alla quale chi ama il cinema, non può restare indifferente.