giovedì 25 luglio 2019

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SPIDER-MAN: FAR FROM HOME ( Spider-Man: Far from home, USA 2019)
DI JON WATTS
Con TOM HOLLAND, Zendaya, Jake Gyllenhaal, Samuel L. Jackson.
AZIONE/FANTASTICO
Primo film del Marvel Cinematic Universe dopo il "reset" di "Avengers: Endgame", il secondo capitolo delle avventure di Spider-Man terza versione (dopo Tobey Maguire e Andrew Garfield, il più minuto e scattante Tom Holland) trasferisce le prodezze balzanti e rampicanti del supereroe creato da Stan Lee e Steve Ditko in Europa: Venezia, le Alpi Austriache, Praga, Londra i teatri degli scontri tra Spidey e il villain di turno. Lungo le due ore e dieci minuti ( titoli di coda compresi, ovviamente, con le due scene-bonus da acquisire in quanto piuttosto importanti) di proiezione, seguiamo le peripezie sentimentali di Peter Parker interessato a Mary Jane, ma con un fustaccio di origine asiatica a disturbarne il corteggiamento, il coinvolgimento di Nick Fury e dello S.H.I.E.L.D. nelle trame, delle creature devastanti che si chiamano "Elementali" e, appunto, tra terra, fuoco, acqua e aria portano distruzione dove colpiscono, e l'inusitato supporto di un personaggio nuovo, Misteryo, con mantello e una sfera di cristallo come copricapo ( per chi segue anche la parte a fumetti Marvel, di sicuro non uno sconosciuto...). Il tema del film, così come delle due scene aggiunte dopo il finale, è la "rivelazione", che tutto cambia e può complicare o chiarire le cose: e per due terzi di storia, rende perplessi il ruolo di Spider-Man, quasi ai margini e non incisivo come lo si conosce nell'azione pura. Spettacolare e venato di salubre ironia, così come era concepito in origine dai suoi creatori negli albi ( e infatti, non pochi recensori hanno elogiato questa versione come la più vicina a quella di Lee/Ditko), "Spider-Man: Far from home" viaggia alto nelle classifiche degli incassi, avviandosi a diventare uno dei titoli più redditizi dell'anno. Nel presentare la "fase 4", la Marvel non ha fatto menzione dell'atto terzo di questa serie, ma la sensazione è che rivedremo Spidey tra non troppo tempo: e, a giudicare da questi due primi capitoli, non è una brutta notizia.

lunedì 22 luglio 2019


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IL BIGAMO ( I, 1956)
DI LUCIANO EMMER
Con MARCELLO MASTROIANNI, Franca Valeri, Giovanna Ralli, Vittorio De Sica.
COMMEDIA
Sarà stata l'atmosfera del dopoguerra, in un Paese ferito ma la cui voglia di ritornare ad una vita "normale" ribolliva, ma le commedie brillanti degli anni Cinquanta in Italia sembrano, per molti versi, permeate sia da una leggerezza inebriante, se vi si lascia andare, sia da un aspetto quasi irreale, che può affascinare e infastidire allo stesso tempo: anche "Il bigamo" dello specialista Luciano Emmer, autore di un suo cinema garbato e forse accademico, ma ben allestito, vive di queste particolarità, nel raccontare la curiosa vicenda di un rappresentante belloccio e che sta mettendo su famiglia, accusato di aver precedentemente contratto altro matrimonio in terra di Romagna. La cosa migliore del film è l'attenzione ai personaggi di seconda fascia, tipico di questo cinema brillante, in cui si osservava ancora molto il vissuto quotidiano della nazione, con caratteristi all'altezza di rendere da ricordare un personaggio con sei battute e qualche espressione ( il Nastro d'Argento a Memmo Carotenuto per il detenuto incallito ma di buon cuore, appunto), meno convince il vocìo perpetuo che per quasi tutta la pellicola si scatena, e stanca non poco durante la visione. Ad un Mastroianni non ancora padrone del tutto del registro brillante, si preferiscono la viziata mezza matta Franca Valeri, ma soprattutto l'avvocato sfarzosamente cialtrone di Vittorio De Sica, che vive di rendita sulla passata reputazione e combina guai ai disgraziati che ha come assistiti. Un cinema remoto, parrebbe oggi, con vitalità e limiti, seppure dietro ci fossero professionisti notevoli, e qui si contano tra soggettisti e sceneggiatori nomi come Sergio Amidei, Francesco Rosi e Age & Scarpelli, quindi nomi di primissima categoria, che probabilmente funse da titolo "alimentare" per tutti, tuttavia, funzionante a metà.
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INSERZIONE PERICOLOSA 
( Single white female, USA 1992)
DI BARBET SCHROEDER
Con BRIDGET FONDA, JENNIFER JASON LEIGH, Steven Weber, Peter Friedman.
THRILLER
Dal taglio alla moda, giovane e affascinante, Allie vorrebbe vivere con il partner, che ha appena chiuso il proprio matrimonio, ma che, per via di un messaggio sulla segreteria telefonica, ancora va a letto con la ex-moglie: per pagare l'affitto del loft newyorkese in cui vive, la ragazza pubblica allora un'inserzione in cui dice che "Single, bianca, donna cerca stesse caratteristiche come co-inquilina"; di lì a poco si presenta una giovane dall'aria timida, Hedra, che va a genio ad Allie e la prende in casa. Le apparenze, come si sa, possono ingannare: perchè la nuova arrivata è tutt'altro che tranquilla psicologicamente, anzi. E comincerà una spirale di violenze e follia di sempre maggior livello. Di discreto successo all'epoca della sua uscita, "Inserzione pericolosa" è un thriller confezionato con cura, come dimostrano la fotografia di Luciano Tovoli, i costumi di Milena Canonero e le musiche di Howard Shore, ma è sceneggiato in maniera goffa e balorda. Una protagonista che non si decide ad aprire gli occhi e percepire la pericolosità di chi le sta accanto: le butta il cucciolo di cane che le ha regalato dalla finestra, le racconta apertamente bugie di grosso calibro, e alla prima occasione sfodera istinti violenti. Più la storia progredisce, più aumenta l'inverosimiglianza di ciò il film narra, più viene stiracchiato il racconto per allungare il brodo, più salgono noia e sconclusionatezza dello script. Se Jennifer Jason Leigh, abbonatissima a personaggi che pongono inquietudine, tutto sommato fa onestamente il proprio mestiere impersonando credibilmente la psicopatica, Bridget Fonda è addirittura irritante per come il proprio personaggio è fuori dalla realtà, passivo e incapace di prendere una qualsiasi posizione, fino all'inevitabile riscossa dell'ultimo minuto. Ma è decisamente troppo tardi.
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PASSIONE D'AMORE (I/F, 1981)
DI ETTORE SCOLA
Con BERNARD GIRAUDEAU, VALERIA D'OBICI, Laura Antonelli, Jean-Louis Trintignant.
DRAMMATICO
Il prestante capitano di cavalleria Giorgio Bacchetti, di ritorno dalla campagna di Crimea, intraprende una relazione gioiosa con una donna sposata, molto bella, che gli rende il piacere di vivere dopo le brutture dei combattimenti, ma viene spostato in un piccolo centro su alla frontiera piemontese, e di lui si invaghisce disperatamente la cugina del comandante della guarnigione, Fosca, che è una donna fragilissima, tendente alla depressione, ipersensibile, e di una bruttezza consistente, oltre che dall'ardua gestione caratteriale. Per quanto l'uomo respinga gli atteggiamenti da innamorata persa della donna, rimarrà lentamente coinvolto in una sorta di trasporto per lei, con conseguenze molto drammatiche... Tratto da un romanzo di un autore oggi dimenticato, Iginio Ugo Tarchetti, "Passione d'amore" fu un film anomalo nell'opera di Ettore Scola, incastrato tra il successo di "Una giornata particolare", e l'effetto-discussione che suscitò un titolo più politico, e che in qualche modo faceva il punto della situazione come "La terrazza". Mèlò senza ritegno, sia nell'impostazione, che nell'espressione dei personaggi e del racconto, più che d'amore parla di ossessioni, e se, curiosamente, per un film diretto dall'autore di "Maccheroni" e "C'eravamo tanto amati", i personaggi risultano ben poco sfaccettati, e dati una volta per tutte, a mano a mano che il racconto procede, sale la sensazione di assistere ad un'operazione in cui le cose non sono andate come nelle intenzioni, e che, soprattutto, poco abbia questo film a che vedere con il resto del lavoro del regista irpino. Calligrafico nella messa in scena, prevedibile negli sviluppi drammaturgici, non fa emergere sentimento, di cui dovrebbe invece essere intriso: e se Giraudeau non rende i tormenti di cui il protagonista dovrebbe essere consunto, la D'Obici, al ruolo della carriera, soffre i tanti spigoli del personaggio, e non trasmette motivazione alcuna allo spettatore per comprendere come ci si possa affezionare a un essere tanto scostante.

venerdì 19 luglio 2019

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DOMINO ( Domino, DK/B/I/NL/F 2019)
DI BRIAN DE PALMA
Con NIKOLAJ COSTER-WALDAU, Carice Van Houten, Eriq Ebouaney, Guy Pearce.
THRILLER
Un film che arriva sugli schermi presentato come un errore da parte di chi lo ha fatto, parte già rovinosamente, e c'è da aspettarsi una flagellazione da parte dei recensori, oltre che un rifiuto da parte del pubblico: è successo non poche volte nel cinema americano, con titoli firmati da Alan Smithee ( la firma che contraddistingue, appunto, lungometraggi che hanno avuto lavorazioni contrastate e un director che toglie il nome da titoli e manifesti), ma tuttavia Brian De Palma, per il ritorno sul grande schermo qualche anno dopo "Passion", non ha fatto uscire il suo ultimo lavoro senza metterci faccia e nome. Però ha dichiarato che non lo riconosce come opera sua, in quanto non ha scritto una sola pagina di  copione, e mancherebbe mezz'ora di pellicola ( dura 89 minuti precisi, in effetti non è molto): coproduzione tra cinque paesi, tra i quali mancano gli USA, "Domino" è un thriller che parte da Copenaghen e giunge fino in Spagna via Francia e Belgio, con due poliziotti che giungono sulla scena di un delitto pensando di dover intervenire, invece, in una situazione di violenza domestica, e la faccenda si fa subito cupa, in quanto ci sono in ballo Isis e Cia. A dirla tutta, per quanto emergano forzature vistose nel copione ( lotte al cardiopalma su grondaie senza che nessuno alle finestre si affacci o noti le colluttazioni, i terroristi incontrati per caso, nonostante la caccia viaggi trasversalmente in Europa, da Nord a Sud, con tutte le strade che ci sono, è una possibilità molto remota, via...) e ci sia un finale fin troppo brusco, "Domino" risulta molto meno peggio di quanto paventato. La mano di un autore tra i più interessanti del cinema americano degli ultimi cinquant'anni, pur alle prese con un titolo minore della sua filmografia, si nota eccome in diversi passaggi, nel ricreare un'atmosfera zuppa di suggestioni hitchcockiane, con dettagli che saltano all'occhio per essere decisivi in seguito, ed una costruzione della suspence che molti nuovi registi si sognano, vedi la lunga sequenza del prefinale con un doppio confronto incrociato, capace di tenere lo spettatore in tensione piena. Dirigendo un cast composto da un danese, un'olandese, un australiano e un danese, il regista di "Carrie" appone il proprio sguardo da creatore e appassionato di cinema facendosi riconoscere da chi lo segue da decenni: certo, sono lontani i tempi de "Il fantasma del palcoscenico" e "Omicidio a luci rosse", ma nella rara possibilità di riscontrare regie che abbiano personalità, vale qualcosa anche questo thriller di passioni recondite e intrecci politici sporchi, che, perlomeno, è uno dei pochi titoli che parla apertamente del bizzarro e poco chiaro intreccio tra un'organizzazione folle e ferocissima come l'autoproclamato Califfato e l'onnipresente Agency. 

lunedì 15 luglio 2019


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LO SPIETATO ( I, 2019)
DI RENATO DE MARIA
Con RICCARDO SCAMARCIO, Sara Serraiocco, Marie-Ange Casta, Alessio Praticò.
THRILLER/AZIONE/DRAMMATICO
Come usa fare per le produzioni più importanti della piattaforma online Netflix, anche "Lo spietato" ha avuto un'uscita-evento di tre giorni nelle sale, per poi entrare a far parte del catalogo a disposizione degli abbonati: dalla storia vera di un ambizioso tipo della mala milanese, di cui sono stati famigerati alfieri Francis Turatello e Angelo Epaminonda, un film su un personaggio non esistito, romanzando la vicenda d'ispirazione. Sullo sfondo gli anni Ottanta di una metropoli in evoluzione, proveniendo dalla Calabria e cercando di ingraziarsi dei già potenti boss insediati in Lombardia, Angelo Russo comincia a circondarsi di uomini fidati e si ritrova diviso tra due donne, la ragazza calabrese che sposa, e con cui mette su famiglia, molto cattolica e tradizionalista, e la francese dallo spirito libero, che diventa la sua amante, da mantenere e dalle fascinazioni artistiche. In mezzo, sparatorie, rapine e regolamenti di conti come di prammatica. Renato De Maria ha realizzato un omaggio al "poliziottesco", o, per dir meglio, al cinema di gangster all'italiana, di cui erano principi attori come Luc Merenda o Antonio Sàbato: ceffi da galera, scioltezza nel passare dalle minacce alle armi, tradimenti vari si susseguono in un'ambientazione ben calibrata in un'Italia che non c'è più. Architettato su un registro che non esclude escursioni nella black comedy, il film è ben girato, scritto senza far deragliare l'assunto della regia, con un cast interessante, visto che Scamarcio fornisce una delle sue prove migliori, alternando scariche di violenza ad un savoir faire beffardo e spavaldo, Sara Serraiocco mette una febbrile partecipazione nel caratterizzare un personaggio non semplice, perchè è timorata di Dio ma consapevole delle attività criminose del marito, e Marie-Ange Casta, sorella minore di Laetitia, impone la propria bellezza sfolgorante muovendosi bene davanti alla macchina da presa. Un divertissement vagamente amorale, che non si tradisce nel finale.

giovedì 11 luglio 2019

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POLAR ( Polar, USA/D 2019)
DI JONAS AKERLUND
Con MADS MIKKELSEN, Vanessa Hudgens, Katherin Winnick, Matt Lucas.
THRILLER/AZIONE
Da una graphic novel di culto, ad opera di Victor Santos, visto che, ora come ora, il cinema tratto dai comics "tira" quasi sempre ( non è sempre scontato, però, al di fuori del circuito Marvel), ecco una coproduzione tedesco-americana, un film d'azione con diverse impennate di violenza al proprio interno, e una raffica di sequenze in cui l'iperbole delle movenze plastiche si fonde ad una carica sanguinaria piuttosto sottolineata. Un'agenzia che dà lavoro a molti killer professionisti, adotta l'efficace pratica di eliminare i suoi membri quando arrivano ad un passo dal pensionamento, e quindi costerebbe una cifra enorme per liquidarli, comprando anche il loro silenzio: scena d'apertura su un tipo di mezza età benestante, che appunto vuole festeggiare il proprio ritiro con una sventola nella piscina della sua villa, tra cocaina, champagne e sesso in quantità, ma di lì a poco viene massacrato dalla squadra dei "liquidatori". Il "top player" Duncan "Black Kaiser" Vizla è prossimo a chiudere la carriera, e si accorge di essere nel mirino come prossimo da togliere di mezzo: l'uomo è un osso duro, e, nonostante abbia i suoi problemi nel gestire il privato, sarà molto difficile assassinarlo per gli scagnozzi del grottesco capo dell'organizzazione, mr. Blut. In contemporanea, Duncan incontra una giovane donna che vive nel posto freddo in cui egli vorrebbe condurre il suo "buen retiro", che gli suscita uno strano senso di protezione... Il nordico Jonas Akerlund punta a girare un lungometraggio in cui pesa molto la dimensione grafica derivante dal mondo delle strisce a fumetti, abbondando in particolari grandguignoleschi, come nella lunga sequenza delle torture inflitte al protagonista con un armamentario di lame vario, alterna sprazzi onirici ( i ricordi di "Black Kaiser") e accelerate action da "sparatutto" alla "John Wick", ma sostanzialmente, resta poco di un film che è impostato sullo stupire l'occhio dello spettatore, ma procedendo per passi scontati nella trama, salvo, forse, il risvolto del prefinale, che, però, agli appassionati di gialli non parrà una grande sorpresa. Nonostante la presenza di un bravissimo attore che sa lavorare come pochi sull'economia delle espressioni, e al contempo è un interprete molto fisico, come Mads Mikkelsen, i personaggi sono bidimensionali, e ben presto la carica visiva della regia, pur grintosa, si stempera e perde colpi. Finale, volendo, aperto a nuovi sviluppi.

lunedì 8 luglio 2019

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LA FAVORITA ( The Favourite, GB/USA/IRE 2018)
DI YORGOS LANTHIMOS
Con OLIVIA COLMAN, EMMA STONE, RACHEL WEISZ, Nicholas Hoult.
DRAMMATICO/GROTTESCO
Ogni corte, e, se si vuole, ogni centro di potere, è un magnete che attrae gente d'ogni tipo d'ambizione ed intenti, e la Storia è piena di personaggi sullo scranno di comando intorno ai quali hanno gravitato tipi rapaci e addirittura capaci di usare i favori di cui hanno goduto per esercitare, a loro volta, altro potere nelle società in cui hanno vissuto. Attorno alla regina Anna d'Inghilterra, all'inizio del Diciottesimo secolo, si sfidano, senza ufficializzare la tenzone, due donne, Sarah Churchill e la neofita Abigail Masham, per godere della fiducia della regnante, segnata nella salute dalla gotta, e nella psiche da troppe gravidanze andate perdute: in realtà, la confidenza da conquistare circa la regina, comporta anche il letto, e molto altro.... Candidato a dieci Oscar tra i quali miglior film e regia, "La favorita" ne ha vinto uno solo, quello per la miglior attrice protagonista, andato a Olivia Colman, e ha lanciato definitivamente un autore, il greco Yorgos Lanthimos, che ha già destato da anni interesse tra i cinefili, e vinto premi in giro per i vari festival: in verità, Lanthimos ha girato questo lavoro ritrovandoselo assegnato, e quindi, c'è, tra i recensori, chi ha parlato di "film su commissione". L'autore avrà preso in mano un soggetto e una sceneggiatura non firmati da lui, ma il segno del regista che un anno fa fece uscire un film di una certa capacità di inquietare come "Il sacrificio del cervo sacro", è evidente eccome: si parla del Settecento, ma l'intenzione di Lanthimos è sottolineare la ferocia e la vacuità di un classismo di ritorno, in cui le categorie che "possono" perdono tempo, sperperano denaro e tendono a mortificare chi "sta sotto" trattando chiunque come merce, indicendo passatempi idioti o ridicoli, comunque contraddistinti da una mancanza di sensibilità evidente. Nel duello tra la dura, ma più umana, Sarah Churchill interpretata da Rachel Weisz e la vivace, ma vuota e crudele, Abigail Masham cui dà volto Emma Stone, viene fuori una tensione urticante, cui contribuisce la bizzosa, infelice, lunatica Anna per la quale ha conquistato l'Oscar Olivia Colman. Ma l'intero lungometraggio ha il limite di una provocazione perpetua, di una ricerca dell'effetto disturbante cronica, per sollevare disgusto, imbarazzo e fastidio nello spettatore, tra crudezze e fluidi corporei di ogni tipo, da far sospettare una relativa programmaticità in questo, che sminuisce non poco un eventuale apprezzamento dell'opera. E se, come ha scritto qualcuno, in alcuni passaggi questo regista greco fa pensare a certi movimenti di Stanley Kubrick ( per alcuni carrelli all'indietro, il ritmo con cui vengono scanditi i racconti ed il rapporto tra silenzi, immagini e musiche, in effetti, viene naturale collegare i due stili di cinema), può darsi che diventi un autore di gran pregio, ma Lanthimos deve imparare a non cercare di stordire continuamente il pubblico, ma di lasciarlo pensare e assorbire via via immagini, messaggi e parole.


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LA MOSSA DEL PINGUINO ( I, 2013)
DI CLAUDIO AMENDOLA
Con EDOARDO LEO, Ricky Memphis, Ennio Fantastichini, Antonello Fassari.
COMMEDIA
Per il suo film d'esordio da regista, dopo una lunga carriera davanti alla macchina da presa ( un'abbondante trentina d'anni), Claudio Amendola scelse di girare una commedia corale, con quattro uomini ad un impasse perenne personale, che diventano una squadra nientepopodimeno, di carling, sport da noi poco frequentato. C'è Bruno (Leo), disoccupato a singhiozzo ultratrentenne che non sa gestirsi a livello economico, e la cui moglie minaccia di buttarlo per strada se non cresce; Salvatore (Memphis), precario che da una vita condivide marachelle e errori dell'amico, con padre affetto da Alzheimer a carico; Neno (Fassari), con parrucchino e fama da picchiatore, in realtà un disgraziato solo come un cane; e Ottavio (Fantastichini), vigile in pensione con gamba danneggiata, che è pieno di risentimenti e non sa esprimere i sentimenti. Un'accozzaglia che, a contatto per la strampalata impresa, scopre di poter riuscire in qualcosa, e, forse, diventerà un gruppo di amici. Amendola, che ha scelto di non figurare nel cast del suo primo titolo diretto, gira in maniera composta, fino al punto da far parere il suo lungometraggio una fiction tv ben fatta, ma senza colpi d'ala veri e propri: buon gioco di attori, e qui si vede la cura dell'interprete esperto nello scegliere attori complementari l'uno agli altri, con qualche battuta simpatica, ma senza eccedere in verve. Un esordio sufficiente, che non scade nè nel volgare, nè nella noia, di cui si apprezza l'originalità dello spunto, ma non c'è molto di più.

mercoledì 3 luglio 2019

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AMMORE E MALAVITA ( I, 2017)
DEI MANETTI BROS.
Con SERENA ROSSI, GIAMPAOLO MORELLI, Claudia Gerini, Carlo Buccirosso.
COMMEDIA/MUSICALE/THRILLER
La grande fama della serie "Gomorra", con la versione 2.0 delle storiacce di camorra, tra sgherri, regolamenti di conti, patti d'onore e crimini vari, su sfondi passionali e di amicizie e inimicizie, conta: sicuramente, per concretizzare questo progetto non semplice da tramutare in film vero e proprio, per i Manetti Bros., ha avuto peso anche il notevole successo della fiction prodotta da Sky e vendutissima in altri Paesi. Si apre con un funerale, con il morto che canta lamentandosi dell'infausta fine incontrata, e il racconto procede a ritroso, portandoci a quello a cui abbiamo assistito all'inizio, quasi alla fine della pellicola: premiatissimo all'edizione dei David di Donatello ( quindici candidature, cinque premi vinti, tra i quali per il miglior film), ma anche in altri ambiti, come al Ciak d'Oro, "Ammore e malavita" impasta sceneggiata, parodia, musical e cinema "di mafia" ( o di camorra, per essere più corretti), con la verve visiva tipica del duo di registi romani, questo lungometraggio li ha definitivamente lanciati, se ce ne fosse stato il bisogno. Molto intelligente nella concezione, capace anche di lampi di genio ( il pezzo musicale rifacendo "Flashdance" nell'ospedale è un colpo da maestri), frulla clichés ( l'amore tra il criminale e la ragazza innocente, l'antico sentimento risvegliato, il boss che adopera un "doppio" strategicamente, la dark lady, l'amicizia tra killer che diventa per forza rivalità....) con scioltezza e mettendoli al servizio della narrazione: quasi tutto bene, ma nella seconda parte il tocco parodico si sente meno e il sano non prendersi sul serio dell'assunto dei Manetti non sempre si fa sentire nettamente. Ci si diverte, gli attori sono belli carichi ( Buccirosso ha sempre una marcia in più), le immagini sono di prima qualità, ma sfuma qualcosa, che tramuta un potenziale cult-movie assoluto in una buonissima idea con diverse intuizioni azzeccate. Il che non è poco, ma limita leggermente la riuscita finale dell'opera.
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COME LO SAI ( How do you know, USA 2010)
DI JAMES L. BROOKS
Con REESE WHITERSPOON, PAUL RUDD, Owen Wilson, Jack Nicholson.
COMMEDIA/SENTIMENTALE
Triangoli amorosi hanno riempito a bizzeffe le trame di tante commedie, non solo targate Hollywood, e pure "Come lo sai", che è l'ultima pellicola diretta da James L. Brooks, e, ad oggi, contiene l'ultima interpretazione cinematografica di un fuoriclasse come Jack Nicholson ( una versione del suo mai ufficializzato ritiro dalle scene diceva che la star non si ricordava più le battute, e non voleva sentirsi in imbarazzo girando film), ruota intorno ad una situazione di cuori confusi. Non si parla di corna, attenzione, dato che la protagonista Reese Whiterspoon un fidanzato ce l'ha, il biondo e brillante Owen Wilson, ma il "buon figliolo" Paul Rudd, che è incastrato in una faccenda, non per colpa sua, che potrebbe portarlo in carcere, le fa mettere dubbi su quel che vuole per la propria vita sentimentale, e così partono i tentennamenti.... Anche troppi, viene da dire, considerato che il film tocca le due ore di proiezione, e per una commedia sono sempre tanti, se la trama non giustifica tale espansione di durata: sceneggiato diligentemente, ma con poche vere occasioni di divertimento ( la scena nell'ospedale dalla partoriente, però, strappa qualche risata convinta), "Come lo sai" ha una mezz'oretta a vuoto, prima di giungere alla più prevedibile delle conclusioni. La Whiterspoon è un'attrice non troppo apprezzata da noi, ma sembra avere i tempi giusti per la comedy, Rudd e Wilson sono abili nel figurare come due modelli diversi di tipi piacenti alle signorine, Nicholson ci mette mestiere, ma non molto di più, nell'impersonare il babbo briccone di Paul Rudd. Sinceramente, per un interprete anche istrionico, ma carismatico e talentuoso come il vecchio Jack, avremmo preferito un'altra maniera di salutare il pubblico.

lunedì 1 luglio 2019

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IO SONO L'AMORE ( I, 2009)
DI LUCA GUADAGNINO
Con TILDA SWINTON, Flavio Parenti, Alba Rohrwacher, Edoardo Gabbriellini.
DRAMMATICO
Nella Milano esclusiva dell'alta borghesia, quel che accade all'interno di un'abbiente famiglia di industriali del tessile, i Recchi, oltre a quel che l'etichetta consente e accetta, parte con l'ultimo discorso a tavola del patriarca Edoardo (Gabriele Ferzetti), che si congeda da affari e vita mondana consegnando l'azienda di casa al figlio Tancredi ( Pippo Del Bono) e al primo nipote Edoardo jr. (Flavio Parenti). Tra i due eredi in breve tempo c'è un grosso dissenso: se il più anziano spinge per cedere l'industria a nuovi proprietari esteri, il giovane è nettamente contrario, si preoccupa delle sorti degli operai e cerca di far cambiare idea al genitore. Il conflitto di interessi è, in realtà, più che altro il catalizzatore di un melò all'italiana che Luca Guadagnino ha scritto, per poi unirsi  a Barbara Alberti, Walter Fasano e Luca Cotroneo per redigere la sceneggiatura: chiaro il richiamo al cinema di Visconti, sia nell'impostazione, dato che la pellicola sembra partire raffreddando le passioni, con una messa in scena elegante, sobria fino a risultare quasi scostante, per poi innescare, da un certo punto in poi, un'accelerata che porta al crescendo conclusivo. Tilda Swinton trova una particolare alchimia nelle direzioni del regista siculo: è una signora attrice, e ne siamo consapevoli, ancor di più, sia in quest'opera che nel recente "Suspiria" ha dato prove di primissimo livello, con una resa dei personaggi interpretati ammirevole. Se il volume delle passioni cresce appunto nel correre verso un finale da grande tragedia ( ma è anche assai liberatorio), uno dei picchi del film è nell'erotismo della scena d'amore in piena campagna, cui la regia fornisce una naturalezza piena e un'attenzione a ogni dettaglio di grande impatto. Denso nell'illustrare sentimenti più o meno controllati dei personaggi, deciso nell'orchestrare il dramma che va a compiersi, "Io sono l'amore" è tra le cose migliori realizzate fin qua da un regista che forse troppo si compiace di sè, ma ha un talento visivo, ed un nerbo narrativo, non così comuni nel cinema europeo d'oggi.

I ROBINSON- Una famiglia spaziale
(Meet the Robinsons, USA 2007)
DI STEPHEN J. ANDERSON
ANIMAZIONE
FANTASCIENZA/COMMEDIA
Tratto dal romanzo per ragazzi "A day with Wilbur Robinson" di William Joyce, "I Robinson" vede, più che un'ambientazione cosmica, come suggerirebbe il sottotitolo italiano, viaggi nel tempo, in avanti e indietro, che porteranno l'orfanello Wilbur a scoprire cosa sarà il futuro suo, del mondo in cui vive, e di persone che conosce. Quarantasettesimo lungometraggio d'animazione  prodotto dalla Disney, non è stato tra i grandi successi della casa, a compiere una decade tra le più anonime della sua storia, che ebbe un colpo di reni proprio sulla sua conclusione, con "La principessa e il ranocchio", e, c'è da dire, l'avvento del mondo Pixar, più altre realtà come quelle targate Dreamworks & Co. contribuirono a questa fase di involuzione per la major. "I Robinson", con una strana amicizia tra il ragazzino che non conosce i propri genitori e incontra un coetaneo che dice di venire dal Domani, è gradevole da vedere, e ha un fondo educativo, sottolineando che dietro a un "cattivo", forse c'è anche molta incomprensione e solitudine, con un paio di colpi di scena che possono anche stupire alcuni spettatori, soprattutto tra i giovanissimi. Peccato che il livello di animazione, totalmente imbastito con la Computer Graphic ( anzi, "Computer Generated Imagery") sia quello di tanti cartoon mediocri che passano nelle tv per bambini, in cui troppa grafica digitale toglie sia sentimento che spontaneità alle immagini, facendo sembrare un videogame e poco più lo spettacolo cui si sta assistendo. 

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DOMANI E' UN ALTRO GIORNO ( I, 2019)
DI SIMONE SPADA
Con MARCO GIALLINI, VALERIO MASTANDREA, Anna Ferzetti, Barbara Ronchi.
COMMEDIA/DRAMMATICO
"Andiamo verso il futuro", "Va bene, ma il futuro è dall'altra parte". Nelle amicizie, quelle di lungo corso, soprattutto quelle più sincere, dove si sa un pò tutto dell'altra persona, si raccolgono confidenze e si sa quali sono i lati più ruvidi dell'altro e quali i punti di forza che torneranno comodi in eventuali momenti di frana personale, valgono anche gli scambi di battute in un dato preciso momento, e, soprattutto, a volte può bastare uno scambio di sguardi e un paio di mezze sillabe per capirsi al volo, senza la necessità di spiegarsi tanto. "Domani è un altro giorno" è il rifacimento di un film prodotto in Spagna nel 2015, "Truman", in cui il nome del presidente USA che fece sganciare le bombe atomiche è in realtà come viene chiamato il cagnone a cui uno dei due protagonisti della storia cerca in tutti i modi di trovare casa e chi lo accolga, perchè la malattia che ha l'uomo è divenuta terminale, e c'è poco da perder tempo: lo aiuta in questo l'amico fraterno, tornato appositamente dal Canada per portargli un ultimo saluto e passare quattro giorni insieme. Se l'assunto è di quelli da far tremare i polsi e far preparare i fazzoletti per il binomio morte precoce/rapporti umani forti, l'intelligenza alla base della sceneggiatura è di fare di questo racconto una commedia drammatica, con diverse occasioni per strappare il sorriso, anche se la fine della strada è segnata. Simone Spada, quarantacinquenne al secondo film, girato di seguito all'esordio con "Hotel Gagarin", fa leva sull'affiatamento forte tra i due attori principali, Marco Giallini e Valerio Mastandrea, che si muovono perfettamente a loro agio sullo schermo, con una naturalezza che fa spesso dimenticare quanto mestiere ci sia nelle due caratterizzazioni, di un vitalissimo disperato, e di un quieto in bilico tra dolenza e ironia: ambientato a Roma, con una puntata a Barcellona, il film scorre via che è un piacere, fin dall'inizio piazza il boccone amaro allo spettatore, e pare non pensarci più se non quando è strettamente necessario alla storia, scegliendo un finale sfumato, che, forse ancor più per questo, fa buttar giù le carte e abbatte il muro della resistenza emotiva, facendo spuntare lacrime a diversi spettatori, ribadendo quanto costi lasciar andar via l'esistenza, e quanto ogni forma d'affetto, che sia l'abbraccio forte di un amico, o lo sguardo innocente di un cane, non sia stata vana, in quel balletto scombinato, balordo e straordinario che è ogni vita.