venerdì 19 luglio 2019

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DOMINO ( Domino, DK/B/I/NL/F 2019)
DI BRIAN DE PALMA
Con NIKOLAJ COSTER-WALDAU, Carice Van Houten, Eriq Ebouaney, Guy Pearce.
THRILLER
Un film che arriva sugli schermi presentato come un errore da parte di chi lo ha fatto, parte già rovinosamente, e c'è da aspettarsi una flagellazione da parte dei recensori, oltre che un rifiuto da parte del pubblico: è successo non poche volte nel cinema americano, con titoli firmati da Alan Smithee ( la firma che contraddistingue, appunto, lungometraggi che hanno avuto lavorazioni contrastate e un director che toglie il nome da titoli e manifesti), ma tuttavia Brian De Palma, per il ritorno sul grande schermo qualche anno dopo "Passion", non ha fatto uscire il suo ultimo lavoro senza metterci faccia e nome. Però ha dichiarato che non lo riconosce come opera sua, in quanto non ha scritto una sola pagina di  copione, e mancherebbe mezz'ora di pellicola ( dura 89 minuti precisi, in effetti non è molto): coproduzione tra cinque paesi, tra i quali mancano gli USA, "Domino" è un thriller che parte da Copenaghen e giunge fino in Spagna via Francia e Belgio, con due poliziotti che giungono sulla scena di un delitto pensando di dover intervenire, invece, in una situazione di violenza domestica, e la faccenda si fa subito cupa, in quanto ci sono in ballo Isis e Cia. A dirla tutta, per quanto emergano forzature vistose nel copione ( lotte al cardiopalma su grondaie senza che nessuno alle finestre si affacci o noti le colluttazioni, i terroristi incontrati per caso, nonostante la caccia viaggi trasversalmente in Europa, da Nord a Sud, con tutte le strade che ci sono, è una possibilità molto remota, via...) e ci sia un finale fin troppo brusco, "Domino" risulta molto meno peggio di quanto paventato. La mano di un autore tra i più interessanti del cinema americano degli ultimi cinquant'anni, pur alle prese con un titolo minore della sua filmografia, si nota eccome in diversi passaggi, nel ricreare un'atmosfera zuppa di suggestioni hitchcockiane, con dettagli che saltano all'occhio per essere decisivi in seguito, ed una costruzione della suspence che molti nuovi registi si sognano, vedi la lunga sequenza del prefinale con un doppio confronto incrociato, capace di tenere lo spettatore in tensione piena. Dirigendo un cast composto da un danese, un'olandese, un australiano e un danese, il regista di "Carrie" appone il proprio sguardo da creatore e appassionato di cinema facendosi riconoscere da chi lo segue da decenni: certo, sono lontani i tempi de "Il fantasma del palcoscenico" e "Omicidio a luci rosse", ma nella rara possibilità di riscontrare regie che abbiano personalità, vale qualcosa anche questo thriller di passioni recondite e intrecci politici sporchi, che, perlomeno, è uno dei pochi titoli che parla apertamente del bizzarro e poco chiaro intreccio tra un'organizzazione folle e ferocissima come l'autoproclamato Califfato e l'onnipresente Agency. 

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