sabato 31 dicembre 2016

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MARK IL POLIZIOTTO ( I, 1975)
DI STELVIO MASSI
Con FRANCO GASPARRI, Lee J. Cobb, Giampiero Albertini, Sara Sperati.
POLIZIESCO
Sull'onda di altri personaggi dal pugno sonoro e dalla mira infallibile, come il commissario Betti di Maurizio Merli, anche il piedipiatti Mark, interpretato dal bello dei fotoromanzi Franco Gasparri, merita un posto, per gli appassionati dell'action all'italiana. Di scena a Pavia, in cui può parere un pò strano che nel 1975, si scatenassero inseguimenti e sparatorie come fosse Los Angeles, il film vede il protagonista indagare su un traffico di droga che vedrà cadere sul campo anche dei suoi collaboratori fidati, e, coinvolto dal fatto di aver accolto dentro casa propria una povera disgraziata in balia dell'eroina, Mark deve giocarsi il tutto per tutto, arrivando all'insospettabile boss. Primo di tre capitoli usciti nell'arco di tre stagioni cinematografiche, "Mark il poliziotto" è un poliziottesco girato con l'abilità che va riconosciuta, nelle scene d'azione, da Stelvio Massi, con un soggetto meno estremista di altri titoli contemporanei dello stesso genere: tra i cattivi, il numero 1 è impersonato da un Lee J. Cobb vistosamente disinteressato al personaggio, non meno lo è Giorgio Albertazzi nella parte del questore. Meglio figura Giampiero Albertini nel ruolo del braccio destro del personaggio principale: Gasparri sicuramente mandò in brodo di giuggiole le fans, essendo uno dei bellissimi dell'epoca, ma si vede eccome che viene dai fotoromanzi, per quanto riguarda l'espressività. Colse comunque un buon successo con questi tre film, e la sua vicenda personale fu molto triste, visto che a neanche quarant'anni rimase in carrozzina per un incidente in moto, perse poi la moglie, e morì abbastanza giovane.

venerdì 30 dicembre 2016

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FLORENCE ( Florence, GB/F 2016)
DI STEPHEN FREARS
Con MERYL STREEP, HUGH GRANT, Simon Helberg, Rebecca Ferguson.
COMMEDIA/DRAMMATICO
Le quattro candidature "alte" ai Golden Globes farebbero presagire una certa considerazione alle prossime nominations agli Oscar, per l'ultimo lavoro di Stephen Frears, girato in Europa, coprodotto tra Francia e Inghilterra. Per curiosa analogia, sullo stesso personaggio realmente esistito, Florence Foster Jenkins, ereditiera americana con l'amore infinito per la musica ed il canto, antitetico alle sue reali capacità canore, in poco tempo sono stati girati due film, questo, e il transalpino "Marguerite", ispirato alla donna, ma senza riportarne il nome, e mutando un pò la storia. Segnata nel fisico e nella salute dalla sifilide, ricevuta in impietoso "dono" dal primo scellerato marito, la Foster Jenkins viene ritratta come una donna dallo spirito possente e positivo, probabilmente inconsapevole della propria inattitudine al canto, riesce a cantare due volte in pubblico, e per audiences sempre maggiori: dietro al tutto, a far da filtro tra lei e un mondo che dà giudizi troppo affrettati, il secondo marito. Scritto con abilità, al punto da far oscillare spesso con proprietà tra commedia sapida e dramma sentimental-umano il copione, "Florence" ha il suo meglio nella descrizione dell'insolita storia d'amore tra la protagonista ed il marito: i due sposi non hanno rapporti carnali, per via del problema contratto da lei, lui ha un'altra donna, ma la loro è una relazione tenera e solida, una forma di protezione reciproca ed un sostegno senza esitazioni, che arriva ad essere toccante e suggestiva, per come Frears sa metterla in scena. Come ci ha abituato il regista inglese, uno dei punti di forza del film è il cast, ben scelto e in parte: Meryl nello stonare è magnifica, anche perchè l'abbiamo sentita cantar bene eccome in "Radio America" e "Mamma Mia!", ma è forse ancor più bravo Hugh Grant, nel ruolo più complesso e sfumato della sua carriera. 

giovedì 29 dicembre 2016

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TIRAMISU' ( I, 2016)
DI FABIO DE LUIGI
Con FABIO DE LUIGI, Vittoria Puccini, Angelo Duro, Giulia Bevilacqua.
COMMEDIA
Ambizioso ma sfortunato, Antonio è sposato con la bella Aurora, fa il rappresentante di medicinali, ma le cose girano meno di quanto vorrebbe, fino a quando, per puro caso, un tiramisù fatto dalla moglie e lasciato per sbaglio in uno studio medico, gli attira la simpatia del dottore, che inizia a introdurlo nell'ambiente: e di lì le cose prenderanno una vorticosa dimensione inarrestabile. L'esordio dietro la macchina da presa di Fabio De Luigi avviene con una commedia ( come era normale aspettarsi) in cui c'è il racconto di una vita di coppia, ma anche di come il successo comporti anche conseguenze sulla vita, e di come il mondo ruoti: alla fine, "Tiramisù", nella sua conclusione edificante, dice cose nemmeno troppo sbagliate, ma ha il difetto di un sacco di trovate buttate lì senza seguito, e, oltretutto, nel 2016, la storia del quarantenne che ancora non ha trovato un'adeguata realizzazione delle proprie forti ambizioni, e che in quattro e quattr'otto agguanta una dimensione extralusso, con tanto di giri tra ministri e alti dirigenti delle case farmaceutiche, via, è a dir poco pressapochistica, e non ci crede nessuno. Dal punto di vista registico, il film è, senza guizzi, ma diligente, però con una sceneggiatura non robusta, il giudizio sulla qualità di De Luigi regista è da rimandare: troppi personaggi che rimangono caratterizzati a mo' di macchietta, l'unico a giovarne davvero è Pippo Franco, cui De Luigi dà modo di fornire forse la miglior interpretazione in carriera. Si è visto di peggio, ma non ci si dispiace quando si arriva ai titoli di coda. 
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COME SPOSARE UN MILIONARIO ( How to marry a millionaire, USA 1953)
DI JEAN NEGULESCO
Con LAUREN BACALL, MARILYN MONROE, BETTY GRABLE, William Powell.
COMMEDIA
Uno dei primi classicissimi interpretati da Marilyn Monroe, in una commedia rimasta negli annali in cui si parte da un'ottica di opportunismo e superficialità, visto che le tre protagoniste hanno sancito un patto, in cui dovranno accaparrare, ciascuna, un marito ricco che garantisca un futuro di bella vita, e si arriva ad una sorta di compromesso tra sentimento e portafoglio. Le tre mannequins, insediatesi in un appartamento di lusso, grazie alle magagne del vero proprietario, valutano via via, alcuni pretendenti, ma, come si sa, le vie del cuore hanno sempre deviazioni non previste... Jean Negulesco dirige con brio, aprendo e chiudendo con un'orchestra che incornicia la storia, un film brillante e spumeggiante, garbato e ben costruito per dialoghi e tempi. Delle tre "sventole" al centro della pellicola, se la Monroe è la più comica, la Bacall è quella di maggior classe, e la Grable, anche se può non sembrarlo, è quella che ha maggior spazio; tra gli altri interpreti, spicca l'eleganza di William Powell nell'impersonare un attempato texano che dà una lezione di vita alla più apparentemente cinica delle tre. Immerso nei colori "gonfi" dell'epoca e nella setosa capacità della macchina da presa del regista francese, "Come sposare un milionario" è, oltre sessant'anni dopo la sua uscita, una forte piacevolezza. 
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PAPILLON ( Papillon, USA/F 1973)
DI FRANKLIN J. SCHAFFNER
Con STEVE MCQUEEN, DUSTIN HOFFMAN, Don Gordon, Anthony Zerbe.
DRAMMATICO
"Papillon" è il soprannome che venne dato a Henri Chàrriere, per via della farfalla tatuata sul petto, autore del romanzo autobiografico da cui questo lungometraggio è tratto. Condannato ad un ergastolo da scontare nell'inferno in terra della Guyana Francese, senza che lo meritasse, "Papillon" tentò l'evasione, considerata impossibile, dato che si trattava di un confino sull'Isola del Diavolo, con mare e correnti fortissime intorno, e una sorveglianza accurata quanto feroce, a più e più riprese: best-seller il romanzo, venne messo in allestimento con un regista solido come Schaffner, due star come McQueen e Hoffman ( anche se il vero protagonista è il primo dei due), per raccontare un'odissea umana che diventa via via, un vero e proprio calvario, con sofferenze fisiche e mentali, e pene draconiane, inclusa la decapitazione via ghigliottina. Filmone d'impostazione classica, con alcune scene oniriche stranianti, che allentano la tensione del racconto, "Papillon" è molto amato da diversi spettatori, ed è sostanzialmente un discreto lungometraggio d'ambiente carcerario, anche se quasi due ore e cinquanta minuti, infine, sono forse anche troppi, e nella seconda parte, le divagazioni con il protagonista che riesce ad approdare ad una parentesi di libertà con alcuni nativi, imblandiscono un pò l'effetto della storia. Certo, il finale, con Papillon e Dega che si salutano per l'ultima volta sulla scogliera, entrambi provati, alterati e invecchiati dall'esperienza orrida della galera, ma con il personaggio principale non ancora domo, è una scena memorabile, e Steve McQueen dona carisma ma anche la giusta fragilità al personaggio, mentre Dustin Hoffman, che con l'altro, sembra, non avesse trovato buon feeling sul set ( ma con McQueen riuscì a pochi, durante la lavorazione, per via del carattere forte e strafottente), appare meno intenso. 
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FREQUENCY-Il futuro è in ascolto ( Frequency, USA 2000)
DI GREGORY HOBLIT
Con DENNIS QUAID, JIM CAVIEZEL, Shawn Doyle, Elizabeth Mitchell.
FANTASTICO/THRILLER
Padre e figlio divisi dalla crudeltà della vita, si ritrovano grazie alla radio da amatore del primo, e sulle prime non si riconoscono nemmeno: la cosa più singolare è che uno trasmette dal 1969, l'altro dal 2000.....Lo spunto di "Frequency" è interessante eccome, e, come da tradizione dei film fantastici sulle linee temporali, va da sè che una delle componenti importanti della storia è che, con le informazioni di poi, potendo cambiare il passato, è inevitabile che si alteri il futuro: Gregory Hoblit, che aveva fino a questo titolo diretto un paio di titoli interessanti come "Schegge di paura" e "Il tocco del Male", non dosa del tutto bene le due componenti di genere del film, che ad una prima parte più orientata sul fantastico, fa seguire una seconda a forte connotazione da thriller, e fin qui non ci sarebbe niente di male. Il problema è che, appunto, le giravolte tra oggi e ieri non sono fluidissime, e poi, soprattutto, la soluzione delle cose è semplicemente fuori da una qualsiasi logica narrativa, perchè, con tutto quel che si possa far passare ad un racconto di diverse forme di "accaduto" non può tornare la chiusura, che sarebbe il colpo di scena, con relativo happy ending. Tra i due coprotagonisti, apprezzabili sia Quaid che Caviezel, con qualche punto di vantaggio del primo sul secondo. 

martedì 27 dicembre 2016

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POVERI MA RICCHI ( I, 2016)
DI FAUSTO BRIZZI
Con CHRISTIAN DE SICA, ENRICO BRIGNANO, Lucia Ocone, Ludovica Comello.
COMMEDIA
A vincere 100 milioni ( anzi, "mijoni") mica son capaci tutti: la famiglia Tucci, di Torresecca, periferia laziale, sbarca a fatica il lunario, ma con un colpo di fortuna vince al gioco la somma. Inizialmente cercano di tener segreta la cosa, ma i soldi danno alla testa, e ogni membro della casa non riesce a trattenere la voglia di spendere e spandere, e così tutta la banda parte alla volta di Milano, per infilarsi nel jet set e vivere "alla grande". La commedia natalizia con Christian De Sica, quest'anno, è diretta da Fausto Brizzi, e rispetto ai vari "Natale" qua e là, concentra maggiormente il racconto su un canovaccio meno dispersivo, con un inizio, ed una fine. Va riconosciuto al regista di aver messo insieme attori funzionali, nonostante Brignano continui a faticare a trovare una propria dimensione sul grande schermo: magari, la morale che i soldi non fanno la felicità, è un pò trita, e si intuisce molto prima che arrivi la parola fine, dove si vada a parare. Però, rispetto al solito, il filmetto è meno volgare e tirato via, non ancora una pellicola da consigliare a chi vuol andare a vedere qualcosa di riuscito, ma volenteroso, questo sì. Nonostante il "cameo" di Albano, e qualche inciampo tra il mieloso e l'improbabile nella storia sentimentale tra Brignano e la Comello. Ma d'altronde, Brizzi è anche questo...
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L'UOMO VENUTO DALLA PIOGGIA ( Le passager de la pluie, F 1970)
DI RENE' CLEMENT
Con  MARLENE JOBERT, CHARLES BRONSON, Gabriele Tinti, Jill Ireland.
THRILLER
Bella signora borghese, moglie di un pilota di linea, viene seguita fino nella villa dove abita da uno sconosciuto, e lì subisce una violenza dall'uomo: riuscita a liberarsi, spara e uccide l'uomo, nascondendone il cadavere. Viene successivamente avvicinata da un misterioso americano, che dice di essere un militare, e sembra sapere qualcosa di quel che le è successo.... Stretta tra l'incalzante presenza del nuovo arrivato, e le scenate di gelosia di un marito tendente al superficiale, la protagonista si ritrova coinvolta in una trama che vede di scena anche i servizi speciali. Charles Bronson girò alcuni titoli tra Francia e Italia, consolidando la sua icona di duro dalle spalle larghe e dallo sguardo stretto, e "L'uomo venuto dalla pioggia" contiene una delle migliori interpretazioni dell'attore di "Chato": la bellissima e inquieta Marléne Jobert si accolla molto della storia, caratterizzando bene un personaggio vulnerato, confuso, ma anche tenace. Il meglio di questa pellicola è da ricercarsi nel legame che arriva vicinissimo a diventare un sentimento tra i due personaggi principali, ed infatti "Le passager de la pluie" è difficilmente catalogabile: non è un giallo, perchè le cose "misteriose" si sanno subito, non è un film di spionaggio, perchè per quanto presenti trame internazionali, stanno molto sullo sfondo.
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MATRIMONIO AL SUD  ( I, 2015)
DI PAOLO COSTELLA
Con MASSIMO BOLDI, Biagio Izzo, Paolo Conticini, Barbara Tabita.
COMICO
Ormai la compagni di giro è definita, e una volta l'anno gira un film: i numeri non saranno più quelli di un tempo al botteghino, per l'ex-premiata coppia Boldi-De Sica, ma i lungometraggi si vendono ai canali televisivi, e probabilmente il ritorno economico c'è eccome. C'è appunto Boldi nel ruolo del ricco milanese un pò fesso, Biagio Izzo socio o futuro parente acquisito napoletano, Paolo Conticini belloccio furbastro e acchiappasottane toscano, Enzo Salvi coatto romano stonato, e qualche bellezza di turno. Qua si vuole che si organizzi un matrimonio tra i figli dei primi due, e tutta l'organizzazione rischi di far saltare perfino le famiglie d'origine, grazie a intrallazzi, tresche e uscite boccaccesche: regia di servizio, senza spessore, e via libera ai commedianti. Si può dire che il giochino è stracco, ma da anni, che trovare un motivo per lasciare andare una risata, ma anche un sorriso, è arduo, che ormai tutti recitano quasi fuori tempo, meccanicamente, senza minimo coinvolgimento professionale. Tutte cose che si sapevano, ma arrivare alla fine di un'ora e mezza così può diventare più pesante di un film lungo quattro.

giovedì 22 dicembre 2016

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SQUADRA SPECIALE ( The Seven-Ups, USA 1973)
DI PHILIP D'ANTONI
Con ROY SCHEIDER, Tony Lo Bianco, Richard Lynch, Larry Haines.
POLIZIESCO
I "Seven-Ups" del titolo originale erano un ramo della polizia newyorkese, i cui arresti erano per gente che commetteva reati punibili con non meno di sette anni di pena. Nell'era in cui il poliziesco rinacque, quelli, per dire, de "Il braccio violento della legge" e "Serpico", l'ottica con cui veniva raccontato il mondo dei tutori della legge, al cinema, cambiò considerevolmente, facendo luce su pecche e sfumature di chi deve applicare le regole e le divisioni all'interno dei vari corpi, ma anche delle stesse squadre investigative. Qua un team di poliziotti indaga su dei ricattori , che rapiscono e estorcono soldi a pezzi grossi dell'ambiente della mala: il giro dei soldi è grosso, e il protagonista, un agente italoamericano, si serve di un informatore che ritiene anche un amico. Diretto da Philip D'Antoni, che girò un solo titolo, questo, "Squadra speciale" è un poliziesco girato sulle strade e nella vera New York, che ha una buona idea come il trucco dell'autolavaggio per ritirare il malloppo dei riscatti, e una grande scena d'azione, quella dell'inseguimento, tiratissima e avvincente, fino allo spasimo, che vale la visione del film, con una buona interpretazione di Roy Scheider, piedipiatti con ancora un senso morale, cui viene contrapposto un credibile attore, specialista nei panni del corrotto e psicotico come Richard Lynch, con resa dei conti violenta e a bruciapelo. Oggi in pratica dimenticato, è un buon titolo, sobrio, ma con momenti spettacolari come appunto la caccia ai delinquenti di cui prima. 

domenica 18 dicembre 2016

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THE INFILTRATOR ( The infiltrator, USA 2016)
DI BRAD FURMAN
Con BRYAN CRANSTON, Helen Kruger, John Leguizamo, Benjamin Bratt.
DRAMMATICO
Robert Mazur è stato davvero un infiltrato nei cartelli della droga, che fece arrestare alcuni dei personaggi più famigerati e banchieri collusi con la malavita, a suo rischio e pericolo: ambientato a metà anni 80, "The infiltrator" narra il cambio d'identità dell'agente FBI in Bob Musella, affarista che viene preso in simpatia dal boss Roberto Alcaino, braccio destro di Pablo Escobar, e arriva ai piani alti dell'organizzazione. Il film, ben scritto dalla moglie del regista, Ellen Brown Furman, racconta bene il mondo in cui polvere bianca e soldi si fondono a omicidi e reati di vario genere, ed in contemporanea dipinge la paranoia della paura di essere scoperti, miscelata al coinvolgimento dell'altra identità in rapporti, che poi diventano umani: in questo senso, Brad Furman evita la banalità del troppo visto mondo dei gangsters alla "Scarface", facendo vedere la diversità di vita tra livelli di malavitosi, in pratica, una ripetizione distorta della società "fuori", e tratteggiando frammenti di vita domestica che, se non fossero dovuti a traffici sanguinari, potrebbero anche apparire come normalissimi. Buona parte della riuscita della pellicola, la quale, inspiegabilmente, da noi non ha trovato la via della proiezione in sala, è dovuta anche alla bravura degli interpreti, in cui si distingue Bryan Cranston, purtroppo esploso non giovanissimo, che è uno dei migliori attori americani su piazza, in questi anni, notevole la scena in cui, sotto pressione per il terrore di essere smascherato, fa una scenata indegna ad un povero cameriere in un ristorante: ma c'è modo per emergere anche per John Leguizamo, molto attivo come caratterista, e Diane Kruger, ormai inserita a tempo pieno nel panorama hollywoodiano. 
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ROGUE ONE- A Star Wars story ( Rogue One, USA 2016)
DI GARETH EDWARDS
Con FELICITY JONES, Diego Luna, Ben Mendehlson, Donnie Yen.
FANTASCIENZA
Come annunciato dalla Disney, per gli appassionati del mondo di "Star Wars" non ci sarebbe stata "solo" una nuova trilogia, avviata l'anno scorso con il settimo episodio, "Il risveglio della Forza"; ma anche una "Anthology" che prevede capitoli che sono "spin off" con personaggi classici cui sono dedicati film da protagonisti ( vedi "Il giovane Han Solo" prossimo venturo), o "stand alone", storie autoconclusive, che narrano cose ambientate nel Lucasverso, che aiutano a chiarire argomenti lasciati in sospeso. Con "Rogue One", tutto ruota intorno ai famosi piani segreti dello schema della Morte Nera, che sono decisivi nel quarto episodio della saga, per aiutare i caccia capitanati da Luke Skywalker a distruggere l'ordigno dell'Impero. Guidata dalla figlia dell'ingegnere che ha progettato lo strumento spaziale di morte, una gang multietnica di cui fa parte anche un robot imperiale riprogrammato, diventa decisiva per l'intera serie: perchè, in un momento in cui l'Alleanza ribelle conosce la disillusione, questa squadriglia improvvisata azzarda un ostinato attacco ad un punto nevralgico del nemico, che rimette tutto in discussione. La sceneggiatura di Paul Weitz e Tony Gilroy ( due registi), presa in mano dal regista Gareth Edwards, che già era parso assai interessante quattro anni or sono, con "Monsters", e lo aveva confermato con il suo "Godzilla", appare inizialmente un pò dispersiva, ma quando il meccanismo ingrana, il fan di ieri e di oggi, ma anche l'appassionato di fantascienza qualsiasi, ritrova il batticuore dell'entusiasmo che, nel 1977, cambiò per molti aspetti il cinema fantastico. Edwards strizza l'occhio ai cinefili (c'è anche un mostriciattolo che ricorda il "collega" de "L'occhio del gatto"), e mette su un filmone di guerra e avventure nello spazio, meno adatto, probabilmente, al pubblico giovanissimo, perchè, alla base, sottolinea che per vincere una guerra si devono mettere in conto grosse perdite e il sacrificio di tanti, per un ideale da raggiungere. Inoltre, questo film crea un precedente finora solo accennato: rivediamo, sorpresona, Peter Cushing, scomparso nel 1994, reinterpretare il Grand Moff Tarkin ( aspettiamoci di ritrovare sugli schermi, recitanti, Gregory Peck, Laurence Olivier, John Wayne....), ricreato al computer e perfettamente espressivo. L'uso, centellinatissimo, di Darth Vader, di cui conosciamo finalmente l'abitazione, è un altro colpo di regia, così come il suo ingresso in scena, nonchè l'aggancio, esatto, alla sequenza da cui tutto partì.

giovedì 15 dicembre 2016

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NON C'E' PIU' RELIGIONE ( I, 2016)
DI LUCA MINIERO 
Con CLAUDIO BISIO, ALESSANDRO GASSMAN, Angela Finocchiaro, Nabiha Akkari.
COMMEDIA
Un presepe vivente, che sarà mai? Eppure, visto che, come indicato prima ancora dei titoli di testa, l'Italia sta diventando un Paese pericolosamente a natalità decrescente, nell'isola del Sud in cui è ambientato "Non c'è più religione", un evento del genere, può creare problemi, perchè di bambini del posto non se ne trovano, e quindi il sindaco deve appellarsi alla comunità musulmana affinchè "presti" un infante a fare Gesù Bambino: ma se la politica è trattativa, la religione dovrebbe esser confronto, e invece.... Luca Miniero torna alla regia, divenuto uno dei nomi "sicuri" del box-office, dopo i successi "Benvenuti al Sud", "Benvenuti al Nord", "Un boss in salotto", e tira fuori, appena prima delle feste, una commedia che vorrebbe far sorridere su un tema  non semplice, come la convivenza tra credi religiosi: una delle caratteristiche del cinema di Miniero è la sostanziale fratellanza tra persone di provenienza, status e idee diverse, e questo è da apprezzare, in un momento storico in cui, più che mai, si preme per dividere la gente. Però, tra questo intento, e l'avvio con "Personal Jesus" dei Depeche Mode, e la conclusione con "4 Marzo 1943" di Lucio Dalla, per il resto non c'è granchè di salvabile in questo film, nonostante la presenza, tra gli sceneggiatori, di una delle firme migliori di copioni degli ultimi trent'anni come Sandro Petraglia ( senza il sodale Rulli): l'umorismo è stinto, non si ride in pratica mai, il tema principale è svolto maluccio, si ironizza a ripetizione su un bambino grasso ( ma Alessandro Siani, per medesima brutta uscita, non fu virtualmente accusato a ripetizione?), e grava uno spirito doncamillesco tardivo, che non è molto salutare, nel contesto. Per quanto riguarda gli attori, poi, in un contesto in cui ovviamente ognuno parla con un accento diverso, nonostante paia che siano cresciuti tutti nello stesso posto, a sentire il copione, Bisio, Gassman e la Finocchiaro offrono solo stanche ripetizioni, senza alcun estro, del loro consolidato mestiere, e niente più.

lunedì 12 dicembre 2016

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SNOWDEN ( Snowden, USA/D, 2016)
DI OLIVER STONE
Con JOSEPH GORDON-LEVITT, Shailene Woodley, Melissa Leo, Zachary Quinto.
DRAMMATICO
Due ore e un quarto sono un lasso di tempo relativamente esiguo, ma bastano a Oliver Stone per tracciare in maniera piuttosto eloquente, al cinema, la vicenda di Edward Snowden, che portò alla luce la rete di sorveglianza globale messa in atto dall'agenzia NSA, e da lì in poi è considerato fuorilegge negli Stati Uniti, e vive in Russia, ove ha chiesto asilo politico. La cinematografia dell'autore di "Nato il Quattro Luglio" include un altro tassello, che aumenta la visione della recente Storia americana, secondo il regista che trionfò a metà anni Ottanta con la guerra del Vietnam raccontata in "Platoon": cast importante, in cui trova posto anche, per tre scene, ma peraltro ben recitate, Nicolas Cage, e una sceneggiatura zeppa di dialoghi ma fluente e ben illustrativa di fatti successi appena ieri, e non poco complessi. Non dimentichiamoci che Stone è dietro agli scripts di titoli come "Fuga di Mezzanotte", "Conan il barbaro", "Scarface", prima ancora di debuttare da regista, e quindi, se da un lato l'insinuazione di certa critica, di sforare talvolta nella retorica, forse non è sempre stata spropositata, va detto che questo è un uomo di cinema capace e che sa fondere storie private e magniloquenza dello sfondo storico del contesto. Biopic che sfiora il thriller spionistico, anche se narra, certo, riadattando a livello di scrittura cinematografica, cose accadute davvero, "Snowden" è forse lontano dall'intensità emotiva dei titoli sopra citati, dello stesso regista, ma forse è giusto, per far maggiormente concentrare lo spettatore sulla consistente mole di informazioni fornitegli, e dargli modo di valutare la gravità della disinvoltura con cui il Potere scavalca diritti; in pratica, la chiave di lettura del film è il sarcasmo con cui si guarda a come la "patria della Libertà" si comporti, sotto l'influsso della paura, rubando i segreti di chiunque, nè più, nè meno come i servizi segreti dell'URSS, che erano sempre stati accusati di violare qualsiasi cosa della vita privata dei cittadini. 

domenica 11 dicembre 2016

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LADYHAWKE ( Ladyhawke, USA 1985)
DI RICHARD DONNER
Con MATTHEW BRODERICK, RUTGER HAUER, MICHELLE PFEIFFER, Leo Kern.
FANTASTICO/AVVENTURA
Girato tra Massa Carrara, Cremona, Piacenza e L'Aquila, è praticamente ambientato nell'Italia medievale, questo film sospeso tra cinema fantastico-fiabesco e avventura, in cui si vuole che due amanti siano destinati, da un maleficio, a non potersi incontrare mai, perchè la notte lui diventa un lupo, e lei di giorno un falco. Caso vorrà che un ladruncolo dia una decisiva mano per risolvere l'astrusa e odiosa questione. Richard Donner, nello stesso anno in cui avrebbe diretto "I Goonies", realizzò anche questo lavoro, che al pubblico piacque, senza però che gli incassi fossero esorbitanti: a modo loro, sia "Ladyhawke" che il film sui ragazzini di Goon Bay sono diventati, negli anni, dei piccoli cult generazionali, e comunque va detto che il regista di "Superman" era un professionista abile a girare e a cercare consenso popolare, comunque facendo lungometraggi non scadenti. Certo, le musiche cui anche Alan Parsons ha messo mano, nelle scene di battaglia, sono abbastanza forzate, tranne il tema principale, e per stare in equilibrio tra favola, azione e ironia, lo script è talvolta sbalestrato, e non sempre convince del tutto. Soprattutto la resa dei conti finale, non è all'altezza dell'attesa dello spettatore, con duelli sottotono: tra i tre coprotagonisti, splendida Michelle Pfeiffer, simpatico Matthew Broderick, carismatico ma non accattivante Rutger Hauer.

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LA VIA DEL WEST ( The way West, USA 1967)
DI ANDREW V. MCLAGLEN
Con KIRK DOUGLAS, ROBERT MITCHUM, RICHARD WIDMARK, Lola Albright.
WESTERN
Alla volta dell'Oregon, un senatore sprona e capeggia una carovana, affinchè raggiunga la meta prescelta: è l'era dei pionieri, e l'America è un territorio di conquista. Ma, come tutti gli esodi, anche questo avrà pagine difficoltose, e anche molto drammatiche. Tre i nomi di peso, del genere, e del cinema hollywoodiano in genere, per questo western di Andrew V.McLaglen, come Kirk Douglas, Robert Mitchum e Richard Widmark, che impersonano, rispettivamente, il volto nuovo della classe dirigente, che vuole guardare al futuro, perfino con troppa faciloneria, e autorità verso la gente, l'uomo d'esperienza che parla anche con i pellerossa, e sa di far parte del passato, e il pioniere che colonizzerà e prolifererà nel nuovo territorio. Pare che sul set, Mitchum e Widmark non se la dicessero granchè con Douglas, che era anche uno dei produttori del film, e, secondo loro, aveva preso fin troppo sul serio il comandare sul regista: peccato che "La via del West" sia un western tardo, della fase in cui il genere stava conoscendo una forte involuzione, e che non fosse stato realizzato da altri mani registiche, tipo un Raoul Walsh, anche, perchè lo spessore tragico della figura del senatore, che conosce le parti più dolorose del viaggio, fino al finale amaro, è interessante, e i tre interpreti, comunque, forniscono un buon lavoro sui personaggi principali. Nella seconda parte, magari, il personaggio dello scout di lungo corso di Mitchum è un pò accantonato, però come film di scuola classica, questo, senza ambire ad essere annoverato tra quelli memorabili, è un western ben confezionato.

mercoledì 7 dicembre 2016

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THE MAGIC OF BELLE ISLE ( The magic of Belle Isle, USA 2012)
DI ROB REINER
Con MORGAN FREEMAN, VIRGINIA MADSEN, Emma Fuhrmann, Madeline Carroll.
COMMEDIA/DRAMMATICO/SENTIMENTALE
Scrittore di romanzi western di discreto successo, un tempo, ha perso l'uso delle gambe e si è dedicato fin troppo a quello della bottiglia, e va a vivere in un posto chiamato Belle Isle, vicino ad una famiglia composta da quattro donne: se sulle prime la comunicazione non è fluidissima, piano piano tra i vicini nascerà un rapporto forte. Dramedy senza colpi d'ala, dato che quello che più è stato decisivo, nelle vite dei protagonisti, è accaduto, "The magic of Belle Isle" ricorda molto svariati film per la tv fatti più che altro di buoni sentimenti, e di poco altro. Nonostante la firma di serie A di Rob Reiner, e due attori validi come Morgan Freeman e Virginia Madsen, la storia non decolla, e approda verso il finale dolciastro che ci immaginiamo fin dalle prime battute. Resta una confezione più che decorosa, la buona tecnica attoriale dei due coprotagonisti, e tuttavia, anche questo, è un inedito con nomi "pesanti": una tendenza sempre più marcata, anche per via dei fin troppi canali di distribuzione del cinema di oggi. Ma davvero costa meno non distribuirli nelle sale?

martedì 6 dicembre 2016

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LA NOTTE DEL GIUDIZIO- Election year
( The Purge: Election year, USA 2016)
DI JAMES DE MONACO
Con FRANK GRILLO, ELIZABETH MITCHELL, Mykelti Williamson, Betty Gabriel.
FANTASCIENZA/AZIONE
Episodio numero 3 della serie di fantascienza, senza effetti speciali, ma semplicemente ambientata in un futuro inquietante, in cui gli USA sono diventati un Paese con un buon livello di vita, salvo, in una notte all'anno, diventare una jungla pericolosissima, in cui ognuno ha diritto di massacrare chi voglia in nome dello "Sfogo" ( Purge in originale), facendo la fortuna dei mercanti d'armi e di chi vende impianti di sicurezza. Il primo capitolo era raccontato dall'interno di chi appunto aveva escogitato un impianto relativamente sicuro, salvo farsi invadere casa dagli efferati vicini, ed il secondo invece scendeva giù in strada, con un manipolo di sventurati capeggiati dal duro Frank Grillo: il numero tre ricalca il titolo precedente, con una senatrice che punta a farsi eleggere alla presidenza degli States, per abolire l'insano rituale. Il regista James De Monaco sa girare le scene d'azione, e costruire una buona tensione, abbozzando anche uno sfondo sociologico sulla natura violenta degli americani-tipo, peccato che questo atto terzo sia un pò troppo similare al numero due, e forse sarebbe cosa buona chiuderla qui. Anche se è annunciato un prequel che racconterebbe di come l'America sia arrivata a diventare uno Stato che autorizza l'omicidio in nome della tenuta della società. Il film in sè, per chi non ha visto i primi due, può essere anche interessante, ma il rischio, di episodio in episodio, di far diluire la carica critica di un tema intelligente, è solido. Frank Grillo rimane un attore che andrebbe fatto lavorare di più, un caratterista che sta guadagnandosi, oltre i cinquant'anni, una riconoscibilità meritata.
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IL COMPAGNO B ( Pack up your troubles, USA 1932)
DI GEORGE MARSHALL e RAYMOND MCCAREY
Con STAN LAUREL, OLIVER HARDY, Jacquie Lyn, Donald Dillaway.
COMMEDIA
Refrattari al farsi arruolare, Stanlio e Ollio tentano di scampare alla partenza in guerra, e naturalmente vengono smascherati: conoscono un commilitone, che è stato abbandonato dalla moglie, ed ha una bambina. Dopo la morte dell'amico in guerra, prendono la figlia in affidamento, per farla tornare dai nonni, e non sarà semplice.... Uno dei film della coppia Laurel/Hardy più conosciuto, rieditato a più riprese, e trasmesso in tv, soprattutto negli anni dele telelibere, con una delle trame più elaborate, e meno affidate alle gags dei due comici: pur divertente in alcune scene, si affida fin troppo ad una sceneggiatura, come usava all'epoca, che si basa su uno spunto, volendo, lacrimoso, come il ritorno di un infante alla famiglia d'origine. Il titolo italiano fu un pasticcio dovuto ad una traduzione non ben fatta, visto che si tratta del nome della compagnia cui appartengono Stanlio e Ollio, ed il commilitone con cui divengono amici, e non una delle iniziali dell'altro soldato: tuttavia, piacevole come visione, ma il ritmo non è sfrenato, e non si ride come ci hanno abituati questi due principi delle comiche classiche. 

domenica 4 dicembre 2016

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ANIMALI FANTASTICI E DOVE TROVARLI
( Fantastic beasts and where to find them, USA/GB 2015)
DI DAVID YATES
Con EDDIE REDMAYNE, Katherine Waterston, Dan Fogler, Colin Farrell.
FANTASTICO
L'idea di andare a vedere un prequel della saga di Harry Potter, di cui, oltretutto, sono annunciati altri quattro capitoli, per chi non si è invaghito delle avventure del piccolo mago di Hogwarth, della congiura di Voldemort e dei match di quidditch, non è esattamente allettante: lo dico appunto da non appassionato della serie cinematografica tratta dai romanzi di J.K. Rowling, ma, come è giusto sottolineare ancora una volta, mai farsi condizionare dai pregiudizi. Infatti, ambientata negli anni Venti, e negli Stati Uniti appena prima della Grande Depressione, si dipana una storia a proposito di un cercatore di creature meravigliose, che egli nasconde in una valigia magica, e difende ad ogni costo, che si rivela divertente e appassionante. In ballo c'è una società segreta di maghi che non vuole rivelarsi, un partito politico che punta alla caccia alle streghe ( anticipatore del Maccartismo?) e un'entità distruttrice che forse potrebbe essere solo potente, ma non pericolosa se gestita senza malvagità: con alcuni riferimenti cinefili a Marlon Brando ( il pasticcere che si chiama Kowalski come Marlon in "Un tram che si chiama desiderio", e la voliera dei piccioni sul tetto come in "Fronte del porto"...), la Rowling stessa ha sceneggiato questo film che apre una nuova serie, con un piglio molto più ironico delle gesta potteriane, e un'ispirazione se possibile maggiore. David Yates, fin qui non molto convincente, al di là del saper imbastire meccanismi spettacolari, soprattutto nella prima parte, riesce a costruire un film da grossi numeri con aperture al fantastico poderose, che rendono questo come il suo lavoro fin qui più convincente. Tra gli interpreti, lo sguardo di meraviglia di Eddie Redmayne regge il confronto con l'ambiguità torca di un Colin Farrell che ricorda sempre di più Glenn Ford, ma da tener d'occhio è  nel ruolo dell'involontario aiutante del protagonista Newt Scamander, il talento comico del pingue Dan Fogler.
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SULLY ( Sully, USA 2016)
DI CLINT EASTWOOD
Con TOM HANKS, Aaron Eckhart, Laura Linney, Mike O' Malley.
DRAMMATICO 
"Sully" è il nomignolo del comandante Chesley Sullenberger, che la mattina del 15 Gennaio 2009, guidò l'aereo pilotato verso un ammaraggio sull'Hudson, riuscendo a salvare 155 persone: nei motori del velivolo era entrato uno stormo di uccelli, causando un'avaria destinata a far precipitare l'aeroplano. Il film di Clint Eastwood narra sia lo straordinario evento, che il retroscena dell'inchiesta sull'incidente, che, in pratica, mise sotto processo il pilota, già acclamato dall'opinione pubblica, e puntò sull'errore umano. A dispetto di quanti, la scorsa Estate, abbiano inveito verso Eastwood ed il suo annuncio di votare Trump, senza tener conto della coerenza, in fondo, di un americano che si è sempre dichiarato repubblicano, e, comunque, ha un'idea salda sia della società USA, che rispettosa della democrazia, il vecchio Clint ha ancora mano ferma nell'allestire il proprio cinema. Che è fatto di analisi, osservazione, classicità, e sa raccontare con semplicità narrativa le vicende scelte, ponendo un altro capitolo importante, in una filmografia, registicamente parlando, di pieno valore. "Sully", senza retorica tronfia, è un'opera non sull'individualismo di un eroe "normale", ma sul trionfo della collettività, che contribuirebbe a rendere migliore una società: fin dall'inizio il copione sottolinea, sì, la scelta personale del pilota di tentare una manovra azzardata, certo, ma anche decisiva nel non creare un numero di vittime molto alto ( perchè un aereo che si sfracella in piena città, al mattino, farebbe morti a iosa, non dimentichiamolo), ma ancor più l'intervento fondamentale di tutta la città al fine di scongiurare il peggio. Tom Hanks è, sempre di più, l'uomo che vorremmo avere per vicino di casa, prenota un'altra candidatura all'Oscar, e dà la giusta calibratura ad un uomo comune che si addossa sensi di colpa, dubbi, ma anche la coscienza di aver agito per il meglio ( esemplare la scena in cui Sully controlla ogni postazione sull'aereo, prima di abbandonarlo). In un film bello e asciutto, che sostiene appieno l'importanza, in ogni circostanza, del fattore umano, e fa sperare che l'avventura cinematografica eastwoodiana non sia ancora conclusa.

sabato 3 dicembre 2016

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LA FAMIGLIA FANG ( The family Fang, USA 2015)
DI JASON BATEMAN
Con NICOLE KIDMAN, JASON BATEMAN, Christopher Walken, Maryann Plunkett.
DRAMMATICO
Fino da bambini, Annie e Baxter Fang sono stati "collaboratori" dei genitori, due artisti-provocatori, che nelle loro performances hanno sempre coinvolto la prole, con numeri spesso spiazzanti per l'involontario pubblico del caso: divenuti adulti, e pagato a prezzo abbastanza caro lo scontro con la realtà, i due ex-ragazzi sono diventati un'attrice la cui carriera è sempre stata in bilico tra il fallimento ed un'incerta affermazione, ed uno scrittore che non sa concludere un romanzo. Quando i due genitori scompaiono, e la loro auto viene ritrovata vuota, con tracce di sangue all'interno dell'abitacolo, parte una ricerca, non molto convinta, dei due, che porterà i due fratelli ad affrontare le troppe cose sospese della loro esistenza, e del rapporto con i bizzarri genitori. Diretto dal coprotagonista Jason Bateman, alla seconda regia cinematografica, "La famiglia Fang" è un dramma familiare a tinte non grevi, con qualche tocco surreale che sconfina nel brillante: è anche una disquisizione sulle irresponsabilità dei genitori troppo presi da se stessi per realizzare quanto i loro errori possano pesare sui discendenti, e su chi realizzi una qualsiasi forma di maturità, non importa a che punto del proprio percorso di vita. Nel disegno generale di un'opera discontinua ed interessante, che, a un certo punto, diventa una sorta di thriller esistenziale, spicca la buona sintonia tra una Nicole Kidman intensa, in uno dei ruoli meglio sostenuti dall'attrice negli ultimi anni, e lo stesso Bateman, che dà tocchi giusti al proprio scrittore frustrato e intimidito dalle cose, facendo pensare che sia un interprete ancora tutto da scoprire.

mercoledì 30 novembre 2016

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PAY THE GHOST ( Pay the ghost, USA 2015)
DI ULI EDEL
Con NICOLAS CAGE, Sarah Wayne Callies, Veronica Ferres, Lyriq Bent.
HORROR/FANTASTICO
Durante una parata, nella notte di Halloween, un professore universitario perde il figlioletto, nonostante lo stesse tenendo per mano: la ricerca comincia subito disperata, ma la spiegazione è più complicata di un "normale" rapimento, perchè c'è di mezzo il soprannaturale. Noi spettatori, infatti, abbiamo visto in apertura del film un prologo ambientato nel 1635, in cui dei bambini, nascosti in una cantina, vengono trovati e tirati fuori. Il fatto accaduto al protagonista, è legato a una faccenda successa, appunto, quasi quattrocento anni prima. Diretto dal tedesco Uli Edel, che esordì con "Cristiana F. " e probabilmente, all'epoca, nessuno avrebbe predetto che sarebbe arrivato a girare una pellicola così distante da quel suo lavoro, come questa, "Pay the ghost" è un horror molto blando, si direbbe quasi "per famiglie", visto che tutto sommato si viaggi su un binario fantastico, ma senza eccedere negli spauracchi e nelle truculenze. Si dirà che Nicolas Cage ne ha fatti ben di peggio: verissimo, e più d'uno. Ma nel girare film a catena, come ormai ci ha abituati il divo americano, per i guai con il fisco ormai celeberrimi, è sempre più difficile stupirsi: anche la sequenza del climax, in cui c'è lo scontro con l'entità tenebrosa, in cui il protagonista si gioca il tutto per tutto, è vistosamente per un pubblico di giovanissimi. In ciò non c'è niente di male, certo, se ci si fosse curati, almeno, di imbastire un racconto più avvincente, e colpi di scena meno scontati...
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LUCA IL CONTRABBANDIERE ( I, 1980)
DI LUCIO FULCI
Con FABIO TESTI, Marcel Bozzuffi, Ivana Monti, Saverio Marconi.
AZIONE/DRAMMATICO
Nell'epoca della cinefilia 2.0, spesso sono state messe in atto rivalutazioni di cinema considerato di serie B o C, il "trash" è divenuto qualcosa di cui discettare, e registi più di mestiere che di concetto sono stati passati ad autori, da qualche blogger o critico più provocatorio. Su Lucio Fulci, anche da gente di cinema come Argento e Tarantino, la "riabilitazione" è già stata effettuata, e c'è da dire che sia stato uno dei Signori delle terze visioni, con film che incassavano piuttosto poco, distribuiti alla fine dell'Estate più che altro, cui già il mercato home video ha fatto gli onori. Però, per quanto Fulci fosse uno che sapeva girare eccome, notare qui l'uso del ralenti, molto efficace e fluido, e, per dire, l'inseguimento iniziale in motoscafo, "Luca il contrabbandiere" rimane un brutto film. Moralmente aberrante, ambientato in una Napoli in cui si compiono stragi e omicidi di una violenza rivoltante, senza che lo Stato o chicchessia trovi da ridire, con un ricorso all'eccesso, sia nel mostrare gli omicidi, che una scena di violenza carnale, troppo marcato per non dare una sensazione di compiaciuto, volontaria o no che sia. Fabio Testi è monoespressivo in maniera particolare, Bozzuffi fa il carognone sadico, e se la musica di Frizzi è ricalcante alcuni passaggi della colonna sonora de "Il padrino", la solfa della mala "pulita" vecchia maniera è ridicola e inaccettabile. 

martedì 29 novembre 2016

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GLI INVISIBILI ( Time out of mind, USA 2014)
DI OREN MOVERMAN
Con RICHARD GERE, Ben Vereen, Jena Malone, Kyra Sedgwick.
DRAMMATICO
Storie di ordinaria disperazione si incrociano tra senzatetto che, per scelta, indole, o concatenazione di fatti, sono finiti elemosinando un posto in cui dormire al caldo, o qualcosa da mettere in corpo per sopravvivere un giorno ancora. Di solito il tema non fa molta gola al cinema, ed il clochard è visto in maniera poeticamente surreale, qua da noi, o, oltre oceano, viene dipinto spesso con artefazione. "Gli invisibili" è un lungometraggio realizzato un paio d'anni fa, che, nonostante il protagonista sia Richard Gere, è uscito da noi solo da poco: George è un uomo maturo, non del tutto in sè, che ricorda di aver avuto una vita, dice di aspettare ancora la sua donna, e ha una figlia che va a vedere fuori dal vetro del locale in cui la ragazza lavora come barista. C'era tutto il materiale possibile per tirarne fuori una storia lacrimosa e tendenzialmente ricattatoria, come successe, per esempio, in "Ironweed" in cui Meryl Streep e Jack Nicholson fornirono una prova tra le più forzate e sovraccariche della loro fulgida carriera: il film diretto da Oren Moverman si fa apprezzare per la sostanziale sobrietà con cui racconta sia lo sfasamento delle giornate di George, che la sua progressiva presa di coscienza della sua condizione. E, soprattutto, non si chiude su un finale per forza rassicurante: è buon tramite Richard Gere, attore che negli anni ha conosciuto un notevole progresso, e, visto che non ha mai avuto nemmeno una nomination agli Oscar, piuttosto sottovalutato da critica e Academy. Nel suo vagare confuso, nelle sue stizze e nella sua malinconia, questo ritratto di sperso è tra le sue cose migliori.