domenica 29 dicembre 2019

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STORIA DI UN MATRIMONIO
( Marriage story, USA 2019)
DI NOAH BAUMBACH
Con SCARLETT JOHANSSON, ADAM DRIVER, Laura Dern, Alan Alda.
DRAMMATICO/COMMEDIA
Ci si incontra, ci si innamora, ci si sposa...poi? A volte va bene, a volte si fa andare, a volte le cose non reggono. E poi subentrano voci esterne, che siano parenti o amici, e ancor peggio avvocati, che consigliano le due parti coinvolte a non negare alcun colpo basso all'altra persona, divenuta un avversario cui imporre regole dure e amarezze nuove. "Marriage story", dramedy distribuita da Netflix, racconta il rapporto, lungo gli anni, di Nicole (Scarlett Johansson) e Charlie (Adam Driver), attrice lei, regista teatrale lui, nonostante tutta la buona volontà, mandano all'aria il loro matrimonio per un tradimento dell'uomo, e dopo segue tutta la trafila delle staffilate da infliggersi. Noah Baumbach aveva già lavorato per la compagnia streaming con "The Meyerowitz Stories", e dirige e scrive questo titolo che ha umori sia alleniani che altmaniani, su due persone che, in un percorso inevitabilmente doloroso, anche se non privo di momenti di leggerezza, devono anche salvaguardare l'equilibrio del figlio avuto insieme. Senza negare qualche crudezza nei dialoghi, o nella scena in cui in macchina Nicole dà sfogo ad un impulso sessuale e niente più, la storia tuttavia riesce a planare in un finale di una certa delicatezza, e tuttavia si ha modo di farsi coinvolgere dalla bravura dei due interpreti, specie nella scena della rabbiosa resa dei conti rimandata per molto tempo. In un cast di ottima scelta, dai legali Ray Liotta, Alan Alda e Laura Dern, tutti in parte e a proprio agio con figure talvolta rassicuranti, altre maligne, plauso a Scarlett Johansson, il cui gioco con un ruolo da attrice implica qualcosa di personale, e soprattutto a Adam Driver, che fornisce una prova ruvidamente toccante, spigolosamente sensibile, che culmina sia nello scontro in cui amore e rabbia, rancore e disperazione si rincorrono nelle parole e nei gesti, e nella bellissima reinterpretazione di "Being alive", pezzo da musical anni Settanta. Meritevole di una candidatura a Golden Globes e Oscar, e forse qualcosa in più.
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UOMINI E NOBILUOMINI ( I, 1959)
DI GIORGIO BIANCHI
Con VITTORIO DE SICA, ANTONIO CIFARIELLO, Silvia Pinal, Mario Carotenuto.
COMMEDIA 
Le differenze di classe, che problema: innamorata di un ragazzo serio, però modesto impiegato, la nipote di un marchese trova la fiera opposizione del parente, che l'ha tirata su come una figlia, e, nonostante i due giovani si sposino in gran segreto, continuano poi a vivere ognuno a casa propria, per non incorrere nel rancore dello zio. Di lì, complicazioni varie.... Diretto dal competente, anche se non brillantissimo, Giorgio Bianchi, regista professionale che ha avuto per le mani attori anche importanti, "Uomini e nobiluomini" è una commedia leggerissima, all'acqua di rose che più non si può, su una storia d'amore contrastata che, va da sè, troverà il giusto coronamento nel finale. Più che il romanzetto sentimentale che costituisce la spina dorsale della storia, questi film valevano maggiormente per l'apporto dei caratteristi, che impreziosivano il racconto, con professionale abilità, regalando qualche sorriso e qualche espressione memorabile, più del film stesso. Qui, appunto, quel che vale soprattutto è il lavoro di Vittorio De Sica e Mario Carotenuto, ed i loro siparietti che, perlomeno, portano un pò di buonumore in una storiella risaputa. 

lunedì 23 dicembre 2019

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I GANGSTERS ( The killers, USA 1946)
DI ROBERT SIODMAK
Con BURT LANCASTER, AVA GARDNER, Edmond O'Brien, Albert Dekker.
NOIR
Nonostante un amico sia giunto ad avvertirlo che due tipi pericolosi lo cercano, un uomo aspetta il suo destino inesorabile di morte: da questo incipit notevolissimo già per l'epoca, parte la storia a ritroso de "I gangsters", da un racconto breve di Ernest Hemingway, noir passato poi a livello di culto. La regia di Siodmak ha polso, sfrutta i chiaroscuri della fotografia per raccontare una storia fatta di crimine, tradimento plurimo, sentimenti mandati nel verso sbagliato, amicizie virili mantenute nonostante si stia ai due lati della barricata della legge. Del resto, l'autore, provenuto dalla Mitteleuropa, ha firmato più di una pellicola importante, anche se oggi è un regista colpevolmente dimenticato: basti citare "La scala a chiocciola" per sottolinearne la grande capacità di far cinema. Una dark lady sinuosa e magnetica come Ava Gardner trova qui uno dei suoi ruoli migliori, Lancaster, praticamente esordiente, presta la sua fisicità eloquente ad un personaggio incastrato in meccanismi di cui non aveva tenuto conto: e il tema delle scelte, sbagliate o giuste, percorre l'intera pellicola, condotta a ritmo sostenuto tra flashbacks e tempo corrente. Alcuni critici si sono soffermati a indicare l'atmosfera, talvolta richiamante una dimensione quasi onirica, di sogno inquietante, che accompagna molti passaggi del racconto; da notare anche come i killers siano vestiti allo stesso modo, anche se fisicamente antitetici, anticipando di fatto altre coppie di criminali a venire. Sferzante e felpato allo stesso tempo, è un classico che, come appunto tanti lavori di prim'ordine, non conosce vero invecchiamento, essendo un generatore di archetipi e punti di riferimento. 

sabato 21 dicembre 2019

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STAR WARS- EPISODIO IX: L'ASCESA DI SKYWALKER
( Star wars- Episode IX: Rise of Skywalker, USA 2019)
DI J.J. ABRAMS
Con DAISY RIDLEY, ADAM DRIVER, Oscar Isaac, Carrie Fisher.
FANTASCIENZA/AVVENTURA
L'avvio è più dark che non si può: in preda alla sua sete di Potere, Kylo Ren, l'antagonista principale della terza trilogia della serie creata ormai più di quarant'anni fa da George Lucas, giunge all'antro dei Sith, alla radice del Male che ammorba la galassia lontana lontana che muove tutto "Star Wars", e giunge il primo dei colpi di scena. Che, lungi dalla tradizione, si susseguono al punto di lasciare, dopo un pò, abbastanza poco sorpreso lo spettatore: ce n'è uno, vero, piuttosto stordente, ma lo è ancor più perchè rivela qualcosa che mai, negli otto capitoli, ci avevano nemmeno fatto supporre. Ed è questo il maggior limite del capitolo conclusivo della saga della Guerra delle Stelle: forse per non correre il rischio di scontentare le orde di fans più conservatori, quelle che sui social si sono accaniti con furore dando addosso all'opinabile, ma di fatto coraggiosa, nuova direzione data da "Gli ultimi Jedi", si è messo su un lungometraggio che pare un giro in "Star Warsland", mettendo tutto e di più delle creature che hanno popolato la serie, anche per pochi fotogrammi, arrivando ad una conclusione che, narrativamente, fa intravedere poco coraggio o una fondamentale pigrizia nell'esplorare il racconto dello scontro tra lati della Forza ( a proposito, poco rammentata e più che altro messa in scena, ma con momenti che creano confusione anche nel pubblico più esperto della serie). Non è un film brutto come i critici da due righe dei social vorrebbero far credere, lo spettacolo c'è, manca semmai di epica, che invece nei due titoli precedenti non veniva meno, e usa fin troppo i deus-ex-machina come chiave per far svoltare la narrazione. Abrams, richiamato in corsa dopo l'allontanamento di Colin Trevorrow, che aveva rivitalizzato il mondo "Jurassic", per idee non collimanti con quelle di casa Disney, mostra di aver talento per il ritmo, ma ci dà fin troppo dentro, sommando accadimenti senza dar tempo alla storia di prender fiato e lievitare: ed il conflitto lungo e strenuo tra Rey e Ren, che arriva ad una fase finale concitata ma discretamente prevedibile, forse andava trattato meno spettacolarmente e più di scrittura. Tra ritorni in scena vari, "L'ascesa di Skywalker" è in fondo una storia di spettri, di un Passato inaffondabile che marca il presente ed il futuro, come un solco già tracciato e non variabile. Resta un pò di insoddisfazione perchè, probabilmente, si sarebbe voluto un finale diverso, ma vive ancora il ricordo di parziali mugugni di delusione alla fine de "Il ritorno dello Jedi" più di trent'anni fa, ed oggi è considerato uno dei picchi della lunga saga. Che continuerà ancora, in qualche modo. 

martedì 17 dicembre 2019

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GASTONE ( I, 1959)
DI MARIO BONNARD
Con ALBERTO SORDI, Vittorio De Sica, Anna Maria Ferrero, Franca Marzi.
COMMEDIA
"Ho comprato i salamini e me ne vanto...." recitava la storica canzone di Ettore Petrolini quando si calava nei panni sfarzosi del gagà Gastone, "attor bello" pieno di sè e narcisista irrefrenabile: tra le tante maschere petroliniane, quella del presunto "divo" è una delle più ricordate, insieme a Nerone, e l'idea di trarre un film dal personaggio dette l'occasione a Alberto Sordi di impersonare un bellimbusto, superficiale e in fondo disgraziato. Abbinato ad uno dei suoi "numi" cinematografici, Vittorio De Sica, che con divertito mestiere riveste il ruolo del principe idolo e mentore del protagonista, Sordi presta la sua verve in modulità "presuntuoso senza basi" alla storia della presunta ascesa di una star del tabarin. Peccato che la regia dell'ordinato Mario Bonnard, però, sia senza guizzi, e che la storia proceda in maniera lineare ma si affidi, soprattutto, all'intesa tra interpreti, e qui, appunto, sia Sordi che De Sica forniscono un buon apporto: per fortuna, l'epilogo è sia beffardo che malinconico, vede Gastone caduto in miseria, che vive delle sue affabulazioni vuote, rievocando successi che non ci sono poi stati, ma perde l'occasione anche di un bagno d'umiltà che lo recupererebbe almeno parzialmente. Invece, per coerenza, rimane solo millantando un rilancio che non arriverà. Gradevole, ma nella sostanza un'occasione buona mancata. 

venerdì 13 dicembre 2019

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UN GIORNO DI PIOGGIA A NEW YORK
( A rainy day in New York, USA 2019)
DI WOODY ALLEN
Con TIMOTHEE CHALAMET, ELLE FANNING, Selena Gomez, Jude Law.
COMMEDIA/SENTIMENTALE
Avrebbe dovuto essere il film di Woody Allen "per" Amazon Studios, quindi l'adeguamento ai tempi di un grande regista: del resto, alle logiche dello streaming si è adattato di recente anche Martin Scorsese con il suo "The Irishman", e perchè non possono farlo altri maestri coevi? Nel seguire la vicenda dei due fidanzatini di buona famiglia che passano un weekend nella Grande Mela, e si separano per questioni logistiche, ma poi una serie di circostanze protrae la divisione, e si susseguono incontri disparati, che li porteranno, però, a confrontarsi con il loro rapporto e quel che vogliono da esso. Ambientazione e trama sono molto alleniane: gli scorci newyorkesi sono sempre carpiti con conoscenza e amore per la città cui l'attore e regista appartiene, e le nevrosi sentimental-esistenziali di molti dei personaggi sono parte dell'ormai lungo corollario al quale ci ha abituato da una cinquantina d'anni e più. Però, fin dall'inizio, la sensazione che questo sia un copione stiracchiato, con due giovani quasi anacronistici (lui che si chiama Gatsby, addirittura, gira con la sigaretta con bocchino, lei viene dalla provincia e ostenta entusiasmo e ingenuità, parlano di autori di cinema grandi ma difficilmente assimilabili ai gusti di ventenni odierni) che sono fin troppo caratterizzati, e si muovono in mezzo a personaggi purtroppo contrassegnati da clichès, vedi il regista tormentato e in crisi creativa, il divo latinoamericano seduttore, e via enumerando, è forte. Mettiamoci anche una situazione da pochade classica ma trita, come l'arrivo della fidanzata a sorpresa mentre si sta per concludere la scappatella: scarse le occasioni di sorriso, e una certa monotonia narrativa, nonostante, appunto, le varie cose che succedono in soli due o tre giorni ( a proposito, in una metropoli incontrare vecchie conoscenze in strade non principali è abbastanza inusuale, soprattutto se succede più volte in poco tempo...) fanno sì che questo divenga uno dei lavori di Allen meno riusciti in generale. Forse la querelle con lo studio che doveva distribuire la pellicola ha influito, gli scandali che perlomeno dall'inizio degli anni Novanta hanno accompagnato la carriera dell'autore di "Manhattan" si ripetono: ma questo è il lavoro fiacco di un autore che, forse anche per la prolificità con cui ha sfornato film, sembra più che mai dedito a ripetere se stesso. Dispiace dirlo, ma, a parte il dialogo rivelatore tra Chalamet e Cherry Jones, che nel ruolo della madre gli narra un impensabile passato, vero momento cardine di una commedia spesso poco saporita, si riscontra ben poco di colui che ha scritto molti dei dialoghi che, al cinema, ci hanno maggiormente impressionato lungo i decenni.

martedì 3 dicembre 2019

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THE IRISHMAN ( The Irishman, USA 2019)
DI MARTIN SCORSESE
Con ROBERT DE NIRO, Al Pacino, Joe Pesci, Ray Bufalino.
DRAMMATICO 
Jimmy Hoffa, il sindacalista più celebre d'America, dopo aver caratterizzato per decenni le lotte tra lavoratori e grosse compagnie, sparì nel nulla a metà anni Settanta, ed è uno dei grandi misteri insoluti statunitensi. All'argomento sono stati dedicate almeno tre grossi film, "F.I.S.T." nel 1978, di Norman Jewison ( in cui Sylvester Stallone fornì una delle sue migliori interpretazioni), "Hoffa: santo o mafioso?" nel 1993, in cui Jack Nicholson dava volto al personaggio e quest'ultima opera firmata Martin Scorsese: anche se Hoffa entra in scena solo dopo quaranta minuti di visione, e il corpo del racconto riguarda i rapporti tra un killer della mafia di origine irlandese ( da qui il titolo), il sindacalista e un boss della mala, rappresentante della famiglia Bufalino. Oltre tre ore e mezzo di durata, i volti degli attori principali rimodellati con la computer graphic ( e tra le ingenuità evitabili, la scena del pestaggio del negoziante da parte del sicario De Niro, con viso da quarantenne e movenze da uomo anziano), per la quarta volta Al Pacino e Robert De Niro insieme e per la prima Al diretto da Martin: l'evento c'è tutto. Quarant'anni e passa di storia americana, passando per gli omicidi dei due Kennedy e la crisi cubana, sullo sfondo dell'amicizia tra il killer e il boss dei sindacati, che si conclude nel peggiore dei modi, perchè la mafia ha le sue regole ineluttabili. Girato con piglio elegante, con cura di un montaggio avulso dalle logiche fulminee dell'oggi ( più di una volta le inquadrature si protraggono a lungo, mai gratuitamente), dal romanzo "I heard you paint houses"  ( "Ho sentito che imbianchi case" è la frase, in codice, che Hoffa rivolge a Sheran, il sicario, per incontrarlo) di Charles Brandt, "The Irishman" è un'opera intensa, scandita quasi con calma, in cui il furore della violenza da sempre presente nella cinematografia scorsesiana è presente, ma meno rimarcato che in passato, seppure scene come quella in cui un congestionato e ricoperto di sangue Joe Pesci rincasa, incidono a fondo: notevole, al solito, la conduzione degli attori, e la fluidità dei dialoghi, in cui vengono annunciati omicidi senza dirlo esplicitamente ( "E' quel che è..."), e messe in atto strategie di un potere che consuma e lascia, infine, macilenti, vecchi e soli. Perchè, come il Michael Corleone che finiva solo e spettrale alla fine de "Il padrino parte II", qui i mafiosi che arrivano in là con gli anni finiscono le loro esistenze ruminando cornflakes e pan bagnato, soli, devastati e aspettando di morire, senza più coscienza e talmente assorbiti nella loro negazione del male esercitato, da dimenticarsene quasi. Se De Niro dà una delle migliori prove degli ultimi anni, il che non è necessariamente un complimento, vista la quantità di film sbagliati alle spalle, è ottimo Al Pacino nella sicumera arrogante che perderà Hoffa, e peccato che a Harvey Keitel sia riservato un pugno di minuti, in questa summa dell'antropologia scorsesiana sulla criminalità italoamericana: ma il migliore in scena è il boss pratico e apparentemente dimesso di Joe Pesci, in un ruolo opposto per carica interpretativa e proprietà di finezza d'interprete rispetto ai precedenti gangsters impersonati sotto la regia del director di "Mean streets" da suscitare naturalmente il plauso e, probabilmente, meritare una candidatura lanciata all'Oscar come non protagonista.

mercoledì 20 novembre 2019

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BOB & MARYS- Criminali a domicilio ( I, 2018)
DI FRANCESCO CRISPO
Con ROCCO PAPALEO, LAURA MORANTE, Simona Tabasco, Andrea Di Maria.
COMMEDIA
Coppia sposata da lungo tempo, in preparazione del matrimonio della figlia, cambia casa grazie ad uno stratagemma della parte femminile: ma nel nuovo appartamento si vede arrivare un trio di prepotenti camorristi, che "parcheggiano" nella casa dei soldi che i due protagonisti devono tenere nascosti, finchè i traffici dei malavitosi non possono riprendere tranquillamente. Uscito un pò alla chetichella, "Bob & Marys" è ambientato in una Napoli non consueta, inquadrando due persone per bene che finiscono invischiati nei gorghi del sottobosco criminoso, che per non subire vendette e rappresaglie a fatica accettano la situazione, ma un colpo di coda indotto dalla dignità, e dal senso di giustizia, farà in modo che i personaggi principali riguadagnino rispetto di sè e quello dello spettatore. Commedia con elementi noir, ma virati in leggero senza scadere nel superficiale, questo film diretto da Francesco Crispo si avvale di due buoni attori che formano una coppia brillante e sciolta, che, magari, delinea non troppo molti personaggi d'intorno per concentrarsi maggiormente su quei quattro o cinque al centro della storia. Tuttavia, si sorride con la complicità tra Rocco Papaleo e Laura Morante, mai a suo agio in un ruolo da commediante come in questa occasione. 
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LE NUOVE COMICHE ( I, 1994)
DI NERI PARENTI
Con RENATO POZZETTO, PAOLO VILLAGGIO, Ramona Badescu, Isa Gallinelli.
COMICO
Forti dell'ottimo successo arriso ai primi due "Le comiche", rispettivamente del 1990 e del 1991, il trio Parenti/Villaggio/Pozzetto ne allestirono un terzo segmento, con i due robusti sfasciatutto protagonisti di altre storielle in cui mettono a soqquadro gli ambienti in cui irrompono: se il primo film, tutto sommato, pur con goffaggini e approssimazioni, tuttavia l'obiettivo-risata riusciva qua e là a ottenerlo, già nel secondo il pressapochismo della confezione, la sguaiata e floscia ridda di gags di poco succo lasciava che la bocca dello spettatore inclinasse più allo sbadiglio che al riso. Qui, siamo alle solite: scarsa fantasia, cascatoni a profusione, botte in testa e ammicchi volgarotti, con le grazie della procace Ramona Badescu anelate dal duo Villaggio & Pozzetto, con il primo spesso con la lingua fuori e il secondo molto più odioso del solito, entrambi costretti in smorfie perpetue. Al tempo dell'uscita nei cinema, addirittura, ci fu una mezza polemica perchè nel trailer, in teoria, si prendeva in giro l'allora capo del governo Berlusconi: ma la presunta vena satirica di questo pastrocchio, che, fortunatamente concluse con un mezzo fiasco la serie, è talmente esangue che meraviglia che qualcuno se la sia presa per le sue battute....

domenica 17 novembre 2019

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CUORI SOLITARI  ( I, 1970)
DI FRANCO GIRALDI
Con UGO TOGNAZZI, SENTA BERGER, Silvano Tranquilli, Clara Colosimo.
COMMEDIA
Ancor prima dei titoli, la coppia agiata formata da Stefano (Ugo Tognazzi) e Giovanna (Senta Berger), lui di sedici anni più grande, la scopriamo annoiata e persa nei clichès della consuetudine: per dare una scossa al mènage matrimoniale, l'uomo comincia ad interessarsi al nascente fenomeno degli scambi di coppia, che sui giornali, all'epoca, cominciava sfacciatamente con i fermo posta. Nonostante le ritrosie della donna, l'insistenza del marito, rivenditore di moquette, ha la meglio, ma i primi incontri sfociano nel ridicolo: finchè, nonostante tutto sembri come i voleri del maschio, la realizzazione della fantasia sia meno gradevole di come immaginata.... Franco Giraldi era un cineasta che non disdegnava il western, e per le commedie cercò spesso Tognazzi come protagonista di storie che non si vergognavano di mostrare personaggi con una bella dose di meschinità (vedere anche "La supertestimone"), e che pungolavano il maschio italiano che, a parole voleva ostentare mente aperta e adeguamento a nuovi orizzonti sessual-morali, ma poi faceva riemergere ben altro. "Cuori solitari", con tema abbastanza audace per essere un film nato a cavallo tra i Sessanta e i Settanta è una pellicola che, rivista oggi, presenta un interessante approccio, anche perchè non è affatto sguaiata, considerato l'argomento, ma è forse fin troppo consistente nel minutaggio. Ad una prima parte arguta e mordace, ne succede una seconda più floscia, che ogni tanto annoia, e si perita più che altro di arrivare al ribaltamento di prospettiva finale, con bacchettata finale all'ipocrisia borghese che, pur di non rispondere al vero, butta giù tutto ingoiandolo per il rispetto della facciata. Ugo Tognazzi era forse, tra i cinque grandi della commedia, quello più libero dai propri autoriferimenti e più curioso come attore nel rivestire ruoli anche ingrati (e la sua "medietà" fisica aiutava non poco in questo), e fa un ritratto di uomo mediocre con abilità e padronanza d'interprete, e Senta Berger, bellissima, permea di perplessità e leggera amarezza una donna insoddisfatta, ma migliore del partner. 

mercoledì 13 novembre 2019

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TUTTO IL MIO FOLLE AMORE ( I, 2019)
DI GABRIELE SALVATORES
Con CLAUDIO SANTAMARIA, GIULIO PRANNO, Valeria Golino, Diego Abatantuono.
DRAMMATICO
Lungo le strade di Slovenia e Croazia, venendo "da Trieste in giù", come diceva la canzone, è il viaggio verso una meta effimera, due "concerti" di Willi, il "Modugno della Dalmazia", come si fa chiamare, ex cantante da crociera, che imita il grande Mimmo, mentre invece saranno prestazioni a un matrimonio gitano, e ad una gara di liscio per giovanissimi. La cosa curiosa è che lo segue il figlio Vincent, autistico ( anche se il film non specifica mai esattamente cosa abbia il ragazzo), fuggito dall'affettuoso controllo della madre e del marito che si è fortemente affezionato al figlio adottato. Dalla storia vera di Franco e Andrea Antonello, traslata già nel libro "Se ti abbraccio non avere paura", di Fulvio Ervas, un film sospeso tra avventura e sentimento che nell'imbracatura del road-movie, infila anche un inseguimento, quello della madre del ragazzo, assieme al marito, editore poco fiducioso verso i nuovi talenti; come risaputo, il titolo viene da un verso della canzone "Cosa sono le nuvole" di Domenico Modugno, che aveva musicato dei versi di Pasolini, collaborando al film "Capriccio all'italiana", ed è una delle riproposte del personaggio di Santamaria nei suoi concerti di poco conto, con cui tira a campare. Salvatores da qualche anno convinceva fino ad un certo punto, realizzando spesso pellicole buone per un pò tutti i mercati, ma che, nella sostanza, rimanevano operazioni abbastanza di superficie, pur messe insieme con tanta buona intenzione. Qua, invece, il film arriva, anche se, forse, lo fa ancora di più a visione finita da un pò, dando allo spettatore il tempo ed il modo di rielaborare quel che ha visto: sembra che, con a disposizione una storia in cui si potrebbe viaggiare a tutto sentimento, la regia smorzi puntualmente il potenziale pathos, per non cedervi. Invece, l'intero racconto è distillato con discrezione, iniettando l'aspetto emotivo nel pubblico, che sentirà tutta insieme la componente commovente di una concatenazione di affetti scomodi, non ammessi e inscindibili, portando in scena la ritrosia maschile a mostrare l'incrinatura dei sentimenti che emergono. Il nuovo attore Giulio Pranno è prodigioso nel rendere le movenze scoordinate, la gioia sempiterna degli occhi di questo ragazzo imprigionato nella mente di un bimbo, Claudio Santamaria fornisce vitalità al suo sbandato tuttavia di cuore, Valeria Golino dà giusti contrasti ad un personaggio sempre fuori posto, e Diego Abatantuono, con misura asseconda il gioco del regista, mostrando un'esuberanza leggera ed una malinconia in mezzi toni. 

sabato 9 novembre 2019

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THE BUTTERFLY ROOM- La stanza delle farfalle
( The Butterfly room, I/USA 2012)
DI GIONATA ZARANTONELLO
Con BARBARA STEELE, Ellery Sprayberry, Heather Langenkamp, Ray Wise.
THRILLER
L'anziana e ben tenuta signora Ann coltiva con la bimba Alice un'amicizia molto stretta, quasi un rapporto madre/figlia, dato che la vera mamma della piccola non è proprio un personaggio raccomandabilissimo, visto che "noleggia" come figlia di comodo la ragazzina. Il problema è che la matura e raffinata Ann, oltre a possedere una collezione di farfalle molto ampia, ha qualcosa che non va nella mente, e comincia ad uccidere con una certa destrezza diverse persone, utilizzando, più o meno, i metodi usati per raccogliere i lepidotteri. Dal proprio romanzo "Alice dalle 4 alle 5", Gionata Zarantonello, vicentino probabilmente cresciuto con il culto dell'horror, ha tratto un thriller di ambientazione americana, che, consapevolmente cinefilo, mette in scena diversi volti assai conosciuti dagli appassionati: dalla protagonista Barbara Steele, in gioventù eroina dark di Mario Bava ed altri registi specializzati nel far paura, alla Heather Langenkamp del primo e terzo "Nightmare", ed altri ancora. "The Butterfly room" procede in maniera abbastanza prevedibile nel mostrare l'escalation nella follia del personaggio principale, cui la Steele fornisce sinistri sguardi e freddezza nel compiere delitti feroci ( quello della madre della bambina è particolarmente crudele, nella sua goffa verosimiglianza), e bisogna riconoscere al regista almeno un paio di sequenze piuttosto inquietanti: il finale, che vede come da canone del genere uno showdown che fa esplodere del tutto la pazzia della killer, non convince del tutto, e sa di forzato. Pure l'ultima scena, che vorrebbe riaumentare i brividi accennando al fatto che forse gli orrori non sono finiti, è un passo conosciuto. Peccato, perchè Zarantonello, pur nel ripristino del genere puro, ci sa fare sia con la conduzione degli attori, sia nella gestione della suspence, per quanto appunto non ci siano veri e propri colpi di scena. 

venerdì 8 novembre 2019

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LA FAMIGLIA ADDAMS 
( The Addams family, USA/CAN/GB 2019)
DI GREG TIERNAN, CONRAD VERNON
ANIMAZIONE
COMMEDIA/FANTASTICO/HORROR
Già balzati all'occhio dei cinefili con "Sausage party- Vita segreta di una salsiccia", tre anni fa, Greg Tiernan e Conrad Vernon avevano girato appunto un cartoon in cui emergeva una vena di crudezza non solitamente riscontrabile in questa sfera cinematografica: gli alimenti protagonisti erano inconsapevoli della loro funzione, e andavano incontro alla propria fine non allegramente. Per una nuova versione, animata, certo, della famigliola atipica creata da Charles Addams all'inizio degli anni Sessanta del secolo scorso, e divenuta una serie tv celebre a metà di quella decade, si è pensato a loro: e voilà Gomez e Morticia, il maggiordomo in odor di non morto Lurch, i bimbi Mercoledì e Pugsy, la nonna, il cugino It, "Mano" eccetera. Qui si racconta anche come gli Addams si sposano, si trasferiscono nella nota casa spettrale che abitano allegramente, a modo loro, di come incontrano appunto il taciturno servitore, e di come la comunità limitrofa accoglie gli strambi e dark nuovi arrivati. Realizzato con una grafica che "tondeggia" con molto ausilio del computer i personaggi e gli sfondi, il nuovo cartoon ha dei momenti divertenti, qualche passaggio d'estro (Lurch che intona "Everybody hurts" dei REM in falsetto...), e ribadisce la morale di fondo dei personaggi, freaks assoluti che danno lezione di civiltà ai "normali" semplicemente essendo se stessi, senza stupirsi delle eventuali differenze o accettandole senza neanche porsi la questione dell'approccio. Un classico rivisitato, cui un ritmo più fluido e una maggior attenzione a elaborare una storia vera e propria avrebbe giovato maggiormente: così, sembra quasi un bignamino del mondo degli Addams per le ultimissime generazioni, che allo spettatore adulto manda un costante senso di dejà-vu.

giovedì 24 ottobre 2019

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IL CASINISTA ( I, 1980)
DI PIER FRANCESCO PINGITORE
Con PIPPO FRANCO, Renzo Montagnani, Bombolo, Enzo Cannavale. 
Sceneggiatore e gagman fidato di un comico di successo, Pippo viene maltrattato da questi e sollecitato a trovare nuove idee, perchè le sue battute non fanno più ridere: con una cinepresa e con l'aiuto del cognato accalappiacani, si sbatte in giro per trovare ispirazione in situazioni prese dalla strada. Tra cani che lo inseguono, cadute, oggetti contundenti, il poveraccio si ritroverà sia in carcere per sbaglio, che sul set di un film porno, prendendo diverse sberle, cazzotti in testa, sempre a perdifiato, e sempre a peggiorare. Pippo Franco, dalla fine degli anni Settanta ai primi degli Ottanta, è stato un personaggio in vista, tra spettacoli televisivi e numerosi film, ad un ritmo di due o tre all'anno, puntualmente richiamanti spettatori nelle seconde e terze visioni: la sua comicità era sempre fondata sulla particolarità del suo aspetto, l'imbranataggine che egli sfoderava, e gli incidenti cui andava incontro regolarmente. Diretto anche qui, come in molti altri lungometraggi cui ha preso parte, da Pier Francesco Pingitore, come lui proveniente dalla popolaresca fucina del teatro Bagaglino, Franco ce la mette tutta, ma il film non fa ridere quasi mai: scene tirate per i capelli, trama zero, una combinazione di gags loffie che annoiano ben presto, con il protagonista che a bocca aperta corre e ansima, sempre con la solita maglietta polo a strisce bianche e verdi per tutta la durata della pellicola. Intorno gravitano i soliti noti Bombolo, Cannavale, Montagnani che sembrano muoversi a orecchio. Unico merito del film: non è volgare, come analoghe produzioni dell'epoca. Ma è poca roba, riguardo all'uggia che copiosa si sprigiona dallo schermo.
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21 ( 21, USA 2008)
DI ROBERT LUKETIC
Con JIM STURGESS, Kate Bosworth, Kevin Spacey, Aaron Yoo.
DRAMMATICO/COMMEDIA
Il Blackjack è un gioco d'azzardo, che nei casinò tira parecchio: 21 è la cifra che non si deve passare per vincere e sbancare. Di titoli sul mondo dell'azzardo, delle carte e delle scommesse ne abbiamo visti un buon numero, di solito sono parabole, venate da un certo pessimismo, sul rischio e su come certe vite si portano al limite per puro gusto della sfida. Questo lungometraggio, preso da fatti realmente accaduti, racconta, concentrandola in un lasso di tempo più ristretto, l'impresa di un gruppo di studenti del MIT, Istituto di Tecnologia del Massachussetts riuscì a far molti soldi conteggiando le carte in più casinò, durante la decade '80/ '90. Qui lo studente Ben, che ha il sogno di laurearsi in Medicina a Harvard, e deve riuscire a mettere insieme la cospicua cifra necessaria per frequentare tale facoltà, e viene avvicinato da un docente che ha messo insieme una squadra abile nei calcoli matematici, che appunto indirizza dove si gioca forte per mettere in atto un piano che porterà a realizzare grosse cifre in barba ai controlli dei casinò. Lo spunto sarebbe interessante, ma dietro alla macchina da presa c'è Robert Luketic, che è sempre parso più a proprio agio con le commedie (molto leggere, se possibile), che con temi meno "gradevoli", vedi anche l'inciampo di "Paranoia": senza imprimere mai vere e proprie mutazioni ai caratteri in scena, la regia viaggia del tutto in superficie, confezionando un film che sostanzialmente si lascia vedere, ma non appassiona mai, nè, e questo è il difetto principale, nonostante i potenziali colpi di scena e ribaltamenti di prospettiva classici di questo sottogenere ( vedere "Nove regine", tutta un'altra musica, in materia...) lascia una volta che sia una che lo spettatore rimanga sorpreso dalle evoluzioni del racconto. E se Kevin Spacey fornisce una discreta prova, Jim Sturgess ha una faccia simpatica, ma sembra sempre che rivesta lo stesso personaggio in ogni film che interpreta.

martedì 22 ottobre 2019

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MALEFICENT- Signora del Male 
( Maleficent: Mistress of Evil, USA 2019)
DI JOACHIM RONNING
Con ANGELINA JOLIE, ELLE FANNING, Michelle Pfeiffer, Sam Riley.
FANTASTICO
Il numero due delle serie cinematografiche è spesso il più difficile: viene dopo il successo del capitolo primo, e deve non solo confermare, ma essere più spettacolare, non tradire il format originale e svelare, se possibile, cose che potrebbero dare altri risvolti a ciò che si è visto nell'episodio precedente. "Maleficent" è stato, a modo suo, un titolo abbastanza rivoluzionario nel grosso progetto di espansione della Disney: perchè è vero che è l'adattamento live action di un classico quale "La bella addormentata nel bosco", ma l'originalità veniva data dalla rilettura della storia conosciuta dal punto di vista del personaggio negativo, che implicava un'inedito approfondimento, per un lungometraggio progettato come blockbuster, di racconto e esplorazione dei caratteri. Dopo aver capito le ragioni del diventare una pur bellissima megera di Maleficent, e risolta la questione del sortilegio inflitto a Aurora, ecco che si profila una nuova prospettiva: la ragazza viene chiesta in sposa dall'aitante principe Filippo, e però la regina madre, genitrice del ragazzo, ha in antipatia la strega e ha mire per il regno da cui la futura nuora proviene.... Diretto dal regista norvegese Joachim Ronning, dapprima spesso al lavoro in tandem con il connazionale Espen Sandberg, il sequel convince nella parte iniziale, diventa macchinoso in quella centrale, in cui si spiega in maniera un pò prolissa e già vista l'origine della specie di Maleficent, e si chiude su un finale pirotecnico e spettacolare, in una battaglia finale che a livello di logica bellica è di una certa sconclusionatezza. Tuttavia, lo spettacolo c'è, e rimarranno questa volta più contenti gli spettatori giovanissimi, rispetto a quelli più adulti, a differenza del primo capitolo. E se Angelina Jolie compare meno di quanto ci si aspetti, ed Elle Fanning è una Aurora angelicata e ingenua forse fin troppo, meglio la melliflua crudeltà dell'ancor fascinosa Michelle Pfeiffer, regina dai propositi malvagi e dai metodi spietati. 

martedì 8 ottobre 2019

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JOKER ( Joker, USA 2019)
DI TODD PHILLIPS
Con JOAQUIN PHOENIX, Robert De Niro, Frances Conroy, Zazie Beetz.
DRAMMATICO
La madre lo chiama "Happy", e di professione fa il clown, ma Arthur Fleck ha un'indole che gli fa guardare alla vita come a una tragedia, si sente sempre fuori posto e la gente tende, quando non a evitarlo, addirittura a essergli ostile fino alle percosse: in una Gotham City che sembra la peggiore New York a cavallo tra i Settanta e gli Ottanta ( non ci sono telefoni cellulari, i televisori perlopiù sono in bianco e nero o i primi che trasmettevano a colori, i videoregistratori sono mastodontici), Arthur sente sempre di più la propria esistenza precipitare in una spirale atroce di solitudine e follia, tutto gli gioca contro, e soffre di un disturbo che lo fa prorompere in una risata che suona come un urlo. A sorpresa vincitore del Leone d'Oro veneziano, "Joker", che racconta la genesi del nemico numero 1 di Batman, ma che non necessariamente va collegato all'universo DC rifondato da Nolan e Snyder, è un'opera cupa, mai illuminata dai raggi solari nemmeno nelle scene diurne, segnata da un pessimismo acuminato: per essere un titolo su depressione, alienazione che sfociano in pazzia omicida, sta raggiungendo incassi ragguardevoli un pò dappertutto, e per esempio qui in Italia, il film riempie le sale tutte le sere, e ha già messo insieme quasi sette milioni di euro, scatenando, peraltro, polemiche sui social network tra potenziali detrattori e spettatori che gli tributano un entusiasmo quasi sacrale. Eppure, nonostante una prova concentratissima e di valore di un attore di alta qualità come Joaquin Phoenix ( la cosa migliore è come riesca a far assumere agli occhi un'espressione disperata mentre la bocca gli si contorce in una delirante risata), in un'interpretazione che ha in sè sia il Travis Bickle di "Taxi driver", il Rupert Pupkin di "Re per una notte" e, nelle scene dell'ultima parte, quando il Joker è emerso, perfino il Michael Jackson da palco e da videoclip, il premio come miglior film all'ultimo festival di Venezia sembra generoso; nel raccontare come una fragilità livida possa tramutarsi in ferocia massacratrice, il film sta molto addosso al personaggio principale, ma non dà sufficiente spessore ai personaggi attorno ( De Niro, cui vanno appunto gli omaggi per i personaggi di cui sopra, è il presentatore tv che Arthur idolatra e che gli riserva i rari momenti di spensieratezza nelle sue trasmissioni), e non dice sostanzialmente cose nuovissime sui deserti di cemento e frettolosa superficialità quali sono le metropoli. Anche l'accelerata violenta, oltre che prevedibile nello svolgimento della trama, è cosa già presentata, oltre che dai titoli citati, anche in lavori come "Un uomo, oggi", con Newman e Perkins, per dirne uno. Bene che questo lungometraggio porti spettatori incuriositi nelle sale, bene anche che guadagni qualche futura nomination, perchè per quanto avesse già impressionato in personaggi estremi ne "Il gladiatore" e "The Master", Phoenix è un attore che merita consacrazione: ma parlare di capolavoro, e di cose mai viste sullo schermo, appare abbastanza eccessivo. Anche se è un segno di tempi che sembra abbiano non granché da dire.

venerdì 4 ottobre 2019

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IL BUONGIORNO DEL MATTINO ( Morning Glory, USA 2010)
DI ROGER MICHELL
Con RACHEL MCADAMS, Harrison Ford, Diane Keaton, Patrick Wilson.
COMMEDIA
Esser fatta fuori dal proprio lavoro, per una produttrice esecutiva tv, e ritrovarsi con la chance di dovere risollevare le sorti di uno storico programma mattutino sulle reti nazionali, è una scommessona. La giovane Becky è chiamata a dover gestire una star del giornalismo dal carattere scontroso e spocchioso, che, solo per non perdere i sei milioni del contratto in essere, accetta di presenziare accanto all'altra star del canale, che da anni conduce la trasmissione tra prodezze culinarie, curiosità edificanti e piccole notizie che al big delle inchieste mettono i brividi. Come combinare le cose, ottenere successo e compiere la missione richiesta dallo scettico boss del network? Roger Michell è un regista abile nel confezionare commedie che mandano via il pubblico rasserenato, che chiamano il film appena visto "carino", e che prevede una buona dose di prevedibilità ( anche qua, come sfuggirvi?), una discreta impaginazione del prodotto e valida conduzione degli interpreti, spesso nomi celebri. E qua, i comprimari ultralusso Harrison Ford e Diane Keaton si prestano con volenterosa disponibilità al gioco: tra l'altro, è probabile che il divo di "Indiana Jones", di cui si dice sia nella vita quotidiana tendenzialmente burbero, abbia messo molto di sè nel dipingere il grande giornalista che non accetta compromessi e offre più spigoli che altro. Tutto sommato, una commedia leggera che accenna a come, spesso, la tv faccia giochi di prestigio nel dare una versione molto parziale delle cose a chi la osserva, ma è una critica molto poco acuminata. Gradevole, recitato bene pressoché da tutto il cast, ma lascia di sè abbastanza poco. 

giovedì 3 ottobre 2019

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RAMBO: LAST BLOOD ( Rambo: Last blood, USA 2019)
DI ADRIAN GRUNBERG
Con SYLVESTER STALLONE, Paz Vega, Yvette Monreal, Sergio Perris-Mencheta.
AZIONE
Benché solo qualche anno fa Sylvester Stallone avesse affermato perentoriamente, in alcune interviste, che non ci sarebbero stati ulteriori capitoli per le avventure di John Rambo, il reduce dal Vietnam che rispondeva con brutalità devastante alle ingiustizie subite, eccoci al capitolo quinto, che segue quello del 2008, che tanti fans riconquistò dopo gli scivoloni, seppure redditizi, del secondo e, ancor più, del terzo episodio della serie. Arrivato all'autunno della propria esistenza, Rambo è un uomo che ha trovato una dimensione tranquilla, tenendo nel ranch di famiglia la governante messicana e sua nipote, cui guarda come un vero e proprio clan d'appartenenza: purtroppo la ragazza vuole ritrovare il padre, un messicano tornato al proprio Paese, che si rivelerà un uomo senza cuore e abietto. Da lì a precipitare in un gorgo di vizio e violenza, anche tramite una falsa amica, ci vorrà poco: la giovane cade nelle grinfie di un cartello di narcotrafficanti, guidato da due efferati fratelli, che ricavano molto del denaro con cui operano dal mercato della prostituzione, e l''ex- soldato partirà verso la nazione confinante nel tentativo di recuperare la ragazza. Accolto da una sostanziale negatività, da parte di diversi recensori ( soprattutto quelli della categoria online, sempre spicci nei giudizi), il quinto atto dell'eterna tragedia del personaggio di David Morrell ( il quale, sembra, pure lui ha disconosciuto questo nuovo sviluppo del carattere da lui creato) è, sì, grossolano in diversi passaggi di sceneggiatura, vedi una presentazione dell'ambiente messicano, tra corrotti, delinquenti e farabutti vari che si può leggere come la visione di chi ha votato un presidente soprattutto perchè gli prometteva un muro divisorio da "quelli", approssimativo (di che campa John Rambo, un ranchero con due cavalli soltanto? come ha scavato una rete fitta di tunnel sotto la sua proprietà, da solo?) e, se si volesse leggere la pellicola come usava una volta, con il filtro dell'idelogia, sostenitore della vendetta come risorsa ultima dell'Uomo di fronte alle brutture dell'esistenza. Però, se pur si vuol definire il film "funereo" come ha scritto nella sua bella recensione Emiliano Morreale su "Repubblica", va detto anche che l'antitesi naturale di Rocky Balboa, che resta sempre invece un positivo, questo Berretto Verde che a stento placa i suoi istinti di violenza, che ammette il proprio squilibrio mentale e per il quale ogni scampolo di pace residua è distrutto, trova il suo viale del tramonto con la perdita dell'ultima innocenza conosciuta, e ritrova la sua furia annichilente, senza mai averla davvero smarrita. Per Rambo il conflitto è sempre a portata di tiro, ha vissuto l'orrore della guerra incamerandolo e riversandolo ad ogni occasione, più feroce che mai. E, su tale piano interpretativo, si potrebbe leggere l'intera saga come un monito pessimista, sulla natura ferina degli esseri umani, così protesi alla distruzione di ambiente e propri simili, da perdere ogni struttura evoluta, e utilizzare esperienza e logistica per perpetuare la via all'autodistruzione. Stallone, cui la macchina da presa non risparmia primi e primissimi piani, per sottolinearne l'avanzata età e la stanchezza mista a furore della maschera del personaggio, lascia il posto a Adrian Grunberg, che già con "Viaggio in Paradiso" con Mel Gibson non ci aveva fatto pensare che abbia una buona opinione del Messico: la tonalità western, con la resa dei conti giocata sottoterra come se fosse in una miniera, giova tutto sommato al film, che nell'ultimo atto pesta forte sul piano della truculenza, al punto da far somigliare il vecchio militare vagabondo ai vari Jason e Leatherface degli horror di culto degli anni Settanta e Ottanta.

martedì 1 ottobre 2019

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C'ERA UNA VOLTA....A HOLLYWOOD
( Once upon a time...in Hollywood, USA 2019)
DI QUENTIN TARANTINO
Con LEONARDO DI CAPRIO, BRAD PITT, Margot Robbie, Margaret Qualley.
COMMEDIA/GROTTESCO/DRAMMATICO
Nel 1969, è un momento di stasi assoluta nel mondo del cinema americano: arriverà "Easy rider" di lì a un attimo, e a seguire i nuovi titani della regia come Coppola, Scorsese, Spielberg, Lucas, Milius e Cimino, ma in quel momento la grande industria, che fa capo a Hollywood è in panne. Un attore di successo in una serie western televisiva, che ha provato il salto sul grande schermo, ma non riesce a conquistare seguito e credibilità, con il suo stuntman personale, che gli fa anche da autista, e un pò da guardia del corpo, va in crisi e deve ridimensionarsi: tutto attorno ruotano figure che contano e che pensano di contare, e sullo sfondo, apparentemente pacifici, ma covando qualcosa di sinistro, ci sono i ragazzi della comunità di Charles Manson... Nona regia di Quentin Tarantino, "C'era una volta...a Hollywood" è un titolo che si distacca notevolmente dal resto dell'opera del regista de "Le Iene", un pò come accadde a "Jackie Brown", oltre vent'anni fa. Tarantino è un autore che ama spiazzare il pubblico, e mette su una commedia ad alto tasso di sarcasmo sul mondo placcato d'oro del cinema, mostrandone i vuoti annichilenti che sono appena dietro la cornice: due figure da poco come un attore di serie B e un cascatore sono quelli che salvano dalle insidie la maestosa ma fragile dimensione hollywoodiana, al punto da rivedere la storia vera, purtroppo, di Sharon Tate e del massacro di Cielo Drive ( comunque, pensando come il regista in "Bastardi senza gloria" riscrive la fine del nazismo, facendo a meno della Storia con la S maiuscola, è un'inezia). Rispetto ad altri lungometraggi tarantiniani, si rintracciano meno dialoghi ficcanti e destinati a diventare da antologia di altre volte, e si poteva alleggerire la lunga sequenza del film western, con Di Caprio che non ricorda le battute, ma considerare fallace un'opera filmica di questo livello è piuttosto sconcertante, per non dire grossolano: l'eleganza delle riprese, la sottigliezza della critica verso il mondo del cinema e chi lo compone, l'accelerazione improvvisa verso un'impennata di violenza che non sarà quella che ci si aspetta ( rimandata più volte durante la pellicola, arriva tutta verso il finale, e a prova di qualche stomaco), le prove divertite di molti volti famosi e l'irrefrenabile gusto cinefilo nel presentare nomi e citare episodi che fanno per forza sorridere chi coltiva la stessa passione per ogni cosa purché sia cinema ( una cosa per tutte: Nicholas Hammond, il primo Spider-Man di tv e cinema, nei panni di Sam Wanamaker, professionista del B-movie!). A fronte di tutto ciò, "C'era una volta...a Hollywood" suggerisce che sarebbe altrettanto divertente vedere un'operazione analoga dalle nostre parti, dedicata a quegli anni che videro fiorire gli western-spaghetti, i poliziotteschi, in un panorama cialtrone e vivacissimo, tutto da godersi. Se Margot Robbie è più che altro un'apparizione, Brad Pitt è il migliore in scena, nel dar volto e corpo a un personaggio paradossale, per cui il pubblico può fare il tifo, ma in fin dei conti, sotto un atteggiamento da pratico uomo d'esperienza, pulsa di un istinto omicida pronto ad affiorare rapidamente.
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AMICI E NEMICI ( Escape to Athena, USA 1979)
DI GEORGE PAN COSMATOS
Con ROGER MOORE, TELLY SAVALAS, Elliott Gould, Claudia Cardinale.
AZIONE/COMMEDIA
Nel mezzo dell'Egeo, in un campo di prigionia gestito dal maggiore Hecht, si coalizzano tra greci, inglesi, americani e italiani (siamo infatti nel '44), per sottrarre all'esercito tedesco dei beni archeologici su cui i militari germanici intendono mettere le mani per lucrarci sopra: in realtà, è lo stesso obiettivo dei prigionieri alleati, ma c'è in ballo anche una base missilistica costruita dagli invasori per attaccare le flotte nemiche. Improntato fin dall'inizio come un film di guerra anomalo, che guarda alla serie "Gli eroi di Hogan" più che a pellicole belliche classiche, "Escape to Athena" mette insieme un cast ben fornito di nomi visti in titoli di successo, a partire dal corrente 007 Roger Moore, nelle vesti del comandante tedesco ( ovviamente, però, non è un nazista convinto, e passerà con scioltezza dalla parte dei buoni...): diretto dall'abile George Pan Cosmatos, che qui gioca in casa, e gira l'unico suo film "brillante", sfoggia una bellissima fotografia (ad opera di Gilbert Taylor), ma dipana con forte prevedibilità le oltre due ore di durata, tendendo al monotono, salvandosi perchè appunto non si prende sul serio, e si vede. Nel variopinto cast, discrete le prove di Moore e Savalas, Gould viaggia troppo sopra le righe con ammiccamenti e facce da buffone, Niven ha un ruolo malamente scritto, mentre delle due belle di turno, la Cardinale esibisce una sensualità matura, mentre la Powers ostenta una ricca inespressività. Molti botti, tensione inesistente, qualche stiracchiato sorriso.

domenica 29 settembre 2019

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COLD WAR ( Zimna wojna, PL/F/GB 2018)
DI PAWEL PAWLIKOWSKI
Con TOMASZ KOT, JOANNA KULIG, Borys Szic, Agata Kuleszka.
DRAMMATICO
Un amour fou lungo quindici anni, che nasce nel dopoguerra in Polonia, e prosegue a Parigi, tra due anime complementari e distanti, lui un pianista e ricercatore musicale, lei una cantante e ballerina, entrambi talentuosi e dissipatori di tale dote, che si incontrano, si sfuggono, si dannano e si amano con passione, puntualmente trovandosi, puntualmente perdendosi. "Cold war", candidato a tre premi Oscar nell'ultima edizione ( miglior film straniero, migliore regia e miglior fotografia) è stato uno dei titoli di maggiore spicco nella passata stagione, per il cinema europeo, acclamato un pò ovunque dalla critica. Una storia d'amore che narra anche i cambiamenti storici che stanno sullo sfondo, un sentimento insopprimibile ma anche potenzialmente pericoloso, le ingiustizie subite dal Potere e dal Tempo, le vite di due esseri umani nelle correnti di politica, avvenimenti storici e chiaroscuri personali. In una scarsa ora e venticinque di proiezione, Pawlikowski mette in scena un'opera racchiusa in un elegantissimo bianco e nero ( fotografia davvero notevole a cura di Lukasz Zal, nome da segnare e probabilmente già sui taccuini di molti produttori internazionali), che nel suo iter inevitabilmente tragico, però non esterna del tutto la passione che divora vivi i suoi protagonisti, facendone sentire più gli spigoli e la parte dolorosa, che quel trasporto per il quale vale la pena vivere anche gli amori più ostici e apparentemente complicati. Potenzialmente, poteva essere ancora più coinvolgente, ma sembra prevalere il disegno di regia sul carico emotivo della sceneggiatura.
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GEPPO IL FOLLE (I, 1978)
DI ADRIANO CELENTANO
Con ADRIANO CELENTANO, Claudia Mori, Marco Columbro, Jennifer.
COMMEDIA/MUSICALE
Tra folle deliranti (con un Marco Columbro nelle esagitate vesti di un presentatore), uno staff che mette al centro di tutto "Lui", donne che svengono o impazziscono al solo suo apparire, l'aggettivo "Forte", che all'epoca era come e più di "cool", i fans che letteralmente lo spogliano per strada, il cantante di ultrasuccesso Geppo vuole andare a conquistare le classifiche americane, e duettare con il suo idolo Barbra Streisand: ma bisogna appunto imparare l'inglese, e affidarsi a un'insegnante fa comodo, specialmente se piuttosto bella. "Geppo il folle" è un automonumento o un tentativo di non prendersi sul serio da parte di un Adriano Celentano più che mai all'apice della propria lunghissima parabola d'artista e personaggio pubblico? Venuto dopo "Yuppi Du", e le tante critiche piovutegli addosso dopo tale film, e con incassi ancor maggiori di quel lungometraggio ( 11° nel '74/75 il titolo sul disgraziato Felice Della Pietà, 8° questo), questo è un oggetto ancora più autoreferenziale, quanto cinematograficamente scombinato, con momenti di assoluto nulla ( gli sciatori e quel goffo tentativo di estetizzazione?), celebrazione del modo di essere un cantante seguitissimo, che, ancor anni dopo, con ogni dichiarazione suscitava reazioni, e comunque lasciava il segno, e nonsense nell'umorismo a più non posso. Il problema maggiore è che, se nella prima parte, pur con tutte le pecche conosciute ai film con il Molleggiato al centro, qualche senso la pellicola lo trova, nella sua estenuante lunghezza ciò va a perdersi, e quando, a un certo punto, abbozza anche la predica, si crogiola in un'uggiosa seriosità. Così com'è, "Geppo il folle" è un'operazione che può lasciare sconcertati, spesso annoiati, con un grado di recitazione collettiva abbastanza agghiacciante, che però lascia percepire il fascino sempiterno di una star tra le più longeve del panorama italiano, volenti o nolenti. Splendida Claudia Mori, magnetico Adriano, nonostante tutto e nonostante se stesso.