martedì 8 ottobre 2019

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JOKER ( Joker, USA 2019)
DI TODD PHILLIPS
Con JOAQUIN PHOENIX, Robert De Niro, Frances Conroy, Zazie Beetz.
DRAMMATICO
La madre lo chiama "Happy", e di professione fa il clown, ma Arthur Fleck ha un'indole che gli fa guardare alla vita come a una tragedia, si sente sempre fuori posto e la gente tende, quando non a evitarlo, addirittura a essergli ostile fino alle percosse: in una Gotham City che sembra la peggiore New York a cavallo tra i Settanta e gli Ottanta ( non ci sono telefoni cellulari, i televisori perlopiù sono in bianco e nero o i primi che trasmettevano a colori, i videoregistratori sono mastodontici), Arthur sente sempre di più la propria esistenza precipitare in una spirale atroce di solitudine e follia, tutto gli gioca contro, e soffre di un disturbo che lo fa prorompere in una risata che suona come un urlo. A sorpresa vincitore del Leone d'Oro veneziano, "Joker", che racconta la genesi del nemico numero 1 di Batman, ma che non necessariamente va collegato all'universo DC rifondato da Nolan e Snyder, è un'opera cupa, mai illuminata dai raggi solari nemmeno nelle scene diurne, segnata da un pessimismo acuminato: per essere un titolo su depressione, alienazione che sfociano in pazzia omicida, sta raggiungendo incassi ragguardevoli un pò dappertutto, e per esempio qui in Italia, il film riempie le sale tutte le sere, e ha già messo insieme quasi sette milioni di euro, scatenando, peraltro, polemiche sui social network tra potenziali detrattori e spettatori che gli tributano un entusiasmo quasi sacrale. Eppure, nonostante una prova concentratissima e di valore di un attore di alta qualità come Joaquin Phoenix ( la cosa migliore è come riesca a far assumere agli occhi un'espressione disperata mentre la bocca gli si contorce in una delirante risata), in un'interpretazione che ha in sè sia il Travis Bickle di "Taxi driver", il Rupert Pupkin di "Re per una notte" e, nelle scene dell'ultima parte, quando il Joker è emerso, perfino il Michael Jackson da palco e da videoclip, il premio come miglior film all'ultimo festival di Venezia sembra generoso; nel raccontare come una fragilità livida possa tramutarsi in ferocia massacratrice, il film sta molto addosso al personaggio principale, ma non dà sufficiente spessore ai personaggi attorno ( De Niro, cui vanno appunto gli omaggi per i personaggi di cui sopra, è il presentatore tv che Arthur idolatra e che gli riserva i rari momenti di spensieratezza nelle sue trasmissioni), e non dice sostanzialmente cose nuovissime sui deserti di cemento e frettolosa superficialità quali sono le metropoli. Anche l'accelerata violenta, oltre che prevedibile nello svolgimento della trama, è cosa già presentata, oltre che dai titoli citati, anche in lavori come "Un uomo, oggi", con Newman e Perkins, per dirne uno. Bene che questo lungometraggio porti spettatori incuriositi nelle sale, bene anche che guadagni qualche futura nomination, perchè per quanto avesse già impressionato in personaggi estremi ne "Il gladiatore" e "The Master", Phoenix è un attore che merita consacrazione: ma parlare di capolavoro, e di cose mai viste sullo schermo, appare abbastanza eccessivo. Anche se è un segno di tempi che sembra abbiano non granché da dire.

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