venerdì 3 luglio 2015


THE FAST AND THE FURIOUS:TOKYO DRIFT
(The Fast and the Furious: Tokyo Drift, USA 2006)
DI JUSTIN LIN
Con LUCAS BLACK , Bow Wow, Nathalie Kelley, Sung Kang.
AZIONE
Per un tortuoso caso della continuity, va detto che gli eventi narrati in questo terzo capitolo della serie "Fast and Furious" sono collocati dopo il sesto episodio, in realtà: è il film meno collegato agli altri della serie partita nel 2001, e, in controtendenza, cresciuta di successo in progressione, tanto che l'ultimo dei segmenti usciti, il settimo, ha fatto sfracelli al box-office, complice anche la tragica dipartita di uno dei protagonisti, Paul Walker, che ha fatto in tempo a girare quasi tutto il numero sette, prima di morire in un incidente stradale accanto ad un amico. Qua c'è un giovane dal carattere impetuoso, che sembra avere un debole per mettersi nei guai con i motori, che si trasferisce in Giappone, dopo aver combinato l'ennesimo disastro con una macchina: va dal padre militare in carriera, che è di stanza appunto nella capitale nipponica, ma ben presto si trova contro una gang di affiliati alla Yakuza, che operano nelle corse clandestine, e il "drift" è appunto una specialità che non è per tutti i corridori. Se la spettacolarità delle gare e degli inseguimenti è quasi scontata ( ma qui è resa peggio che in altri titoli, oltre che della serie, di azione in genere), siamo alle prese con un lungometraggio che pare scritto da un sedicenne non particolarmente intelligente, e con una visione del mondo retrograda e deplorevole: donne considerate trofei o  di pura decorazione, sguardo benevolo su chi sgarra al codice della strada, o tende a combinare una smargiassata dietro l'altra, polizia assente o colpevolmente inutile, la malavita come parte della società  con cui è bene fare conti e patti. Un protagonista discretamente insulso come Lucas Black, e l'apparizione finale di Vin Diesel come strizzata d'occhio ai fans sfegatati: scambio di battute-tipo, "Ehi, c'è la polizia...", "Tranquillo, siamo a 197 all'ora...sopra i 180 neanche provano ad inseguirci." "Questo paese mi piace sempre di più!". Visto il target di spettatori cui un film così è rivolto, considerarlo diseducativo, oltre che imbecille, è il minimo.

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