sabato 30 dicembre 2017

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COCO ( Coco, USA 2017)
DI LEE UNKRICH e ADRIAN MOLINA
ANIMAZIONE
FANTASTICO/MUSICALE/COMMEDIA
Cosa ci sia nell'Aldilà prima o poi ce lo chiediamo tutti, forse anche chi afferma che sia sicuro che finendo di respirare poi tutto cessi. Per la cultura messicana, "El dia de los muertos" è una festa molto diversa dall'Halloween americano, poi divenuto internazionale: la gente truccata da scheletri, fantasiosi e comunque non lugubri ( tra l'altro presenti anche nell'incipit dell'ultimo 007, "Spectre"), l'atmosfera vivacissima e rumorosa, tanto colore diffuso oltre al bianco e nero è un tributo allo spirito di chi non c'è più fisicamente, ma assiste e protegge chi è rimasto. E appunto "Coco" narra di un ragazzino che, contrariamente alla tradizione di famiglia, in cui tutti sono fabbricatori di calzature, e hanno ripudiato la musica dall'esistenza, vuole fare il chitarrista e cantante. Per seguire la propria vocazione, convinto di essere discendente da una star nazionale, ruba la sua chitarra dal mausoleo in cui è tenuta, ma al primo accordo suonato ha la sorpresa di essere tramutato in uno spirito che ha accesso all'Aldilà: ove si fanno le file agli sportelli, c'è una polizia, si canta e si conta su spiriti-guida dalle più disparate forme animalesche, in un'esplosione sgargiante di tonalità e luminosità potenti. Può apparire molto curioso che in piena era-Trump la Pixar decida di ambientare un film nel Messico, con un protagonista dalla pelle non bianca, visto come vicino sgradito da questa amministrazione, ma è chiaro che questo lungometraggio è stato concepito e realizzato precedentemente all'insediamento del presidente americano più smargiasso a memoria di viventi: del resto, "La principessa e il ranocchio", primo cartoon disneyano ad avere una protagonista afroamericana, uscì nel 2009, appena dopo l'elezione di Barack Obama, segno che i colossi dell'animazione cinematografica "sentono" il tempo e esprimono un punto di vista tendenzialmente progressista. Al di là di questo, "Coco" è uno dei film più convincenti della casa che fece il botto con "Toy Story", da qualche anno a questa parte: la potenza dei fondali, l'accuratezza delle rifiniture dei personaggi e degli ambienti, il ritmo narrativo che ben sostiene i centodieci minuti di durata, il tono del film che suscita sorrisi, ma senza cercare la risata trascinante, e la molta tenerezza sparsa, senza sentimentalismo stucchevole, che fa affezionare al film lo spettatore. La regia di Lee Unkrich e Adrian Molina rappresenta un modo gentile di spiegare ai più piccoli che la morte è un aspetto dell'esistenza, e che come tale si può accettare, e che qualcosa  comunque resti, sia nei ricordi che, per chi ci crede, come essenza che protegga o guidi. E tutto il sottofinale, che scioglie i nodi della trama, è un briciolo di poesia in animazione, affatto scontato.

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