martedì 6 ottobre 2020


SE LA STRADA POTESSE PARLARE 
( If Beale Street could talk, USA 2018)
DI BARRY JENKINS
Con KIKI LAYNE, STEPHAN JAMES, Regina King, Teyona Parrish.
DRAMMATICO
Barry Jenkins, come si sa, ha avuto la più bizzarra premiazione agli Oscar che si ricordi: indelebile la scena che vide il produttore di "La La Land" chiamare sul palco lui e chi stava dietro a "Moonlight" per assegnare giustamente il premio per il miglior film alla loro pellicola, e non, come erroneamente proclamato da Warren Beatty e Faye Dunaway, al musical di Damien Chazelle. Due anni dopo, Jenkins ha girato questo lungometraggio, tratto da un romanzo degli anni Settanta, nel quale le tematiche affrontano di nuovo problemi legati alla comunità nera. La giovane coppia al centro della storia vede precipitare la loro unione in un abisso di disgrazie, dato che il ragazzo viene accusato, erroneamente, di aver partecipato ad una rapina a mano armata, finisce in prigione, ed una testimone nè attendibile, nè sana di mente, giura che sia stato invece proprio lui a commettere reato. Il film racconta gli screzi, le sofferenze, il dolore e la rabbia di vite sprecate per una falla nel sistema giudiziario, e di come sia più difficile per un membro della comunità black dimostrare la propria innocenza: niente di nuovo sotto il sole, lo abbiamo visto molte altre volte, però, come purtroppo possiamo vedere ai telegiornali, e leggere sui quotidiani, sono molti i casi di discriminazione che sconfinano nel sopruso e nella violenza razziale. "Se la strada potesse parlare" è ben girato, con attori in parte, ma sembra non decollare mai, non ha un crescendo, Jenkins adotta uno stile quasi in sottrazione, per un racconto che, invece, dovrebbe avere tonalità vibrante. Questo smorza non di poco la denuncia, sacrosanta, che invece titoli più grintosi come "Black Klansman" di Spike Lee facevano sentire eccome.
 

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