sabato 8 dicembre 2018

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IN NOME DEL POPOLO SOVRANO ( I, 1990)
DI LUIGI MAGNI
Con ELENA SOFIA RICCI, MASSIMO WERTMULLER, LUCA BARBARESCHI, ALBERTO SORDI.
DRAMMATICO/STORICO/COMMEDIA
Atto terzo di un'ideale trilogia concepita e diretta da Luigi Magni sul Risorgimento a Roma, con un primo e un secondo ("Nell'anno del Signore" e "In nome del Papa Re"), ancora più incentrati sul ruolo della Chiesa nella fase storica, "In nome del popolo sovrano" narra, come gli altri due film, vicende di singoli elementi legati tra loro, sullo sfondo storico di eventi più grandi. Il giovane nobile Arquati (Wertmuller), figlio di un marchese (Sordi), sposato a Cristina, che da un bel pò ha una relazione con l'ufficiale garibaldino Livraghi (Barbareschi) e, benchè nutra ancora affetto per il marito, un pò lo disprezza per l'inerzia che mostra: ma il consorte, trovatosi in mezzo ad uno scontro, in realtà ha salvato il rivale in amore dall'attacco di un soldato francese, e il fatto cambierà le cose. Intanto appunto le truppe di Napoleone sono giunte a contrastare la giovane Repubblica Romana: in fuga verso Venezia, Livraghi, con il prete patriota Ugo Bassi (Perrin) e il celebre ribelle Ciceruacchio (Manfredi), dovrà evitare controlli e imboscate degli austriaci che presidiano il percorso per giungere in Veneto. Magni ci ha messo tanta passione nel raccontare, con ironia, impeto e sarcasmo una grossa fetta di Storia d'Italia, sempre bacchettando il Potere, che fosse politico o religioso, e guardando con simpatia alla fallibilità di chi voleva sovvertire l'ordine precostituito. "In nome del popolo sovrano" rappresenta, però, uno dei suoi titoli meno convincenti: un pò per i troppi personaggi in scena, che forse distolgono l'attenzione dello spettatore dai fatti principali, un pò per una sceneggiatura, firmata con Arrigo Petacco, che non riesce ad essere fluida e non frammentaria; ed un pò per la scelta non azzeccatissima di alcuni interpreti. Se Wertmuller-Ricci sono una credibile coppia in crisi ( lui figura però meglio), non altrettanto si può dire del ribelle Barbareschi, e se Manfredi fa un bel monologo drammatico, Sordi conferma che sotto la direzione di questo regista si lascia andare troppo all'istrionico, offrendo una caratterizzazione sopra le righe e forzata, così come era risultato interpretando il fratacchione rozzo ma di buon cuore di "Nell'anno del Signore". In più, il film risente di quello stile incerto tra televisivo e cinematografico di cui diversi titoli italiani soffrirono tra la fine degli anni Ottanta ed i primi Novanta.

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