domenica 23 febbraio 2020

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GLI ANNI PIU' BELLI ( I, 2020)
DI GABRIELE MUCCINO
Con KIM ROSSI STUART, CLAUDIO SANTAMARIA, MICAELA RAMAZZOTTI, PIERFRANCESCO FAVINO.
DRAMMATICO
Dal 1980 ad oggi, quarant'anni d'amicizia tra ragazzi cresciuti in borgata e poi un pò perdutisi, un pò no, tra Roma ed altrove. Gabriele Muccino, che da "L'ultimo bacio" in poi è tra i beniamini del pubblico nostrano, solitamente accorrente all'uscita di ogni suo nuovo lavoro, arrivato alla soglia dei cinquanta, prova a tracciare un ritratto della sua generazione ( anche quella di chi scrive, tra l'altro) e sullo sfondo delle storie dei suoi personaggi,si dipana la Storia, quella grande, che comunque, anche quando non ci sembra, condiziona la vita di tutti, e riallinea percorsi e conseguenze delle scelte di ognuno. Il parallelo con quello che è, non solo tra i grandi film italiani degli anni Settanta, ma tra i titoli prodotti in questo Paese, tra i più belli di sempre, e cioè "C'eravamo tanto amati", non è solo suggerito, ma proprio rimarcato, vedi le sequenze del conflitto del personaggio ex idealista, anche qui avvocato, con il suocero corrotto e intrallazzone, che qui vede in scena Pier Francesco Favino e Francesco Acquaroli e là Vittorio Gassman e Aldo Fabrizi, e quella del ritrovo in trattoria tra i tre vecchi amici cambiati dalla vita. Però Ettore Scola aveva un'altra fibra, un'altra mano di regista e sceneggiatore, e soprattutto meno compiacimento verso i propri personaggi: se una riconciliazione vera tra quelli che furono amici un tempo nel classico del '74 non era possibile, qui invece si punta ad un finale da "volemose bbene", addirittura con due figli che arrivano a far coppia. Nel cast, se la Ramazzotti rifà la ragazza fragile, di virtù relativa e in balìa dei venti della vita, vista in troppi altre pellicole, il migliore in scena è Kim Rossi Stuart, che nella scena in cui viene lasciato e tradito anche da un amico fraterno e ha un attacco di panico spicca per adesione al ruolo e resa interpretativa. E per qualche sequenza valida, come quella in cui la ragazza del quartetto, Micaela Ramazzotti, fa di corsa quelle scale che non potè risalire, e ad ogni piano ha un'età diversa, troppe le frasi da teleromanzo messe in bocca ( "Quanta fame di vita avevamo..:" sempre lei che guarda una foto fatta da ragazzi), e sul versante emotivo, la regia sembra non saper sfruttare il potenziale a disposizione: ma come, fai una scena d'amore ritrovato sul crescendo di "E tu come stai?" di Claudio Baglioni ( che canta anche la title-track e di cui viene cantata anche "Mille giorni di te e di me"), uno dei pezzi a tutto cuore della nostra canzone, e ti viene fuori una scena banale e nemmeno tanto originale? 

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