mercoledì 29 maggio 2019

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DOLOR Y GLORIA ( Dòlor y Gloria, ES 2019)
DI PEDRO ALMODòVAR
Con ANTONIO BANDERAS, Asier Extendìa, Leonardo Sbaraglia, Penelope Cruz.
DRAMMATICO
"Dolor y Gloria", regia numero ventidue di Pedro Almodòvar, ha riportato alla ribalta il regista spagnolo dopo qualche anno di riconsiderazione critica del suo operato, tanto da far scrivere a qualcuno, come accaduto anche per Tim Burton negli ultimi anni, che si tratta di un regista forse sopravvalutato ( ma "Julieta", il suo penultimo lavoro, aveva conquistato diverse recensioni buone); è un film-confessione, questo, lo sfogo di un autore che ha conosciuto, appunto, dopo anni di grandi successi e l'ebbrezza della consacrazione, anche la deriva della depressione, e molti mali psicosomatici che gli hanno impedito di lavorare al meglio, e fargli firmare di nuovo titoli di spicco. Magari, Almodòvar ha negato di aver fatto uso di eroina come invece fa e non poco il suo alter ego sullo schermo, Salvador, ma molto dell'impasto tra ricordo suggestivo e presente sperso pare proprio derivato dalla vita reale dell'autore. E' un film sostanzialmente onesto, come appunto dovrebbe essere un flusso che porta ad un'apertura circa la sfera personale, con gli amori andati male, la noia del clamore ripetuto all'infinito, le complicazioni dell'età che avanza e non fa reggere il passo: e la nota acuta di malinconia che sgorga dallo schermo è sincera. I tocchi almodòvariani si riconoscono in quegli sguardi femminili che comprendono le situazioni prima, nei dialoghi fluenti, meno nella scansione di un racconto che, verso la parte finale, pare fare il verso al terzo episodio di "Caro diario" di Moretti, quel "Dottori", che era la sterzata "in serio" di un film a questo imparentato. Antonio Banderas ha vinto a Cannes con un'interpretazione di mezzi toni, che, dopo anni in cui il divo spagnolo si era venduto a un cinema commerciale internazionale spesso becero, ne ripristina la buona caratura d'attore, e in un cast che gli ruota smaccatamente intorno, fa buona figura Asier Extendìa, nel ruolo dell'attore-feticcio del protagonista, carico di affetto e rancori verso il suo ex-nume. Il miglior lavoro dell'autore è l'ineguagliato "Tutto su mia madre", questo è uno snodo forse inevitabile per farlo tornare a un cinema di prima qualità, raccontato con lucida, amarognola coscienza di sè.

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