domenica 17 giugno 2018

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END OF JUSTICE- Nessuno è innocente
( Roman J. Israel, Esq., USA 2017)
DI DAN GILROY
Con DENZEL WASHINGTON, Colin Farrell, Carmen Ejogo, DeRon Horton.
DRAMMATICO
"Esq.", come spiega il protagonista Roman J. Israel nel corso del film, visto che è apposto dietro al suo nome nei biglietti da visita che sparge con ferma persistenza per tutta la storia, sta per "Esquire" (come la rivista, sì) ed è un titolo desueto: come desueta, deve constatare Israel, è la sua carica radicale in un mondo in cui più che il compromesso, è ormai stato naturale l'assoggettazione. Avvocato civilista, geniale nell'avventurarsi tra codici e lettura delle leggi, ma disastroso nelle relazioni interpersonali e nell'esercitazione dell'avvocatura, l'uomo si ritrova, per via dei problemi economici e delle cattive condizioni dello studio legale per cui lavora da anni, ad entrare in uno studio più potente ma più avvezzo a stare al passo con un sistema non ben oliato quando non corrotto. Ferito nelle aspettative circa una società migliore, mosso da un idealismo che non prevede patti con i rivali o i nemici, si ritroverà a fare una scelta, in un momento in cui ha perso ogni speranza di poter cambiare le cose, che potrebbe costargli carissima. "End of justice" parte benissimo, e affronta temi purtroppo sempre meno frequentati dal cinema ad alto budget, fino a oltre metà film, per poi conoscere un deceleramento nella seconda parte, quando i toni si fanno più simili ad un thriller metropolitano che ad un dramma di denuncia: peccato, perchè l'interpretazione di Denzel Washington, candidata all'Oscar e forse meritevole del premio, è bellissima. A parte il vistoso cambio di silhouette e l'impaccio perpetuo del personaggio sia nel muoversi, che nel parlare, Roman J. Israel rimane impresso per la sua capacità sia di irritare nel proprio radicalismo e nella sua franchezza senza mezzi termini, che di commuovere, come nella toccante scena in cui va a chiedere lavoro e in pochi minuti fa i conti con la propria vita: ritrovando un buon tono narrativo in un finale angosciante e ineluttabile, Gilroy realizza, comunque un titolo che avrebbe meritato maggior fortuna, per come sa raccontare quanto l'egoismo e la distanza abbiano inferto colpi decisivi al senso di comunità e alla ricerca di diritti da conquistare insieme, che non valgono solo per gli afroamericani, ma riguardano tutti. 

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