venerdì 30 marzo 2018

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IL SINDACALISTA ( I, 1972)
DI LUCIANO SALCE
Con LANDO BUZZANCA, Renzo Montagnani, Paola Pitagora, Isabella Biagini.
COMMEDIA
Operaio incazzato perennemente, Saverio ha fatto sacrifici e continua a farne per ottenere qualcosa in più per la condizione sua e dei colleghi, ma questi non vogliono saperne di fare gli scioperi della fame, e altre dure prove per lottare contro il principale: bisogna rivolgersi al sindacato, anche se il titolare vuole "fare l'amico". Curioso che da due personalità conclamate di destra quali Luciano Salce e Lando Buzzanca sia venuto fuori un film che parla di condizione operaia, lotte sindacali, contrasti all'interno dei contestatori, ideali che non sono facili da applicare alla realtà: e, tra l'altro, la sceneggiatura è firmata da Castellano & Pipolo, che avrebbero fatto del cinema senza pensieri e quasi fuori dal reale la loro dimensione. Però, all'inizio degli anni Settanta, in cui tutto "era" politico, ci stava anche questo, addirittura che una commedia, verso la fine, viri quasi al dramma, quando il protagonista rischia forte di lasciarci la vita per via della propria ortodossia nel contestare. Certo, non è così ilare questo film che forse voleva fare dell'ironia sulla montante rabbia proletaria, e però fotografa anche non grossolanamente quel mondo, quell'era che oggi pare così lontana: va comunque riconosciuto a regia e sceneggiatura di non far scadere il lungometraggio nel becerume, nella farsa scollacciata e di mantenere il timone sul racconto di una forma di idealismo talmente incatenata a se stessa, da non capire che non tutto si può contrattare, o comunque non andare a patti con le cose, può non imprimere nessun progresso. Buzzanca in uno dei suoi ruoli meno grossolani, ma a livello attoriale il figlio di papà Montagnani ha dei punti in più.
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I TARTASSATI ( I, 1959)
DI STENO
Con TOTO', ALDO FABRIZI, Louis De Funès, Cathia Caro.
COMMEDIA
Le tasse, benchè ci siano stati ministri che abbiano asserito che è bello pagarle ( e comunque, fino ad un certo punto, è perlomeno giusto, se si pretendono i servizi), sono da sempre una spina nel fianco del cittadino medio: troppo alte, troppe, troppo in espansione e mai in diminuzione. Steno, su sceneggiatura firmata da cinque persone, tra cui egli stesso, Aldo Fabrizi e Ruggero Maccari, girò questa commedia in cui riuniva all'attore romano Totò, in una versione "borghesizzata" del precedente "Guardie e ladri". Nel quale appunto Fabrizi rivestiva il ruolo di un poliziotto dal volto umano e Totò un ladro per sopravvivenza, e qua invece il primo è un maresciallo della Polizia Tributaria, vecchio nome della Guardia di Finanza, e il secondo è un commerciante dai buoni guadagni ma dai molti intrallazzi fiscali. Potrebbe essere ambientato, con opportuni ritocchi, al giorno d'oggi, giacché l'insofferenza degli italiani per le gabelle, se possibile, è anche aumentata, implicitamente perchè giunte oltre il livello di guardia: il film tuttavia diverte, e non poco, nei duetti tra Aldo Fabrizi e Totò (la scena dell'arruffianamento "politico" di Totò verso i due che fanno i controlli è da antologia), e punge, in chiave commerciale, ma fa il suo dovere di commedia di costume ben scritta ed interpretata. Tra le cose migliori di Steno, meno corrive e maggiormente centrate sull'epoca in cui venne realizzata.

lunedì 26 marzo 2018

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L'ORA PIU' BUIA ( The darkest hour, GB 2017)
DI JOE WRIGHT
Con GARY OLDMAN, Kristin Scott-Thomas, Ben Mendehlson, Lily James.
DRAMMATICO
"A me piace ascoltarlo, basta non seguire le sue indicazioni", dice uno dei Lord ad un altro, preparandosi a sentire un discorso cruciale di Winston Churchill, nominato capo del governo britannico mentre infuria una delle crisi più profonde che mai abbiano colpito l'Europa, con l'avanzare delle truppe naziste, che stanno conquistando con rapidità molti Paesi; il film diretto da Joe Wright apre con un'inquadratura "a pioggia" sul parlamento della Gran Bretagna, in una fase contrastata in cui appunto in molti politici propenderebbero per un accordo con Hitler, al fine di salvare qualcosa. Dipinto mentre fa colazione con una robusta dose di whisky, in vestaglia rosa, e consapevole della diffidenza, quando non addirittura dell'astio che a malapena vengono celati nei suoi confronti dai più, Churchill si arrocca su una posizione di resistenza strenua all'avanzata nazista, a dispetto della diplomazia, e a dispetto della logica presentatagli dal consiglio di guerra. La sceneggiatura di Anthony McCarten si dipana come un thriller a sfondo storico, in un lungometraggio che verte molto sui dialoghi, ma che avvince lo spettatore, nonostante la Storia sia nota: l'abilità di mostrare ogni pecca di un personaggio storico, spesso ripreso in controluce, unendola alle frasi rimaste memorabili, e all'atteggiamento ostinato e controcorrente nel perseguire l'intento di combattere la minaccia nazista, nonostante risulti, nel frangente, senza grandi possibilità di contrasto. Il cuore del film è nella bellissima scena della metropolitana, storicamente poco attendibile, ma toccante e intensa. Pur sotto un trucco abbondantissimo, Gary Oldman è bravissimo nel rendere i borbottii, le esitazioni, lo stridulo che ha nel porsi del celebre politico inglese, e pur essendo un film che basa molto di sè sulla performance attoriale del protagonista, "L'ora più buia" non dà modo di annoiarsi, viaggiando con impeto verso la dichiarazione di guerra ad un orrore senza precedenti nella Storia dell'Uomo, col tocco elegante di un regista che sempre più delinea un marcato stile personale, e firmando un messaggio sul non darsi mai per vinti, nonostante tutto e tutti. 
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UN TASSINARO A NEW YORK ( I, 1987)
DI ALBERTO SORDI
Con ALBERTO SORDI, Anna Longhi, Dom De Luise, George Gaynes.
COMMEDIA
"Il tassinaro" fu l'ultimo grande successo commerciale di Alberto Sordi come star unica di un film: vero, andarono bene anche "Troppo forte", "L'avaro" e "Vacanze di Natale 91", ma in questi titoli Albertone o era un comprimario di lusso, oppure, comunque, come per  film di Cervi, benchè il pubblico abbia risposto positivamente, le vette delle classifiche degli incassi rimasero a distanza. Quattro anni dopo il film che vedeva il tassista Pietro Marchetti, uomo del popolo, vivere una Roma cambiata in diversi aneddoti, lo stesso personaggio viene infilato in un sequel nel quale lui e la moglie vanno a New York, poi a Miami, a trovare il figlio che studia laggiù: per l'appunto, la sera prima di partire, l'ultima corsa di Pietro lo vede testimone dell'omicidio di un facoltoso politico, e i mafiosi che sono dietro al misfatto lo seguono anche in America. Sono impressionanti la pochezza di questo film, la non capacità di suscitare un minimo sorriso, la grossolanità di un personaggio che punta tutto su una "raccomandazione" per il figlio, come fosse un valore positivo, ma quel che sbalordisce, letteralmente, è come sbaglia i tempi recitativi un fuoriclasse come Sordi. Passi per la regia, si sa che quando passava dietro la macchina da presa, il grande attore tirava fuori una retorica ultraconservatrice goffa e arcaica, ma che non azzecchi un'espressione, un gesto, un'intonazione, lascia attoniti. Tra noia e scene messe insieme in maniera arruffata, vedi la presunta gag con George Gaynes che intona "Arrivederci Roma", scivolano lentamente i siparietti tra Sordi e Anna Longhi, a suon di "spaghetti & tomato" e tra il protagonista e regista e Dom De Luise sull'onda di "Stai senza pensieri": un filmetto superfluo, tendente al patetico, con un'ottica vetusta. Se si vuol bene a Alberto Sordi, meglio risparmiarselo.

sabato 24 marzo 2018

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ANNIENTAMENTO ( Annihilation, USA 2018)
DI ALEX GARLAND
Con NATALIE PORTMAN, Jennifer Jason Leigh, Gina Rodriguez, Tessa Thompson.
FANTASCIENZA
Per la prima volta un titolo destinato alla visione "on demand" viene pubblicizzato con tanto di cartelloni pubblicitari nelle città, e il bel volto di Natalie Portman campeggia presentando un film dai costi non irrisori, diretto da un regista che è alla seconda prova, dopo aver convinto quasi tutti con il primo lavoro, "Ex-Machina". Tratto da un romanzo di Jeff Vandermeer, il primo di una trilogia, "Annientamento" racconta della biologa Lena, interrogata da alcuni scienziati e militari dopo essere sopravvissuta ad una missione in un'altra dimensione, denominata "Il Bagliore": prima ne era tornato solo il marito, un soldato, e successivamente con altre quattro donne, la protagonista ha affrontato il mondo parallelo, che presenta un ambiente selvaggio e denso di pericoli, con animali mutati. E qualcosa d'altro... Pare che Garland sia rimasto amareggiato dalla decisione della Paramount di non distribuire il film nelle sale e direzionarlo solo alla visione domestica, ma, al di là dell'esclusività che si vuol dare all'evento, assistendo al lungometraggio, appare abbastanza chiaro che probabilmente farlo uscire nei cinema si sarebbe tradotto in un disastro economico. Il film, venduto come un'avventura fantascientifica che sconfina nell'horror, con mostri dalle fattezze zoologiche, che rimandano al vecchio "Profezia" di John Frankenheimer, in realtà procede, con molta lentezza, verso uno sfociare nella "fantacoscienza", in voga negli anni Settanta, filosofeggiando in maniera un pò retorica nell'ultima parte, senza peraltro trasmettere granchè di solido. Una buona sequenza di suspence, quella in cui il gruppo in missione riesce a trovare uno stabile, ma riceve la visita di un'orrenda iena colossale, non basta a rendere "Annihilation" uno spettacolo memorabile: ed il tentativo, da parte di Garland, di realizzare un kolossal pensante, si inceppa e giunge ad una conclusione abbastanza già vista. Non da buttare via, ma troppo cerebrale e freddo.

martedì 20 marzo 2018

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IL GIUSTIZIERE DELLA NOTTE ( Death wish, USA 1974)
DI ELI ROTH
Con BRUCE WILLIS, Vincent D'Onofrio, Camila Morrone, Elizabeth Shue.
THRILLER
Quando ricevette la proposta di interpretare Paul Kersey, l'ingegnere dalle idee progressiste che si tramuta in un killer di malviventi dopo che gli è stata distrutta la famiglia da alcuni delinquenti, Paul Newman rifiutò disgustato, affermando che mai avrebbe interpretato un ruolo così reazionario: come sappiamo, Charles Bronson ha interpretato poi il personaggio ne "Il giustiziere della notte" e nei suoi quattro sequel, oltre a riproporre un vendicatore senza pietà in molti ruoli in tarda età. Questo remake se lo sono "rimbalzato" in molti, a partire da Sylvester Stallone che aveva annunciato che avrebbe diretto ed interpretato la nuova versione della storia tratta dal romanzo di Brian Garfield, per poi finire assegnando a Bruce Willis la parte principale, ed a Eli Roth la regia: straniante che un cineasta responsabile di uno dei film più dichiaratamente di sinistra del nuovo millennio, come "Hostel", il quale era una truculenta, e meno rozza di quanto volesse apparire, metafora del capitalismo quando ormai non ha più freni e opposizione, si ritrovasse a dirigere un lungometraggio che anche solo venticinque anni fa avrebbe conosciuto come minimo l'avversione da parte della stampa più "liberal". Diciamolo, "Il giustiziere della notte" versione Bronson/Winner era proprio un brutto film, tronfio di retorica destrorsa e invocante la giustizia privata come unico metodo di sopravvivenza, la strada come una jungla o un ultimo Far West: al di là della presenza iconica del baffuto Charles, la saga era andata di male in peggio, aumentando la dose di violenza e il numero di morti in scena. Sceneggiato da Joe Carnahan, che è un regista e scrittore di cinema sottostimato (perlomeno "Narc" e "The Grey" sono titoli di prim'ordine), "Death wish" 2018 è meno cruento di quanto ci si possa aspettare da Roth ( c'è un delitto splatter, in officina, ma la macchina da presa inquadra solo per un attimo le conseguenze delle azioni di Kersey/Willis), cambia la professione del protagonista da ingegnere a chirurgo, ed elimina le pesanti scene di stupro dell'originale: sebbene appaia improbabile che in un'era in cui, tra telefoni che passano le immagini in diretta in Rete, e tra videocamere perennemente accese sul mondo, un giustiziere che spara a chi delinque per strada possa farla franca così agilmente, il paradosso che vede Willis eliminare teppisti nella pubblica via, e cercare di salvare vite umane in sala operatoria era interessante, ma la regia non lo sviluppa. E sul punto di vista del film, pur dimostrando comprensione per il furore vendicativo di Kersey, va a finire che viene espressa una certa perplessità sulle sue azioni: e pensare che sui social network a volte si respira anche più fervore circa la "giustizia privata".
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BRIGHT ( Bright, USA 2017)
DI DAVID AYER
Con WILL SMITH, JOEL EDGERTON, Lucy Fry, Noomi Rapace.
FANTASTICO/AZIONE
In un mondo alternativo, esseri umani convivono con elfi, orchi e fate, ma il tutto è organizzato in una scala sociale che vede uomini ed elfi al vertice, e gli orchi minoranza razziale che occupa i gradini più bassi: quando il piedipiatti Ward (Will Smith) si ritrova come compagno di pattuglia un orco, Jakoby, gli attriti tra i due non tardano ad emergere; anche perchè un orco spara all'umano, senza ucciderlo, e il collega sembra non aver fatto di tutto per fermarlo. Ma gli eventi precipitano quando i due poliziotti si ritrovano davanti ad una strage, compiuto forse da un "Bright", cioè un essere speciale che riesce ad usare la magia, tramite una speciale bacchetta luminosa: c'è un complotto per sovvertire le cose e i due prendono in custodia un'elfa accusata della carneficina. L'idea di imprimere una connessione con la società di oggi ad un racconto fantastico non era male, ma è evidente, avendo visto anche "Suicide Squad" che la dimensione fantasy non è consona al cinema di Ayer: il quale aveva girato un buon film di guerra con "Fury", ma sembra a disagio con ciò che è da gestire tra sprazzi di inverosimile e canoni di irreale. Dove altri cineasti più in tono con queste chiavi narrative avrebbero avuto ampio campo di gioco, Ayer rende le cose macchinose, contorte, opprimenti. E gira un thriller a sfondo soprannaturale con poca luce, situazioni ripetitive e personaggi non benissimo definiti: se tra Smith ed Edgerton, quest'ultimo irriconoscibile sotto il trucco da orco grigio, certi dialoghi possono anche funzionare, Noomi Rapace e Edgar Ramirez sono alle prese con le peggiori e più trascurabili prestazioni della loro carriera, in personaggi monodimensionali. Prodotto esclusivamente per Netflix, con tutti i crismi della grossa produzione per il cinema, rappresenta il primo deciso passo per il kolossal on demand: ma si poteva partire meglio assai...
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ASPIRANTE VEDOVO ( I, 2013)
DI MASSIMO VENIER
Con FABIO DE LUIGI, LUCIANA LITTIZZETTO, Alessandro Besentini, Roberto Citran.
COMMEDIA
I classici della commedia all'italiana, soprattutto quelli degli anni Sessanta, hanno conosciuto, in alcune occasioni, dei remakes, ovviamente adeguati all'ottica di oggi, come è accaduto a "A cavallo della tigre" (che non fu un successo commerciale, ma uno dei primi, riusciti, tentativi di mescolare commedia e dramma) e anche a "Il vedovo", che è rimasto più impresso, anche se la sua fama è accresciuta negli anni, più che al momento dell'uscita nelle sale. Per ora, l'impressione è che sarebbe stato bene lasciare le cose come stavano: perchè rifare un film se del soggetto non se ne può fare un film migliore? Nel vedere le tribolazioni del viziato, e presunto furbacchione Alberto Nardi, nel voler fare l'imprenditore rampante invece tenuto al guinzaglio, e a giro stretto dalla moglie velenosa e abbiente Susanna, in versione moderna, senza arrivare a vituperarlo come hanno fatto molte firme nel recensirlo, con tutta la disponibilità possibile, si può arrivare a trovarlo superfluo. Perchè non è fatto malissimo, ma è freddino e diligente, non fa ridere, perchè la carica mordace dell'originale se la sogna, e tranne un paio di battute di De Luigi, la pellicola scorre senza lasciar gran segno di sè, e perchè il piano del film del 1959 per eliminare la consorte-iena era molto meno macchinoso di quello tirato fuori qua. Certo, va da sè che Massimo Venier non è Dino Risi, soprattutto quello che appunto da quell'epoca all'inizio degli anni Settanta le azzeccava quasi tutte, e che nè De Luigi, nè la Littizzetto sono Alberto Sordi e Franca Valeri: lui adopera mezzi toni e freddure laddove Sordi metteva grinta, vittimismo e un estro bambinesco al limite della follia,  lei risulta petulante e incarognita (e comunque appare chiaro che la comica piemontese al cinema non funziona) era precisa, puntuale e glaciale. Il tutto si risolve in una scarsa ora e mezza vagamente plumbea, e innocua: che, parlando di qualcosa che in qualche modo ha a che fare con la satira, non è proprio quel che ci vuole.

sabato 17 marzo 2018

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THE PARTY  ( The party, GB 2017)
DI SALLY POTTER
Con KRISTIN SCOTT-THOMAS, TIMOTHY SPALL, PATRICIA CLARKSON, CILLIAN MURPHY.
COMMEDIA/GROTTESCO
Sette personaggi in un ambiente chiuso, aspettandone un ottavo che non vedremo, ma che ha peso non da poco nello svolgersi dei fatti: appena nominata ministro ombra, una politica inglese dà un cocktail party per festeggiare l'apice della propria carriera, ma nonostante l'atmosfera inizialmente spensierata, emergono molte contraddizioni, vizi e superficialità, nonché aspetti negativi da parte di tutti, che si professano di idee "liberal", tolleranti e aperti. Da chi salta subito alle conclusioni, dimostrando di avere una risposta pronta ( e spesso erronea) per tutto, a chi parla per frasi fatte, da chi ha un'impensabile relazione alternativa, a chi sfodera un cinismo inusitato, si viaggia da una confessione-bomba, ad una dimostrazione di mancanza di pietà, e ad uno sfogo nella violenza, che non dovrebbero abitare in un contesto del genere: siamo in una black comedy densa di dialoghi e chiaroscuri, che in soli settantuno minuti mette su un gioco al massacro succoso e acido. Con l'apporto di una fotografia in bianco e nero che esalta ogni difetto dei volti in gioco senza indulgenza alcuna, Sally Potter dirige con veemenza un pugno di attori molto in parte, nel dar vita ad uno scontro feroce all'ultimo insulto, o all'ultima verità nascosta, peraltro aprendo il film con quella che poi scopriremo essere l'ultimissima, decisiva sequenza. Difficile stabilire chi sia il migliore del cast, tra la nevrastenica Kristin-Scott Thomas, il sofferto Timothy Spall, il vaneggiante Bruno Ganz, la sproloquiante Patricia Clarkson, il consunto dagli stupefacenti Cillian Murphy, la possessiva Emily Mortimer e l'incauta Cherry Jones: presentato all'ultimo festival di Berlino tra gli applausi, ma sfumando la vittoria dell'Orso d'Oro al fotofinish, "The party" è un'esempio di satira velenosa che non sarebbe dispiaciuta a Luis Bunuel e a Marco Ferreri, di cui si temeva si fosse smarrito lo stampo.

venerdì 16 marzo 2018

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IL GRANDE DUELLO ( I, 1972)
DI GIANCARLO SANTI
Con LEE VAN CLEEF, Peter O'Brien ( Alberto Dentice), Horst Frank, Klaus Grunberg.
WESTERN
Lee Van Cleef fu "ripescato" dalla cinefilia di Sergio Leone, che lo ricordava come uno dei tre bravacci che accompagnano il fuorilegge che sfida Will Kane in "Mezzogiorno di fuoco", per schierarlo accanto a Clint Eastwood nel bel ruolo del colonnello Mortimer in "Per qualche dollaro in più"; negli anni seguenti, l'attore dagli occhi dal taglio orientaleggiante interpretò numerosi western in parti da protagonista, o comunque dividendo con l'interprete principale i manifesti. Ne "Il grande duello" è il primo personaggio, un ex-sceriffo che si associa ad un tizio che si gioca la pelle contro alcuni pistoleri, accusato di aver commesso un omicidio anni prima: anche se, ovviamente, la verità è un'altra. Girato nei luoghi canonici degli spaghetti-western, "Il grande duello" non figura tra i peggiori esempi di quell'ondata abbondante di seguaci leoniani: però la regia di Santi è impersonale, e del cast, Van Cleef è l'unico a risultare in qualche modo convincente, anche perchè Peter O'Brien, nome d'arte di Alberto Dentice, intuì che la propria strada era un'altra, ed infatti abbandonò il cinema per darsi al giornalismo. Le musiche di Luis Bacalov, tra le cose migliori della pellicola, furono riprese da Quentin Tarantino per essere inserite nella colonna sonora di "Kill Bill": in chiaro stile morriconiano, con tanto di presenza della vocalist Edda D'Orso, sono probabilmente tra le migliori musiche del genere, escludendo quelle del capostipite Ennio.

giovedì 15 marzo 2018

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IN TIME ( In time, USA 2011)
DI ANDREW NICCOL
Con JUSTIN TIMBERLAKE, AMANDA SEYFRIED, Cillian Murphy, Vincent Kartheiser.
FANTASCIENZA
In un futuro non specificato quanto lontano, sono sparite le umanità monetarie: si paga tutto in tempo, e chi ne ha di più a disposizione è chi sta ai piani più alti della società, e chi ne ha meno, è tra i poveri. Fisicamente ognuno dimostra meno di trent'anni, ma grazie al contatto fisico mesi ed anni si possono passare, ma attenzione a rimanere a corto, perchè si cessa di vivere in un attimo. Su questo soggetto, Andrew Niccol ha tratto un thriller fantascientifico, in cui appunto la coppia di protagonisti Justin Timberlake e Amanda Seyfried si trovano a correre proprio contro il tempo per sopravvivere e scoprire una macchinazione: in mezzo, molti volti ambigui, pericoli e rischi di non arrivare a far quadrare le cose. Andrew Niccol, un tempo sceneggiatore di vaglia, da regista comincia ad avere una filmografia robusta, però, come si è già detto, è un cineasta con spunti non da poco, ma che difetta nello sviluppare le storie che costruisce, annacquando il messaggio che vorrebbe comunicare agli spettatori. In questo quadro che parla di divari inaccettabili, è sana l'irritazione per società che basano spietatamente se stesse su profitto di pochi e sopravvivenza a stento di tanti, ma più che va avanti, e più che il film gira su se stesso.

domenica 11 marzo 2018

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LA VEDOVA WINCHESTER  (Winchester, USA/AUS 2017)
DI MICHAEL e PETER SPIERIG 
Con HELEN MIRREN, JASON CLARKE, Sarah Snook, Angus Sampson.
HORROR
La signora erede delle non poche finanze dell'inventore del celeberrimo fucile ricaricabile, che influenzò non poco le sorti delle guerre con i pellerossa, William Winchester, pare che visse gli ultimi anni della propria vita convinta di essere circondata da vittime dell'arma congegnata dal consorte: e che abbia creato una magione espansa al massimo livello, affinché potessero esserci stanze in cui gli spiriti non la tormentassero. Su questa storia, i fratelli Michael e Peter Spierig, che hanno realizzato alcuni horror non di bassa lega, e vengono dall'ultimo capitolo di "Saw" hanno costruito un film che, a differenza dei loro titoli precedenti, conta meno sugli aspetti sanguinari e più sulle suggestioni. Infatti, viene narrata l'esperienza dello psicologo Eric Prince, bravo ma troppo dedito all'uso del laudano per stordirsi, che viene convocato dalla società facente capo alla donna, ritenuta non in grado di condurre le operazioni commerciali, per vagliarla da un punto di vista clinico: quello che scoprirà trascende nel soprannaturale. Le premesse e due interpreti di buon valore come Helen Mirren e Jason Clarke autorizzavano ad aspettarsi qualcosa di più di una "ghost story" che tende al verboso, e non mostra niente che non sia già visto. Se voleva essere una condanna dell'utilizzo delle armi da fuoco, non arriva al punto, se le intenzioni erano quelle di un racconto d'orrore con radici nella realtà, la tensione è troppo sfumata: si arriva alla prevedibile conclusione con la sensazione di aver visto un film non infimo, ma, seppure di passabile confezione, non lascia granchè nel pubblico. 

giovedì 8 marzo 2018

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A CASA TUTTI BENE  ( I, 2018)
DI GABRIELE MUCCINO
Con STEFANO ACCORSI, PIER FRANCESCO FAVINO, SABRINA IMPACCIATORE, Carolina Crescentini.
DRAMMATICO
Nelle interviste di presentazione alla stampa del suo nuovo titolo, Gabriele Muccino ha parlato di "un ritorno a Itaca", dato che "A casa tutti bene" è ambientato quasi completamente, a parte i minuti iniziali, e quelli finali, a Ischia: in cui una famiglia di ristoratori, persone abbienti, si riunisce per celebrare le nozze d'oro dei padroni della villa in loco di proprietà della casata. Accorrono figli, nuore, generi, cugini, nipoti, sorelle: a causa di una permanenza protratta per la cancellazione dei traghetti, per via del maltempo, l'atmosfera festosa del ritrovo è via via incrinata da problemi, attriti e conflittualità, nonchè bugie, dei partecipanti. Ognuno con il proprio grumo di rancore, falsità, ipocrisia covato dentro. Reduce, appunto, da tre lungometraggi prodotti negli USA, più un sequel del suo più grande successo, e un altro lavoro ambientato in America ma realizzato con produzione nostrana, Gabriele Muccino, gli va dato atto, è uno che sa lavorare con la macchina da presa, e non è da tutti essere "sopravvissuto" a Hollywood. Però i difetti tipici del suo cinema ritornano, immutabili: se "L'ultimo bacio" era stato un film-fenomeno per aver fotografato la tendenza a procrastinare una giovinezza infinita e tardare a prendersi una qualche responsabilità familiare di una generazione, troppo spesso il regista romano tende a sovraffollare i propri lungometraggi di troppi personaggi, che finiscono per essere raccontati superficialmente, e ridotti a stereotipi. E i momenti riusciti del film, il dialogo smozzicato tra gli ex-coniugi Valeria Solarino e Pier Francesco Favino, gli attimi di spaesamento dall'ammalato di Alzheimer Massimo Ghini, lo sfogo della di lui moglie Claudia Gerini, non compensano il corteggiamento smielato tra Stefano Accorsi e Elena Cucci, gli stupori ipocriti della padrona di casa Stefania Sandrelli, le perenni sfuriate della moglie possessiva Carolina Crescentini. E' un peccato, perchè se si facesse aiutare a limare i sovraccarichi e a liberare le sceneggiature di frasi teoricamente destinate a restare, ma invece perse in un effluvio di parole, Muccino sarebbe anche in grado di realizzare buoni film. Ma così, continua a proporre a profusione personaggi irrisolti, che, a conti fatti, tali rimangono, e poco ci hanno trasmesso.

martedì 6 marzo 2018

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IL RITUALE ( The ritual, GB 2017)
DI DAVID BRUCKNER
Con RAFE SPALL, Robert James-Collier, Arsher Ali, Sam Throughton.
HORROR
Se programmate una gita all'estero con gli amici, evitate di andare a fare trekking in certe zone della Svezia: quattro amici inglesi di vecchia data, dopo un evento luttuoso che riguarda il quinto del gruppo (ma è coinvolto anche un altro, che si sente giustamente in colpa per l'accaduto) optano per una vacanza con zaino in spalla lungo percorsi e sentieri. Ma si inoltrano in un folto bosco in cui delle rune incise sugli alberi dovrebbero allarmarli, così come, via via che si addentrano nel cuore del verde, resti di vecchie auto ispirano una crescente inquietudine... Prodotto da Netflix, "Il rituale" non racconta grandi novità, dato che il gruppetto di amiconi venuti dalla città, che in una vacanza "avventurosa" incontra qualcosa di orribile lo abbiamo riscontrato fin da "Un tranquillo weekend di paura", giù fino a "L'acchiappasogni" e altri ancora, per tacere dei vari horror tipo "La casa": però il film di Bruckner è un horror onesto, che gioca parecchio d'atmosfera, lasciando perlopiù fuori campo le scene truculente. In un crescendo tra il delirante ed il mistico-misterioso, i quattro uomini vedono sgretolarsi le certezze circa i loro rapporti, la relativa sicurezza delle loro vite, e le aspettative di sopravvivere al bosco che li ha accolti. Lo script non rivela proprio tutto, ad un certo punto si ha la stessa confusione che provano i malcapitati personaggi principali, di fronte a cerimonie a base di sacrifici umani, creature feroci e bizzarre ( il mostro è qualcosa di piuttosto originale, in effetti), e una microcomunità che pare esulata dal tempo. Cast funzionale, nel quale spicca il figlio d'arte Rafe Spall (il padre Timothy è uno degli attori feticcio di Mike Leigh, ma ha partecipato anche a "L'ultimo samurai" e più capitoli di "Harry Potter"), regia abile nel rivelare lo strettamente necessario, e a mescolare visioni e suspence.

domenica 4 marzo 2018

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LA NOTTE BRAVA DEL SOLDATO JONATHAN
( The beguiled, USA 1971)
DI DON SIEGEL
Con CLINT EASTWOOD, Geraldine Page, Elizabeth Hartman, Jo Ann Harris.
DRAMMATICO
Mai deludere una donna ferendola nell'orgoglio: la reazione può essere imprevedibilmente mefistofelica. Lo impara il caporale nordista Jonathan McBurney, ritrovato ferito dalla più giovane del convitto femminile in terra confederata, che lo conduce nella grande casa presidiata dalla signorina Martha, che lo governa con pugno di ferro in guanto di velluto. L'uomo viene accudito e curato, ma quando si riprende, l'avidità sessuale che lo coglie, nel trovarsi al centro delle attenzioni del gineceo, gli sarà fatale: seduce via via ognuna delle donne, che quando scopriranno il suo gioco, si vendicheranno con furore. Prima di girare insieme il primo Calla(g)han, Don Siegel e Clint Eastwood realizzarono, con la Malpaso Productions, questo dramma in salsa western, che diventa un racconto gotico (appunto, "southern gothic") di furia e vendetta: non fu un successo, ma negli anni è divenuto un titolo di culto, al punto da guadagnarsi un remake, diretto da Sofia Coppola, uscito lo scorso Autunno. Nella discesa agli Inferi di un uomo troppo sicuro di sè e infido (racconta comunque una versione fasulla del suo passato da uomo violento, bacia una bambina come fosse una donna, e conta di spassarsela a lungo nel convitto), è spaventoso come le attenzioni e le buone maniere delle donne che hanno ritrovato il ferito si tramutino in crudeltà: di qui a dire che "The beguiled" sia un film misogino ce ne passa, è piuttosto un racconto aguzzo sulla ferocia insita nell'animo umano. Il buon cast, in cui Eastwood sostiene un ruolo ambiguo da attore che si prende un rischio non da poco, fa svettare la zitella incestuosa di Geraldine Page, e il finale in cui si suggerisce che non solo allo sventurato Jonathan siano state inflitte certe pene, dà una spolverata horror che giova al risultato finale. 
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IL FILO NASCOSTO ( Phantom thread, USA 2017)
DI PAUL THOMAS ANDERSON
Con DANIEL DAY-LEWIS, VICKY CRIEPS, Lesley Manville, Brian Gleeson.
DRAMMATICO
Abituato a centellinare, da divo vero, le proprie sortite su schermo, Daniel Day-Lewis, forte di tre Oscar vinti in carriera, come nessun altro vivente, ha annunciato nel Giugno scorso che questa sarà la sua ultima interpretazione cinematografica. Tornato a lavorare con Paul Thomas Anderson, con cui girò l'acclamato (giustamente) "Il petroliere", Day-Lewis è qui un sarto di altissimo livello, che nella Gran Bretagna degli anni Cinquanta realizza abiti per nobildonne, dame facoltose, e perfino regnanti. Come molti genii, è concentratissimo sulle proprie creazioni, inarrivabile sul proprio campo, ma umanamente assai discutibile: lascia il compito di congedare le proprie amanti alla sorella che gli fa da socia e assistente, ma quando entra in gioco una giovane donna che lo ama perdutamente, ma gli tiene testa, molto si complicherà. Sei candidature agli Oscar, tra le quali quella al film, alla regia, a Day-Lewis e a Lesley Manville che interpreta la sorella-ombra del protagonista, "Il filo nascosto" è un film di atmosfere dense, di recitazione intensa, ma, soprattutto rispetto alle opere precedenti di Anderson, è un lavoro formalmente ineccepibile,  ma molto freddo, con un passo assai lento, sebbene parli di una storia d'amore, sebbene piuttosto sui generis. A un passo da un rapporto sadomasochistico, mette in scena tensioni forti, ma senza coinvolgere lo spettatore, assegnando ruoli che si ribaltano ai due personaggi principali, cogliendo magari l'essenza di un sentimento di dipendenza, più che formato su una passione vera e propria, ma mettendoci davvero troppo a quagliare e svelare quel che è, all'osso, la natura di tale relazione. Scostante a oltranza, il Reynolds di Day-Lewis è un personaggio ben reso dall'attore britannico, ma come chiosa finale di una carriera unica, poteva scegliere altro; meglio i due personaggi femminili, in competizione ma anche in intesa, attorno ad un carattere tagliente e distante, quasi impossibile da gestire, ed in questo senso lasciano maggiormente il segno Vicky Crieps e Lesley Manville.