LA FINE ( How it ends, USA/CAN 2018)
DI DAVID M. ROSENTHAL
Con THEO JAMES, Forest Whitaker, Kat Graham, Kerry Bishé.
FANTASCIENZA
Che sta succedendo sulla costa Est degli Stati Uniti? Recatosi sul lato opposto per affrontare i suoceri, con cui non ha un buon rapporto, per comunicare loro che la figlia, con cui egli vive, è incinta, Will viene messo alla porta dopo un contrasto con il suocero, ex militare di carriera: al telefono con la compagna per raccontarle la sua versione del dissidio, sente la ragazza agitarsi, poi la comunicazione si interrompe. E' solo l'inizio di una situazione sempre più paradossale: i voli vengono annullati, l'esercito irrompe nelle strade, non c'è modo di sapere dai media cosa stia realmente accadendo dall'altro lato degli States. Nonostante le avversità,e la diffidenza reciproca, Will e il suocero si avventurano in un viaggio in auto per raggiungere la ragazza che temono in pericolo: sarà una vera e propria odissea, tra bande di desperados e cataclismi vari, lungo tutta l'America del Nord. Uscito direttamente su Netflix, questo film di fantascienza d'azione è piuttosto curato nell'allestimento degli effetti speciali, che ricordano da vicino quelli dei film catastrofici più celebri, come "Terremoto" o "The day after tomorrow", e si fa seguire senza annoiare per la maggior parte della sua durata: certo, immaginare che in un lasso di tempo così esiguo si formino bandacce alla "Mad Max", che non esista in pratica più un ordine costituito, è abbastanza arbitrario, e che nessuno sappia spiegare cosa stia accadendo, nell'era di Internet, o ci si avvicini almeno, è curioso. On the road misto a genere apocalittico, con un alone di western moderno e uno sfondo fantascientifico, "La fine" viaggia, purtroppo, a mano a mano che la storia procede, la sceneggiatura si dimentica di giustificare gli sviluppi del racconto, fino a giungere ad un finale improponibile. Theo James, che stanno provando a lanciare come uno dei nuovi belli hollywoodiani del cinema d'azione è diligente, ma ovviamente il veterano Forest Whitaker, anche con il pilota automatico, come in questo caso, lo lascia di parecchie lunghezze indietro.
LA DURA VERITA' ( The ugly truth, USA 2009)
DI ROBERT LUKETIC
Con KATHERINE HEIGL, GERARD BUTLER, Bree Turner, Eric Winter.
COMMEDIA/SENTIMENTALE
Lei fa la producer su un network televisivo che ricerca continuamente nuovi format per alzare l'audience, è nubile e comincia ad essere disincantata verso le prospettive di un futuro in coppia: lui è uno sboccato "guru" dei comportamenti maschili, macho e spaccone, che, grazie ad una trasmissione di dubbio gusto che conduce, viene chiamato dai dirigenti dello studio per cui lavora la co-protagonista per provare a creare una trasmissione di successo. Tra i due sono scintille, anche se alla lunga l'uomo diventa una sorta di consigliere per la donna, e non è detto che i rapporti perdurino sempre nella stessa maniera... Un classicone della commedia sentimentale hollywoodiana, quello della guerra tra i sessi che è una forma di corteggiamento reciproco, ha assunto, nelle decadi, varie sfumature e aspetti: qui Robert Luketic opta per una versione più sboccata, in cui si parla di sesso più apertamente, ma dice poco o nulla di nuovo. Katherine Heigl, nei primi anni Duemila, era un nome su cui si puntava come erede di Meg Ryan come volto della commedia brillante, graziosa ma non sexy, ma il pubblico non ha premiato granchè la sua ascesa a protagonista: se la cava meglio Gerard Butler, qui, nei panni di un ruvido e tendenzialmente rozzo seduttore che ha risvolti meno arroganti della sua dimensione pubblica, e diventa meno personaggio quando è tra le mura di casa. Il film è prevedibilissimo, di scarsa verve brillante, e non lascia molto di sè a proiezione finita: il che non lo classifica come non presentabile, ma per una serata di disimpegno puro.
UN CASO DI COSCIENZA ( I, 1970)
DI GIOVANNI GRIMALDI
Con LANDO BUZZANCA, Raymond Pellegrin, Antonella Lualdi, Nando Gazzolo.
COMMEDIA
L'avvocato Salvagnino, siciliano di provincia che esercita a Roma, fa la spola tra la capitale e l'isola che gli ha dato i natali, ove lo attende la moglie: durante uno dei suoi viaggi in treno, il legale trova una rivista nella cui rubrica della posta legge, per l'appunto, la missiva di una signora che ha tradito il marito con un mezzo parente, e avvia nel giro delle proprie amicizie borghesi una sorta di indagine-provocazione, per scoprire chi sia la fedifraga.... Tratto da un racconto di Leonardo Sciascia, dalla raccolta "Il mare colore del vino", "Un caso di coscienza" ha, infatti, più pretese di satira di costume di molte commedie coeve con Lando Buzzanca protagonista, nel deridere una mentalità retrograda, che cerca di celare con ipocrisia la condizione di donne abitualmente guidate dagli uomini. Vietato addirittura ai minori all'epoca della sua uscita, benchè ci sia soltanto una scena d'amore saffico abbastanza soft, ha una regia vecchiotta e senza ispirazione, di Giovanni Grimaldi, che spreca un pò un buon cast, in cui un Buzzanca che apre anche a risvolti malinconici, un buon Raymond Pellegrin ed un turbato Nando Gazzolo danno punti a Turi Ferro, stranamente sottotono, e ad un Saro Urzì fin troppo carico; il film arriva ad una conclusione non del tutto prevedibile, che vedrà punita oltremodo la "colpevole" della lettera, con l'intervento, perfino, delle forze dell'ordine. Non dozzinale, non memorabile: un film senza particolare verve comica, impaginato decorosamente, che solleva una questione senza analizzarla approfonditamente.
ANT-MAN & THE WASP ( Ant-Man & the Wasp, USA 2018)
DI PEYTON REED
Con PAUL RUDD, EVANGELINE LILLY, Michael Douglas, Michael Pena.
FANTASTICO/AZIONE
Nel progredire dell'epopea Marvel al cinema, ecco il secondo capitolo delle avventure dell' "Uomo-Formica" Ant-Man, impersonato dall'ex-ladruncolo Scott Lang, che ritroviamo all'inizio del film agli arresti domiciliari, impegnato a intrattenere la figlioletta con un luna-park casareccio: non ha più rapporti con lo scienziato Hank Pym, che gli fornì la possibilità di rimpicciolirsi a volontà ( ma da "Captain America:Civil War" sappiamo che può anche diventare gigantesco, invertendo il processo) e la figlia Hope Van Dyne, con cui aveva intrapreso una relazione amorosa, ma quando gli arriva un messaggio telepatico da Janet Van Dyne, moglie di Pym e prima a indossare il costume di Wasp, sparita da trent'anni nel microcosmo quantico, Lang contatta i due, ed inizia la nuova ventura. Situato appena prima degli eventi di "Avengers: Infinity War", il numero II di "Ant-Man", come il precedente, è giocato completamente sull'ironia, confermando che questa serie è forse la più umoristica, escludendo quella demenziale di "Deadpool" della Marvel disneyana, anche perchè, a più riprese, viene sottolineata la poca adeguatezza di Lang ad un ruolo supereroistico, e la sua necessità di alleanze per sbrogliare le situazioni: ad una prima parte in cui si elabora la trama, ne segue una seconda molto più action, e tra tubi di caramelle "Hello Kitty" giganteschi e palazzi che si riducono a grandezza di trolley, c'è modo di divertirsi. Tra gli interpreti, da segnalare la bravura di Paul Rudd ( nella sequenza in cui "diventa" Janet Van Dyne è da applauso) e la grinta sempreverde di Michael Douglas, anche se a Bobby Cannavale potevano concedere più minuti in scena. La sequenza dopo i titoli di coda è tra le più riuscite (ed inquietanti) dell'universo marvelliano cinematografico.
CONTROMANO ( I, 2018)
DI ANTONIO ALBANESE
Con ANTONIO ALBANESE, Alex Fondjia, Aude Legastelois, Daniela Piperno.
COMMEDIA
Abitudinario fino quasi alla mania, commerciante di calze e calzini che ha ereditato la bottega di famiglia, Mario Cavallaro è di quelli che si alzano sempre alla solita ora, vanno nel solito bar, e va in shock quando appunto i proprietari del caffè gli comunicano che hanno venduto il locale all'egiziano del kebap accanto: ancor più lo manda fuori dai gangheri l'africano che si mette a vendere calzini proprio davanti al suo negozio, facendogli concorrenza sleale, dato che li dà a prezzi molto più bassi dei suoi, e anche se la qualità è peggiore, i passanti comprano da chi li fa risparmiare. Così, il commerciante con un trucco sequestra l'extracomunitario e decide di riportarlo di persona in Africa: non sarà semplice, anche perchè per una serie di vicende, nel viaggio verso il continente nero si porteranno dietro anche la sorella dell'uomo, arrivando fino al mare e prendendo una nave per giungere sulle coste opposte.Ci saranno sorprese, anche perchè Cavallaro non è razzista come lo accusa l'africano Oba, ma solo esasperato, e più fesso che altro: eppure comunicare, tra esseri umani, e sviluppare una forma d'empatia, è sempre possibile... Il ritorno dietro la macchina da presa, dopo sedici anni, di Antonio Albanese, è una commedia su un problema oggi molto sentito come quello dell'immigrazione dall'Africa, provando a inquadrare un razzista di superficie, in realtà un uomo a disagio col mutamento della società, che tenta una personale soluzione, assurda e per lui azzeccata, alla questione che lo riguarda in modo contingente. Beccato dalla critica, poco frequentato dal pubblico, nonostante l'ottimo risultato commerciale dei due titoli precedentemente interpretati dall'attore lombardo, "Contromano" è più che altro una commedia molto malinconica, in cui la verve comica di Albanese è tenuta assai a freno, per lavorare maggiormente sui rapporti tra i personaggi. Purtroppo quel che difetta, soprattutto, è il ritmo, che non fa decollare mai il racconto, ed è un peccato, perchè l'assunto della pellicola non è nè insulso, nè banale: quando esordì con "Uomo d'acqua dolce", Albanese dette l'impressione di poter essere un regista garbato, e con una tecnica fluida alla Nuti, ma i titoli successivi, soprattutto "Il nostro matrimonio è in crisi", erano meno riusciti e più forzati. Qui lancia forse una scoperta, l'ispirata Aude Legastelois, una bellezza che ricorda la giovane Zeudi Araya.
OCEAN'S 8 ( Ocean's Eight, USA 2018)
DI GARY ROSS
Con SANDRA BULLOCK, CATE BLANCHETT, Helena Bonham-Carter, Anne Hathaway.
COMMEDIA/THRILLER
Fin dalle prime scene le battute della sceneggiatura ci avvertono che Danny Ocean, il personaggio che per tre volte George Clooney ha interpretato nella serie diretta da Steven Soderbergh (che qui figura come co-produttore), è passato a miglior vita, e questo spin-off al femminile vede la sorella Debbie uscire di prigione dopo cinque anni, e, nonostante abbia espresso la sua volontà di rigare diritto, buon sangue non mente: e allora, per fare un colpo di un certo peso, mette insieme una banda tutta di donne, per rubare gioielli preziosissimi.... Tra le non molte uscite con mire commerciali abbastanza alte dell'Estate al cinema, questa derivazione di un remake di successo ( infatti, l'originale era "Colpo grosso" del '65, con la gang Sinatra...) poteva apparire come un pò forzata: riprendendo appunto un canovaccio di provato appeal e volgendolo al femminile, sembrava l'ennesima furbata hollywoodiana realizzata con il minimo delle idee per fare il pieno al box-office. E invece il gioco funziona: certo, non ci troviamo dinanzi ad un film che lascerà un segno particolare e duraturo, ma la regia di Gary Ross, ex-sceneggiatore che aveva colpito con l'esordio, ormai vent'anni fa, di "Pleasantville", e poi aveva girato pellicole meno interessanti, fa scorrere fluida la storia, e sia la preparazione del colpaccio, che la sua realizzazione, sono rese con brillantezza e abilità. Nel darsi la battuta le attrici in scena sono efficaci, le migliori in tal senso Cate Blanchett, che con gli anni sta diventando sempre più fascinosa, Helena Bonham-Carter che mette una vivace nevrosi nel suo personaggio, e Anne Hathaway, che caratterizza un'impostatissima star del cinema con divertita verve, mentre Rihanna, per quanto bellissima, non appare molto a proprio agio nel recitare. Parrebbe una storia autoconclusiva, ma si sa benissimo che deciderà il botteghino se la squadra avrà nuove avventure: sarà il tono da commedia gialla in stile anni '60, sarà la confezione piuttosto riuscita, ma potrebbe essere una nuova trilogia forse anche migliore di quella originale, di cui, francamente, era piuttosto riuscito solo il primo capitolo.
SHARK- Il primo squalo ( The Meg, USA/CN 2018)
DI JON TURTELTAUB
Con JASON STATHAM, LI BINGBING, Cliff Curtis, Rainn Wilson.
AVVENTURA/FANTASCIENZA
Dall'uscita, vent'anni fa, del romanzo "MEG" di Steve Alten, best-seller in USA e nel mondo, al punto da generare cinque seguiti ( da noi non ha attecchito granchè), veniva progettata la versione cinematografica, che avrebbe dovuto rinverdire i fasti dei film con animali pericolosi che, a partire da "Lo squalo", intrattennero le platee spaventandole per quasi tutti gli anni Settanta. Dopo esser passata per le mani di Eli Roth, uscito dal progetto per disaccordi sulla resa della storia (probabilmente il regista di "Cabin fever" avrebbe indugiato maggiormente sui particolari splatter), la pellicola è divenuta la più costosa con Jason Statham per protagonista, e affidata al professionista Jon Turteltaub. Rispetto al libro, variano non poche cose, anche perchè, per quanto sia un romanzo epidermico, il testo di Alten è ben scritto e abile nel miscelare azione e tensione: cambia il modo in cui lo squalo preistorico sale dall'abisso verso le acque più calde della superficie, e anche altre parti cruciali della storia non sono le stesse, compresi personaggi che spariscono, ma è prassi abbastanza comune negli adattamenti per il cinema. Certo, Turteltaub è, nè più nè meno, come altri registi che sanno impostare un film per grandi platee, come Roger Donaldson, o George Pan Cosmatos, senza lasciare gran traccia personale, e segue diligentemente le istruzioni della produzione: ad una prima parte interessante, in cui il maxi-squalo, da vera primadonna, latita e fa avvertire soltanto la sua presenza, e vengono esaltate le belle scenografie a disposizione, ne segue una seconda più risaputa, con gli assalti del mostro agli umani. La sensazione maggiore è che si è voluto accontentare troppa gente, vedi il mercato asiatico, ormai imprescindibile per le grosse produzioni americane ( questa è una co-produzione, ma in quasi tutti i kolossal USA degli ultimi cinque anni c'è almeno un personaggio di spicco asiatico), e se il gioco era voler spaventare gli spettatori, le incursioni del colossale predatore sono fin troppo edulcorate per impressionare, e il classico di Spielberg di ormai quarantrè anni fa è ancora inarrivabile. Al solito, Statham è un eroe d'azione con una riserva di ironia abbastanza consistente, e non ci sarebbe da stupirsi troppo, se tra qualche decina d'anni, i suoi film (comunque quasi mai inguardabili davvero, come quelli di suoi colleghi alla Steven Seagal, Chuck Norris, o pure Antonio Banderas-versione action...) fossero considerati alla stregua delle pellicole d'azione di Charles Bronson o di Jean-Paul Belmondo, oggi piccoli classici del genere.
ONE DAY ( One day, GB/USA 2011)
DI LONE SCHERFIG
Con ANNE HATHAWAY, JIM STURGESS, Romola Garai, Rafe Spall.
COMMEDIA/DRAMMATICO/SENTIMENTALE
Dal 15 Luglio 1988, Emma e Dexter si conoscono, passano una notte insieme ma senza sesso, e di lì in poi, ogni volta che ricorre tale data, si confrontano, si reincontrano, o perlomeno si sentono per telefono. Sono due personalità assai diverse: se la ragazza è una gran lavoratrice, ambiziosa e desiderosa di fare qualcosa di importante nella vita, il giovane è benestante, vanesio, dedito solo alla bella vita: eppure il loro incontro li avvicina, e apre una confidenza particolare, che si tramuta via via, forse, in qualcosa di diverso... Diretto dalla regista di "Italiano per principianti", tratto dal romanzo omonimo di David Nicholls, "One day" è un film sentimentale ben scritto, che sta in equilibrio tra commedia e dramma con leggerezza, che racconta l'evoluzione di un rapporto non semplice tra due persone che non sembrano avere niente in comune. Tra i due interpreti principali c'è una buona alchimia, anche se Anne Hathaway ha le occasioni migliori, e rende il suo personaggio più memorabile; se c'è da imputare un difetto alla regia della Scherfig, è, semmai, nella parte conclusiva trovare un passaggio scontato, dopo un certo evento cruciale, che nulla aggiunge al racconto, e dà l'impressione di appesantire un pò il film. Tuttavia, è un'operina garbata, che si fa seguire piacevolmente, e può causare qualche lacrima alle spettatrici più sensibili, senza apparire lagnosa o ricattatoria.
DIO ESISTE E VIVE A BRUXELLES ( Le tout nouveau testament, B/F/L 2015)
DI JACO VAN DORMAEL
Con PILI GROYNE, BENOIT POLEVORDE, Catherine Deneuve, Francois Damiens.
COMMEDIA/GROTTESCO/FANTASTICO
Quando uscì "Totò Le Heròs", fu un gran successo di critica, ed il film che lanciò Jaco Van Dormael divenne cult quasi immediatamente: e comunque, va riconosciuto al cineasta belga che i suoi lavori sono sempre guardati con interesse da cinefili e recensori, per lo sguardo particolare che pone sulle questioni sollevate. In "Dio esiste, e vive a Bruxelles" che sostituisce il titolo originale, "Il Tutto Nuovo Testamento", dato che implica una rilettura delle Scritture adeguato ad un mondo assai cambiato, il Creatore è un tipo burbero e incline all'ira che vive in un appartamento senza pretese, in casa detta legge ed è assai severo anche nelle punizioni: finchè la figlia EA, dopo aver fatto due chiacchiere con il fratello JC, decide per la fuga, infilandosi nella lavatrice che è il passaggio tra la dimensione "divina" e la nostra realtà, scegliendosi sei apostoli-simbolo di un'umanità un pò spersa per attuare una ribellione al rigido genitore. Il film di Van Dormael è un apologo piuttosto scoperto, che con humour abbozza un'accettazione di nuove mentalità e modi di vivere, rompendo regole e dettami ormai corrosi dall'evoluzione del mondo. Chiaro che si viaggi per provocazione, vedi la "love story" tra il personaggio infelice della Deneuve ed un gorilla, e che siamo dalle parti di una favola adulta, con chiosa aperta ad un ottimismo inconsulto sulle prospettive future del mondo. Certo, l'umorismo freddo del regista non sempre conquista, e probabilmente un soggetto così avrebbe avuto ben altre potenzialità: e da un lato emotivo, si apprezza il discorso di fondo, ma non ci si sente coinvolti in abbondanza.
LE AMICHE DELLA SPOSA ( Bridesmaids, USA 2011)
DI PAUL FEIG
Con KRISTEN WIIG, Rose Byrne, Maya Rudolph, Melissa McCarthy.
COMMEDIA
Successone in USA, che lanciò le carriere sia del regista Paul Feig, che quelle di Kristen Wiig, Rose Byrne e Melissa McCarthy, con tanto di nomination all'Oscar come miglior non protagonista per quest'ultima, e candidatura ai Golden Globes, come miglior attrice di film commedia o musicali per la Wiig, "Le amiche della sposa" da noi non ebbe lo stesso effetto. Divenuto poi negli anni seguenti un piccolo cult, in genere viene guardato come una specie di risposta al femminile delle commedie cameratesche, spesso tendenti alla battuta greve, come "Una notte da leoni" o "Porky's". In cui la quasi quarantenne Annie, che non è soddisfatta della propria vita sentimentale e professionale, va in crisi quando l'amica di una vita Lillian le annuncia il proprio matrimonio, e si dà il via, quindi, ai preparativi per il lieto evento. Però, quando nel gruppetto delle amiche che saranno le damigelle della sposina, viene fuori la snob Helen, che ingaggia con Annie una vera e propria sfida per risultare più importante per Lillian, sarà tempo di bilanci, sorprese e malumori, più o meno tenuti a bada. E' uno strano oggetto, "Le amiche della sposa": dato che riesce a carpire una sensibilità femminea in maniera non banale, fa una fotografia non sfocata di quel sottile malessere che può arrivare sul ciglio della mezza età, e impasta la malinconia dei ricordi alla leggerezza dello sdrammatizzare continuamente il quotidiano. Però, anche, inciampa in situazioni umoristiche fin troppo grevi, o concede troppo allo sboccato, che sembra tanto in voga nel cinema brillante americano odierno, e rischia il pastrocchio. Peccato, perchè quello tra la nevrotica, incrinata Kristen Wiig e l'impostatissima e infelice Rose Byrne è un duello molto ben sviluppato, e ogni tanto qualche buona battuta giunge a segno, prima di un finale in cui si tende a smussare ogni rancore, e suggerisce che avviarsi ad accettare quel che passa l'esistenza senza chiederle l'impossibile può perlomeno aiutare a vivere meglio.
SOTTO SHOCK ( Shocker, USA 1989)
DI WES CRAVEN
Con PETER BERG, MITCH PILEGGI, Michael Murphy, Cami Cooper.
HORROR
Il serial killer Horace Pinker, oltre a scannare famigliole ignare nei sobborghi losangelini, appare misteriosamente nei sogni del giovane giocatore di football americano Jonathan: quando l'assassino stermina la famiglia adottiva del ragazzo, che è quella del tenente Parker, che è sulle tracce del mostro, Pinker viene poi catturato, e condannato alla sedia elettrica. Ma ciò peggiorerà ulteriormente le cose, perchè il folle omicida diventa energia elettrica, e riesce a possedere le persone facendo loro perpetrare le sue gesta feroci. Tra i due grandi franchise della paura che ha inventato, e cioè "Nightmare" e "Scream", Wes Craven girò questo horror-fantastico, con un'idea di base anche suggestiva, e comunque imparentata con il mondo del "terrorista dei sogni" Freddie Krueger, visto che i personaggi possono appunto entrare in tale dimensione improvvisamente; peccato che lo svolgimento della storia sia prevedibile, che una volta esaurito lo spunto iniziale, si proceda per mosse scontate, e che l'unico guizzo di regia è quel tuffo nella sperimentazione visiva, legata all'universo dei videoclip allora molto alla moda, che è lo scontro finale, con i due nemici che lottano saltando da un canale televisivo all'altro. Peter Berg, oggi consolidato regista d'azione muscolare, è un eroe ostinato quanto non simpaticissimo, Mitch Pileggi non ha la maligna ma accattivante verve di Robert Englund, e Michael Murphy, piovuto in questo film dell'orrore a tratti quasi parodistico dai film alleniani, sembra un pò spaesato. Occhio a certi cameo, c'è anche Heather Langenkamp, la prima ad affrontare l'artigliato uomo degli incubi creato da Craven....
IO SONO TEMPESTA ( I, 2018)
DI DANIELE LUCHETTI
Con MARCO GIALLINI, ELIO GERMANO, Eleonora Danco, Simonetta Columbu.
COMMEDIA
Non è una frase buttata lì, il titolo: è proprio come si presenta il coprotagonista di questa commedia diretta da Daniele Luchetti, un affarista ufficialmente, di fatto un intrallazzone all'italiana DOC, che mette in contatto gente facoltosa, stipula contratti corposi, viaggia in posti come il Kazakistan con spirito predone. Ma, come può succedere, la Giustizia fa il suo corso, e Numa Tempesta ( nome e cognome che non possono non suscitare sorpresa) viene condannato ai servizi sociali, come potenziale anticamera della galera, e lì conosce un'umanità fino ad allora ignota per lui, tra senzatetto, poveracci, disoccupati cronici. Non che ciò cambi il modo di vedere il mondo di Tempesta, che comunque vuole gestire le cose a modo suo, nonostante la strenua battaglia che gli dà la responsabile del luogo, Angela, e stringe amicizia con Bruno, che domicilia lì con il figlio. Per questo racconto sulla natura corrotta degli italiani, ma anche sul loro estro nel saper vendere di tutto, Luchetti adotta un tono alla Ettore Scola, ed infatti, tra i meriti di questo lungometraggio, c'è l'attenzione a comprimari e figure molto minori, che di solito non esistono in tanto cinema italiano odierno. Però, in conclusione, "Io sono Tempesta" lascia la sensazione di occasione un pò sprecata, colpa, anche, di una sceneggiatura che non sfrutta a dovere ogni occasione di umorismo potenziale che si palesa; Marco Giallini mette il proprio carisma di interprete duttile nel caratterizzare un personaggio con dei lati bui, anche se cerca sempre di sfoggiare brillantezza, e Elio Germano sembra invece adoperare più mestiere, che ispirazione, del suo solito. E, in più, la pellicola procede verso una sorta di lieto fine che Scola si sarebbe ben guardato dall'appiccicare ad una storia come questa.
ELLA & JOHN- The leisure seeker
( The leisure seeker, I/F 2017)
DI PAOLO VIRZI'
Con HELEN MIRREN, DONALD SUTHERLAND, Christian McKay, Janel Moloney.
COMMEDIA/DRAMMATICO
Annunciato con entusiasmo dopo il buon risultato internazionale de "Il capitale umano", titolo con cui Paolo Virzì adattava un testo letterario con successo, discostandosi dalla commedia, genere in cui si è fatto un nome, "The leisure seeker" (il cercatore di svago) è stato presentato allo scorso festival di Venezia con apprezzamento da parte dei presenti: girato in inglese, in USA è stato accolto tiepidamente, e da alcuni critici americani accusato di una visione superficiale e parziale degli States da parte di un europeo. Tratto da un romanzo, omonimo rispetto al titolo internazionale, di Michael Zadoorian, narra di un viaggio, dal Massachussetts a Key West, di una coppia anziana, che è afflitta da gravi patologie: lei ha un cancro in fase molto avanzata, lui ha l'Alzheimer che lo porta a uno stato perennemente confuso tra conversazioni letterarie e momenti sempre più frequenti di confusione mentale. Partiti senza dire niente ai due figli, i due fanno molti incontri, in una traversata che ha un obiettivo finale prestabilito, nonostante l'apparenza del loro vagare scanzonato... Dramedy con un andamento rapsodico tra momenti rilassati e punte di commozione, dovute anche alla difficoltà dei due coprotagonisti riguardo ai due mali che li hanno colpiti, alle riflessioni sul tempo che è passato, e a quello che resta, sempre più corto, "Ella & John" ha due attori di gran livello, e si sapeva, impeccabili e coinvolgenti, soprattutto nel saper stare in equilibrio tra dramma umano e bisogno di leggerezza ( anche se quello di lei, nella scena della crisi di gelosia, e nel conseguente abbandono provvisorio del consorte, appare piuttosto forzato). Funzionano meno i dialoghi, che appaiono fin troppo preparati, non spontanei come di solito il cinema del cineasta livornese ci ha fortunatamente abituato, anche nei casi meno inclini al brillante quali appunto "Il capitale umano" e "La pazza gioia". E lo sguardo del regista, di fronte a panorami ammalianti, a cieli abbacinanti e tramonti ipnotizzanti, sa troppo del "forestiero" che scopre un mondo inusitato, con un che di impersonale nel modo di narrare la storia, che rende questo lungometraggio non tra le cose migliori di uno dei nostri migliori registi di oggi.
IL MISTERO DI DONALD C. ( The Mercy, GB 2018)
DI JAMES MARSH
Con COLIN FIRTH, Rachel Weisz, David Thewlis, Ken Stott.
DRAMMATICO
Nel 1968, Donald Crowhurst, navigatore dilettante e costruttore nautico, per spirito competitivo, o voglia di fama, o per sfuggire ad una crisi di mezz'età, volle intraprendere, senza alcuna esperienza in merito, una circumnavigazione del globo in solitaria, partendo dalle coste britanniche, per diventare il primo a compiere una tale impresa, partecipando al Sunday Times Globe Race. Incastratosi in una situazione poco agevole, per via delle pressioni di chi gli aveva finanziato l'operazione, con costruzione dello scafo annessa, e il mancato perfezionamento della barca stessa, Crowhurst partì, ma il viaggio si fece complicato dopo poco.... Sugli uomini da soli in mare, di recente, sono stati girati più lungometraggi, vedi "In solitaria" e "All is lost", il migliore di questo sottogenere, con un Redford quasi silente per tutto il tempo: a "Il mistero di Donald C." manca, appunto, la capacità di raccontare senza ricorrere alle parole il progressivo spaesamento del navigatore, vistosi perso nella liquida immensità dell'oceano, anche se va detto che la regia di Marsh, non un fulmine di guerra, ma diligente, sa alternare al montaggio scene a terra e sequenze con il solo Colin Firth che vive la sua odissea tragica mentre le sue certezze si eclissano. Naturalmente, su quello che accadde veramente a Crowhurst, nella seconda parte, è frutto in gran parte delle supposizioni della sceneggiatura: l'interpretazione di Firth è da registrare tra le cose migliori del film, nonostante il suo personaggio non sia reso, in fase di scrittura, con le necessarie sfaccettature di un crollo emotivo e psichico. Troppi finali attenuano l'impatto emotivo di una pellicola qua e là interessante, che, se voleva essere una denuncia dei ricatti dei media, non viene percepita come tale.
HUNTER'S PRAYER- In fuga ( The hunter's prayer, USA 2017)
DI JONATHAN MOSTOW
Con SAM WORTHINGTON, ODEYA RUSH, Martin Compston, Allen Leech.
AZIONE/THRILLER
"The Hunter's prayer" potrebbe essere letto come un film che riunisce due decaduti, come il regista Jonathan Mostow ed il protagonista Sam Worthington: in comune hanno l'aver lavorato ad un episodio della saga di "Terminator", e dopo un buon esordio hollywoodiano, il primo con "Breakdown-La trappola", thriller d'azione con Kurt Russell, il secondo con "Avatar", sembravano avviati ad una carriera strepitosa. Invece, spesso lavorano a progetti che non sbancano al box-office, come questo thriller che da noi, ad esempio, arriva direttamente sui canali on demand. In cui all'inizio una famiglia benestante viene sterminata da un killer, e successivamente l'organizzazione di cui l'assassino fa parte dà la caccia all'ultima sopravvissuta, un'adolescente che studia in un collegio svizzero: a quel punto entra in scena un altro killer, che però era pagato dal padre della ragazza, che deve proteggerla dai sicari. Sparatorie a go-go, inseguimenti a tutto spiano, regolamenti di conti e duelli punteggiano un racconto che, magari sotto forma di graphic novel ( viene invece da un romanzo) potrebbe funzionare anche bene, ma così, nonostante la correttamente esigua durata ( un'ora e ventisei minuti) non dice nulla di nuovo, nè racconta qualcosa di non prevedibile. Anche se va riconosciuto a Mostow di dare un buon ritmo all'azione, e a Worthington di assegnare qualche relativa sfaccettatura al suo action man: però, poco altro da segnalare.
LADY BIRD ( Lady Bird, USA 2017)
DI GRETA GERWIG
Con SAOIRSE RONAN, Laurie Metcalf, Tracy Letts, Timothée Chalamet.
COMMEDIA/DRAMMATICO
Cinque nominations agli Oscar tra le quali miglior film, regia ed attrice protagonista, due Golden Globes vinti per la miglior commedia e la migliore attrice (Saoirse Ronan), si può dire che l'esordio , da sola, dell'attrice Greta Gerwig ( nel 2008 aveva già codiretto "Nights and weekends") non sia passato inosservato, ed abbia mietuto diversi consensi, soprattutto negli Stati Uniti. "Lady Bird" è il nome che si è data la ribelle Christine, e pretende che gli altri la chiamino in tal modo: in contrasto perenne con la madre infermiera, che l'ha avuta non da giovane, la protagonista vive le esperienze dell'approccio alla vita di una ragazza che si sente fuori posto, dato che non apprezza la California in cui vive, e vorrebbe andare a stare a New York. In mezzo, le prime cose amorose, l'amica del cuore con cui verranno anche le scintille, la differenza tra quel che si può e che non si può avere, nonostante in tal fase dell'esistenza non si tenga troppo conto dei problemi pratici. Arrivato da noi con fama di pellicola importante, di manifesto generazionale, "Lady Bird" (da non confondersi con il film di Ken Loach degli anni Novanta "Ladybird, Ladybird") appare come un approccio realistico, ma tutto sommato "restauratore", dato che alla fine di tanti moti ribelli si contempla soprattutto come sia meglio dare retta ai consigli di chi ne sa di più per via dell'esperienza, e di come quasi tutto la giovane protagonista si proponga di vivere in maniera inedita (lo abbiamo fatto quasi tutti, e certo, guai a dimenticarlo) nella propria vita, si avvi, invece, a fare dei passi indietro per una "normalizzazione" inevitabile. Brave Saoirse Ronan (anche se per il personaggio è forse non adattissima per l'età effettiva) e Laurie Metcalf nel conflitto acuto tra figlia e madre, credibili i rapporti tra i personaggi, un pò lento il ritmo di una storia che non racconta nulla di particolarmente nuovo, nè con una visione inedita. Può darsi che Greta Gerwig divenga una regista su cui puntare, c'è tanto margine di miglioramento, ma abbiamo visto debutti dietro la macchina da presa molto più memorabili.
SOAP OPERA ( I, 2014)
DI PAOLO GENOVESI
Con FABIO DE LUIGI, CRISTIANA CAPOTONDI, RICKY MEMPHIS, CHIARA FRANCINI.
COMMEDIA
In un condominio pittoresco, il deluso d'amore Fabio De Luigi viene raggiunto dall'amico ancor più depresso Ricky Memphis, e poi irrompe nell'appartamento l'attrice Chiara Francini per chiedere un favore legato ad un amante occasionale: di lì a poco si suicida un inquilino di un piano inferiore, Memphis si insedia nella casa dell'amico troppo ospitale, si presenta per indagare il carabiniere Diego Abatantuono, e si riaffaccia la ex di De Luigi, Cristiana Capotondi, incinta, che chiede all'antico fidanzato supporto morale e psicologico. Parallelamente, la coppia di fratelli Ale e Franz condividono un appartamento, con il primo che assiste il secondo, paraplegico: naturalmente le storie si incrociano e il tutto si risolve in un finale che vede tutti insieme, più o meno spassionatamente.... Paolo Genovesi, con l'attore feticcio Fabio De Luigi, gira una commedia corale che mescola diversi caratteri con la tecnica di quelle pièces teatrali che mostrano vari personaggi su una stessa scena, portandoli poi a condividere il palco nei momenti cruciali del racconto. Peccato che, per essere una commedia, venga da ridere molto poco, salvo qualche sparuta battuta di Diego Abatantuono, peraltro meno efficace che altrove: inizialmente la sceneggiatura la butta sullo sboccato, forse per stupire lo spettatore, ma c'è veramente poco sugo in questo filmetto flebile e alla lunga un pò uggioso, con qualche soluzione improbabile (oggi, quella dei fratelli che richiama analoga situazione de "L'uomo dal braccio d'oro", appare forzatissima).
HEREDITARY- Le radici del male
( Hereditary, USA 2018)
DI ARI ASTER
Con TONI COLLETTE, Alex Wolff, Gabriel Byrne, Milly Shapiro.
HORROR
Presentato al Sundance, negli anni divenuto un evento che spesso battezza futuri successi ( e forse ha perduto un pò dello spirito originario, che accoglieva tanto cinema indipendente che non avrebbe avuto distribuzione normale), "Hereditary" è il film d'esordio di Ari Aster, ma è pur sempre un titolo che vede tra i coproduttori anche Ridley Scott, e la coppia di attori importanti del cast, Toni Collette e Gabriel Byrne. Dopo aver sepolto la madre, con cui aveva un rapporto non semplice, e pare avesse fin troppo ascendente sulla sua famiglia, Annie, madre di due figli, che costruisce plastici pressochè perfetti, subisce un secondo trauma (dopo che sia lei che la figlioletta Charlie pensano di aver avuto una visione scorgendo la defunta vicino alla loro casa), questa volta ancora più lancinante: da lì in poi, sul film gravita un alone plumbeo, torbido, che porta a cose non certo positive... "Hereditary" che in molti hanno ben recensito, è uno di quei lungometraggi non semplici da classificare: per due terzi della proiezione, si assiste, in pratica, ad un film drammatico, con un lato tragico molto robusto, e, dopo qualche segnale in tal senso, si appresta nell'ultima parte a tramutarsi in un film dell'orrore vero e proprio, con possessioni, riti maledetti e una follia che dilaga. Scandito con una certa prolissità dal neoregista Aster (anche se gli va riconosciuto che alcune delle cose più drammatiche che narra sono rese con quella dose di surreale che c'è in una vera tragedia, che le rende particolarmente verosimili), lungo decisamente troppo, questo horror ha dalla sua il saper montare un'inquietudine consistente nello spettatore, che, anche a proiezione finita, non viene scacciata del tutto. Peccato che sul piano degli effetti speciali, non tutto fili liscio, e che, forse, la sceneggiatura poteva essere resa più agile ed incalzante: la prestazione di Toni Collette è comunque memorabile, quello scivolare progressivamente in una sorta di sabbia mobile di orrori sempre più forti e inesorabili è reso da attrice di prima qualità, e quel che di sordido, che in certe categorie horror è essenziale, nell'ultima parte della storia ha il suo peso per mandarci a casa non proprio rasserenati.