DOGMAN ( I/F 2018)
DI MATTEO GARRONE
Con MARCELLO FONTE, Edoardo Pesce, Alida Barbari Calabria, Adamo Dionisi.
DRAMMATICO
"Dogman" è la storia di due uomini: uno è un bambino cattivo mal cresciuto, che come tale si comporta, ma le cui dimensioni e l'attitudine violenta ne fanno un pericolo per la comunità, nemmeno poi tranquillissima, di uno squallido sobborgo romano; l'altro, e il titolo del film a lui si riferisce, è la sua vittima preferita, che subisce di tutto, dall'essere messo in mezzo alle botte, fino alla galera, che ad un certo punto mette in atto una vendetta ineluttabile. Ispirato al fatto di cronaca nerissima che trent'anni fa fece scorrere più di un brivido nell'opinione pubblica, riguardante "Er canaro della Magliana", che, come tristemente divenne noto, uccise l'ex amico, pugile dilettante, che lo vessava continuamente. A Cannes, nella recente edizione, l'ultimo lavoro di Matteo Garrone è stato molto acclamato, ed ha vinto il premio per la miglior interpretazione maschile, andato a Marcello Fonte: e appena uscito nelle sale, ha scatenato l'ira della madre di Ricci, la vittima dell'omicidio, il cui legale ha chiesto il risarcimento di un milione di euro e il sequestro della pellicola. Tornando al lungometraggio in sè, conferma il pessimismo meravigliato di un regista che non rinuncia mai ad un'illuminazione livida delle cose degli esseri umani: per lui dediti soprattutto a tirar fuori il proprio peggio, incapaci di volere il proprio bene e quello altrui, insaziabili nel correr dietro alle proprie debolezze, vizi e parti negative. Non c'è compiacimento alcuno in "Dogman", anche se il materiale era rischioso eccome. La violenza c'è, ma senza sadismo o accanimento: più che altro, è la dimensione naturale di questi reietti della Terra, in un quadro che non vede, tranne che nella bambina o in personaggi che transitano appena nelle scene, alcun personaggio veramente positivo. Marcello, il toilettatore di cani, è un ometto che arrotonda spacciando cocaina, anche se la gente lo tratta con simpatia e affetto: Simone, l'aguzzino, combina guai a tutto spiano, è invasato dall'utilizzo della coca, e spesso ricorre alla brutalità per togliersi d'impiccio. Tutta la storia è una via crucis verso un atto efferato, ma è un punto d'arrivo largamente prevedibile, in una novella amara e fluidamente scabra, che ricorda moltissimo l'apologo pasoliano di "Accattone": e il faticoso cammino conclusivo con il cadavere enorme sulle spalle rammenta appunto il segno della croce in catene che chiudeva quel titolo dell'autore de "Il vangelo secondo Matteo". Bravissimi gli interpreti, dal giustamente premiato Marcello Fonte, dal volto asimmetrico che ricorda Carlo Delle Piane, e di cui non ci togliamo di dosso lo sguardo immalinconito che non perde mai una forma d'innocenza (neanche quando attua il proprio piano), il naturalissimo Edoardo Pesce, attore abile anche nella commedia, notevole a sovraccaricare di odiosità il proprio orco di periferia, la splendida Alida Barbari Calabria, spontanea come non sempre i bambini al cinema risultano, e le facce dure di Adamo Dionisi e Francesco Acquaroli, al momento tra i migliori attori di supporto su cui conti il nostro cinema. C'è chi ha gridato al capolavoro, lo dirà il tempo: è comunque un film importante.
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