sabato 30 dicembre 2017

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COCO ( Coco, USA 2017)
DI LEE UNKRICH e ADRIAN MOLINA
ANIMAZIONE
FANTASTICO/MUSICALE/COMMEDIA
Cosa ci sia nell'Aldilà prima o poi ce lo chiediamo tutti, forse anche chi afferma che sia sicuro che finendo di respirare poi tutto cessi. Per la cultura messicana, "El dia de los muertos" è una festa molto diversa dall'Halloween americano, poi divenuto internazionale: la gente truccata da scheletri, fantasiosi e comunque non lugubri ( tra l'altro presenti anche nell'incipit dell'ultimo 007, "Spectre"), l'atmosfera vivacissima e rumorosa, tanto colore diffuso oltre al bianco e nero è un tributo allo spirito di chi non c'è più fisicamente, ma assiste e protegge chi è rimasto. E appunto "Coco" narra di un ragazzino che, contrariamente alla tradizione di famiglia, in cui tutti sono fabbricatori di calzature, e hanno ripudiato la musica dall'esistenza, vuole fare il chitarrista e cantante. Per seguire la propria vocazione, convinto di essere discendente da una star nazionale, ruba la sua chitarra dal mausoleo in cui è tenuta, ma al primo accordo suonato ha la sorpresa di essere tramutato in uno spirito che ha accesso all'Aldilà: ove si fanno le file agli sportelli, c'è una polizia, si canta e si conta su spiriti-guida dalle più disparate forme animalesche, in un'esplosione sgargiante di tonalità e luminosità potenti. Può apparire molto curioso che in piena era-Trump la Pixar decida di ambientare un film nel Messico, con un protagonista dalla pelle non bianca, visto come vicino sgradito da questa amministrazione, ma è chiaro che questo lungometraggio è stato concepito e realizzato precedentemente all'insediamento del presidente americano più smargiasso a memoria di viventi: del resto, "La principessa e il ranocchio", primo cartoon disneyano ad avere una protagonista afroamericana, uscì nel 2009, appena dopo l'elezione di Barack Obama, segno che i colossi dell'animazione cinematografica "sentono" il tempo e esprimono un punto di vista tendenzialmente progressista. Al di là di questo, "Coco" è uno dei film più convincenti della casa che fece il botto con "Toy Story", da qualche anno a questa parte: la potenza dei fondali, l'accuratezza delle rifiniture dei personaggi e degli ambienti, il ritmo narrativo che ben sostiene i centodieci minuti di durata, il tono del film che suscita sorrisi, ma senza cercare la risata trascinante, e la molta tenerezza sparsa, senza sentimentalismo stucchevole, che fa affezionare al film lo spettatore. La regia di Lee Unkrich e Adrian Molina rappresenta un modo gentile di spiegare ai più piccoli che la morte è un aspetto dell'esistenza, e che come tale si può accettare, e che qualcosa  comunque resti, sia nei ricordi che, per chi ci crede, come essenza che protegga o guidi. E tutto il sottofinale, che scioglie i nodi della trama, è un briciolo di poesia in animazione, affatto scontato.

giovedì 28 dicembre 2017

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SUBURBICON ( Suburbicon, USA 2017)
DI GEORGE CLOONEY
Con MATT DAMON, JULIANNE MOORE, Noah Jupe, Oscar Isaac.
COMMEDIA/DRAMMATICO/GROTTESCO
Gli USA degli anni Cinquanta, come insegna "American Graffiti", ma anche "Happy Days", al cinema o in tv ce li hanno spesso raccontati come un periodo ingenuo, felice e spensierato: in realtà, così come ogni fase storica, tale periodo ha le sue consistenti e pesanti ombre. Ad esempio, proprio alla fine di quella decade, in una cittadina modello, denominata appunto Suburbicon, scoppia un problemino quando i nuovi vicini di casa di una famiglia della media borghesia sono neri, e ciò disturba il pacioso tran tran apparente del quartiere: che poi, sotto sotto, cova un'atmosfera malevola che vede piani loschi, truffe che culminano con la progettazione di delitti, un istinto omicida generato da un'ottusità mischiata all'avidità nel formare un cocktail micidiale di malvagità impensata. Se ciò vi ricorda "Fargo" non avete tirato lontano: infatti, la sceneggiatura originaria di "Suburbicon" è stata buttata giù proprio dai fratelli Coen una trentina di anni fa, e George Clooney ha deciso di farne il suo sesto film da regista. Il divo di "Out of sight" ha dimostrato una personalità interessante anche dietro la macchina da presa, anche se non sempre i titoli che ha firmato sono risultati convincenti alla stessa maniera (ma uno solo è sostanzialmente superfluo, il secondo, "In amore niente regole", omaggio alla comedy anni Cinquanta che però divertiva abbastanza poco); accolto abbastanza freddamente dalla critica, questo nuovo lungometraggio si tramuta da una commedia satirica ad una carneficina via via che il finale si avvicina, e appunto come il film del '96 dei Coen dipinge un mulinello di violenza e cattiveria che si fa sempre più vorticoso. Semmai, quello che lascia perplessi è la tematica razziale che sembra fungere più che altro da innesco, ma la storia prende altre strade, pur mantenendo aperto tale discorso, ma distraendosene più volte: e se si voleva far sorridere acidamente, il tono non viene azzeccato spesso. Formalmente, un'opera più volenterosa e corretta che riuscita: nel cast, oltre al doppio ruolo sostenuto da Julianne Moore, da apprezzare il coraggio di una star come Matt Damon che si accolla un personaggio capace, veramente, di ogni nefandezza. 

mercoledì 27 dicembre 2017

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LA BATTAGLIA DEI SESSI ( Battle of the sexes, USA 2017)
DI JONATHAN DAYTON e VALERIE FARIS
Con EMMA STONE, STEVE CARELL, Andrea Riseborough, Austin Stowell.
COMMEDIA/DRAMMATICO/BIOGRAFICO
Nel 1973, in pieno flusso ascendente dopo la rivoluzione sessuale, e nel vivo del femminismo, lo "scontro" tra i due sessi era più che mai sulla bocca di tutti, riempiva giornali e trasmissioni televisive, ed era un argomento assai caldo: quell'anno, si svolse in America un match di tennis tra un ex- campione della terra rossa, Bobby Riggs, e la campionessa mondiale femminile di tale sport, Billie Jean King. L'evento fu fortemente voluto dall'uomo, che, a giudicare da come il film lo rappresenta, era un abile venditore di se stesso, e doveva rientrare di pesanti perdite economiche, e la giovane atleta, scoprì il suo vero orientamento sessuale, innamorandosi di un'altra donna, nonostante fosse sposata, durante la preparazione dell'incontro. "La battaglia dei sessi", come fu gagliardamente battezzata la manifestazione, captò l'attenzione di novanta milioni di spettatori, e il film, diretto a quattro mani da Jonathan Dayton e Valerie Faris, che tanto buona impressione avevano fatto undici anni fa con "Little Miss Sunshine" ne racconta sia come i due sportivi vissero il prima e il durante il match, sia come tv e ambiente sportivo affrontarono la cosa, per averne maggior profitto possibile, ma anche, senza specificarlo, sperare nello sminuire l'ascesa femminile. I due registi confermano di saper sottolineare la deriva baracconesca di una certa America, che vende un'immagine di paese con grandi opportunità per tutti, corredando le operazioni di fastose cornici a forte rischio del ridicolo, ma tra le righe facendo emergere un conservatorismo ringhioso e malevolo: il lavoro psicologico sui personaggi è ben reso, anche se paiono giovarne maggiormente i personaggi secondari, quali l'amante della King, interpretata da Andrea Riseborough, il marito della stessa, che ha il volto di Austin Stowell, ed il pezzo grosso della federazione, non esente da ipocrisia, ma alla fine coscienzioso di Bill Pullman. Lungo due ore ma fluido, forse non sfrutta tutte le potenzialità della storia, ma racconta con scioltezza un frammento di recente Storia del costume in realtà mettendo in scena la costruzione di un evento sportivo di portata internazionale.
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LA BELLA E LA BESTIA ( Beauty and the Beast, USA 2017)
DI BILL CONDON
Con EMMA WATSON, DAN STEVENS, Luke Evans, Ewan McGregor.
FANTASTICO/MUSICALE
Nell'operazione dal lungo passo, e dalla forte capacità remunerativa, da parte della Disney, di rifare versioni "live action" dei suoi classici di animazione, il 2017 è stato l'anno de "La Bella e la Bestia", ,mentre sono in preparazione "Dumbo", il prossimo in ordine di uscita, e "Mulan" che arriverà nel 2019. Già il film a disegni animati, che uscì nel 1991, fu un punto di svolta sia per la casa di produzione, che per il mondo dei cartoon al cinema, dato che si trattò del primo film mai rientrato nella rosa delle pellicole dell'anno candidate all'Oscar come miglior lungometraggio, e che, dopo l'exploit de "La Sirenetta" del 1989, rappresentò il consolidarsi del nuovo corso disneyano al vertice degli incassi mondiali. L'adattamento per il cinema è basato smaccatamente sulla versione firmata da Gary Trousdale e Kirk Wise, con la parte musicale ancora più presente, trasformandosi in un vero e proprio musical; la confezione è di serie A, con costumi e scenografie accurati, numeri coreografici ben orditi, ma la regia di Bill Condon non convince. Le scene di dialoghi appaiono come se fossero un raccordo abbastanza superfluo tra un numero musicale e l'altro, i personaggi esprimono molta meno simpatia che nel cartoon, la Bestia, a livello di rappresentazione grafica, è deludente, anche se ricalca molto precisamente la versione disegnata, e spesso affiora la noia che le cose fin troppo programmate suscitano. Certo, a livello commerciale, si tratta di un prodotto vincente, dato che è stato il maggiore incasso cinematografico del 2017, raggiungendo l'alta cifra di un miliardo e trecentomila dollari di introiti mondiali, ma, ad oggi, è il peggiore tra gli adattamenti con attori in carne ed ossa promosso dalla Disney, il meno divertente e ispirato. 
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LION- La strada verso casa ( Lion, AUS/GB/USA 2016)
DI GARTH DAVIS
Con DEV PATEL, Rooney Mara, Nicole Kidman, Sunny Pawar.
DRAMMATICO
Film biografico-lampo, perchè la vera vicenda cui si sono ispirati per scrivere e girare "Lion" si è in pratica conclusa nel 2015, è anche l'esordio dietro la macchina da presa per il regista Garth Davis. Vi si narra l'epopea di un bambino, in India, che con il fratello maggiore cerca di aiutare le scarse risorse familiari raccogliendo oggetti sui binari, e per fatalità sale su un vagone che crede inattivo, ed invece parte, facendolo perdere, perchè non sa dove sia la sua famiglia, e perchè nell'ultrapopoloso paese non sembrano perdersi troppo con dei bambini dispersi. Scampato a adulti che rapiscono i piccoli con non chiarite intenzioni, e ad altri che fingono di accoglierli per intenzioni molto nefaste e turpi, il bimbo viene preso in un istituto e dato in adozione ad una coppia benestante che vive in Australia. Ma, cresciuto, sente il richiamo del sangue e intraprende una ricerca per capire la propria provenienza, e dare una risposta ai tanti dubbi che gli affollano la mente. Il film poteva tradursi in un melodramma lacrimoso, dato l'argomento, ma c'è da riconoscere a script e regia di aver mantenuto toni piuttosto sobri: certo, aiutano non poco gli attori in scena, e Nicole Kidman ha guadagnato una nomination per il ruolo della madre adottiva. La scena della ricongiunzione con la madre biologica è realizzata con sensibilità e pathos, da risultare veramente toccante, la migliore di una pellicola onesta, che non gioca a tirare colpi bassi allo spettatore, mostrando anche gli spigoli dei personaggi. 

lunedì 25 dicembre 2017

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DUE SOTTO IL BURQA ( Cherchez la femme!, F 2017)
DI SOU ABADI
Con FELIX MOATI, CAMELIA JORDANA, WILLIAM LEBGHIL, Pedrag Manojlovic.
COMMEDIA
In Francia, Armand e Leila sono innamorati, e sperano di aver ottenuto la chance per un periodo di tirocinio all'ONU a New York: ma si sa, nelle relazioni le famiglie hanno sempre un peso, e se il ragazzo non presenta lei ai genitori, immigrati iraniani delusi dalla rivoluzione khomeinista e di sinistra, lei, quando rientra dallo Yemen il fratello, ha la brutta sorpresa di scoprirlo invasato dall'islamismo più estremo e oscurantista. Chiaro che la relazione venga messa in crisi dall'ingerenza del fratello Mahmoud, e che per continuare a vedersi, i due debbano inventarsi qualcosa: presto detto, Armand si fa venire in mente di fingere di essere una ragazza molto religiosa con solamente gli occhi visibili da un chador.... Titolo italiano un pò forzato, "Cherchez la femme" è una commedia francese che dalla sua ha il pregio di cercare di sdrammatizzare le troppe tensioni tra Occidente e Islam, ma ha parecchi limiti: i temi di integrazione, di ostilità tra culture, di generazioni in contrasto e di un classismo di ritorno, pur se trapiantato tra una nazione e l'altra, sono appena abbozzati, i personaggi intorno sono quasi macchiette ( gli immigrati che vogliono integrarsi e i musulmani conservatori amici di Mahmoud sono figurette, tutto sommato, quasi al livello di espedienti narrativi), lo stesso Mahmoud è in pratica uno psicolabile che cambia radicalmente ad ogni colpo di vento, e, sebbene in sala ci sia chi si sganasci dalle risa, non paiono così esilaranti nè la sceneggiatura, nè le situazioni che produce. Tra gli interpreti, da segnalare la fascinosa Camelia Jordana, molto sensuale e femminile, nella sua "normalità" da ragazza del palazzo accanto. 

giovedì 21 dicembre 2017

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POLICE PYTHON 357 ( Police Python 357, F 1976)
DI ALAIN CORNEAU
Con YVES MONTAND, Simone Signoret, Francois Perier, Stefania Sandrelli.
THRILLER
La "Python 357" è un tipo di Colt Magnum, dagli effetti distruttivi: è la pistola cui fa affidamento l'ispettore Ferrot, un poliziotto che vive quasi in una dimensione monastica, in una casa spoglia e spartana, che con meticolosità fa manutenzione dell'arma; quando incontra una donna bella e giovane, dal comportamento stralunato, Sylvia, intraprende con questa una relazione, sebbene sia chiaro fin dall'inizio che la ragazza ha un altro uomo. Poliziesco francese diretto dallo specializzato nel genere Alain Corneau, ha una prima parte non molto convincente, in cui presenta personaggi e situazioni, con chiaroscuri e sfaccettature comunque interessanti, alla quale segue una seconda in cui la trama comincia a tenere lo spettatore sul chi vive, per capire dove andrà a parare una vicenda sempre più intricata, in cui un omicidio potrebbe condannare sia il vero colpevole che il poliziotto il cui comportamento avventato rischia di creare uno sviluppo ancora più drammatico. "Police Python 357" non ha tempi celeri, e potrebbe forse durare un quarto d'ora in meno dicendo le stesse cose, però va dato atto a sceneggiatori ed interpreti di fare uno scavo nei caratteri di buon livello, ben rappresentando l'ambiguità degli intenti, i sensi di colpa e i pericoli che vivono in un gioco in stile gatto e topo, ben gestito dalla regia. Nota stonata il personaggio assegnato a Stefania Sandrelli, del tutto fuori registro nel rappresentarlo, ma con l'attenuante di molte battute e atteggiamenti poco curati, mentre Simone Signoret, nonostante il pieno declino fisico di uno dei volti più belli del cinema degli anni Sessanta, imprime con misura la dolenza e la crudeltà della moglie del commissario Ganay. Il migliore in scena è comunque Yves Montand, con almeno una scena da manuale, quella in cui apprende una notizia dolorosissima e si spegne: una prova matura  e da interprete raffinato.
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AMERICAN ASSASSIN ( American assassin, USA 2017)
DI MICHAEL CUESTA
Con DYLAN O'BRIEN, MICHAEL KEATON , Taylor Kitsch, Shiva Negar.
AZIONE/THRILLER 
Negli USA la serie di Vince Flynn, lunga quindici romanzi, è celebre alla stregua di quelle di Tom Clancy e Lee Child sui personaggi Jack Ryan e Jack Reacher: da noi non ha avuto gran seguito, salvo ora far uscire alcuni capitoli, visto che giunge sugli schermi un adattamento cinematografico, ad esser precisi il nono dei libri. Qui il protagonista inventato da Flynn, Mitch Rapp, durante un attacco terroristico sulla spiaggia di Ibiza, che ricorda tristemente quello reale accaduto in Tunisia due anni or sono, perde la fidanzata che aveva appena accettato di sposarlo: il giovane, tramite il web e ricerche personali, entra in contatto con la cellula di fanatici responsabile della strage, fingendo di essere un aspirante "foreign fighter", ma quando è faccia a faccia con colui che ha ucciso l'amata, interviene una task force antiterrorismo che elimina al posto suo il jihadista. Rapp viene ingaggiato dal ramo segreto dei Servizi USA e affidato all'istruttore Stan Hurley, un duro esperto, che lo porterà poi sul campo.... La sequenza dell'attacco iniziale è la migliore del film, agghiacciante per la resa e carica di tensione: per il resto, ci troviamo di fronte ad un lungometraggio tecnicamente ben fatto, ma gonfio di retorica al limite del fanatismo, che non è molto lontana dalla filosofia sterminatrice dei "cattivi" della storia, i fanatici integralisti delle varie organizzazioni terroriste. Rimbalzante tra Spagna, Polonia, Siria, Romania e Italia, il racconto vede gli agenti speciali sparare in pubbliche strade di stati sovrani, spettacolarizzare grossolanamente una questione purtroppo piuttosto attuale, e mettere in scena con fin troppa disinvoltura un attacco atomico, che naturalmente si svolge in Europa, più precisamente dalle nostre parti. Inoltre, la scena della tortura del personaggio di Keaton è particolarmente insistita, con granguignolesco cattivo gusto; se Dylan O'Brien è espressivo come un cestino della frutta, Michael Keaton è sopra le righe per tutto il tempo, strano per un interprete di qualità che negli ultimi anni ha scelto quasi sempre bene i film da interpretare. Dovrebbe diventare una serie, ma, visto il debutto, non c'è da sperarlo.

lunedì 18 dicembre 2017

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UNA STORIA SEMPLICE ( I, 1991)
DI EMIDIO GRECO
Con GIAN MARIA VOLONTE', ENNIO FANTASTICHINI, MASSIMO GHINI, Ricky Tognazzi.
DRAMMATICO/GIALLO
Semplice viene definito da un membro delle autorità, il caso di un diplomatico ritrovato cadavere, probabilmente sparatosi, che ha lasciato un enigmatico foglio con su scritto soltanto: "Ho trovato.". Ma nella Sicilia di Sciascia, come è consueto, niente è mai semplice, anzi, contorto e spesso diretto a spiegazioni a strati, con personaggi collegati molto più di quel che si pensa. Quarta regia di un cineasta apprezzato da molti critici, ma che non ha mai veramente conquistato una notorietà vera e propria, è il titolo più celebre, comunque, della filmografia di Emidio Greco. Il quale ha messo insieme un cast di buona qualità, con volti che godevano della stima del pubblico più impegnato, come Gian Maria Volontè e Omero Antonutti, e gente all'epoca sulla rampa di lancio come Ennio Fantastichini, Ricky Tognazzi, Massimo Ghini, Massimo Dapporto, e controlla bene l'intricata trama che, solo nelle immagini finali, chiarisce del tutto come sono andate le cose e dissipa i residui dubbi: peccato che il taglio del film, in sostanza, ricordi troppo da vicino gli sceneggiati di inizio anni Novanta, e che quindi diluisca la dimensione cinematografica. Molto sapidi i dialoghi, e buona la suspence, con un Volontè carismatico e sferzante, come nelle sue migliori prove.

venerdì 15 dicembre 2017

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STAR WARS-EPISODIO VIII: GLI ULTIMI JEDI
( Star Wars-Episode VIII: The last Jedi, USA 2017)
DI RIAN JOHNSON
Con DAISY RIDLEY, MARK HAMILL, Adam Driver, Oscar Isaac.
FANTASCIENZA
"Il risveglio della Forza" aveva lasciato molte questioni sapientemente in sospeso, ed il nuovo capitolo a qualcosa dà risposta, anche se rimanda, com'è normale che sia, molte delle cose da sciogliere al nono episodio, che dovrebbe chiudere questa nuova fase del mondo di "Star Wars" ( tra due anni, a differenza delle altre due trilogie i cui segmenti uscivano ogni tre). Il ritrovato Luke Skywalker darà l'aiuto richiesto? Chi è veramente Rey? In Kylo Ren, dopo aver assassinato suo padre Han Solo, è in atto davvero un conflitto tra Bene e Male? Rian Johnson, saltato in sella dopo il successo del suo "Looper", e quando sembrava che ognuno dei nuovi episodi fosse affidato ad un regista diverso, mentre J.J. Abrams tornerà nel prossimo, dopo aver guidato l' "Episodio VII", in due ore e mezzo (non vi spaventate, colpi di scena e una vispa gestione delle linee narrative fanno scorrere il cospicuo minutaggio rapidamente) imbastisce uno sviluppo della saga che si sgancia in parte dall'appeal "nostalgico" de "Il risveglio della Forza", che aveva lasciato perplesso qualche fan, e però, tra molti rimandi e citazioni, imprime un taglio percettibile alla materia originaria, con uno stile grafico che fa ottimo uso dei colori (notare il lavoro su rosso e bianco, tanto per fare due esempi), ed indaga ulteriormente sulle sfaccettature dei personaggi, rendendone i chiaroscuri in maniera accurata. Si fa strada, tra l'altro, qualche accenno spiritoso che sdrammatizza gli aspetti più epici e tendenti ad una tragedia galattico-familiare, si rifà vivo un personaggio molto amato, e nella sequenza della fuga sulla spiaggia, è palese l'allusione a quella di "E.T." in bicicletta, sebbene in altra maniera. Largo spazio ai nuovi protagonisti, ma salda la presenza anche dei "vecchi" Mark Hamill e Carrie Fisher, con giusta dedica all'attrice scomparsa nei titoli finali. Tra inganni, finte, ritrosie, conflitti interiori e slanci eroici, "Star Wars" chiede sia allo spettatore comune che all'appassionato di lasciarsi andare e farsi condurre nel gioco complesso e alternato della sorpresa e del presumibile. Che, in buona parte, è anche la sostanza della magia del cinema. 
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INCUBO SULLA CITTA' CONTAMINATA ( I/ES 1980)
DI UMBERTO LENZI
Con HUGO STIGLITZ, LAURA TROTTER, Maria Rosaria Omaggio, Mel Ferrer.
HORROR
Arriva un aereo senza che si annunci, e al drappello di militari che si prepara ad accoglierlo, per ovvi motivi di sicurezza, si palesa una torma di individui quasi tutti dalla faccia semiliquefatta, che agitando falci, coltelli, spranghe e lame di vario tipo si avventano sui soldati, massacrandoli: è l'inizio di un'escalation che inizialmente governo ed esercito tentano di circoscrivere, ma i mostri, che scopriremo essere emofagi, si moltiplicheranno e faranno strage senza limiti. Nel quinquennio ( dal '78 all'83, diciamo) in cui l'horror di serie B otteneva facili finanziamenti perchè, evidentemente, gli incassi delle seconde e terze visioni e la distribuzione internazionale compensavano eccome i non alti costi, registi come Lucio Fulci, Joe D'Amato e Umberto Lenzi, per citare i più celebri, imperversarono sfornando pellicole a go-go. Questo, rispetto ad altre pellicole in cui ci si occupava di zombie, all'epoca conquistò una leggera stima in più per la lettura politica che si volle farne, visto che è una co-produzione italospagnola, e che le creature assassine vengono inviate non si sa da chi, per destabilizzare un sistema. In realtà il filmaccio è monotono, con qualche sequenza recitata in mezzo a scene di sterminio insistite, con ganci che sfondano teste, occhi portati via, sventramenti e morsi alla gola, con qualche tetta al vento abbastanza gratuitamente, tanto per dare anche una connotazione vagamente erotica al delirante e sanguinario contesto. Pare l'adattamento cinematografico dell'allora ben venduto giornaletto pornohorror a fumetti "Oltretomba", certamente, molto meno spinto a livello di nudi e sesso: in pratica, l'intero film è un pretesto per mettere in scena uccisioni ed efferatezze a cottimo, con la particolarità di zombie che corrono, impugnano armi (anche da fuoco), e, addirittura, guidano. Nel finale un espediente spesso utilizzato in quegli anni, il finto azzeramento consolatorio, che, invece, non reca con sè alcun sollievo.....

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SING ( Sing, USA 2016)
DI GARTH JENNINGS
ANIMAZIONE
MUSICALE/COMMEDIA
Il koala Buster ha sempre voluto gestire un teatro, e la sua famiglia gliene ha fatto avere uno: ma i tempi si sono fatti difficili, gli altri animali sembrano non apprezzare più sedersi in platea e galleria, i debiti crescono e pagare gli artisti si fa sempre più complicato. Sospeso tra l'essere un idealista e un truffaldino, l'urside indice una gara di talenti canori, che, per un errore della segretaria iguana promette una cifra spropositatamente sbagliata, e, quindi, gli aspiranti vincitori accorrono a frotte. Superata la prima fase eliminatoria, si prospetta quindi uno show che dovrebbe riscattare la situazione, o affossarla definitivamente.... Dalla Illumination, casa produttrice di cartoons che sta solidificando sempre più il proprio potere, con i successi che riesce a piazzare ogni stagione, un musical brillante che ha incassato a livello mondiale una cifra vicina ai 650 milioni di dollari ( quindi, aspettatevi un seguito, almeno). A livello di animazione e definizione grafica, il lavoro è più morbido ed accurato di altre pellicole prodotte da questo studio, e la sceneggiatura è fluida e divertente, tra le cose migliori prodotte fin qua dalla compagnia. Magari, ad un certo punto, la storia si frammenta fin troppo e la questione degli orsi malavitosi appesantisce leggermente la narrazione, ma il risultato è sostanzialmente discreto. Funzionali e indovinate le tante canzoni che popolano la colonna sonora ( si spazia da Elton John ai Van Halen, dai Queen ai Beatles), in versioni nuove che non dispiacciono. 

mercoledì 13 dicembre 2017

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IL DOMANI TRA DI NOI ( The mountain between us, USA 2017)
DI HANY ABU-ASSAD
Con KATE WINSLET, IDRIS ELBA, Dermot Mulroney, Beau Bridges.
DRAMMATICO/SENTIMENTALE
Volare è comodo, ma le condizioni meteo spesso dettano legge: dovendo essere a Denver il giorno dopo per ragioni molto diverse (lui è un chirurgo che deve operare urgentemente un bambino, lei deve sposarsi), un uomo e una donna, fino ad allora sconosciuti, prendono la decisione di noleggiare un piccolo aereo ad elica per essere a destinazione in tempo utile, visto che il loro volo di linea viene cancellato per una tempesta incombente. Forzare lo svolgersi naturale delle cose può non essere sempre vincente: un malore al pilota fa letteralmente precipitare la situazione.... Dal romanzo "Le parole tra di noi" di Charles Martin, un film che intreccia "survival movie" al cinema più dichiaramente melò, con due persone che si trovano a dover contare l'una sull'altra per uscire da una situazione molto drammatica ( sono spersi tra la neve, con lei ferita ad una gamba, su alture lontano dall'abitato) e a scoprirsi via, rivelando l'una all'altra delle cose non emerse. Co-sceneggiato dal solitamente efficace Chris Weitz ("About a boy" e "Rogue One" tra le cose che ha firmato) e affidato al regista di origine palestinese, ma naturalizzato israeliano, Hany Abu-Assad, il film punta parecchio sui due interpreti principali. I quali sono, oltre che belli e bravi, due attori con carisma e densità espressiva di un certo livello: ma nel dar volto e corpo a due personaggi abbastanza scontati, lungo un iter prevedibile da molto prima che arrivi l'epilogo, non risultano al massimo della forma, nè esprimono una chimica nello stare insieme sullo schermo così lampante. La trovata del cane che "fa simpatia" è un altro clichè, detto con tutta la simpatia per i quadrupedi, che va a far numero nella somma del già visto e rivisto. Come odissea nel gelo della neve, molto meglio quella in fuga dai lupi di "The Grey". 
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TOTO' SCEICCO ( I, 1950)
DI MARIO MATTOLI
Con TOTO', Tamara Lees, Aroldo Tieri, Laura Gore.
COMMEDIA
Tra i più celebri titoli interpretati da Totò nell'immediato dopoguerra, con il comico napoletano già divenuto una star ( pur, all'epoca, com'è noto, deprecato dalla critica illustre) al punto da guadagnarsi l'adattamento del titolo al proprio nome, uno dei pochi, a ben guardare, assieme a Franchi & Ingrassia e pochissimi altri: in cui si vuole che il maggiordomo di una marchesa parta per il deserto nordafricano, arruolandosi nella Legione Straniera, come il rampollo di casa, onde recuperare il giovane, imbarcatosi in tale avventura per una delusione amorosa. Il film, seppure gestito da Mario Mattoli, che con Totò ha sfornato buone pellicole, non è dei migliori del duo: Mattoli sembra non saper imbrigliare una fin troppo libera autogestione del comico, che sfoggia vezzi, gestualità e tic propri con grande autocompiacimento, mettendo i  secondo piano storia e altri personaggi. Si può obiettare che, in fondo, sprovvisto di una spalla adeguata (qui sono presenti Aroldo Tieri e Mario Castellani, ma non hanno spazio più di tanto), come ogni grande comico, Totò poteva strafare e fagocitare copioni e comprimari, e la cosa capita in molti film con lui, ma anche con Sordi: però qua spesso l'occhio della macchina da presa, e, di conseguenza, i tempi narrativi soggiacciono all'estro mattatoriale del Principe della risata. Alla lunga, il film diventa monotono, tra ruzzoloni, effetti speciali pionieristici per l'Italia, e cascate a ripetizione: meglio quando svetta con giochi di parole e battute fulminanti, il grande Totò.

martedì 12 dicembre 2017

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FINCHE' C'E' PROSECCO C'E' SPERANZA ( I, 2017)
DI ANTONIO PADOVAN
Con GIUSEPPE BATTISTON, Liz Solari, Teco Celio, Rade Serbedzjia.
GIALLO/COMMEDIA
Nel magnifico panorama "geometrico" di filari e verde veneto, il vinicoltore Desiderio Ancillotto si suicida sulla tomba di famiglia, scolandosi un'ultima bottiglia di prosecco da lui prodotto, mischiata ad una dose letale di sonniferi: sembrerebbe tutto definito e da archiviare, ma, come scoprirà l'ispettore Stucky, c'è ben altro sotto. E altri morti, a breve. Dal romanzo omonimo firmato Fulvio Ervas, che ha scritto altri cinque libri con protagonista questo poliziotto, un misto tra giallo e commedia, di quelli che negli anni Settanta qualcuno battezzò "giallo all'amatriciana", per sottolineare la dimensione particolare, tra leggerezza della battuta e fatti criminosi: in questo senso, i punti di riferimento che vengono prima in mente sono "La mazzetta" e "Giallo napoletano" di Corbucci, ma anche "La donna della domenica" di Comencini. Il piglio del regista Antonio Padovan è brioso, che fa tralasciare qualche pecca di sceneggiatura ( un ispettore che giunge prima del medico legale davanti a un morto, e con nonchalance prende in mano qualcosa?) e fa seguire un racconto svolto con garbo, discreta scrittura, e buon lavoro degli interpreti nel darsi la battuta. Del resto, era l'ora che a Giuseppe Battiston affidassero un ruolo da protagonista vero, e il robusto attore dà la goffaggine e la sensibilità giuste al suo sbirro di provincia, che ha anche riflessi divertenti: la soluzione del mistero ha uno sfondo da battaglia civile, ricordando, senza troppa retorica, che il benessere delle comunità non dovrebbe prosperare sulla pelle di qualcuno. Un film piccolo, ma gradevole e che va giù come appunto un prosecco, specialità da salvaguardare e sempre da apprezzare.
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THE IMPOSSIBLE ( The impossible, ES 2012)
DI JUAN ANTONIO BAYONA
Con NAOMI WATTS, TOM HOLLAND, EWAN MCGREGOR, Samuel Joslin.
DRAMMATICO
Il 26 Dicembre 2004 fu un giorno infausto: il Santo Stefano della Thailandia, e di molti turisti benestanti ivi per trascorrere delle splendide vacanze di fine anno, fu spazzato via da uno degli tsunami più colossali, e tristemente celebri, che la Storia ricordi. Devastazione per kilometri e kilometri nell'entroterra, cose, animali e persone portate via dalla potenza dell'onda distruttrice, e condizioni drammaticissime per chi sopravvisse. Già Clint Eastwood, l'anno prima di questo lungometraggio, portò la vicenda sullo schermo con "Hereafter", e qua si narra una storia realmente accaduta, quella di una famiglia di europei che vive in Giappone, ed è andata appunto a fare Capodanno sulle spiagge thailandesi. Una coppia con tre figli, all'arrivo della catastrofe, divisa con padre e due dei bambini, e madre con l'altro: la sopravvivenza, già non scontata con l'inferno di fango e acqua dappertutto, la consapevolezza che gli altri potrebbero essere risultati tra le tante vittime della furia degli elementi, e l'ostinazione di non arrendersi nel cercare i componenti residui della famiglia: il tema portante del kolossal europeo (è targato Spagna, con regista appunto di tale nazionalità) è la speranza, ma anche la forza degli affetti. Ben realizzato a livello di effetti speciali, nella ricostruzione del disastro, il film, pur da apprezzare per la vicenda umana narrata, finisce per somigliare maggiormente a una buona fiction televisiva che al cinema-cinema, per la maggior parte della proiezione: nel cast, intensa Naomi Watts, non del tutto a fuoco Ewan McGregor, ma il cuore espressivo della pellicola è il giovanissimo Tom Holland, futuro Spider-Man, che rende bene un ragazzo costretto a muoversi da adulto dalla tragicità dei fatti.

giovedì 7 dicembre 2017

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ASSASSINIO SULL'ORIENT-EXPRESS
 ( Murder on the Orient-Express, USA 2017)
DI KENNETH BRANAGH
Con KENNETH BRANAGH, Daisy Ridley, Michelle Pfeiffer, Johnny Depp.
GIALLO
La vera signora del giallo sta tornando di moda: da poco è uscito "Mistero a Crooked House", Ben Affleck sta lavorando ad un remake di "Testimone d'accusa", e Kenneth Branagh ha voluto riproporre il caso che porta fortuitamente il detective belga Hercules Poirot sul celebre treno che collegava Istanbul a Parigi, e per l'appunto durante il lungo e suggestivo viaggio, viene ucciso l'uomo d'affari americano Ratchett: per l'investigatore è naturale cercare di tessere la tela per scoprire ed incastrare il colpevole. La versione che nel '74 Sidney Lumet trasse dal romanzo di Agatha Christie era zeppa di nomi altisonanti (Albert Finney nel ruolo di Poirot, Lauren Bacall, Sean Connery, Anthony Perkins, Vanessa Redgrave, Jacqueline Bisset, John Gielgud, Ingrid Bergman, che vinse il suo terzo Oscar per questa interpretazione), ma anche qua non si scherza, visto che, oltre a Branagh, ci sono Johnny Depp, Michelle Pfeiffer, Daisy Ridley, Willem Dafoe, Judi Dench, Derek Jacobi. E i puristi hanno le proprie ragioni contestando all'autore e protagonista (e pure co-produttore) certe scelte: sulla pagina, e come lo hanno precedentemente portato sullo schermo, Poirot è un ometto geniale quanto pedante, sull'orlo di essere in preda perenne all'invaghimento per il proprio acume, mentre Branagh ne fa un signore prestante, pignolo e pure disposto alla colluttazione, all'occorenza. Però se questa dinamizzazione del personaggio può anche lasciare perplessi, la decisione di umanizzarlo, rendendolo meno cerebrale e più partecipe emotivamente, è un tratto che lo rende più simpatico ( e i mustacchi esibiti sono azzardati quanto eleganti). Per quanto riguarda il film, è un piacevolissimo divertimento, con gran gioco attoriale ( la trama rese facile questo sia a Lumet che oggi all'autore di "Enrico V"): si arriva alla verità riunendo come sempre i personaggi principali, e Poirot lo fa in mezzo alla neve, ma alcune carte vengono scoperte precedentemente. E la riflessione sulla distinzione tra Vendetta e Giustizia , e sulla necessità della Pietà è di quelle che fanno discutere, uscendo dalla sala, gli spettatori. 

martedì 5 dicembre 2017

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LA FRATELLANZA ( Shot caller, USA 2017)
DI RIC ROMAN WAUGH
Con NIKOLAJ COSTER-WALDAU, Omari Hardwick, Jon Bernthal, Lake Bell.
NOIR
Brutta storia per Jacob, padre di famiglia che, distrattosi alla guida dell'auto rientrando una cena con la moglie ed un'altra coppia, causa un incidente in cui muore uno dei passeggeri: va in carcere per omicidio colposo, e per non subire violenze e non rischiare la vita, entra a far parte di una "fratellanza ariana" all'interno del bagno penale, arrivando a commettere omicidi perchè non riesce ad uscirne. Da non confondersi con "La fratellanza" con Kirk Douglas, storia di mafia uscita nel 1967, questo noir serrato e violento è un titolo interessante; parla di una periferia d'America corrotta, in cui individui ai margini dettano legge alle istituzioni, e la stessa polizia risulta troppo con le mani in pasta, tra collaboratori, giochi segreti e una sorta di sfida intestina per non risultare infettata. Sospeso sempre tra salti all'indietro e cronaca nel tempo presente (sette gli anni in questione, in cui si svolge la vicenda), "Shot caller" narra l'impensabile deriva da una "normalità" cui la sorte, o il Caso, fanno sgambetto e proiettano il protagonista in un meccanismo sempre più crudo e senza scrupoli, in cui compiere un delitto con una lama di fortuna è insieme un rituale di appartenenza ed un modo per confermare ai mandanti di essere affidabile, quindi, implicitamente, di garantirsi altra sopravvivenza. E' anche un racconto spigoloso su una ricerca di identità e di ricerca della supremazia, anche se la vetta comporta un orizzonte vuoto; Nikolaj Coster-Waldau è un protagonista più che credibile, e spicca anche il sempre più attivo Jon Bernthal, qui in un ruolo laterale ma importante. Non è affatto un film ambiguo, circa il tema dei nazisti americani, perchè non viene concesso alcun dubbio sulla loro natura di feccia bianca, e abbozza un discorso denso su quanto far parte di un sistema possa incidere su un individuo qualsiasi, capitato per caso in data situazione e dato ambiente. 
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LADY MACBETH ( Lady Macbeth, GB 2016)
DI WILLIAM OLDROYD
Con FLORENCE PUGH, Cosmo Jarvis, Naomi Ackie, Paul Hilton.
DRAMMATICO
Nell'Inghilterra del XIX secolo, la forma ha importanza fondamentale: sposata per interesse al figlio unico di un signore delle campagne britanniche, Catherine nei primi tempi del matrimonio subisce passivamente l'indifferenza anche sessuale del neomarito. Quando arriva un giovane stalliere dal fisico tonico e dal piglio maschio, la giovane sposina insoddisfatta se lo porta in camera a piacimento, approfittando dell'assenza di marito e suocero, via per affari, ma quando la tresca arriva all'orecchio del ricco padre del consorte, una scarica di bastonate al baldanzoso dipendente è presto data. Al che, la natura ferina di Catherine comincia ad affacciarsi, imbastendo un disegno tragicamente efficace per sbarazzarsi di chiunque intralci la sua ascesa a padrona unica e sola della dimora. Presentato al festival di Toronto a fine 2016, "Lady Macbeth" viene da un racconto russo, anche se il riferimento al personaggio shakespeariano è chiaramente esplicito, nel furore annichilente che la donna sfodera per esercitare la propria naturale aspirazione al potere. All'esordio nel lungometraggio, William Oldroyd tesse un film che tiene conto degli schemi della tragedia, senza, in pratica, il supporto delle musiche, salvo nelle ultimissime immagini: il resoconto di un'anima nera, per cui inizialmente si simpatizza quasi, capendo la costrizione ottusa che deve subire, per scoprirne via via che la storia procede, la crudeltà e la malvagità che la porta a saper giocare ogni mossa infame per seguire il proprio disegno di avidità su tutto e tutti. Illuminato da un'aura falso-opaca, il film è concepito quasi geometricamente, con echi di Kubrick nell'impostazione delle scene e nella presentazione dei personaggi: Oldroyd va rivisto, ma potrebbe diventare un nome di peso. Nella sua escalation scellerata, apprezzabile assai la metamorfosi che Florence Pugh assegna al suo personaggio, da vittima-oggetto a stratega maligna. Non è esattamente un lavoro sul buono che alberga negli esseri umani, ma un apologo senza pietà su quanto buio possa esserci in una mente e in un cuore.

domenica 3 dicembre 2017

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GUARDIA, GUARDIA SCELTA, BRIGADIERE E MARESCIALLO ( I, 1956)
DI MAURO BOLOGNINI
Con ALDO FABRIZI, PEPPINO DE FILIPPO, ALBERTO SORDI, GINO CERVI.
COMMEDIA
Prima che la frammentazione "a episodi" giungesse ad agevolare sia i produttori, che gongolavano all'idea di mettere nella stessa uscita per il pubblico più nomi di richiamo, che gli attori, che firmavano contratti per tot produzioni, in questa maniera quindi girando dei segmenti che avrebbero accorciato i tempi di esaurimento dell'accordo firmato, con "Un giorno in pretura" ci fu un miniboom di commedie che, su una cornice data da un'ambientazione qualsiasi, permetteva a più storielle di incrociarsi. "Guardia, guardia scelta, brigadiere e maresciallo" è uno di questi: nell'ambiente della polizia municipale romana degli anni Cinquanta, ecco la guardia Sordi che vuol far carriera, esibendo un savoir faire ed uno zelo che costerà caro, la guardia scelta De Filippo, più dedito a cercar fama con le proprie stralunate composizioni musicali che al lavoro, il brigadiere Fabrizi che ha le sue grane familiari, e il maresciallo Cervi, che mette un pò di severità nel gestire i suoi uomini. Il film è moderatamente divertente, anche perchè Bolognini, diciamolo, era un autore di buon calibro nel dramma, oggi ingiustamente opacizzato dalla memoria corta di recensori e cinefili, ma nella commedia non sembrava a proprio agio: certo Peppino De Filippo che fa notare al ritratto di Verdi che lui ha avuto più fortuna, o Sordi che finge di sapere il francese ad una commissione d'esame che inesorabilmente lo boccerà strappano il sorriso. Ma vedere le forze in scena, pur se va detto che Sordi era ancora un rampante e c'è pure un defilato Nino Manfredi, che mettono insieme uno spettacolo gradevole, ma ingenuo e mai graffiante, è un pò uno spreco. Buoni incassi all'epoca dell'uscita, tantissime le repliche sulle tv negli anni.
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LA SIGNORA DELLO ZOO DI VARSAVIA
( The zookeeper's wife, USA 2017)
DI NIKI CARO
Con JESSICA CHASTAIN, Daniel Bruhl, Johan Heldenbergh, Val Maloku.
DRAMMATICO/BIOGRAFICO
Dal romanzo di Diane Ackerman, scritto sulla testimonianza della figlia della vera Antonina Zabinska, e di altri che vissero la vicenda, la storia della coppia formata appunto dalla donna, e dal marito, responsabile del giardino zoologico della capitale polacca, che riuscì a nascondere molti ebrei prima dal trasferimento nel ghetto e poi nella deportazione. Un atto di coraggio poco noto fuori dalla Polonia, fino a poco fa, che merita prima di tutto ammirazione, è chiaro: Hollywood, si sa, ridipinge spesso anche la cronaca con tratti propri, edulcorando a volte, mistificando altre. Però il resoconto di questa avventura umana è reso senza retorica, senza enfasi che potrebbero danneggiare una storia di solidarietà e di umanesimo forse inconsapevole fino in fondo: l'onda nazista che spregia e sfregia il bello e il libero, abbattendosi prima sugli animali, eliminandoli o portandoli via (solo quelli pregiati, ci mancherebbe, altrimenti la cultura ariana a che serve?), poi sugli ebrei, è ai margini ma si infiltra e cala la sua plumbea dimensione su tutto. Detto anche che, soprattutto in un momento in cui certi populismi minacciosi e tendenzialmente scellerati paiono far troppi proseliti, un film come questo è sempre benaccetto, forse la regia della neozelandese Niki Caro non spicca particolarmente per saper cogliere tutti gli aspetti storici della faccenda, apparendo a tratti come un film per la tv ben fatto e accurato, ma senza quell'essenza squisitamente cinematografica che ne avrebbe aumentato prestigio e valore. Del cast, come sempre bravissima Jessica Chastain, per la resistenza passiva che dona ad un personaggio vulnerabile e intenso, e la sotterranea ripugnanza che attraversa lo zoologo roso da gelosie, invidie e ipocrisia venuto dalla Germania che Daniel Bruhl consegna al proprio ruolo, fa acquistare nuovi punti ad un interprete di buon livello, che spazia con nonchalance tra grosse produzioni e titoli più di nicchia. 

mercoledì 29 novembre 2017

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PETS- Vita da animali ( Pets, USA 2016)
DI CHRIS RENAUD e YARROW CHENEY
ANIMAZIONE
COMMEDIA/AZIONE/FANTASTICO
Chissà che combinano cani, gatti, pappagallini, criceti e gli altri animali che scegliamo per farci compagnia, quando rimangono soli in casa. Alla Illumination hanno pensato bene di farci su un film d'animazione, con protagonista il cagnolino Max, che a New York, quando la padrona esce dall'abitazione, fa il giro degli altri appartamenti, con le altre bestioline del grande palazzo in cui abita: le cose cambiano quando arriva Duke, cagnone più anziano che viene dal canile, e Max prende molto male la cosa, arrivando ben presto a scontrarsi con il più grosso "collega". Ma gli imprevisti, nella fattispecie una gita al parco con un dog-sitter distratto, mettono i due cani in condizione di dover formare una forzata alleanza... Grandi incassi per "Pets", che in pratica non fa altro che adattare al mondo degli animali domestici la trovata che alla Pixar ebbero per realizzare "Toy Story". E con il film di John Lasseter questo ha in comune anche la fuga da casa e la pericolosità del mondo esterno, l'unione per forza dei due protagonisti, molto diversi tra loro e in attrito, ma obbligati ad associarsi per tornare alla base. Certo, qua ci sono altri personaggi, vedi il coniglio che ha piani terroristici radunando gli animali di casa abbandonati contro i traditori umani, reclutando perfino i famigerati coccodrilli delle fogne newyorkesi. Ovviamente si profila un sequel, o più d'uno, visti i risultati al box-office: un tratto non splendido e una derivazione molto accentuata, però smussano le aspettative circa il film, che regala qualche momento di divertimento, ma dà spesso la sensazione che gli ottantadue minuti di durata arrivino in fondo a corto di fiato. 
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L'ALBA DEI MORTI DEMENTI ( Shaun of the dead, GB 2004)
DI EDGAR WRIGHT
Con SIMON PEGG, Kate Hahfield, Ed Frost, Lucy Davis.
COMMEDIA/HORROR
Primo segmento della poi cosidetta "Trilogia del Cornetto", "L'alba dei morti dementi" è un'esplicita parodia del mondo romeriano della Terra invasa senza spiegazione alcuna da morti che camminano e agguantano i vivi per cibarsene. Cresciuto negli anni fino a diventare un titolo di culto per molti appassionati di cinema, vede Simon Pegg impegnato nel doppio ruolo di co-sceneggiatore e protagonista, e Edgar Wright (giunto successivamente alla corte della Marvel per "Ant-Man" e venutone espulso per forti contrasti con la produzione) ha visto, da questo film in poi, salire le proprie quotazioni. Non mancano i momenti divertenti, anche se il connubio tra truculenza e umorismo è sempre rischioso, e ci sono intuizioni azzeccate, come l'amico tocco che non realizza realmente quel che sta succedendo, e continua le sue sciocchezze da tardivo adolescente mai cresciuto, o l'incontro con il gruppetto parallelo di sopravvissuti in fuga che, in pratica, è simile in tutto e per tutto al drappello del protagonista Shaun. Però Wright gira bene, ma dà l'impressione di lasciare molto in canna, senza espletare del tutto ciò che ha immaginato, non è ben chiaro perchè; e quanto a humour, si sorride qua e là, ma se parodia deve essere, bisogna spingere il pedale dell'acceleratore a tavoletta, o non ha moltissimo senso. Forse un pò sopravvalutato, è comunque simpatico.

martedì 28 novembre 2017

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THE FORGER- Il falsario ( The forger, USA 2014)
DI PHILIP MARTIN
Con JOHN TRAVOLTA, Tye Sheridan, Christopher Plummer, Jennifer Ehle.
DRAMMATICO/THRILLER
Quando i film di una star che portava la gente al cinema al solo comparire del proprio nome sui manifesti escono alla chetichella, o, al giorno d'oggi, "straight to video", quindi direttamente su DVD o in tv nei canali a pagamento, si può chiaramente parlare di declino. Certo, John Travolta è uno che ha conosciuto picchi spettacolari di fama e tonfi improvvisi, rinascite e cali, ma a sessantatré anni si può parlare di prepensionamento per il divo de "La febbre del sabato sera", visti i titoli interpretati ultimamente. Non fa eccezione questo "The forger", thriller a tinte drammatiche anche più decoroso di tanti altri, con il nostro nei panni di uno specialista del falso su tela, che dopo essersi fatto cinque anni in galera, torna fuori, e scopre che l'unico figlio, con cui ha naturalmente un rapporto contrastatissimo ( i clichés sono materia densa, spesso) è gravemente ammalato, e cede al ricatto di una banda di criminali, affinché falsifichi un quadro di Monet in breve tempo. Come si diceva, il film è vedibile, pur con qualche licenza poetica, tipo poliziotti un pò troppo permissivi con il protagonista, e approda ad un finale nè stucchevole, nè banale: però è un lungometraggio in sostanza già visto, che perlomeno scorre, e però i dialoghi discretamente scialbi non gli fanno buon servizio.

lunedì 27 novembre 2017

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BORG MCENROE ( Borg McEnroe, SW/DK/FIN 2017)
DI JANUS METZ
Con SVERRIR GUDNASSON, SHIA LABEOUF, Stellan Skarsgard, Tuva Notovny.
DRAMMATICO/BIOGRAFICO
Rivalità anche pompata dai mass media, come siamo ormai soliti conoscere, tra campionissimi, la sfida tra i tennisti Bjorn Borg e John McEnroe, per gli appassionati dello sport con racchetta e palla pneumatica, è stata uno dei momenti più intensi della storia del gioco. Confrontatisi ben quattordici volte in soli quattro anni, in realtà sono finiti sette a sette, con nessun vincitore a titolo definitivo, quindi: il film si concentra sull'incontro a Wimbledon 1980, definito come uno dei più belli di sempre dagli esperti. Come nel primo "Rocky", però, il tennis vero e proprio si vede per accenni, fino al match finale, che si prende un quarto d'ora tirato al diapason dell'emozione sportiva: al regista Janus Metz , comunque molto abile nel riprendere uno sport, a detta di molti, quasi "infilmabile", interessa molto di più narrare la tensione dei due fuoriclasse, che vivono conflitti interiori, cercano di arrivare al giorno della partita superando incertezze, timori e rabbie, con stile e approccio diverso, come è noto che avessero. Pur battendo bandiera svedese (oltre che danese e finlandese, in sostanza nordica), il film non si concede manicheismi, mettendo sotto la stessa luce sia Borg che McEnroe, sottolineandone, in fondo, l'umanità di due ragazzi sotto forte pressione, guidati dalla comune passione per il proprio gioco e agitati dal fuoco della sfida (bellissimo il momento in cui Borg, vedendo l'avversario in difficoltà, gli dà un consiglio amichevole). E si vede che è un film fatto in Europa, e non americano, per lo spirito con cui è concepito e realizzato, senza facili trionfalismi o sintetizzazioni forzate per cercare una morale netta e annunciata: buon cast, con interpreti coinvolti, dall'inedito da noi Gudnasson, che imprime l'interiorizzazione ed il metodismo sportivo al suo Borg, a Laboeuf, qui molto bravo a rendere impacci, scatti di rabbia e intuizioni del suo McEnroe, ma sarebbe brutto dimenticare l'apporto del sempre ottimo Stellan Skarsgard nel ruolo dell'allenatore dello svedese, con cui ha un rapporto da padre putativo. Curato in ambientazione e tratteggio psicologico, appassiona anche i non proprio innamorati del tennis come il sottoscritto.