IL GIOCO DI GERALD (Gerald's game, USA 2017)
DI MIKE FLANAGAN
Con CARLA GUGINO, Bruce Greenwood, Carel Struycken, Henry Thomas.
THRILLER/DRAMMATICO
Appartatisi nella bella casa nel bosco usata per le vacanze, i coniugi Burlingame si apprestano a mettere in atto un gioco erotico, per ravvivare un'unione che da un pò mostra segni di stanchezza: l'uomo ammanetta la moglie al robusto letto per simulare un'aggressione e buttare un pò di pepe nel rapporto sessuale, ma il fato ci mette lo zampino, e fa venire un infarto al coniuge mentre la signora è già costretta dalle manette. Oltre alla dipartita del marito, alla condizione di prigioniera e alla paura di morire di fame e sete, per la protagonista c'è anche il problema della porta di casa lasciata aperta, e di un grosso cane randagio che si aggira nei dintorni.... A dirla proprio tutta, "Il gioco di Gerald" è uno dei libri più noiosi e meno riusciti di Stephen King: come in "Cujo", cui si riallaccia per la parte del cane pericoloso che può rivelarsi tutt'altro che amico dell'Uomo ( e della Donna, nello specifico), si espande al massimo una sola situazione, di isolamento e esposizione ai pericoli esterni, di un personaggio, messo con le spalle al muro e costretto ad escogitare un sistema per non morire malissimo. Nel libro, e nel film, per non spegnere la tensione, la protagonista mescola ricordi sepolti e dialoga con una rielaborazione mentale dell'appena scomparso marito e di sè stessa: c'è da dire che l'adattamento di Mike Flanagan, regista di "Oculus" e "Ouja" è anche meglio del testo originario, perchè tuttavia tiene desto l'interesse dello spettatore e non si perde dopo poco tempo, come poteva risultare dalla non semplicità del racconto. Certo, i paralleli, oltre che con "Cujo", con "L'ultima eclisse-Dolores Claiborne" sono chiarissimi, e alla lunga qualche colpo il film lo perde: va però detto che questi lavori prodotti da Netflix, di base mostrano una certa qualità e ricercatezza nell'impaginazione, e che comunque Flanagan sa gestire le buone prove di Carla Gugino, un'attrice che avrebbe meritato un'altra carriera, e di Bruce Greenwood, una delle star mancate hollywoodiane più duttili. Attendendo la versione cinematografica di "It", finalmente, dopo trent'anni, un "aperitivo" decoroso.
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