sabato 30 aprile 2016


SIN CITY- Una donna per cui uccidere
( Sin City: A dame to kill for, USA 2014)
DI FRANK MILLER  e ROBERT RODRIGUEZ
Con JOSH BROLIN, EVA GREEN, MICKEY ROURKE, JESSICA ALBA.
NOIR/AZIONE
Bentornati a Basin City, detta "Sin City" per rendere meglio l'idea del livello della commistione tra peccati e vizi imperanti in una città violenta e senza tempo, in cui la logica di sopravvivenza è quella della jungla. Nove anni dopo il successo internazionale arriso alla versione cinematografica del fumetto noir di Frank Miller, a Robert Rodriguez si associa proprio l'autore delle strisce in bianco e nero, un gioiello a livello grafico sulla carta stampata, per raccontare il prosieguo delle sventure di Marv, Dwight e compagnia truce: oltre a Mickey Rourke, che in pratica ebbe l'inizio del suo rilancio interpretando il robusto spaccatutto dal profilo di roccia, rivediamo il crudele senatore impersonato da Powers Boothe, e la tormentata spogliarellista di Jessica Alba, oltre alla dura Rosario Dawson, mentre cambiano dei volti, come per i personaggi passati da Clive Owen a Josh Brolin, e da Michael Clarke Duncan ( per la scomparsa del colossale attore nero) a Dennis Haysbert. In più, arrivano Joseph Gordon-Levitt nei panni di un giocatore a cui una notte fortunata costerà carissima, Eva Green, la summa delle dark ladies classiche, e Bruce Willis si limita ad apparizioni spettrali, essendo il suo poliziotto Hartigan morto nel film precedente. Fatte le presentazioni, si dirà che, a film finito, si prova la sensazione di un'operazione tutto sommato inutile, visto che le soluzioni grafiche di impatto simile alla graphic novel originale, erano già state viste nel film del 2005, la violenza stilizzata che accompagna tutto il lungometraggio è fin troppo insistita, e che pare una visione nichilista all'ennesima potenza, da parte di un artista, Miller, che ha realizzato veri e propri capolavori nel mondo del fumetto, che ha adottato una misantropia ed una misoginia incontrollabili. Rodriguez, invece, da un pò troppo tempo pare galleggiare nella celebrazione di se stessa e della sfacciataggine con cui gira bene materiale solitamente catalogato come trash. Per intendersi: "Sin City-Una donna per cui uccidere" non annoia, ma non dice granchè.

venerdì 29 aprile 2016


ATTACCO AL POTERE 2 ( London has fallen, USA 2016)
DI BABAK NAJAFI
Con GERARD BUTLER, Aaron Eckhart, Morgan Freeman, Radha Mitchell.
AZIONE 
Dopo l'assalto dei coreani alla Casa Bianca, non c'è pace per il presidente USA impersonato da Aaron Eckhart: recatosi a Londra dopo la morte del premier britannico, con la fidata guardia del corpo Gerard Butler, si trova a subire un poderoso attacco ai leader internazionali riunitisi per l'evento. Vengono eliminati il presidente francese, la cancelliera tedesca, e il capo del governo italiano: per scongiurare l'assassinio del presidente, organizzato da un'azione terroristica che fa capo ad un leader yemenita ed il figlio, i due che erano sopravvissuti anche ai feroci attentati degli asiatici, dovranno giocarsi il tutto per tutto contro un'organizzazione che devasta alcuni dei luoghi più caratteristici di Londra. La regia è passata da Antoine Fuqua a Babak Najafi, e, seppure anche Fuqua non sia certo un regista raffinato, la differenza si vede eccome: se nel primo film, pur tra mille ovvietà e spacconate, comunque un'idea di regia c'era, qui si procede con monotonia, anche se scoppi e spari sono frequenti, verso il solito finale risolutore in cui i duri "buoni" fanno polpette dei cattivi. Si sa, Butler non è uno degli attori migliori sul proscenio, e si potrebbe riciclare per lui la famosa battuta sull'espressività di Clint Eastwood: solo  che lo scozzese si potrebbe condensare, a livello attoriale, con e senza barba. Per il resto, azione non ne manca, ma il tutto è così risaputo da far posto, prima della fine, a sbadigli maiuscoli.

GODS OF EGYPT ( Gods of Egypt, USA/AUS 2016)
DI ALEX PROYAS
Con NICHOLAS KOSTER-VALDAU, BRENTON THWAITES, Gerard Butler, Elodie Yung.
FANTASTICO/AVVENTURA
Caos nell'antico Egitto: gli dei, da Osiride a Seth, fino a Rah, il dio del Sole, sono coinvolti in un ammutinamento dell'ordine divino. Ordito appunto dal regnante del marasma Seth, che uccide il fratello Osiride e autoproclama la propria supremazia sui suoi simili e sugli umani. Horus, ferito e accecato dallo zio bramoso di potere, viene raggiunto da un ladruncolo che tramite lui vorrebbe far tornare in vita ( come Orfeo e Euripide, insomma...) la propria amata, fuggita dall'uomo che la teneva in schiavitù e che l'ha colpita a morte con una freccia. Progetto ambizioso, almeno a livello commerciale, visto che è costato 140 milioni di dollari, "Gods of Egypt" non è riuscito neanche a incassare la cifra spesa, pure a livello mondiale. Benchè ci sia profusione di effetti speciali e scontri spettacolari, il film a livello di interesse presso lo spettatore langue non poco, soprattutto per demerito di una sceneggiatura inutilmente macchinosa e che spesso, troppo, fa percepire di dilungarsi oltremodo, senza reale necessità. Modesto il cast, compresa una mega-marchetta di Geoffrey Rush, di cui non è presente, nella rappresentazione delle divinità egizie, alcuna regalità o carisma vero e proprio: incerti i tentativi di offrire qualche accenno di umorismo, si giunge al finale ormai saturi del troppo cercare colpi di scena che riscattino una storia poco avvincente.

martedì 26 aprile 2016


IO ZOMBO, TU ZOMBI, LEI ZOMBA ( I, 1979)
DI NELLO ROSSATI
Con RENZO MONTAGNANI, DUILIO DEL PRETE, COCHI PONZONI, DANIELE VARGAS.
COMMEDIA/FANTASTICO
Sull'onda del successo di "Zombi" di George A. Romero, uscì questa parodia che vede uno stuolo di caratteristi scafati, da Renzo Montagnani a Duilio Del Prete, da Daniele Vargas a Cochi Ponzoni, da Vittorio Marsiglia a Anna Mazzamauro e Ghigo Masino, con la ciliegina di Nadia Cassini, meno svestita che in altre pellicole, ma comunque destinata ad esibire le magiche terga per puntare sul sicuro. Un becchino legge un libro sugli zombie, legge una formula mentre siede in presenza di tre salme, che si risvegliano: lui muore d'infarto, ma si rialza per accompagnarsi agli altri morti viventi, che provano a tendere tranelli agli automobilisti, ma poi prendono possesso di un triste motel di proprietà di un'anziana zia di uno dei quattro neo-zombies. Lì, a malincuore, progettano di attirare nuove vittime per sfamarsi: naturalmente, tra un autista di carri funebri, una coppia che ha assassinato il marito della donna, una famigliola litigiosa, non ci sarà verso di nutrirsi per i quattro disgraziati. Scombinato, senza verve, alla lunga pure uggioso, "Io zombo, tu zombi, lei zomba" non fa il suo dovere neanche di presa in giro dell'allora in gran voga horror all'italiana: la nota curiosa è la presenza dei due attori che hanno impersonato il Necchi della trilogia di "Amici miei", Del Prete e Montagnani, di cui il secondo viene fatto recitare con un accento brianzolo di cui non si capisce il motivo. Per il resto, berci beceri da parte di Ghigo Masino, uno dei comici più dozzinali d'Italia, la Mazzamauro in preda a strepiti inutili, Solenghi qui esordiente con un perenne ghigno demente sul viso: Renzo Montagnani, che era pure un professionista che non lesinò mai partecipazioni anche a film girati praticamente senza copione, citò questo film con rammarico, con annesse critiche a Rossati. Aveva ragione, visto che si ha modo di assistere a un'ora e mezza di cretinerie insipide senza sugo.

LA FAMIGLIA BELIER ( La famille Bélier, F 2014)
DI ERIC LARTIGAU
Con LOUANE EMERA, Francois Darmiens, Karin Viard, Eric Elmosnino.
COMMEDIA/DRAMMATICO
Unica componente che può parlare e sentire di una famiglia privata dei suoni, Paula ha una voce notevole ed ama cantare: a casa sua, la tradizione è mandare avanti l'azienda agricola, e l'ostinazione con cui i familiari osteggiano i desideri della ragazza è dovuta sia alla natura di "ponte" naturale tra loro e il mondo esterno di Paula, sia della diffidenza verso certe scelte di lei che percepiscono come un tradimento. Una commedia con tonalità drammatiche, che in Francia è stata premiata dal pubblico e ha avuto diverse candidature a premi importanti come i Cèsars, e anche da noi è andata abbastanza bene: ciononostante, dalle comunità di sordomuti, il film ha avuto non poche critiche, perchè sarebbe colpevole di ricorrere a troppi stereotipi sulle persone affette da certe problematiche, e avrebbe fatto danno alla comunità  di chi non può nè sentire e nè parlare, e comunica a gesti. Di per sè, il film di Eric Lartigau si fa seguire, con qualche momento vagamente divertente, più che altro propendendo per i buoni sentimenti e ammiccando al pubblico giovane, con il riscatto della protagonista, la quale, nonostante i molti contrasti, riesce a correre dietro al proprio sogno facendo infine capire ai familiari, dipinti come egoisti, sebbene in buona fede, che non è giusto soffocare le aspirazioni. Però, l'accelerata verso un finale di buoni sentimenti, edificante come solo una commedia americana può essere, lascia abbastanza perplessi, e se l'obiettivo era smuovere il cuore degli spettatori, si va un pò troppo sul risaputo per riuscirci veramente.

lunedì 25 aprile 2016


I QUATTRO FIGLI DI KATIE ELDER
( The sons of Katie Elder, USA 1965)
DI HENRY HATHAWAY 
Con JOHN WAYNE, DEAN MARTIN, Michael Anderson, jr., Earl Holliman.
WESTERN
Riunitisi alla morte della madre per il funerale, i quattro fratelli Elder hanno la brutta sorpresa di scoprire che il padre è stato ucciso, e la madre versava in cattive condizioni economiche, il tutto taciuto per evitare la reazione dei figli: c'è una congiura in atto per mettere in trappola i quattro, e speculare su quel che avrebbero dovuto ereditare. John Wayne e Dean Martin insieme dopo sei anni da "Un dollaro d'onore", forse un pò troppo in là con gli anni, il primo soprattutto: certo, Henry Hathaway è stato un regista di western di spicco, che nella filmografia annoverava titoli come "Il prigioniero della miniera", "Nevada Smith" e "La conquista del West" ( in società con John Ford e George Marshall). E il film è un western dal telaio abbastanza convenzionale, però si svolge con il giusto passo, mostrando la bravura del regista a impostare racconto e presentazione dei caratteri. La scena della sparatoria sul fiume, forse la più celebre del lungometraggio, è quella che mostra maggiormente l'abilità di Hathaway nell'allestire una sequenza con il giusto spessore epico, di cui il genere necessita: oggi è considerato un classico minore, ma pur sempre uno degli ultimi lavori con Wayne, benchè invecchiato e appesantito, ancora capace di prendere la scena. Nel 2005 John Singleton ne ha girato un remake in versione moderna, con "Four brothers", di minore riuscita.

domenica 24 aprile 2016


22 ° VITTIMA, NESSUN TESTIMONE 
( Parole de flic, F 1985)
DI JOSE' PINHEIRO
Con ALAIN DELON, Jacques Perrin, Fiòna Gelin, Eva Darlan.
AZIONE
Ex-poliziotto ritiratosi in un'isola africana in cui mette a posto bullacci locali e bacia belle ragazze, Daniel Pratt riceve la bruttissima notizia dell'uccisione della figlia, avvenuta a Lione: torna in patria per scoprire che l'assassinio della ragazza, assieme ad altri amici, è stato commesso in una strage da parte di una banda di misteriosi killer mascherati. Indagando, scoprirà che dietro a questo, ed altri eccidi c'è un'organizzazione segreta che, in nome di una pretestuosa ondata "moralizzatrice", fa fuori immigrati, giovani secondo loro "deviati" e via così. Naturalmente, il protagonista avrà modo di rimanere sorpreso scoprendo chi c'è tra gli sterminatori. Alain Delon, dopo tre anni passati a girare film meno di cassetta, tornò al cinema d'azione con questo titolo, che ebbe anche un seguito tre anni dopo ("Ne reveillez pas un flic que dort"): essendo anche tra gli sceneggiatori, viene il giustificato sospetto che il divo francese, accusato di essere un reazionario più volte per la praticità con cui i suoi personaggi impugnavano le armi e mandavano sotto terra i nemici, abbia voluto girare questa pellicola per sottolineare che con certo vigilantismo egli non aveva molto a che spartire. Un pò come successe a Clint Eastwood quando girò "Una 44 Magnum per l'ispettore Callaghan", per mettere a tacere le polemiche della stampa che criticavano il suo "Dirty Harry". Però "22° vittima, nessun testimone" ha poca azione, il plot è abbastanza prevedibile, si vede che Delon ci teneva a mostrare, nelle scene iniziali in cui fa vedere un fisico da bodybuilder, seppur maturo, che era ancora uno dei divi di cui tener conto: si fa vedere, anche se non è fatto benissimo, ma non è uno dei più riusciti film d'azione degli anni Ottanta.

L'UNIVERSALE ( I, 2015)
DI FEDERICO MICALI
Con FRANCESCO TURBANTI, Matilda Anna Ingrid Lutz, Robin Mugnaini, Claudio Bigagli.
COMMEDIA
L' "Universale d'Essai" è stato un'esperienza perlopiù unica, i fiorentini tra i quaranta e i sessant'anni di oggi lo ricordano con un moto d'affetto insopprimibile: un cinema che programmava i film, spesso con veri e propri "cavalli di battaglia" ("1997:fuga da New York", "Arancia meccanica", "La cosa", "Fuga di mezzanotte", "La grande truffa del Rock'n'Roll", "Animal House"), in cui lo spettatore aveva una sorta di interattività, "partecipando" fisicamente alla proiezione con battute e lazzi, e nella cui sala, soprattutto all'ultimo spettacolo, si scatenava un'ironia mordace, con commenti scatenati su quel che accadeva sullo schermo, e in una vera e propria piazza al chiuso, si tramutava la platea. Dopo un documentario su quel cinema, che chiuse alla fine di Dicembre del 1989, ecco un film che ruota tutto intorno alla sala di via Pisana, partendo dagli anni Settanta e giungendo appunto alla malinconica chiusura dell' "Universale". Spesso divertente, soprattutto nella prima parte, il film di Micali sa ricostruire, con pochi mezzi, l'atmosfera sia del cinema, che quella fuori, del periodo, e ribadisce l'importanza della sala cinematografica nella vita di quartieri e città di un tempo, quando andare a vedere un film era una cosa che si progettava qualche giorno prima , come un piccolo evento nella settimana delle persone. Peccato che, nella seconda metà, il film voglia forse ambire a troppo raccontando le derive (chi diventa fiancheggiatore dei brigatisti, chi si dà alla tossicodipendenza) dei giovani di quegli anni, e si ingolfi un pò, perchè per buona parte della proiezione, emana un vero senso di freschezza, con una leggerezza non facilissima da reperire. Degli interpreti, tutti molto volenterosi e in parte, sottolineare la simpatia di Francesco Turbanti e la grazia di Matilda Anna Ingrid Lutz viene naturale: magari, da ex-frequentatore dell' "Universale" potrei stare a precisare che aveva anche una galleria consistente in una parte di sala rialzata di tre scalini, che qui non si vede,  ma sono quisquilie.... 

giovedì 21 aprile 2016


TOPKAPI ( Topkapi, USA 1964)
DI JULES DASSIN
Con MELINA MERCOURI, PETER USTINOV, MAXIMILLIAN SCHELL,Robert Morley.
AZIONE/COMMEDIA
Classico dell' "heist-movie", il sottogenere del noir sulle rapine, "Topkapi", che prende il titolo appunto dal celebre museo di Istanbul, in cui una pittorescamente assortita banda di ladri ordisce un colpo per rubare un preziosissimo pugnale, fu un grande successo negli anni Sessanta, e lo si può capire. Miscela di azione, thriller, e commedia, giocato con una leggerezza magistrale, che combina abilmente brividi e sorrisi gustosi, il film di Jules Dassin è una giostra di colori marcatissimi e insistiti, immerso alla perfezione nella Turchia di cui, chi ci è stato, riassaporerà atmosfera e sensazioni. Nella lunga sequenza del furto, che è il climax della pellicola, Dassin ha modo di tenere lo spettatore sulle spine per vedere se l'acrobatico piano organizzato dai protagonisti andrà in porto, e nel finale, con un sarcasmo innato, fa uno scherzo niente male sia ai personaggi, che al pubblico. Brian De Palma rese omaggio a questo film nell'altrettanto celeberrima scena in cui Tom Cruise, sospeso dai cavi, ruba dei dati in una stanza a prova di intruso. Qua tutti gli attori sono bene in parte nel divertissement spiritoso e sapido, titoli di coda compresi, dalla sceneggiatura e dalla regia, dalla non bellissima ma fascinosa Melina Mercouri al grintoso Maximillian Schell, ma la palma del più bravo, meritorio dell'Oscar che vinse per questa prova, va ad un Peter Ustinov di buffonesca vivacità.

mercoledì 20 aprile 2016


CRIMINAL ( Criminal, GB/USA 2016)
DI ARIEL VROMEN
Con KEVIN COSTNER, Gal Gadot, Gary Oldman, Tommy Lee Jones.
AZIONE/THRILLER
L'idea di impiantare la mente di un uomo nella testa di un altro non è inedita, come non è vero, come scritto enfaticamente da qualche giornale, che vedremo Kevin Costner per la prima volta nel ruolo di un cattivo: per la verità lo era stato già in "La rapina", e qui parte come malvagio e spietato, per poi, assorbendo la personalità di un agente speciale, cambiare a storia in corso. Ambientato a Londra, "Criminal" parte con un'imboscata tesa all'agente impersonato da Ryan Reynolds, che fa una bruttissima fine ( succede nei primi dieci minuti, si può dire...), e allora il capo dell'operazione che avrebbe dovuto smantellare un'azione terroristica, Gary Oldman, incarica lo scienziato Tommy Lee Jones di tentare il tutto per tutto con l'esperimento. Ariel Vromen, regista israeliano, aveva ottenuto buone critiche con il suo titolo precedente, "The Iceman", storia romanzata di un vero killer, e questo nuovo action thriller era piuttosto atteso: però, nella sostanza, abbiamo di fronte un film che avrebbe buone potenzialità, ma risulta scritto piuttosto male, sia nei dialoghi ( quasi tutti quelli che muoiono esclamano "Vaffanculo!", come ultima parola...) che nella logica del racconto, si prenda la sequenza del ponte mobile per tutte. Aggiungiamo un personaggio principale che va in giro con due cicatrici vistose in testa, come se nulla fosse, e sarebbe da chiedere agli sceneggiatori quanto abbiano riletto il proprio script, prima di presentarlo alla produzione. I cattivi sono bidimensionali, Gary Oldman interpreta non benissimo un capoccia della CIA che non fa altro che berciare, Kevin Costner è forse quello che figura meglio, anche se non coglie tutte le possibilità del ruolo. Come film d'azione, si è visto di meglio e di peggio, ma il finale edificante potevano risparmiarcelo, decisamente.

...E TANTA PAURA ( I, 1976)
 DI PAOLO CAVARA
Con MICHELE PLACIDO, Corinne Clèry, Eli Wallach, Tom Skerritt.
THRILLER
Appena cominciato il film, un tizio cui piace essere preso a ceffoni dalle donne viene strangolato: il commissario Lomenzo deve indagare, incalzato dal suo superiore. Di lì a poco, a una signora su un bus viene sfondata la testa con una chiave inglese, una prostituta viene bruciata viva, e c'è chi finirà investito da un camion. I delitti sono compiuti nella maniera più disparata, ma c'è un unico autore: le ragioni sono legate ad un ritrovo di alto borghesi con la passione del proibito, e a qualcosa che è successo in uno di questi convegni. Inoltre, chi uccide lascia sul luogo del delitto un'illustrazione riguardante il libro per bambini "Pierino Porcospino".... Giallo diretto da Paolo Cavara, che già aveva girato "La tarantola dal ventre nero", nella scia dei successi argentiani dei primi anni Settanta, "...E tanta paura", contrariamente al titolo, di brividi ne suscita piuttosto pochi. Se il plot riguardante la catena di delitti poteva essere degno di nota, la soluzione è abbastanza scombinata, e un pò tutto il film procede più a spintoni che fluidamente: c'è la permissività degli anni Settanta, l'amore libero e la sfida a chi è più vizioso, omicidi che vengono realizzati in strada e nessuno vede, e via elencando. Michele Placido, in uno dei primi ruoli da protagonista, ci mette una vaga ironia, e Corinne Clèry sfrutta la sua innegabile fotogenia, Tom Skerritt c'entra poco, e recita del tutto fuori registro, Eli Wallach sta sullo sfondo con aria sorniona. Oggi abbastanza dimenticato, ma si può capirne il perchè.

lunedì 18 aprile 2016


ADUA E LE COMPAGNE ( I, 1960)
DI ANTONIO PIETRANGELI
Con SIMONE SIGNORET, EMMANUELLE RIVA, Sandra Milo, Gina Rovere.
DRAMMATICO
Sulla chiusura dei "casini" è il film più celebre che abbia affrontato l'argomento: l'applicazione della legge Merlin, che ancora oggi, sessant'anni dopo l'aver eliminato le ufficiali "case chiuse", non ha fatto altro che aumentare gli introiti del malaffare provenienti dalla prostituzione, è alla base di quel che racconta "Adua e le compagne". Ragazze di vita che, dopo il cambiamento imposto dalla legge, provano a mettere su una trattoria di campagna, ma, nonostante le garanzie sulla cancellazione del loro passato, cosa non vera, infatti sono schedate, sono costrette a fare un patto con un "rispettabile" finanziatore, che mette soldi e contatta chi di dovere per dar modo alle quattro protagoniste di avviare l'attività, ma pretende che in breve la trasformino in un bordello clandestino. La sceneggiatura è pessimista sulle possibilità delle ex-prostitute, sottolineando i troppi compromessi e ricatti di cui sono oggetto le donne in una società tendente al retrogrado quale la nostra, affetta da troppo maschilismo e provincialismo di fondo: non c'è un uomo che venga descritto in maniera positiva, dall'avido e infame benestante di Claudio Gora ( uno dei migliori "cattivi" del cinema italiano) al molle gagà di Marcello Mastroianni, dal farlocco attore di giro di Gianrico Tedeschi al viscido avvocato Ivo Garrani. Nomi come Ettore Scola e Ruggero Maccari in fase di scrittura erano già una garanzia di buon cinema, ma sarebbe ingiusto non riconoscere a Antonio Pietrangeli una personale e felice buona mano nel saper scandagliare gli animi femminili, in questo senso uno dei più talentuosi registi che abbiamo avuto. Oltre a girare con eleganza e stile, Pietrangeli era un cineasta capace di saper descrivere con una manciata di inquadrature stati d'animo, condizioni morali e livelli di vita dei propri personaggi, in particolare le donne. Bravissima e ancora affascinante Simone Signoret, folle e inquietante Emmanuelle Riva, dissennata e genuina Sandra Milo, il personaggio forse più scavato a fondo, sebbene sia quello apparentemente più "comune" è quello di Gina Rovere, che forse sarà il più danneggiato dallo svolgersi delle cose. Il film ha un finale amarissimo, e la camminata sotto una pioggia implacabile come le risate di scherno che la inseguono, rende Adua in fondo un'idealista sconfitta, in quanto illusa sull'umanità altrui.

PRIDE ( Pride, GB 2014)
DI MATTHEW VARCHUS
Con ANDREW SCOTT, BILL NIGHY, IMELDA STAUNTON, DOMINIC COOPER.
COMMEDIA/DRAMMATICO
Ispirato ad una vicenda vera, l'alleanza bizzarra tra un sindacato di minatori ed un'associazione gay per creare interesse presso l'opinione pubblica in una fase durante un duro sciopero nel 1984, contro le politiche sul lavoro e sull'economia di Margaret Thatcher, "Pride" ha riscosso un discreto successo in Europa. Senza protagonisti veri e propri, mette in scena diversi personaggi che compongono il curioso abbinamento, con buona scrittura, tra l'altro con una ricostruzione d'ambiente, e d'epoca, ben centrata: si respira l'aria di quegli anni, in cui le manifestazioni vivevano soprattutto della spinta che fornisce la speranza che a qualcosa potessero servire. Giocato perlopiù nei toni di una commedia, che via via incamera motivi più drammatici ( c'è la tematica dei sacrifici e della perdita del lavoro, ma fu anche l'anno in cui l'Aids si affacciò alla ribalta mediatica), il film procede speditamente, dipingendo l'ottusità retrograda di parte della società, e la voglia di cambiare le cose che anima un'altra fascia della collettività. Va riconosciuto, a certo cinema britannico, della capacità di parlare di tematiche importanti, e anche molto serie, con leggerezza ma senza superficialità, in maniera da raggiungere fette di pubblico più ampie e far conoscere argomenti che altrimenti non sarebbe semplice presentare. Nel cast brillante e articolato, da menzionare Andrew Scott e Dominic Cooper: divertente e intelligente, simpatico e ritmato, in un'epoca in cui viene quasi ufficialmente raccomandato l'egoismo come valore, ben venga un invito all'umana solidarietà qual'è questo. 

sabato 16 aprile 2016


DRAFT DAY ( Draft day, USA 2014)
DI IVAN REITMAN
Con KEVIN COSTNER, Jennifer Garner, Denis Leary, Frank Langella.
DRAMMATICO
Di Kevin Costner si potranno dire molte cose, ma non certo che non sia un attore che non ami lo sport: baseball, ciclismo, golf, e adesso anche football americano. Il "Draft day" è un pò quel che rappresenta nel nostro calcio il calciomercato, con i colpi da piazzare per preparare una squadra per la stagione futura. Per dir meglio, è il giorno in cui le società del football scelgono dai college le potenziali future stelle della League: e le trattative, per via di un meccanismo non semplicissimo, che però il film spiega molto bene, anche ai profani, sono molto complesse, e possono permettere a chi parte svantaggiato, di recuperare terreno e riuscire a piazzare ottimi colpi. E' tutto giocato in poche ore "Draft day", che qui in Italia non è neanche uscito, vuoi per il non più garantito peso di Costner al box-office, vuoi per le tematiche molto "americane", ed è un soft drama di ambientazione sportiva, inusuale per uno specialista in commedie come Ivan Reitman. Ed è un peccato, perchè in una sfilata di volti celebri ( ci sono anche Ellen Burstyn, Rosanna Arquette, Kevin Dunn...), si svolge una pellicola con una buona sceneggiatura, che via via avvince lo spettatore, giocando bene i colpi di scena della seconda parte: sospeso tra diffidenze, frustrazioni, il peso dell'eredità paterna e poche buone carte in mano, il team manager di Costner è tra i personaggi resi meglio dall'attore. E tuttavia, figura bene un pò tutto il cast, in una storia composta soprattutto da confronti verbali: un racconto di etica, assunzione di responsabilità e fiducia nei propri mezzi quasi sorprendente nella sua asciutta efficacia. Uno dei titoli migliori di Reitman senior.

giovedì 14 aprile 2016


IL CACCIATORE E LA REGINA DI GHIACCIO- La storia prima di Biancaneve
( The Huntsman: Winter's war, USA 2016)
DI CEDRIC NICOLAS-TROYAN
Con CHRIS HEMSWORTH, JESSICA CHASTAIN, EMILY BLUNT, Charlize Theron.
FANTASTICO/AVVENTURA
Nel 2012 uscirono due progetti paralleli su "Biancaneve", uno diretto da Tarsem Singh, con Julia Roberts nel ruolo della regina malvagia Grimilde, e Lily Collins in quello dell'eroina dai capelli d'ebano e dalla pelle diafana, l'altro che vedeva Kirsten Stewart ad interpretare una versione guerriera dell'amica dei Sette Nani, e Charlize Theron maligna e splendida come regina Ravenna: il secondo divenne un successo commerciale molto maggiore, e immaginarne una prosecuzione era abbastanza semplice. E' arrivata quattro anni dopo, confermando Chris Hemsworth come coprotagonista, e dopo Biancaneve, anche per via del clamoroso successo arriso alla versione cartoon, c'è una rielaborazione della "Regina delle nevi". Non è esatto dire che questo è un prequel: o almeno, non lo è soltanto. Infatti, il primo terzo di questo film racconta come "Il Cacciatore" nasce e viene allevato dalla sorella della regina antagonista dell'altro episodio, e poi c'è il prosieguo, che vede l'eroe, sfuggito alla vendetta della regnante per aver osato sposare una ragazza cresciuta con lui, nonostante il divieto d'amare ( proprio così...) all'interno della regno, reincontrare chi pensava d'aver perso. A dire la verità, pur tra diversi pressapochismi e passaggi già visti molte volte in altro cinema fantasy, è forse meglio questo capitolo di quello che l'ha preceduto: c'è almeno una sequenza di buon cinema fantastico, come il recupero dello specchio magico, custodito da dei mostruosi simil-gorilla placcati d'oro, però tra scontri coreografati come ormai siamo abituati a vedere, e un umorismo troppo sboccato per essere rivolto ai bambini, e troppo fessacchiotto per gli adulti, è una rielaborazione di una classica fiaba che dice poco di nuovo. Se ci sarà un atto terzo, sarà determinato dal box-office internazionale: però potrebbero anche chiuderla qui, senza far soffrire nessuno...

mercoledì 13 aprile 2016


LA ISLA MINIMA ( La isla minima, ES 2014)
DI ALBERTO RODRIGUEZ
Con RAUL AREVALO, JAVIER GUTIERREZ, Maria Varod, Jesus Carroza.
THRILLER
Entroterra spagnolo, 1980: la dittatura franchista è finita da cinque anni, ma come si sa, i regimi lasciano sempre strascichi. Anche nella mentalità delle persone, e nel loro passato, soprattutto: i due poliziotti Pedro e Juan indagano sulla sparizione di due adolescenti da un paese, ma quello che incontrano è reticenza, sospetto, diffidenza, poca o nessuna collaborazione. I due uomini sono molto diversi tra loro: uno è chiuso, serioso, fiducioso nel nuovo corso della Spagna e nella democrazia, l'altro è vitale, pratico, orfano del sistema e della Spagna in cui è cresciuto. Quello che scopriranno è molto grave, e spaventoso. "La isla minima" è stato insignito di molti premi, e ai Goya soprattutto, ha sbancato, portandosi a casa dieci statuetta su sedici candidature. Un thriller che mette a contrasto due caratteri opposti ( si pensa subito a "True detective", chiaro, ma il film è stato pensato e girato prima che il grande successo della tv USA uscisse), per inseguire la stessa Verità: i due uomini protagonisti non perdono occasione per rimarcare quanto la pensino diversamente, i metodi alieni l'uno all'altro, ma nel voler chiudere un caso riescono ad allearsi. Rodriguez, come è stato sottolineato da più di un critico, inverte un clichè: infatti il poliziotto con simpatie franchiste è quello che risulta più accattivante allo spettatore, sebbene tra i due ci sia qualcosa di travisato, una bugia che potrebbe portare a una rottura definitiva: il senso de "La isla minima" sembra essere un atto d'accusa, non solo a chi commetteva nefandezze per conto di Franco, ma anche e soprattutto a chi faceva finta di non sapere, celando una squallida connivenza con una palesata ignoranza. Un titolo che merita visione attenta, ben scandito e recitato, che avvince pur tenendo un passo mai frenetico, dosando al meglio scene d'azione e momenti di tensione. 


CHE FINE HA FATTO TOTO' BABY? ( I, 1964)
DI OTTAVIO ALESSI
Con TOTO', Pietro De Vico, Mischa Auer, Edy Biagetti.
COMMEDIA
Nell'ultima decade della propria carriera, e della propria esistenza, Totò fu spesso impiegato in instant-parodies, anticipando il filone in cui sarebbero poi stati dominatori Franco Franchi e Ciccio Ingrassia: non appena c'era un grande successo nelle sale, si metteva insieme immediatamente un film comico che gli facesse il verso, riprendendone vagamente il soggetto, e affidandosi, perlopiù, ai numeri degli eroi delle seconde e terze visioni. "Che fine ha fatto Totò Baby?" è quindi derivato dal grande thriller drammatico "Che fine ha fatto Baby Jane?" di cui ripropone, in versione casareccia, l'avvio e cita letteralmente il finale in spiaggia. Uscito senza grande eco negli anni Sessanta, oggi, per diversi critici, è uno dei titoli più all'avanguardia del commediante napoletano: diretto da Ottavio Alessi, ma in realtà ci misero mano anche Renato Castellani, una delle "spalle" più longeve di Totò, e Paolo Heusch, vede il principe della risata, tra i tanti soprannomi dati ad Antonio De Curtis, fare una versione "extended play" della sfumatura sinistra vista in "Totò Diabolicus". Infatti, nella seconda parte di questa pellicola, il protagonista, che ha scoperto quanto gli piace l'insalata con le foglie di marijuana, diventa cattivissimo, e stermina quasi tutti gli altri personaggi, nei modi più disparati, fino a perdere del tutto la ragione, e citando nell'ultimissima scena il celebre cavallo di battaglia del collega americano Jerry Lewis, con la macchina da scrivere immaginaria. Qualche uscita divertente, soprattutto nei giochi di parole, va riconosciuta a Totò, ma recita anche troppo sopra le righe: va anche considerato che spesso si ha l'impressione che si reciti a soggetto, che la sceneggiatura sia molto più che esile, che con un regista alla Steno, o alla Corbucci, sarebbe stato comunque un altro film, più riuscito. E le occasioni di divertimento si fanno via via che il film va incontro al finale, sempre più rare.

lunedì 11 aprile 2016


PADRI E FIGLIE ( Fathers and daughters, USA 2015)
DI GABRIELE MUCCINO
Con RUSSELL CROWE, AMANDA SEYFRIED, Aaron Paul, Diane Kruger.
DRAMMATICO
Al quarto film girato negli Stati Uniti, con l'intervallo ( inutile) di "Baciami ancora", sequel de "L'ultimo bacio", ormai Gabriele Muccino è un regista inserito a Hollywood, tanto che sta girando un altro lungometraggio là. Qua narra la storia, muovendosi tra l'ieri e l'oggi, di Katie Davis, figlia di uno scrittore celebre, che dopo l'incidente in cui morì la moglie, soffriva di un disturbo neurovegetativo che ne aveva compromesso salute, risorse economiche e possibilità lavorative: la ragazza vuole diventare assistente sociale, quello che ha vissuto l'ha scossa profondamente a livello emotivo, e dopo una disastrata vita sentimentale, con troppo buttarsi via, incontra forse una persona importante. Incrociando spesso i piani narrativi, Muccino sceglie il melò a tutto campo, mettendo sul piatto anche il rapporto della protagonista Amanda Seyfried con una ragazzina nera che aspetta un'adozione e si è chiusa in un mutismo deciso. Certo, è il classico film a sentimenti scoperti, in cui in un mondo spietato, lasciarsi andare a un affetto è una strada ripida, e bisogna liberarsi dalle fin troppe diffidenze che anestetizzano il cuore: ci sono gli zii falso-perbenisti, interpretati da Diane Kruger e Bruce Greenwood, l'agente-amica del padre Jane Fonda, la ragazzina chiusa ma la cui fiducia può essere riconquistata di Quvenzanhè Wallis. Però, se a Muccino si può contestare qualche schematismo, e pure sul lasso temporale si può avere da ridire ( se i fatti di Katie bambina avvengono nel 1989, è un'universitaria a 32-33 anni passati, senza che nessuno accenni al fatto che sia fuori quota?)  va detto anche che il rapporto non semplice, ma denso di tenerezze e sentimento, tra padre e figlia, è raccontato con trasporto sincero. Russell Crowe, per cui gli abiti di scena sono una giacca di pelle, una camicia a quadri ed una maglietta nera, si mette al servizio della regia con fragilità che avevamo conosciuto anche in "A beautiful mind", però meglio ancora figura Amanda Seyfried, che evidenzia la scorticata, lesionata personalità della ragazza che una volta era una bambina, cui la realtà si è avventata sopra, e ha tolto troppo.

THE VISIT ( The visit, USA 2015)
DI M.NIGHT SHYAMALAN
Con OLIVIA DEJONGE, ED OXENBOULD, Deanna Dunagan, Peter McRobbie.
THRILLER
Becca e Tyler, teenagers che hanno sofferto non poco il divorzio dei genitori, vanno a trovare i nonni materni, inviati dalla mamma, che si prende una vacanza dopo anni, con il nuovo compagno: sono anni, anche, che la genitrice ha rotto i rapporti con i suoi, e i due ragazzi hanno la passione per la regia, riprendendo tutto per destinarlo a essere montato in un film da fare. I due anziani congiunti li accolgono nella loro casa di campagna, ma quasi subito cominciano a fare cose un pò strane: la nonna insegue i due fratelli sotto l'abitazione, si aggira nuda di notte, il nonno gira intorno alla baracca esterna chiudendosi dentro, e una vicina stranita passa quando loro non ci sono, ma anche lei non sembra lucidissima... Il film che ha rilanciato, in pratica, la carriera di M. Night Shyamalan, è costruito nello stile del "found footage" ( ma è inesatto, perchè questo  indica, tipo "Blair Witch project", qualcosa trovato da altri, dopo una tragedia) , costato cinque milioni di dollari, un'inezia per un progetto mainstream americano, ne ha portati a casa sessantacinque, quindi un affarone vero e proprio. Thriller dalle tinte orrorifiche, ma vistosamente puntato più su un target adolescenziale, dato che il potenziale spaventoso è tutto nella tensione crescente dello scoprire, giorno dopo giorno, cose inquietanti sui due nonni. Magari, a livello di credibilità, ma si rischia di svelare troppo, torna poco che una mamma che ha avuto una rottura di rapporti così netta con chi l'ha generata invii così alla brava i propri figli, in treno, senza ripresentarsi; oppure, il regista, che ha anche scritto la sceneggiatura, forse avrebbe dovuto gestire diversamente il plot, evitando di scoprire fin troppo presto le carte. Comunque, in termini di cinema del brivido moderato, "The visit" funziona abbastanza: naturalmente, ogni riferimento ai fratelli Grimm è voluto...

domenica 10 aprile 2016


SE DIO VUOLE ( I, 2015)
DI EDOARDO FALCONE
Con MARCO GIALLINI, ALESSANDRO GASSMAN, Laura Morante, Ilaria Spada.
COMMEDIA
Tommaso è un chirurgo affermato, uomo di scienza che si proclama ateo, di visione aperta sulla società, però molto rigido nei rapporti: quando il figlio, di cui aveva notato un atteggiamento diverso da molti coetanei, confessa alla famiglia che vuole prendere i voti, la realtà di tutti i giorni va a soqquadro. Anche perchè il ragazzo, forse, è influenzato da un prete di borgata per cui molti stravedono, ed ha un approccio molto "popolare" sia al Verbo, che a riferirlo urbi et orbi. "Se Dio vuole" è il film d'esordio per Edoardo Falcone, una commedia su religione e presa di distanza dalla stessa, che ha il pregio di non cercare di fornire risposte solide. Tra le due figure di riferimento del ragazzo, il professionista del bisturi di sanissimi principi, ma di non gran dimestichezza nelle relazioni interpersonali, ed il sacerdote "rock", dall'atteggiamento cameratesco , il film non prende posizione: semmai si può avere da ridire sul personaggio di Laura Morante, moglie trascurata che cova, dopo anni di passività, una voglia di rivalse e nostalgie contestatrici, dandosi all'alcool, che è costruito in maniera approssimativa, e che una famiglia quasi sfasata, molto fondata su una certa superficialità, ha poco a che fare con un personaggio come quello interpretato da Giallini. Però la coppia formata da quest'ultimo e Alessandro Gassman funziona, e il film ha momenti in cui suscita un buonumore corposo, soprattutto quando è in scena il genero volgarotto e più fesso di quanto vorrebbe Edoardo Pesce. Falcone rischia l'inzuppata retorica, verso il finale, ma chiude su un'incertezza lecita, in maniera analoga a come il film si muove tra credere e non credere.

SPLENDORI E MISERIE DI MADAME ROYALE 
( I/F, 1971)
DI VITTORIO CAPRIOLI
Con UGO TOGNAZZI, Jenny Tamburi, Maurice Ronet, Vittorio Caprioli.
COMMEDIA/DRAMMATICO
Ex-ballerino di rivista, Alessio è un uomo di oltre quarant'anni, che di giorno lavora in un negozio di cornici, e la notte frequenta i giri del sottobosco romano, si traveste da donna, impersonando la bionda Madame Royale, ed è tallonato da un commissario piuttosto ambiguo, dal quale è attratto e di cui ha timore. Vittorio Caprioli diresse, e interpretò, in un ruolo di fianco, questa commedia drammatica dai toni spesso grotteschi, raccontando una storia di solitudine: in fondo, il protagonista è una persona che si inguaia per mettere pezze ai danni degli altri, cerca compagnia e vive di nostalgie, finendo sempre più isolato, e con le spalle al muro. Quando uscì fu vietato ai minori di 18 anni, sebbene di particolarmente inadatto ai non adulti non si veda in pratica niente: è la tematica, che nell'Italia di inizio anni Settanta era un handicap non da poco ( però la stessa, volta in commedia pura sette anni dopo ne "Il vizietto", sempre con Tognazzi, fu un successone). Caprioli, nella sua pellicola più celebre da regista, non azzecca sempre il passo giusto, la spirale drammatica in cui il protagonista scivola inesorabilmente ha un paio di accelerazioni abbastanza forzate ( quella finale poi, è messa un pò lì), però il quadro della Roma "nascosta" , tra guardoni, cinema in cui scoppiano risse o ci si apparta nei bagni, una malavita strisciante che si modella su soffiate, minacce sornione e comunque letali, è ben reso. Ugo Tognazzi, con grande coraggio, rese benissimo la sensibilità del personaggio, con finezze d'attore in cui era sempre maestro: possono bastare i primi minuti di film a inquadrarne l'ironia malinconica e le timidezze combattute. Tra i comprimari, brava la troppo presto scomparsa Jenny Tamburi a fornire l'aggressiva fatuità di Mimmina, e anche Maurice Ronet nel donare un gran senso di inaffidabilità al suo uomo di legge loscamente rassicurante.


SPY ( Spy, USA 2015)
DI PAUL FEIG
Con MELISSA MCCARTHY, Jason Statham, Rose Byrne, Jude Law.
COMMEDIA/AZIONE
Melissa McCarthy, negli ultimi anni, è diventata una vera e propria star del box-office americano: i suoi film incassano, e bene, e giocando sulla grinta e sull'improbabilità delle situazioni in cui l'attrice viene messa, il suo cachet è vistosamente cresciuto. Paul Feig è il regista che l'ha lanciata, con "Le amiche della sposa", e torna a dirigerla anche in "Spy", parodia dell'action alla James Bond, con gadgets, ambientazioni estere ( qui ci sono Bulgaria, Francia, Italia, Ungheria...), e voltafaccia continui di personaggi e situazioni. Qui da noi, però, come è successo a  molti altri comici USA, la McCarthy non sembra attecchire moltissimo: benchè in effetti sfoderi verve e una dinamicità considerevoli, il suo umorismo è molto sboccato e volgare, lo humour di Feig è grossolano, e comunque quest'ultima ondata statunitense del politicamente scorretto, della risata grassa su cose perlopiù repellenti, o imbarazzanti, sa troppo di gratuitamente provocatorio, e di fine a se stesso. In questa commedia si può ridacchiare tre o quattro volte, ma la sensazione che alla fine ci si prenda più sul serio del necessario, non manca. Inoltre, a clichès abbiamo fatto il pieno: italiani marpioni e fatui, inglesi con l'ombrello, gente dell'Est di cui non fidarsi, eccetera eccetera. Pensando che il prossimo progetto del duo McCarthy/Feig è il reboot al femminile di "Ghostbusters", non è che ci si possa esaltare: forse rimpiangeremo il classico dell'84...

sabato 9 aprile 2016


IL "GRAN LUPO" CHIAMA ( Father Goose, USA 1964)
DI RALPH NELSON
Con CARY GRANT, LESLIE CARON, Trevor Howard, Jack Good.
COMMEDIA
Isolatosi da tutto per vivere in una capanna su un'isola dei Mari del Sud, l'americano randagio Walter Eckland si arrangia, agguantando il possibile dalle riserve militari inglesi di stanza nelle postazioni vicine: l'ufficiale di marina Houghton gli appioppa, però, un nome in codice derisorio "Mother Goose" (Mamma Oca) e gli danneggia la barca, per rendergli il dispetto delle ruberie. Interessato più che altro a scolarsi whisky e a pescare, Eckland dovrà capire ben presto che, anche se lui non se ne cura, la guerra in corso lo raggiungerà, sotto forma di incursori nipponici, e quando scoprirà che sull'atollo, oltre a lui, ci sono un'insegnante con sette alunne, dovrà prendersi per la prima volta delle responsabilità...  Fu quasi il canto del cigno di Cary Grant come interprete ( l'ultima volta sullo schermo fu due anni dopo, con "Cammina, non correre"), in una commedia a sfondo bellico che vede la star calarsi nei panni quasi insoliti per un divo celebre per la classe e l'eleganza innata, di un ubriacone rustico e spesso stazzonato: Ralph Nelson, più a suo agio con i copioni drammatici che con quelli brillanti, forse non coglie tutte le occasioni da commedia rosa, ma il film è ben condotto, grazie anche ad una sceneggiatura che vinse l'Oscar. L'atmosfera richiama molto da vicino "Operazione sottoveste", per i temi similari, ma il film di Blake Edwards è superiore, per divertimento e ritmo. Quel che si può dire, è che un altro lavoro con una presa di coscienza tardiva, ma ancor più efficace era "Tutti a casa" in cui Alberto Sordi nel finale decide, finalmente, di combattere, analogamente al protagonista di questo, ma con più netta presa di posizione, e rendendo più memorabile, nello spettatore, il gesto. 

TEMPO INSTABILE CON PROBABILI SCHIARITE ( I, 2015)
DI MARCO PONTECORVO
Con LILLO PETROLO, LUCA ZINGARETTI, John Turturro, Carolina Crescentini.
COMMEDIA
L'Italia fuori dai grandi centri, in cui le fabbriche erano il principale sostegno della cittadinanza, messa alle corde dalla crisi in cui si versa ormai da anni: siamo nelle Marche, in una piccola località, e la fabbrica di divani era una colonna dell'economia del posto, ma appunto lavoro e prospettive latitano. Arriva un ingegnere americano, che convince uno dei soci della cooperativa ad investire in un pozzo di petrolio adiacente all'azienda, e scattano rivalità tra vecchi colleghi ed amici: da un lato la scoperta di un'effettiva presenza dell'oro nero porterebbe occupazione e sicurezze, dall'altro, c'è il rischio che la faccenda ingolosisca le aziende petrolifere, e ne faccia tirar su un'elevata quantità, eliminando tutti gli altri tipi di lavoro in zona. Marco Pontecorvo ha realizzato una commedia con un occhio ben presente alla realtà della società di oggi, e questo è un merito: ha scelto attori che gli rendono buon servizio ( Petrolo, che comunque non ha la faccia da comico, sta migliorando di film in film, anche se forse ne gira fin troppi), la storia, con le parentesi di animazione in stile manga, è ben raccontata. Quello che manca, semmai, è un pò d'audacia nell'umorismo: si sorride poco, ed il film è troppo leggero per essere drammatico, troppo poco ilare per essere una commedia vera e propria, cui un finale fin troppo prevedibile smorza un  pò gli effetti positivi.

CALVARIO ( Calvary, IRE/GB 2014)
DI JOHN MICHAEL MCDONAGH
Con BRENDAN GLEESON, Kelly O'Reilly, Aidan Gillen, Chris O'Dowd.
DRAMMATICO
Nell'avvio, in confessionale padre James raccoglie il progetto di un omicidio, da parte di una voce, che però lo riguarda: in quanto vittima di preti pedofili, da bambino, l'uomo senza volto gli annuncia che ha deciso che pagherà un innocente, quindi lui, entro una settimana. La premessa, che rammenta "Io confesso" di Hitchcock, è seguita dallo svolgersi di giorni in cui il protagonista, sacerdote di una comunità in cui rancore, invidia e scelleratezza covano appena sotto la superficie, è combattuto tra il reagire da uomo di Chiesa o da laico: ha preso i voti non giovanissimo, infatti è stato sposato, ha avuto una figlia ed è rimasto vedovo, è stato alcolista, ma nel quadro umano che ci viene presentato nel lungometraggio di McDonagh, è davvero il meglio che l'umanità visibile può offrire. Più che un racconto con morale mistica, "Calvario" è una storia in cui si accusa chi della propria vita non sa che farsene, la sperpera o non si sforza di fare un minimo gesto di umanità. Che Brendan Gleeson sia un attore straordinario, è assodato, e va notata la mancanza d'enfasi, la semplicità di cui riveste un personaggio che ha pietà per chiunque, a partire da se stesso, ma non si affida ad alcuna retorica: è la seconda collaborazione con il regista, che sotto il livido cielo irlandese mette insieme un corredo di tipi e personalità che non meritano assoluzione, anche perchè sfoderano una cattiveria di fondo, e un'ostilità facile, unita alla vigliaccheria, da non suscitare alcuna simpatia. Un film dolente, e lucidamente pessimista, senza filtri, onesto, e meno greve di una predica.