giovedì 20 ottobre 2022
APPUNTAMENTO CON L'ASSASSINO (L'agression, F 1975)
DI FRANCIS PIRES
Con JEAN-LOUIS TRINTIGNANT, CATHERINE DENEUVE, Claude Brasseur, Franco Fabrizi.
THRILLER
In gita con moglie e figlia, il protagonista di "Appuntamento con l'assassino" risponde con le maniere forti a un gruppo di motociclisti che avevano apostrofato in maniera volgare la consorte, e poi avevano inseguito i tre per strada: solo contro tre, ha la peggio e viene colpito fino a perdere i sensi. Quando si risveglia ha la tragica sorpresa di trovare la donna e la bambina morte dopo essere state violentate. Arriva così dall'Inghilterra la cognata che cerca sia di aiutarlo a rintracciare i tre malviventi che l'uomo ritiene i colpevoli della nefanda azione subita, sia di dissuaderlo a giungere a ucciderli. Le cose, però, andranno diversamente da come ipotizzato. Diretto da Francis Pires, solitamente dedito a commedie per diversi anni, "Appuntamento con l'assassino" tradisce, appunto, una scarsa sintonia del suo regista con il genere thriller, e nello specifico, il "rape and revenge" piuttosto in voga negli anni Settanta: Jean-Louis Trintignant e Catherine Deneuve, solitamente star e attori di prim'ordine, qui sembrano continuamente fuori tono, quasi, spesso, interpretassero un film brillante e fatto di scaramucce sentimentali. A poche ore dalla tragedia occorsa, i due flirtano e si danno a una consolatoria notte insieme, come se nulla fosse accaduto. C'è poi una scena di inseguimento che pare tratta dai film con Bud Spencer e Terence Hill, fuori luogo del tutto, e una soluzione non del tutto peregrina, che in parte riscatta un film andato fuori pista notevolmente. La quale, tuttavia, non sorprende lo spettatore un po' esperto in gialli, analizzando certi dialoghi. Non manca, infine, un pistolotto a tesi pronunciato dalla magistrata Milena Vukotic, nel finale, di cui si sarebbe lietamente potuto fare a meno.
lunedì 17 ottobre 2022
FINO ALL'ULTIMO INDIZIO
(The Little things, USA 2021)
DI JOHN LEE HANCOCK
Con DENZEL WASHINGTON, RAMI MALEK, Jared Leto, Michael Hyatt.
THRILLER
Pare che il soggetto di "Fino all'ultimo indizio" girasse fin dai primi anni Novanta sulle scrivanie delle majors, con nomi quali Steven Spielberg e altri calibri pesanti interessati a girare il film, ma che, per un motivo o l'altro, fino a poco tempo fa, la realizzazione del lungometraggio slittasse, con via via indicazioni differenti su cast e su chi dovesse dirigerlo. Infine, il thriller lo ha diretto John Lee Hancock, sceneggiatore e regista di qualche titolo di buon successo soprattutto negli USA, ma che, per esempio, in Europa, non ha mai veramente sfondato o fatto parlare di sé. La storia prevede un detective attempato, ostico, inviso a molti colleghi, che da anni insegue un maniaco omicida che uccide giovani donne, che prima di andare in pensione affianca un poliziotto più giovane, molto religioso e con famiglia a carico, che segue lo stesso caso: forse emerge un potenziale colpevole, ma le prove latitano, ed il tizio in questione sembra essere molto più scaltro dei propri cacciatori. Prevalentemente notturno, scandito da un passo mai accelerato, un po' alla Eastwood, "The Little things" ( è il titolo originale, allude al consiglio che il personaggio di Denzel Washington dà a quello di Rami Malek, di cercare la verità nelle piccole cose, che possono portare sulla pista giusta) è probabilmente troppo lungo, e non lesina quanto a cliches, dal poliziotto scafato e più amareggiato a quello più giovane e talentuoso ma meno forte di carattere ( se vi ricorda "Seven", ma anche tanti altri gialli è perfettamente normale), da un possibile criminale che gioca a gatto e topo con chi indaga, eccetera: però si fa seguire senza annoiare, e ha il pregio di chiudersi lasciando molta interpretazione allo spettatore, cosa che, negli ultimi anni, Hollywood evita vistosamente. Tra gli interpreti, Washington imprime un buon spleen malinconico al suo personaggio, Malek disegna bene la meticolosa eppure imperfetta natura del suo, mentre Jared Leto appare un po' costretto a ripetere uno dei suoi ruoli inquietanti e melliflui visti già troppe volte. Hancock si conferma un regista coscienzioso e diligente, ma senza il colpo d'ala che potrebbe renderlo un autore, nonostante qualche buona idea disseminata qua e là.
sabato 15 ottobre 2022
IL COLIBRÌ ( I, 2022)
DI FRANCESCA ARCHIBUGI
Con PIERFRANCESCO FAVINO , Berenice Bejo, Kasia Smutniak, Nanni Moretti.
DRAMMATICO
Una telefonata fatidica, di cui scopriremo solo più tardi cosa significa per il protagonista, cambia una volta di più la vita di Marco Carrera, medico che fin da piccolo ha inciampato in tante complicazioni e pure disgrazie che la vita gli ha messo davanti: mezzano di tre fratelli cresciuti in condizione agiata, ma non per questo felicissima, figlio di un ingegnere ed un architetto spesso in conflitto ma destinati a rimanere sempre insieme, incontra il primo amore, ma il momento di felicità lascia immediatamente il passo ad una tragedia che lo segna profondamente. In un andirivieni di momenti che caratterizzano un'esistenza viene narrata la storia di un uomo mite e onesto, che viene vessato di problemi, apparentemente remissivo, ma in realtà dotato di quel coraggio che le persone veramente forti posseggono, resistendo agli urti e conservando un'irreversibile speranza nel futuro. Dal romanzo premio Strega omonimo, di Giovanni Veronesi, Francesca Archibugi ha tratto un film che difetta di qualche punto oscuro, nell'andamento rapsodico scelto, non tutto torna come dovrebbe, alcune motivazioni dei personaggi sfuggono, però è anche uno dei titoli più felici della sua filmografia: temi importanti come resilienza e fine vita vengono trattati con sensibilità e giusta profondità, nel racconto dell'esperienza di un personaggio che si prende ogni responsabilità sulle spalle, comprese, e forse soprattutto, quelle che gli altri scansano perché troppo pesanti. Ambientato tra Firenze e Roma lungo oltre quarant'anni, anche se, lo dico da fiorentino, la nebbia nel centro città, così come mostrata anche in "Hannibal", non l'abbiamo vista mai così, "Il colibrì" ( così intitolato perché al piccolo e aggraziato uccellino viene paragonato il personaggio principale) è uno di quei film, oggi non così comuni, che possono risultare toccanti durante la visione, e lievitare nello spettatore poi: un cast importante, del quale meritano menzione anche gli apporti, sia di Nanni Moretti che interpreta uno psicanalista che sarà fondamentale per Carrera, e, in una piccola ma importante partecipazione, di Massimo Ceccherini ( ma chi l'avrebbe mai detto di vedere questi due nomi in uno stesso film?), aiuta il disegno della regista nel definire il percorso di vita di un essere umano incrinato dalla disgrazia, ma fino alla fine saldo nella propria serenità, e ad aspettarsi sempre un domani migliore. Plauso per un Pierfrancesco Favino ( notevole il suo accento fiorentino, con la pronuncia, rarissima, delle consonanti iniziali in modo corretto e mai troppo "caricato") che compie la prodezza di dare una dimensione tale, al proprio personaggio, da fare sì che lo spettatore vi si affezioni sinceramente, e lo porti con sé a film concluso.
venerdì 7 ottobre 2022
SICCITÀ (I, 2022)
DI PAOLO VIRZÌ
Con SILVIO ORLANDO, CLAUDIA PANDOLFI, VALERIO MASTANDREA, ELENA LIETTI.
GROTTESCO/DRAMMATICO
A Roma non piove da 367 giorni, e l'umanità che l'affolla sta andando ad un'asciutta deriva: Silvio Orlando è un detenuto che preferisce starsene in galera per paura dell'esterno, Claudia Pandolfi è un medico che investe per errore un ragazzo, mentre prova la macchina nuova assieme al marito avvocato Vinicio Marchioni, Valerio Mastandrea un tassista perennemente in balia di pericolosi colpi di sonno, Max Tortora un ex imprenditore ridottosi a vivere in un'automobile con il cane, Elena Lietti lavora in un supermercato e chatta di continuo con un virtuale spasimante, per ovviare alla distrazione cronica di un marito attore in preda del proprio narcisismo sfrenato e alle smanie da influencer dei social, e via enumerando. E in aggiunta alla mancanza d'acqua si diffonde un'epidemia che provoca appunto sonnolenza, febbre alta e valori sballatissimi delle transaminasi. Paolo Virzì ritorna quattro anni dopo "Notti magiche" con un film più imponente del suo solito, corale a più non posso, con una schiera di personaggi delusi, rancorosi, frustrati, ribollenti di insoddisfazione, pronti a tradire sé stessi e chi fa comodo pur di sfuggire a noia e depressione. "Siccità" è un ambizioso apologo con una vena largamente pessimista su dove stia andando la società (non solo italiana, par di capire) tra le troppe distrazioni virtuali, un'immaturità congenita rispetto alle cose che dovrebbero contare davvero, e una sostanziale vaghezza di intenti che, appunto, dà la sensazione di un'infinità lastra di superficialità pronta a andare in briciole di fronte alla durezza della realtà. Il film ricorda "L'ingorgo" di Comencini per la sua natura rapsodica (anche se i personaggi risultano collegati gli uni agli altri, via via che la proiezione scorre) e per la desolata dimensione di cui è intriso il racconto in generale, però, per quanto siano serie le sue intenzioni, questa volta il regista livornese ha messo fin troppa carne al fuoco, dagli intellettuali che divengono star grazie ai pareri sulle emergenze, le baby gang, gli arruffapopolo che sfruttano il malessere per emergere a suon di slogan qualunquisti, i capitalisti poco lungimiranti, gli acidi e tanti altri tipi mediocri o negativi ancora. Lo spirito sarebbe affine a quello di tanto cinema di Marco Ferreri, cineasta oggi comodamente accantonato, ma che aveva capito tante poco belle cose di quel che ci riguarda, ma il regista de "La grande abbuffata" avrebbe tirato dritto fino in fondo la sua invettiva: Virzì mette sempre in risalto la fondamentale non cattiveria dell'Uomo, e ci mette una sorta di agnizione finale che stempera non poco il messaggio di riflessione di un'opera dispersiva quanto incline al disperato.
martedì 4 ottobre 2022
GHOSTBUSTERS: LEGACY
( Ghostbusters: After Life, USA 2019)
DI JASON REITMAN
Con MCKENNA GRACE, FINN WOLFHARD, Carrie Coon, Paul Rudd.
FANTASTICO/ COMMEDIA
Se nel 1984 "Ghostbusters" fu sui due versanti dell'Atlantico il film dell'anno, per gli incassi mirabolanti che raggiunse, il vivace merchandising che, tra videogames, magliette e giocattoli seppe tirare su, ciò che è stato tratto dopo per sviluppare il brand, ossia per sfruttare il massimo possibile le avventure degli Acchiappafantasmi per macinare altri milioni, diciamolo, non è stato alla stessa altezza. Ne il sequel del 1989, piuttosto stiracchiato, senza la verve dell'originale, né la serie di cartoni animati che andò sui canali televisivi diversi anni or sono, e tantomeno la versione "al femminile, uscita nel 2016, per nulla divertente e dimenticabilissima. Invece, questo, che ufficialmente viene definito dai fans il terzo episodio della serie, è tra il reboot e la rilettura: l'azione si trasferisce da New York all'Oklahoma, e scorgiamo, nelle prime scene, la sagoma del dottor Egon Spengler, il Ghostbuster con gli occhiali ( il compianto Harold Ramos, che viene riproposto digitalmente) soccombe all'attacco di un ectoplasma minaccioso. Arrivano nella casa in campagna dove si era ritirato ( in realtà stava preparando qualcosa...), la figlia madre single con i due figli, i quali raccolgono l'eredità del parente organizzando la lotta alla nuova nemesi che viene dall'Aldilà e da una dimensione diversa. Girato dal figlio di Ivan REITMAN non senza garbo, "Ghostbusters: Legacy" ( in originale "After Life") è un prosieguo divertente, che, scaltramente, un po' come è stato fatto con il secondo "Top Gun", è stato messo insieme ottenendo l'effetto-nostalgia per catturare gli aficionados dell'originale, ma senza sguazzarvisi troppo, e comunque ambientando la nuova storia in un contesto al passo con l'Oggi. Ci sono, certo, i mastini del dio assiro Gozer, la stessa divinità malvagia dal sesso ibrido, il fantasmino ghiottone, i Mash Mallow, questa volta in versione mignon, con una citazione dei coevi "Gremlins" dantiani, e ci sono i personaggi storici, anche se in veste di ospiti d'onore, ma questo episodio strizza l'occhio con abilità anche ai giovanissimi che seguono la serie *Stranger things" sulle piattaforme. Reitman junior gira bene, miscelando tecnologia e spirito d'avventura, riuscendo a far molto meglio di quanti avevano, precedentemente, provato a riprendere le prodezze tra il fantastico e l'ironico: potrebbe essere l'inizio di un'evoluzione della serie che non dispiace.
TUTTI I COLORI DEL BUIO ( I/ES 1972)
DI SERGIO MARTINO
Con EDWIGE FENECH, George Hilton, Nieves Navarro, Ivan Rassimov.
THRILLER
Si apre con una visione sconcertante: una donna nuda incinta, un travestito grottesco che ride e abbozza un balletto burattinesco, e intorno una culla e bambole su sfondo nero, mentre una nenia inquietante fa da sottofondo. Si prosegue con la bellissima Jane, che, a Londra, in un incidente automobilistico perde il bimbo che porta in grembo: da lì in poi, la giovane donna sembra perdersi, visto che con il marito trova difficile dialogare, la sorella con cui ha un legame forte pare non capirla più, e dando retta ad una vicina di casa, viene introdotta presso una setta che sacrifica animali e ne beve il sangue, e viene posseduta carnalmente da diversi adepti, guidati dal leader, un santone che viene venerato nonostante l'aria fortemente sinistra che emana. C'è, tuttavia, una spiegazione dietro a questa spirale di perdizione. Negli anni, "Tutti i colori del buio" è cresciuto nella considerazione di tanti cinefili, divenendo uno dei titoli più apprezzati dei gialli italiani non girati dai "vati" Bava, Fulci e Argento nei Settanta: musiche d'effetto, un'ambientazione londinese non d'accatto, un soggetto che pur flirtando con il pruriginoso ( le grazie della stordente Edwige, si sa, erano incontenibili e incredibilmente fotogeniche...). Però lo snodo del mistero, allo spettatore un po' scafato e appassionato di thriller, risulterà facilmente intuibile già dopo una mezz'ora di proiezione, dei passaggi a vuoto ci sono, e, soprattutto, verso il finale, affiora la sensazione che il film non si sapesse come farlo finire, giacché la resa dei conti appare forzata e tirata per i capelli. Però, c'è da dire, che almeno fino a metà film la storia funziona, e si sente la morsa claustrofobica che attanaglia la protagonista. Ma a Martino le cose scappano di mano e si perde di interesse via via che la storia va avanti.