giovedì 31 agosto 2017

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COME PERDERE UNA MOGLIE... E TROVARE UN'AMANTE... ( I, 1978)
DI PASQUALE FESTA CAMPANILE
Con JOHNNY DORELLI, BARBARA BOUCHET, Stefania Casini, Carlo Bagno.
COMMEDIA/EROTICO
Pubblicitario di un'azienda che produce latte, Alberto (Johnny Dorelli)coglie la moglie americana in flagrante adulterio in vasca con l'idraulico: Eleonora ( Barbara Bouchet) torna a casa e trova il marito, sedicente grande musicista, che suona l'archetto sulla schiena di una tizia nuda. Separatisi entrambi, e andati in forte crisi sentimentale, i due vanno dallo stesso analista (Felice Andreasi) che ha il vezzo di far fare sedute alle belle clienti completamente nude: a tutti e due, lo psicologo, consiglia una vacanza rilassante a ritrovare un pò di pace nella stessa baita in montagna, gestita da una coppia locale non giovanissima. Tra l'altro, lui e lei si sono incontrati facendo un incidente in un parcheggio, con improperi reciproci, e si sono rivisti dopo un tentativo di suicidio di ciascuno, in ospedale: come da copione, dopo essersi trovati e non sopportati, complice il soggiorno sulla neve, l'attrazione scatta, ma per via di diversi equivoci e tuffi in letti altrui, soprattutto da parte dell'uomo, ci vorrà un pò prima che vada a finire come ci si aspetta.... Fu un grosso successo di cassetta, tredicesimo nella classifica 78/79, uno dei maggiori della carriera sia per Dorelli che per la Bouchet, che si prestano al gioco da pochade un pò spinta, con una certa sequenza di nudi ( anche di Annie Papa e di Stefania Casini, tra l'altro): commedia sentimental-erotica ordita da uno che quando scriveva libri veniva lodato e quando girava film veniva spesso stroncato, come Pasquale Festa Campanile, figura un pò dimenticata, colpevolmente, del cinema italiano ( ma quanti professionisti del "cinema medio" hanno subito stessa sorte, vedi Luigi Zampa, Steno, Giorgio Capitani...?), strizza l'occhio al tourbillon di incastri amorosi solitamente più sfruttato nei film brillanti americani o francesi, fa sorridere il giusto, e si rivela datato quanto basta.
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CAPITALISM: A LOVE STORY ( Capitalism: a love story, USA 2009)
DI MICHAEL MOORE
DOCUMENTARIO
Una carriera spesa a trovare gli elementi negativi dell'America, ma attenzione: Michael Moore non è un antiamericano, bensì un critico furente su molte cose, che non vorrebbe vedere nella "patria delle opportunità", uno dei più celebri slogan autocelebrativi degli USA. Dopo aver puntato i riflettori sulle industrie e le loro furberie, la troppa facilità con cui si comprano armi ( e si usano) negli Stati Uniti, le guerre preventive della gang di Bush II, le falle del sistema sanitario americano, Moore si concentra sulle colpe della grande crisi che dal 2006 al 2008 ha impoverito milioni di persone, mandando all'aria vite e popolazioni. Come sempre, il regista e produttore di documentari che bilanciano la tragedia di ciò che mostrano con un'ironia azzannante, si documenta a fondo, e mostra che le cose hanno radici lontane, fin dai tempi "dorati" di Ronald Reagan al comando, il quale, anzi, aveva fior di banchieri a gestirne passi decisivi. In ogni lavoro di Moore c'è una sequenza, almeno, in cui il grosso fustigatore cerca di mettersi in contatto con i vertici delle istituzioni che attacca, ma gli viene impedito dalla manovalanza: come sottolinea questo suo documentario, la grande finanza ha creato un sistema inintelligibile, che confonde i "non addetti", e permette così a chi tira le fila di poter fare affari non leciti, con giro di miliardi di dollari, senza tener conto degli strumenti della democrazia che in una qualsiasi comunità civica ( e parliamo della maggior potenza mondiale, non di una comune su un'isola alle Baleari, tanto per dire) dovrebbero garantire una minima equità diffusa. Moore dimostra come i poteri forti scavalchino i paletti, senza tener conto di voti, limiti o regole. Si esce dalla proiezione di "Capitalism: A love story" frastornati, indignati e urtati per come il cittadino comune può essere stritolato mentre personaggi che funzionano da tramite si sono arricchiti, rubando anche anni di vita alle persone ( vedi l'esempio dei giudici che, dietro lautissimo compenso, hanno appioppato pene sproporzionate a ragazzi in istituti correttivi per gonfiare conti) e facendola regolarmente franca, salvo qualche caso. Negli anni che hanno portato al potere figure come Trump, sarà un caso che gli ultimi due titoli realizzati dal regista, "Where to invade next" del 2015, e "Michael Moore in Trumpland" non abbiano trovato distribuzione qui in Europa, in pratica?
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USS INDIANAPOLIS ( USS Indianapolis: Men of courage, USA 2016)
DI MARIO VAN PEEBLES
Con NICOLAS CAGE, Matt Lanter, Cody Walker, Tom Sizemore.
GUERRA
Una delle sequenze più belle de "Lo squalo" è attorno ad un tavolo, sulla barca "Orca" del cacciatore di squali Quint, in cui egli racconta ai suoi due compagni di caccia  Brody e Hooper la sua esperienza di sopravvissuto della USS Indianapolis, la nave che portò parte della bomba atomica sganciata poi su Hiroshima: in missione segreta, la corazzata venne affondata da siluri nipponici, ed i sopravvissuti all'inabissamento della nave e alle esplosioni, rimasero per dei giorni in pieno oceano, falcidiati ulteriormente da sete, fame, sole e soprattutto squali. Quarant'anni dopo esce una produzione che narra ciò che nel film di Spielberg viene raccontato in un bellissimo monologo di quattro minuti di Robert Shaw. Mario Van Peebles, che all'inizio degli anni Novanta, era visto come una promessa da parte di critici e studios, gira con mestiere un filmone di guerra come usavano farne cinquant'anni fa, con la differenza, non da poco, di uno sguardo più disincantato su vinti e vincitori, e molto meno manicheismo nell'evidenziare buoni/vincitori, cattivi/perdenti. La pellicola si concentra per più di metà sulla lotta per la sopravvivenza, in alto mare, degli scampati al naufragio, e, più che nelle sequenze di battaglia che aprono la storia, in cui le esplosioni sono marcatamente elaborate al computer, o nelle tante sottotrame dei rapporti tra commilitoni, con antagonismi che diventano scontatamente amicizie e vigliaccherie insospettate, come atti di coraggio inusitati, trova il suo meglio nella parte conclusiva: tra la salvezza e la durezza del ritorno alla realtà, con tanto di processo al comandante dello scafo per presunta incapacità d'aver fatto le mosse migliori. Per quanto non racconti granchè di nuovo, "USS Indianapolis" è meno dozzinale di come l'hanno liquidato, con sbrigatività un pò sospetta, molti critici ( continuo a pensare che non sempre vedano i film loro commissionati, al tempo di Internet...) e, nella sequenza in cui si confrontano Nicolas Cage ( qua, tra l'altro, fornisce una prova che riscatta molte sue marchette degli ultimi anni) e Yutaka Takeuchi, a guerra finita, ex nemici che si guardano con rispetto, raggiunge un momento toccante. Certo, non tutto il film è al livello di questa scena con un pathos onesto, ma l'intento pacifista è perlomeno meritevole di stima.

mercoledì 30 agosto 2017

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ANDIAMO A QUEL PAESE ( I, 2014)
DI FICARRA E PICONE
Con SALVATORE FICARRA, VALENTINO PICONE, Tiziana Lodato, Lily Tirinnanzi.
COMMEDIA
Emersi con "Zelig" e con varie tournèe del loro spettacolo teatrale, i comici siciliani Salvatore Ficarra e Valentino Picone sono diventati celebri ormai da almeno più di quindici anni, e via via, fin dal film d'esordio, "Il 7 e l'8", hanno messo su una filmografia, dal 2008, caratterizzata da operine che, a livello commerciale, funzionano eccome, totalizzando sempre numeri che fanno contenti gli esercenti: magari non a livello di Aldo, Giovanni e Giacomo di una volta, o di Checco Zalone, ma pur sempre tra i maggiori incassi della stagione in corso. Quest'anno, infatti, con il loro ultimo lavoro, "L'ora legale", hanno realizzato il maggior incasso italiano di un'annata particolarmente infelice, al box-office, per il cinema nostrano: in sostanza, il duo siculo gira commedie leggere leggere, ma garbate, con un umorismo che non cerca mai la scappatoia volgare, e qua e là piazza qualche spunto neanche peregrino sull'attualità. Qui, i due sono due che, rimasti senza una lira, ritornano ad un paesello, nelle case di famiglia, con anziani parenti rimasti ad accoglierli:le pensioni dei congiunti farebbero comodo, infatti i due amici chiamano a vivere tutti assieme zii, lontane parentele, e arrivano addirittura a combinare un matrimonio tra uno di loro due ed una distinta signora... Scritto da fin troppe persone, perchè alla fine gli sceneggiatori, compresi Ficarra e Picone, sono sei, il film è una favoletta esile esile, in cui si riscontrano temi già visti nei lungometraggi della coppia comica. Se i primi due titoli girati dal duo, appunto quello sopra citato e "La matassa", contenevano comunque delle sequenze che riscuotevano abilmente il riso, qui il tutto è fin troppo diluito, qualche sorriso viene strappato, ma il film non ingrana mai la marcia giusta, e il divertimento resta tenue assai, nonostante il buon lavoro di caratteristi come Francesco Paolantoni e Mariano Rigillo.

martedì 29 agosto 2017

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FURORE ( The grapes of wrath, USA 1940)
DI JOHN FORD
Con HENRY FONDA, Jane Darwell, John Carradine, Russell Simpson.
DRAMMATICO
Dato alle stampe appena un anno prima, "Furore" venne trasformato in cinema da John Ford, e appartiene alla sua filmografia che esula dal western, anche se è in tutto o per tutto un'epopea americana come la trilogia "nordista" o l'odissea di "Sentieri selvaggi". Il viaggio alla ricerca di un modo per sopravvivere della famiglia Joad, sovraccaricando un camion verso la California, venendo dall'Oklahoma ( ed infatti vengono chiamati spregiativamente "Oakies" dai californiani), per combattere la miseria e garantirsi un tozzo di pane, letteralmente. La traversata degli States, appena entrati nel "Secolo nuovo" comporta la perdita di due membri della famiglia per la fatica dell'impresa, gli stenti si accumulano, il giovane Tom, che ha già avuto guai con la legge, non conosce il perchè degli scioperi che via via la famiglia incontra per strada, ma sente che c'è ingiustizia nell'America della Grande Depressione, e si ribella. Nell'affresco fordiano, che, non dimentichiamolo, era uomo di destra ma democratico e fiducioso nel meglio degli Stati Uniti, si può leggere un vero e proprio capitolo di storia americana raccontato come meglio il cinema, probabilmente, non ha saputo fare: racconto ancora attuale oggi, visti gli effetti della grande crisi che ha colpito il sistema mondiale negli ultimi anni, in cui gli ultimi sono considerati appena più della spazzatura, e trattati con ostilità e impietosità. Bellissima, tra le tante, la scena in cui il capofamiglia va a chiedere una pagnotta in una tavola calda, e alle bambine vengono in pratica regalati due leccalecca: la bellezza di "Furore"-film è anche nell'apologo dell'umana dignità, nonostante la ferocia dei tempi, e della capacità dell'amore, dell'affetto e del coraggio, di supplire a quel che di materiale manca. Nel finale, Ford fa marciare spedito Tom Joad in fuga da un probabile arresto verso un immenso cielo, e alla madre fa fare considerazioni, nonostante tutto, di fiducia verso un domani migliore, inevitabilmente. Oltre alla qualità, splendida, di un bianco e nero di esaltante forza pittorica, una lezione morale ancora capace di marchiare le nostre coscienze.

lunedì 28 agosto 2017

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IL CAV. COSTANTE NICOSIA DEMONIACO,
OVVERO DRACULA IN BRIANZA ( I, 1975)
DI LUCIO FULCI
Con LANDO BUZZANCA, Sylva Koscina, John Steiner, Valentina Cortese.
COMMEDIA
Stakanovista tra grande schermo e tv dalla fine degli anni Sessanta a quasi tutti i Settanta, Lando Buzzanca si ritagliò uno spazio piuttosto consistente nel cinema popolare italiano di quell'epoca, ottenendo buoni incassi, soprattutto nelle seconde e terze visioni, e dividendo il set con molte delle attrici più belle: qui impersona un industriale venuto dal Sud, che ha piazzato nell'azienda diversi amici e parenti, con moglie ormai distante e amante sempre pronta. Il cavalier Nicosia deve recarsi in Romania, e incontra in aereo un elegante nobiluomo che ritroverà in terra di Transilvania. Dopo una nottata in un albergo tetro e squallido, il protagonista si ritrova in un baccanale orgiastico con belle donne nude, così come lo sono il conte rumeno ed un suo familiare: tra alcool, strusciamenti e baci, la mattina dopo, il siculo si risveglia non solo nel letto, ma non è quella che si chiama una bella sorpresa. E al ritorno in Italia, si accorgerà che le cose sono cambiate non poco. Dal titolo chilometrico, quasi fosse un film della Wertmuller, "Il Cav. Costante Nicosia..." ha una prima parte che suscita più di un sorriso, Buzzanca ci mette una calibrata ironia e tende a non strafare: diretto dal "terrorista dei generi" Fulci, il film non è tra i peggiori girati dall'attore siciliano, ma comincia a sbracare a due terzi di proiezione, con l'inciampo trash pseudoeroticheggiante di morsi nelle chiappe e una virago, che ha il volto di Moira Orfei, che comunica a frustate. Un approdo sgangherato per una commediola meno volgare di altre, con qualche partecipazione gustosa, come quella di Ciccio Ingrassia nel ruolo del mago cialtrone. 

domenica 27 agosto 2017

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ARRIVA UN CAVALIERE LIBERO E SELVAGGIO
( Comes a horseman, USA 1978)
DI ALAN J. PAKULA
Con JANE FONDA, JAMES CAAN, Jason Robards, Richard Farnsworth.
WESTERN
La ranchera Ella Connors, affiancata dall'anziano Dodger, cerca di reggere alle pressanti e sempre più sleali richieste del latifondista Ewing: il cowboy Frank Athearn si rivelerà un alleato decisivo nella resistenza e nella controffensiva alla guerra che il possidente vuole farle, in un West ormai al tramonto. Alan J. Pakula girò un western atipico, sia perchè il genere stava conoscendo una delle sue numerose fasi crepuscolari, sia per via dell'ambientazione appena dopo la I Guerra Mondiale, e pure perchè, in fin dei conti, la protagonista è una donna, in un ambiente, come viene evidenziato anche qui, in cui gli uomini fanno le regole e si va per conservazione delle stesse: certo, tirata su come un maschio, Ella non è un carattere facile, e al nuovo venuto Frank, se prestarle aiuto viene naturale, deve anche avere a che fare con i suoi non pochi, rustici, spigoli. Il regista di "Tutti gli uomini del presidente" è stato un intellettuale dalla parte dell'impegno civile, e spesso allineato contro i poteri forti, dalla parte dei più deboli: logico, quindi, che oltre a tratteggiare un contesto in cui le donne sono in lotta per affermare i propri diritti e la loro indipendenza, ci sia anche il conflitto tra il nuovo che inesorabilmente avanza, come i cercatori di petrolio, ed il vecchio che detiene il Potere e gioca sporco per mantenerlo. Il film non è tra i migliori dell'autore, che ritrova Jane Fonda, portata all'Oscar otto anni prima con "Una squillo per l'ispettore Klute", e le abbina il roccioso James Caan, contro il despota Jason Robards: nel gioco attoriale, i migliori risultano lui, maligno e calcolatore, e l'anziano Richard Farnsworth ( la scena in cui il suo vecchio buttero, feritosi in modo irrimediabile, monta sul cavallo aiutandosi con una sedia e andando a morire in solitaria, la più bella del film). Il problema maggiore di "Arriva un cavaliere..." è il suo nascere già un pò vecchiotto, nonostante le buone intenzioni e l'oggettiva "anomalia" dei presupposti, basandosi su uno script del quale ogni sviluppo è largamente prevedibile, compreso un finale un pò tirato via, naturalmente al piombo, come il genere vuole.

sabato 26 agosto 2017

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FANTASMI ( Phantasm, USA 1979)
DI DON COSCARELLI
Con A. MICHAEL BALDWIN, ANGUS SCRIMM, Bill Thornbury, Reggie Bannister.
HORROR
In un cimitero in cui si va allegramente a fornicare, si scorre con la motoretta e si gironzola in maniera un pò troppo disinvolta, un giovane si apparta con una bella bionda di viola vestita: ma a un certo punto la ragazza lo accoltella, e il suo volto muta in quello del misterioso "Uomo Alto", un becchino che trafuga cadaveri. Il fratello piccolo di un amico dell'ucciso si intestardisce, osservando la cerimonia del funerale con un binocolo, scoprendo appunto le malefatte del becchino, e tra sfere di metallo volanti assassine, dei nani che arrivano facendo il rumore del ringhio di un mastino e dita mozzate che versano sangue giallo, il mistero si infittirà. Divenuto negli anni titolo di culto per gli appassionati dell'horror, al punto di generare tre seguiti, "Fantasmi" è un film fatto quasi in famiglia, da Don Coscarelli che ne curò regia, sceneggiatura, fotografia e montaggio, e dalla moglie Kate, che invece badò a scenografia, costumi e trucco. Visto oggi, pur non tenendo conto della dimensione veramente poveristica della realizzazione, il film di Coscarelli non fa paura per niente, assumendo i connotati di un sogno, visto che la trama pare non aver gran logica, se non quella di creare le situazioni che dovrebbero far rabbrividire lo spettatore. Ma se sulla recitazione meglio sorvolare, sugli effetti speciali lasciamo perdere: e se le musiche sono, nell'onda delle altre colonne sonore del genere dell'era, incalzanti e allarmistiche, le sequenze, sempre tendenti all'onirico, più orrorifiche, lasciano il tempo che trovano.

venerdì 25 agosto 2017

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COP CAR ( Cop Car, USA 2015)
DI JON WATTS
Con KEVIN BACON, SHEA WYNGHAM, CAMRYN MANHEIM, James Freedson-Jackson.
THRILLER
Due ragazzini in fuga da casa, per non precisati motivi, salvo un intuibile disagio, trovano in aperta campagna un'auto della polizia aperta, con chiavi dentro, ed una bottiglia di birra vuota appoggiata sul cofano: va da sè che, pur con le sole nozioni dei videogames, provino a guidarla portandola via. Però l'aveva llasciata lì uno sceriffo non molto raccomandabile, che era andato a nascondere un cadavere, e ha bisogno maledettamente di recuperare il mezzo, anche perchè nel baule c'è qualcosa che potrebbe causargli molti guai... La scelta di ingaggiare Jon Watts per affidargli l'ultimo "Spider-Man" non è venuta a quelli della Marvel per via dell'horror "Clown", che nella cerchia degli aficionados dell'horror si è comunque conquistato diversi fans, ma da questo thriller/road movie presentato con buon successo al Sundance. In effetti Watts sembra saper gestire bene gli attori giovanissimi, dipingendo caratteri che ad un adulto possano sembrare assurdi o troppo avvezzi a cercare complicazioni, ma del resto la "teenage wildlife" di cui parlava David Bowie consiste anche in questo: però il film ha una sceneggiatura abbastanza slabbrata, con personaggi non scavati a fondo, come se bastasse l'abbozzo della situazione descritta a fare il film. In altre parole, ad altri registi questo gioco è riuscito, ma c'è proprio una tempistica diversa, una scansione del ritmo narrativo altrimenti giocata, ed una cura dei particolari psicologici che qui latita: quindi, alla lunga, la trovata presenta fasi di monotonia che, in un film che non tocca l'ora e mezza di proiezione, è un problema di un certo peso. Kevin Bacon non si fa problemi ad impersonare uno sbirro corrotto, assassino e violento, e la sua interpretazione supplisce a certe pecche dello script, ma di qui a fare di "Cop car" un titolo di culto ce ne corre, e parecchio.
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LA LEGGE DELLA NOTTE ( Live by night, USA 2016)
DI BEN AFFLECK
Con BEN AFFLECK, Zoe Saldana, Chris Cooper, Remo Girone.
NOIR
Dennis Lehane è uno dei maggiori giallisti degli ultimi vent'anni: che l'ultimo romanzo scritto, "La legge della notte", non rientri tra le cose migliori date alle stampe, era abbastanza evidente. Ben Affleck aveva già tratto dalle pagine dello scrittore il suo film d'esordio alla regia, "Gone, baby, gone", e ne aveva fatto un buon lavoro, convincendo: in questo adattamento del romanzo noir che vede l'ascesa del gangster Joe Coughlin, eroe della I Guerra Mondiale, figlio di un ufficiale di polizia ma irresistibilmente attratto dal mondo del crimine, certo, mantenendo comunque un suo codice etico, Affleck ha voluto curare sia la regia, che interpretarne il ruolo principale. Se il romanzo metteva insieme fin troppi clichès del mondo dei gangsters, con tanto di prigione formativa, crescita con il "farsi la scorza" nella manovalanza della malavita, donne belle e irraggiungibili o maliarde e traditrici, conti da regolare, e ostacoli da rimuovere, la versione filmica è molto più sommaria, omette quasi la parte del carcere, e procede saltando a due piedi molti passaggi del libro. Il film è stato un pesante flop, e probabilmente il titolo meno felice della non foltissima filmografia dell'Affleck regista, che comunque è un talento interessante, si veda la scena d'azione del pre-finale in cui c'è la resa dei conti. Però non tutto è da buttare, e se si vuol vedere un film di gangsters che spesso si relaziona al melò, tutto sommato lo spettacolo regge: però, se la chiusa del romanzo era un repentino scivolare nel nero della mancanza di speranza, il film viene invece concluso, sì, drammaticamente, ma con un posticcio richiamo al sentimentalismo, che con la penna di Lehane c'entra davvero poco. Nel cast, non del tutto convincente Affleck-attore, mentre si registrano discrete prove di Elle Fanning e, in un ruolo di peso, Remo Girone come boss di cui diffidare. 
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PER PIACERE...AMMAZZATEMI MIA MOGLIE
( Ruthless people, USA 1986)
DI JERRY E DAVID ZUCKER, JIM ABRAHAMS
Con DANNY DE VITO, BETTE MIDLER, Judge Reinhold, Helen Slater.
COMMEDIA
Dopo due titoli di successo, che furono tra i caposaldi dell'esploso cinema comico demenziale, come "L'aereo più pazzo del mondo" e "Top secret!", la ZAZ, ovverosia il trio registico composto dai fratelli David e Jerry Zucker e da Jim Abrahams, volle cimentarsi, prima di sciogliere la "banda" e cimentarsi, ognuno per conto suo, con altri film, con una commedia meno basata sugli sketches e maggiormente su personaggi e sceneggiatura. In cui si vuole che l'insopportabile riccastra Bette Middler venga rapita, ed un riscatto altisonante venga chiesto al marito Danny De Vito. Il quale è un arrivista con amante prosperosa, lietissimo di perdere la consorte e ereditarne tutti gli averi: ma i due rapitori sono una coppia di miti dilettanti, e le cose non andranno, ovviamente, come previsto da tutti, con ribaltamento di situazioni come da copione. Probabilmente l'obbiettivo dei due Zucker e Abrahams era rifare la commedia anni Trenta con un innesto di (relativo) cinismo anni Ottanta, con interpreti abili quali Bette Midler e Danny DeVito, incuranti del rivestire i panni di personaggi non positivi: però il minutaggio è eccessivo, i prevedibili sviluppi della trama ci mettono un pò troppo ad innescarsi, lo script può suscitare qualche sorriso, ma ci si diverte pochino davvero. E il lieto fine è, quello sì, in puro stile anni Ottanta: risolvente, luminoso e per i personaggi, soprattutto, conveniente.

mercoledì 23 agosto 2017

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THE WAR- Il pianeta delle scimmie
( War for the Planet of the Apes, USA 2017)
DI MATT REEVES
Con ANDY SERKIS, Woody Harrelson, Karin Konoval, Steve Zahn.
FANTASCIENZA/AVVENTURA
La prima serie cinematografica tratta dal romanzo di Pierre De Boulle consistette in cinque film, ci fu un remake non riuscito nel 2001, di Tim Burton, del primo episodio, e dal 2011 è in atto il reboot con una trilogia che, probabilmente, conclude qua la nuova versione. Come sappiamo dal primo capitolo, lo scimpanzè Cesare ha acquisito il potere della parola, ed un'intelligenza maggiorata per via di un virus che avrebbe dovuto battere l'Alzheimer, ed invece ha potenziato le scimmie, e potrebbe fare brutte sorprese agli umani: il terzo atto della saga si apre con una battaglia nella foresta, in cui i sempre più falcidiati esseri umani ( dal virus, non per colpa dei loro avi genetici) puntano a sterminare il più possibile la tribù di Cesare. C'è un colonnello, McCullough, che ha un piano per distruggere appunto il leader delle scimmie, e non conosce alcuna pietà: in un'incursione va di persona nel nascondiglio del "nemico", innescando una vendetta che porterà ad un confronto finale cruento, dopo numerose vessazioni e violenze da parte degli uomini. Se la prima parte rimanda al western all'italiana, fatti di un bel rapporto tra immagini, suoni e musica, la seconda viaggia verso il film di guerra con citazioni sfacciate di "Apocalypse Now", con tanto di Woody Harrelson che rifà il numero dell'alto militare divenuto folle e convinto di essere una divinità combattente: volendo, si può parlare di un'ispirazione non folgorante degli sceneggiatori, compreso il finale che ricorda parecchio "I dieci comandamenti" ( chi vedrà capirà perchè...). Però questa serie ha convinto, eccome, coniugando ad una spettacolarità, e ad un ulteriore progresso della motion capture (la tecnica della recitazione di personaggi fantastici da parte di attori con speciali sensori addosso), una lettura politico-sociale da non sottovalutare: il disegno ossessivo del Potere da parte degli umani che porta solo ad un obiettivo di distruzione dell'ecosistema va contrastato, e la spinta da parte dei reietti, oppressi e "vinti" corrisponde al ribollire delle ultime classi, stanche di essere brutalizzate e sfruttate, che potrebbero causare un contrasto annichilente. Se Woody Harrelson dà una prova da carogna carismatica e convinta, forse, come sottolineato da alcuni recensori, in zona premi, sarebbe giusto cominciare a considerare di assegnare qualche premio a Andy Serkis, ormai specialista di ruoli che lasciano il segno, senza metterci la faccia....

lunedì 21 agosto 2017

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TOTO' TRUFFA 62 ( I, 1961)
DI CAMILLO MASTROCINQUE
Con TOTO', NINO TARANTO, Estella Blain, Ernesto Calindri.
COMMEDIA
Ex-trasformisti di cabaret, Antonio e Camillo hanno tramutato l'antica arte in mestiere: truffano la gente camuffandosi via via da funzionari comunali, da donna, da ambasciatori. Soprattutto il primo ha bisogno di molti soldi per far frequentare alla figlia un prestigioso collegio, e, più che altro, nasconderle la sua vera "professione" e fingere di essere un facoltoso uomo d'affari. Ma la ragazza si innamora, per l'appunto, del figlio del commissario che tallona il truffatore, ed ex-compagno di classe. Di "Totò Truffa 62", ultima collaborazione tra il comico napoletano e Camillo Mastrocinque, sono rimaste storiche tre scene: quella in cui il duo Totò-Nino Taranto vende ad un turista americano fesso la fontana di Trevi, quella in cui i due sono truccati col nero in faccia e fanno finta di essere un ambasciatore africano ed il suo segretario, e quella, forse la più divertente, in cui, per non pagare i nove mesi arretrati di affitto, Totò si veste da donna e Taranto fa prima il padre bersagliere, poi il marito siculo gelosissimo. Queste, è vero, sono scene da antologia del cinema di Totò: per il resto, questo lungometraggio viaggia su binari risaputi, come l'iniziativa di mettere, in parallelo, la storiella sentimentale riguardante la figlia del personaggio comico che è, allo stesso tempo, causa di problemi e risolutrice degli stessi. Forse veniva affiancato, ai numeri di Totò, negli anni Sessanta, un riempitivo del genere per assicurare più spettatori giovani, e forse non c'era più una fiducia incondizionata da parte dei produttori nel potere di attrazione nelle sale del principe della risata: fatto sta che, anni dopo, tale parte narrativa risulta di peso e basta. Tuttavia, non uno dei titoli migliori della filmografia decurtisiana, anche se, è giusto dirlo, contiene tre o quattro scene che ne esaltano la vis comica.
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LASCIATI ANDARE ( I, 2017)
DI FRANCESCO AMATO
Con TONI SERVILLO, VERONICA ECHEGUI, Carla Signoris, Luca Marinelli.
COMMEDIA
Tre film in undici anni, è il carnet di Francesco Amato, che con il film d'esordio, "Ma che ci faccio qui!" ottenne il plauso di diversi recensori, e candidature e premi importanti: questa sua nuova commedia ha avuto un certo risalto, perchè mette un attore oggi consideratissimo come Toni Servillo, nell'inusuale dimensione, per lui, di un ruolo brillante. Interpreta Elia Venezia, psicanalista taccagno e incapace di staccarsi dalla ex-moglie, che vive sullo stesso pianerottolo ( e di cui è ancora innegabilmente innamorato), che prova a rimettersi in forma, ma l'esperienza di prova in palestra risulta disastrosa, e così viene contattato da una giovane spagnola che vi lavora come istruttrice, per fargli da personal trainer. La ragazza, oltre ad una relazione con il gestore del centro, che mette lo psicologo in un increscioso problema, ha anche una storia con un rapinatore balbuziente.... La trama, diciamolo, non presenta granchè di nuovo, semmai pare molto imparentata con "Un ciclone in casa", commediola con Steve Martin e Queen Latifah di qualche anno fa: Amato dirige qua e là perdendo ritmo, e se spreca qualche partecipazione che poteva essere più divertente, come quella di Giacomo Poretti, non sembra trarre il meglio nemmeno da attori di comprovata bravura come Luca Marinelli e Carla Signoris. Per quanto riguarda la coppia centrale, se l'ispanica Veronica Echegui ha pepe quanto basta, Toni Servillo non sembra del tutto a proprio agio nel far ridere: quello che, soprattutto, non favorisce la riuscita della pellicola è la sensazione che anche le battute siano fin troppo "scritte", che ci sia pochissima spontaneità, e le situazioni paiono emanare un pò di dejà vu. Non è certo un brutto film, ma meno divertente di come avrebbe potuto essere. 

mercoledì 16 agosto 2017

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TUTTO QUELLO CHE VUOI ( I, 2017)
DI FRANCESCO BRUNI
Con GIULIANO MONTALDO, ANDREA CARPENZANO, Donatella Finocchiaro, Arturo Bruni.
COMMEDIA
Alessandro, ventiduenne di Trastevere, passa le giornate con tre amici perdigiorno come lui, tra le sfide alla Play Station, intrallazzi da ragazzi di quartiere e progetti per "svoltare" e far soldi facili e veloci: dopo essere stato fermato dai Carabinieri, il padre gli trova un lavoretto, far compagnia ad un anziano poeta affetto dall'Alzheimer, benestante e distinto. All'inizio, è chiaro, tra i due le cose non sono semplici, ma l'affabilità gioviale del vecchio signore e un mistero che egli custodisce tra i rovi della propria sfasatura mentale, renderanno sempre più stretto il loro rapporto. Al terzo film, dopo l'esordio scoppiettante di "Scialla", e il secondo "Noi 4", che destò più perplessità che altro, Francesco Bruni ha realizzato un lavoro che gli fa fare un gran passo avanti: ispirato dal romanzo "Poco più di niente", il lungometraggio è una commedia spesso divertente, ma venata dall'asprezza del crepuscolo e dall'offuscamento della mente del coprotagonista più anziano. E' anche un convinto apologo sulla forza della gentilezza d'animo, che si insinua come una radice sotto pelle e porta anche un "giovane d'oggi" che intrattiene rapporti di sfuggita con la bella madre di uno dei suoi amici, apostrofa la ragazza che gli piace con un "Oh!", e come i suoi amici, non sa in che anno finì la II Guerra mondiale, ad abbassare la corazza e ad apprezzare quello che ha. Caratterizzato da un'interpretazione di gran classe di Giuliano Montaldo, questa volta davanti e non dietro alla macchina da presa, una prova maiuscola che miscela umorismo, pacatezza e garbata vitalità, trova anche la maniera di sfruttare l'energia dei ragazzi raccontati dal soggetto ( attenzione a Andrea Carpenzano, già visto ne "Il permesso", faccia simpatica e verve giusta), e sottolineare la sensualità mediterranea di un'affascinante Donatella Finocchiaro. Un film che ha il merito, non da poco, di mandare a casa lo spettatore con un appagante sorriso, e rammentargli, come dice l'anziano poeta, che "non ci si abitua mai alla bellezza delle cose".
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SETTE MINUTI DOPO LA MEZZANOTTE
( A monster calls, USA/ES 2016)
DI JUAN ANTONIO BAYONA
Con LEWIS MACDOUGALL, Felicity Jones, Sigourney Weaver, Toby Kebbell.
FANTASTICO/DRAMMATICO
Nel 2012 il romanzo fantastico "Sette minuti dopo la mezzanotte"  di Patrick Ness vinse diversi premi nelle categorie della letteratura per l'infanzia, e il film che ne è stato tratto, quattro anni dopo, è una coproduzione tra USA e Spagna, affidata allo spagnolo Juan Antonio Bayona. Di scena è il giovanissimo Conor, che vive in Inghilterra: è nella fase delicata ed intensa della vita che è la preadolescenza, con carichi non da poco come alcuni ragazzi-bene che lo hanno scelto come vittima abituale, e, ancor peggio, la malattia della giovane madre che sconvolge completamente la vita familiare del ragazzo. Il quale incontra, o forse evoca, una creatura che proviene da un grande albero, un tasso, dalla struttura umanoide, che dapprima lo spaventa, e poi gli narra delle favole senza lieto fine, che risultano essere racconti metaforici per aiutarlo nei difficili passaggi della sua esistenza. Sceneggiato dallo stesso Ness, il film di Bayona ha qualche merletto di troppo, ma  con efficacia dipinge un percorso arduo, spinoso e però necessario di crescita, in un contesto magari indelicato, ma educativo e progressivamente sempre più toccante. La difficoltà di crescere è già una strada in salita, ma ciò che la sorte ha riservato al giovane protagonista è crudele: eppure, con un aiuto suggestivo e fantastico, affrontare le paure e gli inesorabili drammi che fanno parte dell'esistenza, sarà possibile per un ragazzo tormentato e fin troppo sensibile. Un film che tiene in equilibrio la parte "reale", quella in cui il grande uomo-albero ( figura spesso riproposta dal cinema negli ultimi anni, vedi gli Ent de "Il signore degli anelli") accompagna, esorta e pungola il ragazzo, e quella animata delle fiabe che, come il "mostro" fa capire a Conor, spesso raccontano molto di più della versione di facciata, e vanno sempre interpretate, per capirle a fondo.

martedì 15 agosto 2017

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CANE MANGIA CANE ( Dog eat dog, USA 2016)
DI PAUL SCHRADER
Con NICOLAS CAGE, WILLEM DAFOE, Christopher Matthew Cook, Omar J. Dorsey.
NOIR/GROTTESCO
Presentato a Cannes 2016, nella Quinzaine des Realizateurs, ottenne un buon successo di critica, ma da noi è arrivato oltre un anno dopo: segno, chiaro, che Nicolas Cage e Willem Dafoe sono ormai due nomi non più di richiamo presso le platee, anche se la stagione appena trascorsa non ha offerto propriamente un'infinità di film da non perdere. Da un romanzo di Ed Bunker, tra i punti di riferimento imprescindibili di Quentin Tarantino, che infatti lo ebbe nel cast del suo titolo d'esordio, "Le iene" (era il gangster più anziano di tutti), la storia di tre criminali che non riescono a reinserirsi nella società, e sono anche pedine sfruttabili per il grosso giro: al trio viene chiesto di svolgere un colpo "facile", e ai tre uomini ciò pare l'occasione per fare un pò di soldi e provare a entrare nella "normalità". Fin dall'inizio, però, a parte l'intrallazzatore Nicolas Cage, ci viene mostrato che gli altri due componenti, Willem Dafoe, e Christopher Matthew Cook, sono inaffidabili, paranoico il primo e psicopatico l'altro, entrambi incapaci di controllare la propria natura violenta: l'affare facile non potrà che tramutarsi in un grosso guaio. Schrader tenta la via del noir ammantandola di grottesco: infatti, le divagazioni paradossali sono tra le cose migliori di questo film, che però, cede alla tentazione di fare fin troppo il verso al cinema di Tarantino, perdendovisi, e non mantenendo l'equilibrio necessario sia a sottolineare la firma di un autore comunque importante come il regista di "American Gigolo", sia a non rendere fluida la narrazione, con troppe pause e ripartenze. Il gioco attoriale è interessante, dato che un interprete spesso sopra le righe come Cage è chiamato a impersonare il componente equilibrato del terzetto di malviventi, Dafoe istrioneggia tra sproloqui, cedimento ai propri vizi e vampate di aggressività pericolosa ( è invecchiato assai presto, tuttavia), e il meno noto Cook risulta inquietante per la staticità che verte in minacciosità in un attimo. Il finale sarcastico che specifica, una volta di più, l'irresistibile richiamo per gli americani a risolvere le cose con un'arma in mano, è barocco e volutamente spropositato.

mercoledì 9 agosto 2017

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CIVILTA' PERDUTA ( The lost city of Z, USA 2016)
DI JAMES GRAY
Con CHARLIE HUNNAM, Robert Pattinson, Sienna Miller, Tom Holland.
BIOGRAFICO/DRAMMATICO/AVVENTURA
Alla ricerca di una città sperduta nella Foresta Amazzonica, dall'Inghilterra attraverso fiumi e foreste, a più riprese: la storia dell'esploratore Percy Fawcett, che dalle ambizioni militari passa, per far avere a sè ed alla propria nascente famiglia un salto di condizione di classe, ad un incarico assegnatogli dall'istituto nazionale britannico di cartografia per documentarsi sui confini del Mato Grosso. La missione diventerà un ossessione per l'uomo, che sacrifica tutto, anni, fatiche, rischi e rapporti, per arrivare a trovare tracce di un sito secondo lui esistente, ma che in molti mettono in dubbio. Passato per diversi attori, dato che prima Brad Pitt poi Dominic Cumberbatch si sono sfilati dal progetto ( Pitt è rimasto comunque come produttore), il ruolo del realmente esistito Fawcett è rivestito dal lanciato Charlie Hunnam con aderenza e passione nell'evidenziarne la determinazione, il senso di rivalsa, ed il gusto della scoperta, che arrivano fino ai confini della scelleratezza, per giungere all'obiettivo prefisso. Del buon cast di contorno, giusto menzionare un bravo Robert Pattinson, che sta diventando un attore piuttosto affidabile, lontano dai pallori di "Twilight". Se al film di James Gray si possono imputare un minutaggio fin troppo esteso ( due ore e venti di proiezione, nella seconda parte si fanno un pò sentire) e una sceneggiatura fin troppo ellittica, che più di una volta dà la sensazione di passaggi troppo repentini tra i fatti narrati, c'è anche da dire che "Civiltà perduta" è un film avventuroso come non se ne fanno più: il rimando più immediato è quello con "Aguirre, furore di Dio", ma il conquistador impersonato da Klaus Kinski, nella sua tragica follia violenta, era un personaggio negativo, mentre Percy Fawcett è un uomo che si prende sulle spalle oneri fin troppo grevi, e che spende una vita in un viaggio eterno, trascurando la propria dimensione "normale" e trascinando nel proprio tormento anche altri congiunti. Gray mostra un'avventura che solca le acque verdastre dei fiumi, si inoltra nella verde e pericolosa fascinazione della jungla, allestendo un lungometraggio ricco, con pagine di cinema di serie A. Peccato che una fin troppo esibita magniloquenza gli abbia preso la mano, perchè con mezz'ora di meno poteva essere un film ancora più riuscito.
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THE DRESSMAKER- Il diavolo è tornato
( The Dressmaker, AUS 2015)
DI JOCELYN MOORHOUSE
Con KATE WINSLET, Judy Davis, Liam Hemsworth, Hugo Weaving.
GROTTESCO/DRAMMATICO
Dopo tanti anni, Tilly torna al paese natio in Australia, un villaggio affetto da un bigottismo e da un classismo inestinguibili: la giovane donna ha un passato problematico, figlia di ragazza madre, è rimasta coinvolta nella morte del prepotente figlio del sindaco locale, addirittura accusata di averla provocata, e il ritorno, da stilista ricca di idee, prevede diversi cambiamenti locali, e anche l'occasione, per la protagonista, di fare i conti con il passato e capire come siano andate le cose. Diciamolo subito: il film di Jocelyn Moorhouse sugli uomini non dà immagine granchè edificante, anzi, se si escludono due personaggi, dei quali uno in privato si sente più a suo agio con velette, paillettes e gale non molto virili, e l'altro, ad un certo punto della storia compie un'azione tanto assurda quanto pericolosa e stupida, per certi versi "The dressmaker" viaggia ai confini del sessismo, al femminile. Però è vero anche che il lungometraggio, tratto da un romanzo di Rosalie Ham, è un revenge-movie speziato di una sensibilità femminea acuta quanto saporita e intelligente, con tocchi d'umorismo paradossale ed una capacita di passare dall'irridente al commovente in cui, appunto, si sente moltissimo la mano di una direzione femminile. Corroborato da un gioco attoriale straordinario ( tanto per dire, Judy Davis è strepitosa), il film procede per quasi due ore incastrando vari colpi di scena, e chiudendo in crescendo: una sorta di piaga punitiva per un luogo in cui i "timorati di Dio" approfittano di questa dimensione per risultare, in realtà, ignobili, vili e sottilmente maligni, raccontata con senso del dramma e uno humour australiano che spesso gioca sul lasciare di stucco, da quanto picchia duro. Fotografato con morbida eleganza da Donald McAlpine, aspira, a ragione, a diventare oggetto di culto.
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47 METRI ( 47 meters down, GB 2017)
DI JOHANNES ROBERTS
Con MANDY MOORE, CLAIRE HOLT, Matthew Modine, Yani Gellman.
AVVENTURA/HORROR
Il titolo riporta la distanza tra la superficie ed il fondale di un punto del Golfo del Messico in cui si sono immerse due sorelle che vogliono provare il brivido della gabbia antisqualo: imbarcatesi su una bagnarola che un americano usa per portare in giro i turisti, le due ragazze si ritrovano intrappolate nella gabbia, perchè l'attrezzatura alla quale è attaccata, vecchia e malandata, si rompe e con soli sessanta minuti di ossigeno a disposizione, non sarà semplice salvarsi dagli squali che popolano l'ambiente. Sempre di più si rafforza un sottogenere in cui una data situazione viene amplificata alla massima possibilità per sfruttare tutta la tensione potenziale: però, rispetto al "gemello" "Paradise Beach" che vedeva la biondona Blake Lively bloccata su degli scogli per difendersi da un grande squalo, "47 metri" perde il confronto. Per quanto più portato all'esagerazione per spettacolarizzare lo spunto, il film diretto dal francese Jaume Collet-Serra (su produzione americana) poteva contare su una buona performance dell'attrice, ed un più abile utilizzo del mezzo-cinema per tenere lo spettatore in tensione, fornendogli anche qualche sequenza che tuttavia sarebbe rimasta impressa. Qua, i vari tentativi di uscire dal gabbione e salvarsi dagli attacchi dei predatori del mare, sono macchinosi, sebbene la regia sia diligente nell'imbastire gli stratagemmi ideati dalle due sventurate per fuggire. E l'idea di viaggiare su un piano ipotetico, già vista in numerosi altri film, invece di diventare la svolta che qualifica al meglio la pellicola, emana un che di deludente, risultando relativamente convincente. Di recitazione è difficile parlare, visto che per tutto il tempo, o quasi, le povere Mandy Moore e Claire Holt sono con le maschere subacquee ultramoderne, con tanto di microfono incorporato: si rivede uno stagionato Matthew Modine nel ruolo di contorno del comandante dello scafo che porta le turiste verso la loro sorte. A conti fatti, la cosa migliore del film, è la bellissima fotografia che rende al meglio le penombre del mondo sott'acqua.