domenica 30 aprile 2017

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LA CURA DAL BENESSERE ( A cure for wellness, USA/D 2016)
DI GORE VERBINSKI
Con DANE DEHAAN, Mia Goth, Jason Isaacs, Celia Imrie.
HORROR
L'amministratore delegato di una grossa azienda di Wall Street è sparito: le ultime notizie circa l'uomo lo vedevano in vacanza in un centro benessere in Svizzera, ed il giovane intermediario rampante, che lavora per la stessa compagnia, viene minacciato di perdere il lavoro e finire in carcere, perchè ha fatto il furbo, se non andrà a recuperare il pezzo grosso, la cui presenza è cruciale per i boss della ditta. Ma la gita in Europa non sarà per niente semplice, perchè il centro si rivelerà tutto, fuorchè un'esperienza rilassante.... Gore Verbinski ritrova il cinema dell'orrore sedici anni dopo "The Ring", che è stato uno dei grandi successi della sua carriera: parte come un thriller fosco, "La cura dal benessere", ma la trama lo porta progressivamente nei canali del cinema orrorifico: il regista ne ha scritto anche il soggetto, e si avverte che è un lavoro più personale di altri titoli della carriera di un director che tra trionfi al box-office (il citato "Ring" ed i primi tre "Pirati dei Caraibi") e lungometraggi più autoriali ("The Weather man", "Rango") ha avuto alti e bassi di considerazione. Questo è, tuttavia, un film molto derivativo, giacchè cita a più non posso, vedi l'inquietante piscina ("Suspiria"), l'incidente con il cervo ( lo stesso "The ring"), una scena che chi soffre un pò la fobia del dentista, non dimenticherà ("Il maratoneta"), ma, soprattutto, il debito è verso le paure suscitate da Mario Bava, e nello specifico, "Operazione paura", e più che mai "Gli orrori del castello di Norimberga", di cui si riprende lo snodo principale dei misteri che gravitano sul racconto. Forse troppo lungo, perchè dura quasi due ore e mezzo, fa apprezzare il lavoro della regia, che incuriosisce ed inquieta lo spettatore con soluzioni mai gratuite: peccato che approdi ad un finale risaputo, in cui il Male all'ultimo viene sconfitto rocambolescamente. Anche se, ad onor del vero, Verbinski si congeda dal pubblico con un'ultima inquadratura ambigua. Tra gli attori, Dane DeHaan conferma riflessi che lo fanno somigliare ad un giovane Klaus Kinski, e un attore bravo, ma sottoutilizzato ad Hollywood, come Jason Isaacs, nel ruolo del misterioso direttore del centro benessere, dà buona prova del proprio talento.

sabato 29 aprile 2017

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COLLATERAL BEAUTY ( Collateral beauty, USA 2016)
DI DAVID FRANKEL
Con WILL SMITH, Naomie Harris, Edward Norton, Helen Mirren.
DRAMMATICO
Stranezze del pubblico: "Collateral beauty" negli USA è risultato essere il peggior risultato economico della carriera di Will Smith, andando peggio persino di "After Earth", considerato il picco più basso di una filmografia perlopiù di grandi successi, mentre da noi è tra i maggiori incassi della stagione, dominando, a sorpresa, il box-office di Gennaio. Nei titoli di testa, Howard è un pubblicitario che diffonde ottimismo con un entusiasmo coinvolgente, ma subito dopo ci appare, tre anni dopo, come un uomo affranto, spento, perso in una depressione tremenda. Certo, ne ha ben donde: ha perduto la figlia di sei anni, per via di un tumore al cervello, e non accenna a riprendersi. I tre partners che con lui hanno fondato l'agenzia cercano di dargli una scossa, ed ingaggiano tre attori che impersonino Morte, Amore e Tempo, entità cui il protagonista ha inviato simboliche lettere, per tentare di ricondurre il collega, e amico, via dal baratro sul cui orlo vive. Che sia un film programmaticamente lacrimevole, "Collateral Beauty", è ovvio: che si regga su un'astruso e contorto escamotage narrativo, è piuttosto vero. Però, che il film, a mano a mano che scorre, se si accetta l'assurdità dello spunto, conquista un interesse che si fa solido soprattutto verso la conclusione, quando la pellicola si tramuta, quasi, in un thriller sentimentale, con snodi che mettono a fuoco alcune cose apparentemente semplici da decifrare, ma che trovano concretizzazione solo alla fine. E se la regia di Frankel si premura, forse, di voler dare spiegazione a tante cose, d'altro canto mette tanto sentimento nel racconto: del cast le migliori sono le donne, da Naomie Harris, a Helen Mirren, a Keira Knightley e Kate Winslet, che tengono a freno il rischio di ridondanza emotiva della storia . 
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SQUILLO ( I, 1996)
DI CARLO VANZINA
Con JENNIFER DRIVER, RAZ DEGAN, Paul Freeman, Luigi Montini.
THRILLER
I Vanzina hanno provato più volte a spaziare per generi, ferma restando la fedeltà alla formula della commedia che resta ciò che ne ha garantito il successo: soprattutto per il thriller vagamente ispirato a Dario Argento ( del quale hanno ingaggiato, qui, uno dei corresponsabili del declino, diciamolo, lo sceneggiatore Franco Ferrini), che con "Mystere" e questo "Squillo" hanno più o meno imitato. Polonia, 1989: viene giù il muro di Berlino, ed una famiglia di contadini osserva le scene dell'evento storico in tv ( notare la leggerissima tendenza al clichè con le persone, in quanto lavoratrici della terra, che non si lavano neanche per andare a tavola...). Italia, 1996:la bellissima polacca Maria giunge a Milano a trovare la sorella che, misteriosamente, ha un ottimo tenore di vita, ma dopo una notte sparisce, e non dà segni di sè. La protagonista contatta allora la polizia, incontrando un ispettore con orecchino, codino, e dallo sguardo da sciupafemmine di un modello ( infatti, vedi il caso, lo è): scoprirà che la sorella faceva la squillo di lusso, e che dopo un party tenuto nella sede di una multinazionale, è avvenuto qualcosa di strano.... Il film è un giallo insulso, in cui viene compiuto un omicidio in un palazzo affollato, con una vittima che viene trascinata ad un piano superiore, curiosamente senza che nessuno abbia notato la situazione, e scaraventata di sotto, un trucco  ( quello dei ricetrasmettitori) vecchio e bolso già nel 1996, dialoghi che non stanno nè in cielo, nè in terra, recitazione e regia che latitano, ed una trama che va avanti a singhiozzo, con una logica inesistente ( l'ispettore che coinvolge la sorella di una donna scomparsa in un'indagine? Questa che si finge prostituta per cercare di individuare il colpevole?), ed una scena da antologia del ridicolo: quella in cui Maria passa dietro all'assassino, che è al telefono, con le scarpe in mano per non fare rumore. Roba da far indignare Will Coyote.
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L'UOMO INVISIBILE ( The invisible man, USA 1933)
DI JAMES WHALE
Con CLAUDE RAINS, Gloria Stuart, William Harrigan, Henry Travers.
FANTASTICO.
Dal classico della fantascienza letteraria di H. G. Wells, un film che a sua volta è divenuto un classico di quella cinematografica: nel 1933 girare una pellicola che avesse negli effetti speciali un punto di forza era veramente "avanti". Quindi, se preso come film di fantascienza, "L'uomo invisibile" ( che avrà seguiti, e di cui Paul Verhoeven girerà un remake redditizio e più sanguinario nel 2000), è ancora un lungometraggio notevole, considerando i mezzi di cui disponevano all'epoca della realizzazione: convince meno se, come nelle intenzioni della Universal, che lo produsse, questo avrebbe dovuto essere un horror, che, francamente, visto poi oggi, non arriva mai ad inquietare lo spettatore. Altro elemento notevole del film, l'interpretazione di Claude Rains, specialmente in lingua originale, con la voce che pesa moltissimo sulla resa del personaggio: la major volle proprio l'attore inglese, apprezzandone il dinamismo e la duttilità di toni, per un carattere che, pur essendo protagonista della storia, si vede in volto solo nel finale. Whale, regista di spessore qual'era, dà un avvio memorabile al racconto, con l'arrivo dell'uomo invisibile sotto la neve alla locanda, però, rispetto ai suoi lavori su Frankenstein, questa è un'opera minore, nonostante la fama ed il successo arriso alla sua uscita. Si nota la mano del regista soprattutto per i ritocchi sull'umanità del personaggio, che diventa pericoloso, ma anche disperato e sotto pressione, e tuttavia legato al sentimento che prova per la figlia del ricercatore per cui lavorava: però, la scena della caccia all'uomo invisibile nella locanda, con la tenutaria megera che strepita continuamente, sembra rapportarsi alle comiche, e non è evidente più di tanto quanto fosse volontario l'umorismo che ne scaturisce.

mercoledì 26 aprile 2017

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THE ACCOUNTANT ( The accountant, USA 2016)
DI GAVIN O'CONNOR
Con BEN AFFLECK, Anna Kendrick, J. K. Simmons, Jon Bernthal.
THRILLER/AZIONE
Christian Wolff è un contabile abilissimo con i numeri e, in segreto, collabora con diverse losche organizzazioni per risolvere i loro problemi di traffico di denaro: in più, all'occorrenza, Wolff rivela un inusitato talento di killer professionista, attentissimo a coprire i propri movimenti, e abile nel centrare i propri obiettivi. Ne conosciamo il passato, segnato dalla sindrome di Asperger ( problema che ha attinenze con l'autismo, ma non compromette le funzioni cerebrali, seppure porti a comportamenti ossessivi e rituali), l'abbandono della madre e la crescita con il padre, ufficiale, che ai figli ha insegnato che la vita è una battaglia e bisogna difendersi da tutti. "The accountant" è un thriller che ha scene d'azione molto ben costruite, che si discosta da molti lavori analoghi, puntando parecchio sulla psicologia dei personaggi e su come si relazionano tra loro, giocando bene un paio di colpi di scena. Certo, ha qualche tocco di inverosimiglianza, soprattutto nel crescente "body count" finale ( la somma dei morti ammazzati), ma è un film lungo più di due ore che avvince e si prende la briga di non disperdere via via snodi narrativi, e funzionalità dei personaggi. Ben Affleck, alle prese con un personaggio che cova sotto pelle, trattenendoli, tutti gli impulsi emotivi, è in una delle sue migliori prove da attore, ma occhio a Jon Bernthal, che sta diventando un interprete con opportunità sempre maggiori, da "Fury" in poi. In Italia non ha avuto gran successo, ma questo è uno dei migliori thriller della stagione cinematografica.

domenica 23 aprile 2017

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A MOST WANTED MAN- La spia ( A most wanted man, USA/GB/D)
DI ANTON CORBIJN
Con PHILIP SEYMOUR HOFFMAN, Rachel McAdams, Grigoriy Dobrygin, Willem Dafoe.
THRILLER/DRAMMATICO
Che tra servizi segreti corra di rado buon sangue, tra gelosie professionali, ambizioni di dimostrare di essere i migliori sul territorio e giochi sporchi tra Stati, è risaputo. In questa spy-story dal passo contrastato degli accadimenti reali e poco romanzati, appunto, un agente dei servizi anti-terrorismo tedeschi elabora una strategia molto arzigogolata, per mettere nel sacco una personalità in odore di finanziamenti a trame eversive legate ai fanatici islamici, e le pedine sono un immigrato clandestino ceceno, una giovane avvocatessa tendente all'idealismo, un banchiere dal passato nebuloso, ed un tramite è un'ambigua dirigente della CIA sul posto. Dato che il film è desunto dal romanzo "Yssa il buono" di John Le Carrè, è sacrosanto aspettarsi che non tutto andrà come progettato dal protagonista, e quel che di umanamente etico, è rimasto nella spia, andrà deluso dall'andamento delle cose, e dalla logica di chi controlla il Potere. Dopo il fallimento di "The american", Anton Corbijn gira un altro thriller legato al mondo parallelo di agenti segreti e piani nascosti, in una Amburgo poco frequentata dal cinema: "A most wanted man" è un giallo a tinte drammatiche ben costruito, con una sceneggiatura che, in vari passaggi, va seguita con attenzione, per non perdersi del tutto nella successione di propositi ed eventi della pellicola. La penultima interpretazione di Philip Seymour Hoffman dona verità ad un personaggio mai del tutto chiaro, ma che in fondo vorrebbe, sebbene a modo suo, fare meno danni possibile e si rivela meno cinico dei giochi cui partecipa: non è un capolavoro, ma un thriller solido, degno del complicato disegno politico-geografico di questi anni. 
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ALICE ATTRAVERSO LO SPECCHIO 
( Alice- Through the looking glass, USA 2016)
DI JAMES BOBIN
Con MIA WASIKOWSKA, JOHNNY DEPP, Helena Bonham-Carter, Sacha Baron-Cohen.
FANTASTICO
"Alice in Wonderland" nel 2010 fu un successo mondiale di portata straordinaria, complice anche l'esplosione del 3D, che per un paio d'anni caratterizzò molte delle grosse uscite delle majors, comportando anche una maggiorazione del costo del biglietto. L'adattamento del romanzo più celebre di Lewis Carroll fu, a un tempo, festeggiato da molti spettatori giovanissimi e dagli esercenti per le somme portate al box-office, e deprecato da appassionati del libro, salutato da molti fans del regista di "Edward Mani di Forbice" come la resa definitiva di Burton a pretese autoriali. Che Tim Burton, negli ultimi dieci anni di carriera, abbia fatto molto per autolesionarsi, è comprovato ( ma mettiamoci pure quel remake, inutile, de "Il pianeta delle scimmie" del 2001), e che abbia concesso fin troppa briglia ad un Johnny Depp a sua volta in vena di volersi male, e perdere molto dell'appeal conquistato faticosamente presso il grande pubblico, pari discorso: il sequel voluto a tutti i costi dalla Disney, che lo ha affidato ad un regista giovane, venuto da due film sui Muppets, porta in scena il canovaccio del seguito delle avventure di Alice, per molti considerato un romanzo più complesso del primo, e di questo meno diffuso. Se, come si diceva, di Burton era scarsamente rintracciabile la vena geniale nel primo film, ma tuttavia conservava qualche lampo estroso qua e là, di questo è avvertibilissimo il peso della casa produttrice in ogni scelta fatta da sceneggiatura e regia. Il tutto si risolve in un dispendio di effetti speciali abbastanza fini a se stessi, e ad una forzatissima riconsiderazione di ogni personaggio, per cui nessuno è veramente cattivo, e, se saputo prendere, si scioglierà al punto giusto in un abbraccio di pentimento. Facendo così rimpiangere i sani vecchi cattivi di casa Disney, da Crudelia De Mon a Capitan Uncino, dalla strega di Biancaneve a Gaspare e Orazio, gaglioffi ladri di cuccioli di dalmata. Per il cast, poco da dire, sopra le righe un pò tutti, a cominciare dai troppo lasciati a se stessi Depp e Bonham-Carter, in uno dei sequel meno necessari di questi anni. 

sabato 22 aprile 2017

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SONO UNO DI VOI ( I, 2017)
DI ERMANNO OLMI
DOCUMENTARIO
A cinque anni dalla scomparsa del cardinal Martini, esce questo lavoro di Ermanno Olmi, che ha dedicato un documentario ad una figura religiosa tra le più ascoltate, e stimate, anche dal mondo laico. Potenzialmente vicino a diventare pontefice, ma forse fin troppo vicino alla società civile, e per questo non appoggiato fino in fondo dalla parte alta del clero. Il documentario narra la vita del porporato, un gesuita insolitamente divenuto vescovo e successivamente cardinale, fin dagli inizi in Piemonte, fino al ruolo di figura di riferimento a Milano, con la Storia italiana che scorre in parallelo, e il rapportarsi dell' uomo di Chiesa agli eventi principali, dal fascismo alla grande crisi recente, lungo l'epoca del brigatismo, di Tangentopoli e dell'avvento di Berlusconi. Ma, attenzione, non è affatto un lavoro agiografico, non un santino celebrativo, bensì un'opera svolta da un autore dotato di grande onestà intellettuale, come risaputo uno dei più religiosi tra i nostri grandi registi, che però sceglie di illuminare l'umanità, più che altro, di Martini. In un'ora e venti di proiezione, che scorre raccontando molte cose senza compiacimento verso la Chiesa, ci si interroga sulla tenuta di Fede e Spirito, sui mutamenti che la Storia opera nella gente e sulla società stessa. Il letto vuoto, della piccola camera in cui il cardinale ha passato l'ultimo periodo di vita, ricorre nella visione, quasi a ricordare nell'assenza fisica la presenza immateriale di un'intelligenza attiva, una personalità forte ed equilibrata, un'intellettualità densa e amalgamata a un credo imprescindibile. Emerge un ritratto di un uomo retto, dal carisma pieno e dalla religiosità solare, che affascina e porta a riflessioni spiazzanti anche chi non è avvezzo a pratiche religiose, e coltiva i propri dubbi sul mondo della Chiesa. Olmi mostra Martini anche quando, provatissimo dalla malattia e dall'età, riesce a emanare, comunque, un messaggio di speranza, di vita vissuta con pienezza ed entusiasmo, che suscita un'umanissima stima, e invita alla condivisione: proprio per come affronta, i tanti argomenti, ma soprattutto per come sottolinea la necessità di vivere il Tempo, senza cedere alla disillusione, andrebbe proiettato nelle scuole.

martedì 18 aprile 2017

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SLEEPLESS- Il giustiziere ( Sleepless, USA 2017)
DI BARAN BO ODAR
Con JAMIE FOXX, MICHELLE MONAGHAN, David Harbour, Dermot Mulroney.
AZIONE
Appena il film parte, assistiamo ad una sparatoria in un vicolo di Las Vegas, in cui il protagonista Jamie Foxx ed il suo partner hanno la meglio contro alcuni trafficanti, cui rubano droga per un valore di un milione di dollari: quelli che hanno fatto fuori sono solo corrieri, ed infatti, è l'avvio di una serie di complicazioni che vedrà il personaggio principale pressato tra i malavitosi che aspettavano l'importante carico, e la poliziotta degli Affari Interni, Michelle Monaghan, che lo tallona. Com'è abbastanza facile immaginare, non tutto di quel che si vede è la definitiva verità, ed in questo tipo di faccende è spesso previsto un doppio fondo, come nei trucchi dei prestigiatori.... Remake statunitense di "Nuit blanche", noir francese del 2011, "Sleepless" ( il sottotitolo italiano è come quasi di regola, fuori luogo) è un thriller d'azione in cui tutto quello che potreste prevedere, chiaramente, c'è: dalla sparatoria in un vicolo, appunto, che fa iniziare il racconto, ad un conflitto a fuoco in un locale di svago, ed un regolamento di conti in un parcheggio sotterraneo, questi classici del genere non mancano, nonchè il ricatto al protagonista mettendo di mezzo il figlio, e la talpa che fa il doppio gioco ( piuttosto individuabile, molto prima che il film si decida a svelarne l'identità). Diretto senza particolare estro da Baran Bo Odar, tra l'altro, verso lo scioglimento dei nodi, fa compiere ai personaggi principali azioni in cui non c'è alcuna logica, tipo un'infermiera che, di fronte ad una persona colpita da arma da fuoco, invece di prestarle il primo soccorso, va a chiamare aiuto lasciando qualcun altro lì, e altro ancora. Del cast, quella che ne esce meno peggio è Michelle Monaghan, visto che Jamie Foxx, altrove attore più interessante, fornisce una prestazione più che altro fisica. Niente di nuovo sotto le luci martellanti di Las Vegas, insomma.

lunedì 17 aprile 2017

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TOTO' CONTRO MACISTE ( I, 1962)
DI FERNANDO CERCHIO
Con TOTO', NINO TARANTO, Samson Burke, Nadine Sanders.
COMICO
Tra le numerose parodie in cui fu coinvolto Totò, all'inizio degli anni Sessanta, fu preso di mira anche il "sandalone", o peplum, che dir si voglia: nei panni del comico girovago Totòkamen, con il fido agente Tarantokamen, viene preso per il figlio di una divinità che sfiderà l'impazzito eroe Maciste, che minaccia di far tabula rasa di Tebe, passato ai nemici assiri. In realtà c'è dietro una macchinazione, ordita dalla maliarda regina tebana, ma la storia, come spesso accadeva nei film con Totò degli anni Sessanta, è poco più che un pretesto, per mettere il comico napoletano in condizione di giocare con la spalla di turno, e di tirar fuori qualche battuta dal cilindro. Diretto dal non geniale Fernando Cerchio, che comunque collaborò con Totò più di una volta, "Totò contro Maciste", replicato tante volte dai cinema di terza e quarta visione, e dai canali televisivi negli anni, è qua e là divertente ( tipo quando il duo di affiatati comici protagonisti si mette a fare il verso agli "urlatori" Mina/Celentano....), ma nella seconda parte, soprattutto nello scontro con il culturista Samson Burke, che urla come un ossesso, rendendosi ben presto noioso, comincia ad avvitarsi su se stesso, e sollecita più di una volta lo sbadiglio. Certo, bisogna sempre tener conto che al buon De Curtis proponevano sceneggiature che erano poco più che semplici canovacci, molte volte, e che la sua iperattività portasse per forza a pellicole di poco conto, quale questa. E comunque, almeno tre o quattro volte, si ride di gusto con il gioco di squadra tra Totò e Taranto. 

giovedì 13 aprile 2017

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LIFE- Non oltrepassare il limite ( Life, USA 2017)
DI DANIEL ESPINOSA
Con JAKE GYLLENHAAL, REBECCA FERGUSON, Hiroyuki Sanada, Ryan Reynolds.
FANTASCIENZA
E' un classico del cinema di fantascienza: attenzione a raccogliere forme di vita nel cosmo, potrebbero diventare errori fatali. Una compagine formata da astronauti di varia funzione e di multiprovenienza etnica raccoglie un relitto che proviene da Marte, e riesce ad estrarre una cellula che comincia a crescere in laboratorio. Lo fa in maniera celere, e le sorprese, purtroppo, non sono finite... Diciamolo chiaro e tondo, tanto per fare un titolo, "Life" rimanda continuamente allo schema di "Alien", con un organismo "altro" che si insinua in un'astronave, e ne decima orribilmente l'equipaggio, per pura funzione vitale, come riconoscono qui anche i disgraziati viaggiatori dello spazio. Però, pur se il film presenta, appunto, svariate cose già viste, il regista Daniel Espinosa gioca con molta intelligenza un approccio diverso in molti punti della pellicola: tanto per fare un esempio, brucia uno dei "nomi pesanti" del cast come una delle prime vittime della creatura aliena ( lo faceva anche Ridley Scott con l'allora più conosciuto del cast Tom Skerritt sempre in "Alien"), e tiene in tensione gli spettatori con una progressiva discesa agli inferi dei personaggi in scena. Non originalissimo il mostro, che è una fusione tra una stella marina ed un carciofo, ma la sequenza in cui gira per l'astronave a caccia delle piccole gocce di sangue disperse dall'assenza di gravità è da antologia del genere: qualche calo nella seconda parte, ma il sarcastico e maligno sberleffo finale, che arriva in modo inaspettato, va contro la logica ferrea dell'happy end hollywoodiano che da troppi anni impera. Bentornato, buon vecchio cattivo gusto!

mercoledì 12 aprile 2017

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L'ORA LEGALE ( I, 2017)
DI SALVO FICARRA E VALENTINO PICONE
Con SALVATORE FICARRA, VALENTINO PICONE, Vincenzo Amato, Tony Sperandeo.
COMMEDIA
Ad oggi, Aprile, è il titolo italiano di maggior successo nella stagione '16/17, ed il film dal maggiore incasso dell'accoppiata Ficarra & Picone: nel paesino immaginario di Pietrammare, in Sicilia, ad un passo dalle elezioni amministrative, c'è un acceso contrasto tra il sindaco in carica, che rappresenta la politica degli intrallazzi, delle promesse a vanvera, delle cose sottobanco, e lo sfidante, che promette un repulisti di quelli notevoli, con tante faccende da rimettere in sesto, e cambiare una volta per tutte diverse cattive abitudini. Quindi, vinte le elezioni, popolo felice? Eh no, perchè mettere a norma tutti e tutto può costare molta simpatia e favore, del resto, siamo in Italia.... La quinta regia del duo emerso con "Zelig" punta a bacchettare una mentalità tipica del Bel Paese, con buona parte della cittadinanza avvezza ad accusare i "politici", che regolarmente, e sistematicamente, vota e non vuol sentirne di rivoluzionare il proprio sistema. E, a favore del film, va detto che lo stile della coppia comica siciliana, è sempre lontano da volgarità ed eccessi che spesso portano poi ad inciampi abbastanza imbarazzanti: però, apprezzate le buone intenzioni, c'è da dire, anche, che "L'ora legale" (il titolo allude al periodo in cui la vicenda si svolge, dal ripristino dell'ora legale al ritorno quella legale) non pare attraversato da una gran verve brillante, le situazioni potenzialmente comiche sembrano attutite da un senso di artificioso che permea tutto il lungometraggio, e ci si diverte poco davvero. Meglio i primi due film di Ficarra & Picone, che con garbo e buon piglio garantivano un certo quantitativo di divertimento, soprattutto "Il 7 e l'8", la loro prima regia. 
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HELL OR HIGH WATER ( Hell or high water, USA 2016)
DI DAVID MACKENZIE
Con JEFF BRIDGES, CHRIS PINE, Ben Foster, Gil Birmingham.
NOIR 
C'è chi ha scritto "Questo film aiuta a capire meglio l'America di Trump.". Nonostante quattro candidature agli Oscar, e tre ai Golden Globes, e critiche molto positive, non c'è stato posto nei cinema per questo noir/western, qui da noi. La storia incrociata di due fratelli che mettono in atto uno schema di rapine a mano armata, senza fare vittime, e del ranger alle soglie della pensione che dà loro la caccia, e sembra aver intuito i loro piani, racconta di una nazione cinica, di banche peggiori di chi commette crimini infrangendo il codice penale: David Mackenzie gira una pellicola con sentimento western, linguaggio noir e sfondo drammatico, con inevitabile snodo tragico, quando le rapine cominciano a mietere morti, e la caccia agli uomini si fa più serrata, e punta a chiudere la faccenda. Il trio di attori al centro del racconto, dai fratelli Chris Pine e Ben Foster, all'uomo di legge Jeff Bridges, serve bene il disegno della regia, che dipinge un quadro alla Cormac McCarthy, e portando ad una conclusione che resta nella memoria, di sopravvissuti che si promettono reciprocamente un appuntamento mortale, un giorno o l'altro. In una fotografia che esprime assai bene l'aridità di un micromondo, provincia eterna occidentale, di Giles Nuttgens, con le musiche di Nick Cave a cucire le immagini, "Hell or high water" merita miglior considerazione di quella, scarsa e inspiegabile, che la distribuzione italiana gli ha riservato: McKenzie pone le scene d'azione in modo chirurgico, a punteggiare una vicenda amara e ben scandita da una mano che potrebbe essere quella di un regista da seguire attentamente nei prossimi anni. 

domenica 9 aprile 2017

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LA CONGIUNTURA ( I, 1965)
DI ETTORE SCOLA
Con VITTORIO GASSMAN, JOAN COLLINS, Jacques Bergerac, Hilda Barry.
COMMEDIA
Regia numero due per Ettore Scola, già, all'epoca, sceneggiatore stimatissimo e esperto, nello scrivere storie e dialoghi passati alla Storia del cinema italiano (qualche esempio? "Il marito", "La marcia su Roma", "Adua e le compagne", "Il sorpasso", "Anni ruggenti"....), e primo successo commerciale per lui, visto che "La congiuntura" terminò la corsa nella stagione '64/65 al diciassettesimo posto degli incassi annuali. Il film racconta l'avventura del rampollo di nobile famiglia Giuliano, che si invaghisce di una bellezza straniera, e dalla medesima viene messo in mezzo, per una faccenda di traffico di valuta: il titolo è poco più di un pretesto, e si parte con una sfilata della Guardia Pontificia, ma ben presto l'ambientazione in un night capitolino sottolinea la natura vitellonesca del protagonista. Il quale, si ritrova ad inseguire la ragazza, ficcandosi in diversi guai, inseguimenti e capitomboli, con lei che per tutto il film gioca su un'ambiguità di fondo ( è interessata davvero al principe o no?). Come diverse commedie di metà anni Sessanta, che puntavano parecchia della propria riuscita, e del proprio appeal commerciale, sulla fama del divo protagonista, che fosse Gassman, o Sordi, o Manfredi o Tognazzi, questo è un titolo leggero al limite dell'inconsistenza, che mostra uno Scola non ancora del tutto convincente in cabina di regia ( ma "Riusciranno i nostri eroi a ritrovare..." dell'anno successivo è già un lavoro "suo" a tutti gli effetti), che di per sè dice pochino, per quanto riguarda il racconto vero e proprio. Funziona meglio quando, nell'ultima parte, accelera e strizza l'occhio ad una clownerie da comiche finali, e da notare, per quanto riguarda la finezza dello sceneggiatore Scola, la presenza di qualche carattere di contorno che strappa più di un sorriso ( il nonno impassibile, il complice anziano che comunica, in pratica, solo facendo lo "scat" jazzistico). Vittorio Gassman presta al film poco più di una ribalda prestanza, tratteggiando un personaggio a metà tra il cretino e il benintenzionato, Joan Collins, molto bella, in uno dei pochi ruoli di una qualsiasi significanza sul grande schermo, gioca a fare la bambola infingarda. 
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THE HELP ( The Help, USA/EAU/In 2011)
DI TATE TAYLOR
Con VIOLA DAVIS, EMMA STONE, OCTAVIA SPENCER, Bryce Dallas Howard.
DRAMMATICO/COMMEDIA
Stati Uniti del Sud, 1963: nella stessa epoca in cui venne ambientato "Mississippi Burning", la città di Jackson va avanti guardando al passato, in cui, appunto, i neri facevano solo e soltanto lavori di fatica, non avevano prospettive di sviluppo del proprio stato sociale, e i bianchi, ricchi o meno che fossero, li consideravano alla stregua di esseri inferiori. La giovane Eugenia, detta "Skeeter", torna lì, dopo essersi laureata, e comincia a scrivere per un giornale locale:interessatasi al tipo di vita condotta da domestiche afroamericane, parla con loro e sviluppa l'idea di scrivere un libro su tale situazione, provocando la disapprovazione di molte persone che si riconosceranno nel testo. Tratto da un romanzo di Kathryn Stockett, uscito solo due anni prima, "The Help" è stato un grande successo negli USA, premiato da 160 milioni di dollari di incasso, e quattro candidature agli Oscar, e cinque nominations ai Golden Globes, ed in entrambe le manifestazioni, Octavia Spencer ha vinto la statuetta cui era candidata. Storia di donne, in prevalenza, visto che gli uomini del racconto stanno ai lati della narrazione, il film è una dramedy corale, con una buona scrittura di base, che racconta un dramma storico e umano apportando qua e là della leggerezza che evita lo scivolare nella retorica, pecca purtroppo frequente in cinema di questo tipo: il pregio maggiore di Tate Taylor è aver scelto un cast di attrici destinate a farsi molta strada, con un personaggio di cattiva, interpretato da Bryce Dallas Howard, particolarmente riuscito. Se c'è da trovare un difetto al film, è forse una frammentazione del racconto fin troppo accentuata, che la regia non gestisce sempre al meglio, e l'evitare scene in cui il pathos si possa sviluppare pienamente, a volte, può attenuare la forza emotiva di un racconto, altrimenti coinvolgente.
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IL PERMESSO- 48 Ore fuori ( I, 2017)
DI CLAUDIO AMENDOLA
Con LUCA ARGENTERO, CLAUDIO AMENDOLA, GIACOMO FERRARA, VALENTINA BELLE'.
DRAMMATICO
Donato, Luigi, Angelo e Rossana escono dal carcere di Civitavecchia per un permesso di 48 ore concordato loro dalle autorità della prigione: se la ragazza viene da famiglia agiata, e ha infatti autista personale a prenderla fuori, Angelo non ha nessuno e torna nella casa lasciatagli dalla nonna, in cui ospita tre amici che hanno a che fare con il motivo per cui sta scontando una pena. Luigi, che ha alle spalle una carriera malavitosa ingombrante, ha saputo che il figlio sta cercando di calcarne le orme, e vuole evitarlo, e Donato ha più di un conto in sospeso con un laido organizzatore di boxe clandestina, che ha rovinato sua moglie e lui. Seconda regia di Claudio Amendola, che si è fregiato, in fase di sceneggiatura, della partecipazione di Giancarlo De Cataldo come coautore, "Il permesso-48 ore fuori" parte bene, mostrando il ritorno alla vita fuori di quattro persone che sanno di avere una pausa dalla detenzione, e intendono sfruttarla per mettere in atto propositi, o cercare di risolvere questioni che potrebbero pesare sul loro futuro, una volta liberi. Va detto che Amendola ci mette impegno, e da attore, fornisce una buona prova, da duro con la strada segnata, e che gli interpreti sono ben diretti: quello che invece non va bene, nel suo secondo titolo da regista, è il passo da fiction che il film prende da metà in poi, conducendo le quattro storie a finali alquanto scontati, incrociandone anche due, e chiudendosi, almeno per qualcuno dei personaggi, su un barlume di speranza. Che, però, appare non molto probabile, ragionando sul percorso dei caratteri in gioco. E la proiezione si chiude con la sensazione, nello spettatore, che c'è stata messa molta buona volontà, in questa pellicola, ma non sempre gli intenti apprezzabili sono al livello della resa finale.

sabato 8 aprile 2017

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PPZ- Pride + Prejudice + Zombies
( PPZ: Pride, Prejudice & Zombies, USA 2016)
DI BURR STEERS
Con LILY JAMES, SAM RILEY, JACK HUSTON, Bella Heathcote.
SENTIMENTALE/HORROR/AZIONE
Nel 2009 divenne un caso letterario, all'estero, "Orgoglio e pregiudizio e zombies", rilettura del classico di Jane Austen con l'aggiunta di una componente horror-avventurosa abbastanza arrischiata, se si vuole: pochi anni dopo, ne esce la versione cinematografica, che intreccia ricevimenti a inseguimenti di morti caracollanti, momenti romantici a carneficine, baci a volti deformati dalla decomposizione. Se fosse un tentativo di accattivare l'interesse di nuove schiere di giovanissimi alla letteratura classica, l'intento, pur opinabile, sarebbe tuttavia originale, e anche interessante: proporre il canovaccio di un'opera divenuta un pezzo sempiterno della cultura comune sotto altre vesti, inserendo elementi nuovi quando non, addirittura, imprevedibili o provocatori, può essere anche un viatico per giovani menti forse non ancora tentate dalla curiosità verso un testo cui si avvicinerebbero solo più tardi. E' che non si capisce granchè il senso dell'operazione condotta da Burr Steers: perchè, così com'è, "PPZ" è diligentemente costruito, ma non diventa nè una parodia, nè una rilettura, come si diceva prima, "particolare", con scene che strizzano l'occhio al cinema d'azione supereroistico e non, fatto di battaglie coreografate, ralenti sinuosi e armi gestite come fosse la cosa più naturale del mondo. Rimane, nei fatti, un mezzo pasticcio che si lascia vedere, con una punta di noia, perchè gli elementi non si fondono, e la sensazione di forzatura che si prova fin dalle prime scene, non abbandona mai lo spettatore. Come un piatto azzardoso, in cui però non è stata infusa la sufficiente bravura dal creatore, oppure non sono stati adoperati quegli accorgimenti fondamentali per amalgamare il gusto. 

giovedì 6 aprile 2017

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I MIGLIORI ANNI DELLA NOSTRA VITA
( The best years of our lives, USA 1946)
DI WILLIAM WYLER
Con MIRNA LOY, FREDRIC MARCH, DANA ANDREWS, Virginia Mayo.
DRAMMATICO
Un titolo che è diventato anche un modo di dire, per una pellicola che, tratta dal romanzo omonimo di MacKinlay Kantor, si fece onore alla consegna degli Oscar, vincendone ben otto, su nove candidature, e diventò uno dei titoli più importanti della Hollywood dell'appena nato dopoguerra. Finito il secondo conflitto mondiale, il racconto inquadra tre reduci, e i loro problemi nel rientrare in una vita "normale" dopo l'esperienza bellica: se l'ufficiale dell'aviazione deve fare i conti  con una situazione economica disagiata, ed un matrimonio contratto con fin troppo entusiasmo ( dopo venti soli giorni di conoscenza) con una bella donna, ma con la quale non ha niente in comune, il sergente di età matura che rientra in banca, deve affrontare compromessi con la propria coscienza, e il terzo, marinaio, ha perduto entrambe le mani nell'affondamento del vascello su cui prestava servizio. Il film di Wyler, pur in veste hollywoodiana, compì un'operazione non lontana, nelle intenzioni, dall'ondata neorealista italiana, sottolineando problematiche che avevano a  che fare con molti che erano tornati a casa e si ritrovavano in situazioni simili a quelle narrate nel lungometraggio. La regia evita il melò e racconta con compostezza ed equilibrio tre storie che si incrociano, verosimilmente: la sequenza che rimane nella mente dello spettatore è il ritorno dell'aviatore, allo sbando e deluso dal ritorno in società, percorre il deposito degli aerei e sente il rombo dei motori dentro di sè. Tra gli interpreti, tutti molto bravi, da citare la misura di March, vincitore dell'Oscar come miglior protagonista. 
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SILENCE ( Silence, USA/MEX/TW/I/GB/JAP 2016)
DI MARTIN SCORSESE
Con ANDREW GARFIELD, Adam Driver, Tadanobu Asano, Liam Neeson.
DRAMMATICO/STORICO
Annunciato da anni da Martin Scorsese, il progetto di trarre un film da "Silenzio", romanzo di Shusaku Endo, ambientato nel Seicento, su due preti gesuiti che scelgono di andare in Giappone alla ricerca del loro padre spirituale, il sacerdote Cristovao Ferreira, dopo che l'uomo non ha più dato di notizie di sè. La pellicola, tuttavia, si apre con una visione di morte: Ferreira, catturato e sotto minaccia, è costretto ad assistere alla tortura ed all'uccisione di altri confratelli da parte di autorità nipponiche, e pare che lo stesso religioso, sparito nel nulla, abbia abiurato la religione cristiana, e sia divenuto devoto ai suoi torturatori. I film ad impronta maggiormente religiosa dell'autore de "L'ultima tentazione di Cristo", che pure scatenò polemiche e discussioni alla sua uscita, sono probabilmente tra i meno frequentati dal pubblico, nella filmografia scorsesiana, ma anche i più sentiti del regista: come si sa, passato dalla prospettiva di un percorso ecclesiastico ad una carriera nel cinema straordinaria ( e per fortuna, da cinefili è normale pensarlo), Scorsese ha rimandato per decenni questo suo lavoro, cambiando via via i nomi degli interpreti che avrebbero dovuto ricoprire le parti principali. La ricerca di padre Ferreira, quasi come quella di Kurtz in "Apocalypse now" è lunga, densa di accadimenti violenti, in un Paese che cela a malapena un'ostilità feroce, e alla sua fine muterà notevolmente il ricercatore. "Silence" è un'opera che in diversi della stampa addetta hanno etichettato come "flop", ma è difficile pensare che sia chi l'ha prodotta, che chi l'ha scritta e diretta, pensasse di star lavorando ad un campione di incassi: è un film-fiume, lungo quasi tre ore, che narra una ricerca di risposte, di fronte appunto al "silenzio di Dio", perchè se Rodrigues, il protagonista impersonato da Andrew Garfield, cita il Vangelo domandandosi come Gesù Cristo, perchè la divinità l'abbia abbandonato, di fronte alla violenza ed al rischio di sofferenze e morte imposte dalle autorità religiose e politiche giapponesi dell'epoca, riguardo a chi professa la religione cristiana. Però, pur apprezzandone certi passaggi, come la prospettiva particolare di certe inquadrature, quasi a simboleggiare lo sguardo dall'alto verso le pochezze umane, e il ritratto dell'inquisitore, figura sorridente e vellutata, ma di fatto mandante delle crudeltà verso i prigionieri che ci vengono mostrate, come molti lavori fin troppo sentiti dagli autori, questo è un film cui porsi con attenzione e rispetto, ma che non coinvolge mai fino in fondo, ed il confronto tra Rodrigues e Pereira delude le aspettative dello spettatore, giocando sull'ambiguità delle parole dell'apostata e il non detto tra i due personaggi. Certo, la materia è complessa, ma se il senso del lungometraggio era il raggiungimento di una Verità dello spirito da nascondere al mondo, e da perseguire in un silenzio al prossimo da non spezzare, in un dialogo esclusivo con la divinità riconosciuta,  ciò non affiora in maniera evidente.