IL CITTADINO SI RIBELLA (I,1974)
DI ENZO G.CASTELLARI
Con FRANCO NERO,Giancarlo Prete,Barbara Bach,Renzo Palmer.
DRAMMATICO/AZIONE
Quasi in anticipo su Paul Kersey,l'architetto americano che si tramuta in vigilante spietato ne "Il giustiziere della notte",un ingegnere genovese,che è stato sequestrato e pestato da una banda di delinquenti durante una rapina in banca,si mette in testa di rintracciare i malviventi e fargliela pagare.Nonostante la polizia,rappresentata da un commissario che tratta con ostilità il protagonista,la bella fidanzata,e chiunque gli sconsigli di non intestardirsi nel suo assunto,l'uomo riesce a raccapezzare la gang,e viene ulteriormente picchiato a sangue dai quattro:liberatosi con l'aiuto di un intrallazzatore,che però si rivelerà essere tutto sommato meno simile ai banditi di quanto sembri,mette in atto la propria vendetta.Oggi è un classico dell'italian exploitation,ma quando uscì,"Il cittadino si ribella",pur in maniera minore di altri titoli dei vari Stelvio Massi,Romolo Guerrieri,Umberto Lenzi & Co.,si guadagnò diversi strali critici,pur incontrando il favore di diverse platee:Franco Nero,rispetto ad altri "duri" del grande schermo action all'italiana,era quello che generalmente interpretava soggetti meno di destra,eppure qui si parla di vendite clandestine d'armi anche accettabili,regolamenti di conti a pallettoni,ordini della Pubblica Sicurezza regolarmente disobbediti,e uno Stato inerme cui bisogna non dare retta,pena la sopraffazione.Certo,c'è un pò più di costruzione della storia,e l'ingegnere ha una reazione più lenta e verosimile alle angherie violente della delinquenza,ma il succo è sempre il solito,tanto vale armarsi e levare certa gentaglia di mezzo.Franco Nero è qui un soggetto vulnerabile che quando si infuria non riesce quasi a spiccicare parola,tanto è il furore belluino che si impadronisce di lui,Giancarlo Prete,ex-stuntman,fornisce una prova da simpatica canaglia abbastanza credibile,Barbara Bach,qui agli esordi come attrice,era sempre un bellissimo vedere,Renzo Palmer un pò sprecato nel ruolo dello sbirro ottuso.Castellari,al solito,dà il meglio nelle scene di pura azione.
IL DELITTO PERFETTO (Dial "M" for Murder,USA 1954)
DI ALFRED HITCHCOCK
Con GRACE KELLY,RAY MILLAND,Robert Cummings,John Williams.
GIALLO
Tennista affermato,dopo la fine dell'agonismo,Tony Wendice è sposato con la bellissima Margot,donna di classe che però ha avuto una relazione con Mark Halliday,scrittore americano di romanzi gialli:non più innamorato della giovane,e consapevole del tradimento,Wendice architetta con melliflua efficacia l'assassinio di lei,ricattando un vecchio compagno di studi,ma i progetti non sempre vengono realizzati come concepiti.E le cose si complicano,naturalmente.Da un lavoro teatrale di Frederick Knott,che ha sceneggiato anche il lungometraggio,un classico della filmografia hitchcockiana che è stato rifatto nel 1998,con Michael Douglas e Gwyneth Paltrow,regolarmente stroncato dalla critica:ambientato quasi del tutto in interni,salvo qualche breve scena di raccordo,"Il delitto perfetto",rivisto oggi,rammenta in più di un passaggio "L'altro uomo-Delitto per delitto",per l'innesco del lato criminoso della storia (si incarica un perfetto estraneo dell'omicidio di un congiunto,onde confondere chi deve investigare sul movente,e avere più probabilità di farla franca),e naturalmente "Nodo alla gola" per la sua natura claustrofobica.Però,nel film con James Stewart,c'era un lavoro di regia più intenso e rischioso,condotto con successo:qua Hitch sa dirigere gli interpreti,che forniscono prove convincenti (Milland è di diabolica compostezza),e portare i dialoghi con ritmo frenetico e incalzante,ma la sua mano registica è meno felice che altrove.Responsabilità,forse,anche della sceneggiatura di Knott,troppo legata alle proprie radici teatrali.Certo,il film si gusta con piacere,ma la sensazione che si sia alle prese con un lavoro più superficiale e propenso a rivelarsi una macchina da suspence senza letture più a fondo,affiora più di una volta.
LUCY (Lucy,F 2014)
DI LUC BESSON
Con SCARLETT JOHANSSON,Morgan Freeman,Min-Sik Choi,Amr Waked.
FANTASCIENZA/AZIONE
La Sposa di "Kill Bill",la Natasha Romanova di "The Avengers", la Lara Croft del dittico con Angelina Jolie,la Alice di "Resident Evil",e perfino la diretta progenitrice su schermo Nikita?Dimenticatevele,Lucy è l'eroina più potente vista sullo schermo:rapita da una gang di spietati coreani e con un sacchetto di una nuovissima droga sintetica impiantato nello stomaco,alla rottura del corpo estraneo,la ragazza si trasforma in un essere che svilupperà ogni potenzialità del cervello umano,imparando a usare ogni cosa come un'arma,mutando aspetto,condizionando gli altri con la mente e utilizzare poteri telecinetici.Naturalmente,tutto ciò ha un controcanto:in ventiquattro ore arrivera a poter usare il 100% della propria mente,ma andrà oltre i limiti del suo involucro di carne,ossa e sangue,e rischia di autodistruggersi.Luc Besson,dopo anni in cui i propri maggiori successi erano la produzione della serie "Taxxxi!" e la trilogia per ragazzi "Arthur e il popolo dei Minimei",torna a una forte affermazione commerciale con questo action thriller a sfondo fantascientifico,che in USA è stato uno dei non moltissimi campioni dell'estate al box-office.A livello visuale la pellicola funziona,con un incipit aggressivo,che scaglia subito lo spettatore dentro l'azione,e l'idea di un personaggio che riesce a utilizzare ogni potenzialità cerebrale era stuzzicante,ma a questo punto,pur riconoscendogli una capacità di andare oltre certi limiti produttivi europei,si può anche dire che è sopravvalutato,oggi come ieri.Narrativamente,"Lucy" sembra scritto da un bambino di sette anni,con buchi nella storia incredibili (chi la sequestra ai sequestratori?come finisce l'incidente sull'aereo?chi ha sparato all'idiota che l'ha coinvolta nel giraccio?come può in ventiquattro ore un uomo che si è beccato due pugnali nelle mani utilizzarle per sparare a go-go?),approda a un finale scontatissimo e senza un colpo di scena che sia uno.In più,Morgan Freeman nei panni dello scienziato dalla mente aperta è ormai un clichè (ma che sia così geniale non è semplicissimo notarlo,qua),e Scarlett Johansson alterna frenetici movimenti delle mani a lunghi momenti da seduta,con una fissità espressiva che non le conoscevamo.Può essere un successone,ma se si parla di limiti ce ne sono eccome.
INTO THE STORM (Into the storm,USA 2014)
DI STEVEN QUALE
Con RICHARD ARMITAGE,SARAH WAYNE CALLIES,MATT WALSH,JEREMY SUMPTER.
CATASTROFICO
Il cacciatore di cicloni è certo un mestiere inusuale,ma con i vari canali delle pay-tv,e Internet,riprese di tempeste macroscopiche fanno impazzire l'audience,e conquistare interesse da parte di ascoltatori curiosi di cose impressionanti.Già "Twister",nel 1996,se ne era occupato con successo,e "Into the storm" narra una vicenda analoga,in forma ammiccante al mockumentaru,con vari personaggi che registrano con tablet,cellulari,videocamere e quel che capita il tremendo fenomeno atmosferico che flagella,sempre più spesso,il suolo statunitense.La riflessione sul clima che sta mutando c'è,anche se sbalzata ben presto via dalla voglia di stupire la platea con scene cataclismatiche di una certa forza:senza nomi di grido,in cui l'unico abbastanza conosciuto del cast è Richard Armitage,truccato da capo dei nani ne "Lo Hobbit",il film snoda una serie di sequenze catastrofiche,ben realizzate tecnicamente,ma piuttosto improbabili,e con personaggi che,spesso,hanno più funzionalità che altro,avendo l'interesse di storia e regia finchè appunto non vengono tolti di mezzo dalla furia della tempesta,o si ritrovano a compiere un atto di coraggio.La cosa che maggiormente impressiona,in questo lungometraggio,è la necessità di registrare,guardare con occhi elettronici e catturare qualche attimo per rivederlo,implicando un voyeurismo incistato ormai nella collettiva maniera di ragionare e guardare al mondo:e per dirla tutta,l'americanata emerge quando il gruppo al centro della vicenda per non soccombere al furore degli elementi,si rifugia in una solida chiesa,e quando la pur strappata e segnata bandiera USA sventola ancora,con maniche delle camicie tirate su per ricominciare.Per certi versi un inno all'ottimismo,ma un bel pò di retorica circola,eccome.
THE LINCOLN LAWYER (The Lincoln lawyer,USA 2011)
DI BRAD FURMAN
Con MATTHEW MCCONAUGHEY,Ryan Philippe,Marisa Tomei,William H.Macy.
THRILLER
L'avvocato Mick Haller è divorziato ma c'è ancora del tenero con l'ex-moglie,con la quale ha una figlia:non ha un ufficio,ma riceve nella sua Lincoln,che viene guidata da una persona che ha assistito tempo prima,e viene contattato dal rampollo di una potente signora, accusato di aver pestato selvaggiamente e poi ucciso una prostituta,nonostante il giovane si proclami innocente.Sulla coscienza di Haller pesa anche un caso vecchio,di un uomo probabilmente non colpevole e recluso,e a un certo punto il protagonista si ritroverà,pesantemente dibattuto tra l'etica professionale e la propria coscienza,e anche a rischio della vita delle donne di casa.Tratto dal romanzo "Avvocato di difesa",di uno dei migliori giallisti viventi,Michael Connelly,"The Lincoln lawyer" è un lungometraggio abbastanza inspiegabilmente giunto "straight to video" qui da noi.E' vero che Matthew McConaughey ha trovato nuovo appeal e nuova considerazione solo dopo aver preso parte a "Killer Joe",e al conseguente premio Oscar vinto per "Dallas Buyers Club",ma questa è comunque una pellicola che ha incassato quasi 60 milioni di dollari in patria,tratta da un romanzo di uno scrittore piuttosto conosciuto,soprattutto tra gli appassionati del thriller,e annovera un cast di tutto rispetto,considerando che ci sono,oltre al protagonista,Marisa Tomei,William H.Macy,Bryan Cranston,John Leguizamo,Ryan Philippe.Misteri della distribuzione.Va detto,però,che nonostante una storia discreta,e un buon livello di recitazione del cast,è la regia il maggior difetto di questo film.Furman dirige con ritmo,ma più di una volta si ha la sensazione di star assistendo al pilot di una nuova serie thriller,realizzata con molta cura,ma che rimandi a puntate seguenti.Giocato su un dilemma etico e su una tensione abbastanza prevedibile circa l'individuazione della verità,è un intrattenimento apprezzabile,soprattutto nella prima parte.
BASTA CHE NON SI SAPPIA IN GIRO (I,1976)
DI NANNI LOY,LUIGI MAGNI,LUIGI COMENCINI
Con NINO MANFREDI,MONICA VITTI,JOHNNY DORELLI,Lino Banfi.
COMMEDIA
Tre episodi,tre registi,e tre star della commedia all'italiana degli anni Settanta,con due delle quali impegnate in due dei segmenti,e la terza solo in uno.Nel primo,Johnny Dorelli è uno sceneggiatore che detta la sua ultima creazione ad una dattilografa che si immedesima nella protagonista del racconto,nel secondo un gruppo di detenuti sequestra un secondino minacciando di "fargli la festa",sessualmente parlando,se non verrà il ministro della Giustizia a sentire le loro rimostranze,e nell'ultimo,un tizio solitario chiama una maitresse affinchè gli mandi una donna,e invece arriva una che non c'entra nulla,ma con un sacco di repressione addosso. Se il primo capitolo,diretto da un Nanni Loy vistosamente fuori tono,si risolve in una scioccherella,e curiosamente malinconica,seduzione della donna da parte dell'artistoide inconsapevole,ma conscio della mediocrità dei propri scritti,e l'ultimo,a firma Comencini, utilizza un classico elemento da pochade come l'equivoco di persona per accostare due solitudini e però nel finale rimarcare come evidentemente le due persone siano fatte per essere come sono,in quello centrale,di Luigi Magni,c'è più materia e miglior scrittura,per un problema sociale e una forma strana di solidarietà tra recluso e sequestratori,nonostante la minaccia che cova sotto.Ennesimo esempio di film a episodi dall'andamento altalenante,non è particolarmente esecrabile,ma con le firme che porta,un bel pò di delusione è comprensibile:tra gli attori,Monica Vitti un pò troppo ripetitiva nelle nevrosi e negli abbandoni dei due personaggi ricoperti nel primo e nell'ultimo pezzo,Johnny Dorelli fuori fuoco come soggettista altezzoso,meglio Nino Manfredi,sia come guardia in pericolo di perdere onore e una certa forma di verginità,che come introverso dedito al modellismo e a un'amarognola solitudine.
PAURA E DELIRIO A LAS VEGAS
(Fear and loathing in Las Vegas,USA 1998)
DI TERRY GILLIAM
Con JOHNNY DEPP,BENICIO DEL TORO,Christina Ricci,Tobey Maguire.
GROTTESCO
Un serpente infinito l'asfalto,una spider che corre a tutto spiano,e sopra due tipi non granchè raccomandabili,il giornalista Raoul Duke e il suo avvocato Gonzo,riforniti di droghe e tante variazioni sul tema sballo totale,che si recano a Las Vegas,terra di fittizie emozioni,costruita sul Nulla,in mezzo a un deserto:è il 1971,e i tempi stanno cambiando.Un delirio rutilante di visioni,impressioni e spruzzi di divagazione visiva,caratterizza "Paura e delirio a Las Vegas",fin da subito battezzato come titolo di culto,con due prossime star (Depp a quei tempi era considerato un maudit a Hollywood,Del Toro si stava facendo conoscere) al centro dell'astrusa non-vicenda,e una girandola di facce note tutta intorno,anche in ruoli brevissimi (Christina Ricci,Ellen Barkin,Harry Dean Stanton,Cameron Diaz....) ad attraversare il raid allucinogeno del duo.Dagli scritti di Hunter S.Thompson,un capriccio lisergico a firma Terry Gilliam,che contempla il nonsense dell'Impero Occidentale,al suo apice di futilità,a Vegas:se l'opera si può tradurre in una possente manovra tra creatività visiva e traballamento narrativo,perchè di canonico,questo film,non racconta praticamente niente,non c'è progressione drammatica,solo un sardonico essere sempre "dentro" qualcuno che è "fuori" di testa,Gilliam ci mette una zeppa delle sue.In un carosello variopinto e amorale quale questo lungometraggio,il regista fa passare,appunto,la convinzione propria che dinanzi al mutamento di tempi e dall'avviarsi verso una società lontana da certi valori,e affacciarsi verso un caos non ufficiale.Tra i protagonisti,meglio Del Toro di un Depp fin troppo ammiccante al pubblico,e resta soprattutto l'impressione di un film probabilmente minore,ma furibondo,repentino e irrisolto,ma curioso.
ALLA RICERCA DELL'ASSASSINO
(Everybody wins,USA 1990)
DI KAREL REISZ
Con NICK NOLTE,DEBRA WINGER,Will Patton,Jack Warden.
GIALLO
Non è detto che i progetti convincenti assai sulla carta,poi divengano riusciti se messi in pratica:accade nel calcio,nella musica,e naturalmente anche nel cinema.Un regista interessante come Karel Reisz dirige una sceneggiatura firmata da Arthur Miller,per protagonisti due interpreti di spessore come Nick Nolte e Debra Winger,per un giallo che vede un investigatore piuttosto conosciuto,che viene chiamato in causa da una strana donna,la quale si è messa in testa di tirar fuori dal carcere un giovane che lei dice essere innocente,accusato di omicidio.La regia di Reisz,tutto sommato,non è qua intonatissima,ma procede senza eccessive sbavature,e Nick Nolte fa il possibile per rendere accettabile un personaggio che dovrebbe essere dotato almeno di acume o dell'esperienza necessaria per annusare che c'è odor di trappola:altro discorso,e ben più severo,per una Debra Winger clamorosamente fuori parte,che annaspa dietro ad una dark lady che non risponde una volta che sia una a una domanda,punta tutto sul suo potere seduttivo e risulta eccessiva in ogni battuta pronunciata e movimento fatto.Per dipingere un quadro di serena,consapevole corruzione di provincia,Miller non ha propriamente generato una cosa riuscita,e d'altra parte,lo sceneggiatore per il cinema non era il suo mestiere:prevedibile come thriller,superficiale come film drammatico,"Everybody wins" (il titolo originale,guarda strano,è ben più coerente con il racconto di quello italiano) è un giallo che zoppica fin dall'inizio,e non può che peggiorare,nel corso della storia.
DOMANI MI SPOSO (I,1984)
DI FRANCESCO MASSARO
Con JERRY CALA',Isabella Ferrari,Milly Carlucci,Karina Huff.
COMMEDIA
Arturo Righetti sta per sposarsi con la figlia del principale,Susy,e prima del fatidico "Sì",rivive in flashback gli eventi sentimentali degli ultimi anni,comprese altre avventure e come ha conosciuto la futura consorte:ma da vitellone impenitente,complice l'addio al celibato e l'incontro con una bella ex,riesce a inguaiarsi non poco.Veicolo per un Jerry Calà all'epoca molto richiesto dai produttori (ma ha sempre funzionato messo insieme ad altri comici,da solo,a parte "Colpo di fulmine",difficilmente ha reso bene...),"Domani mi sposo" circonda l'attore siculo-veronese di bellezze sulla cresta dell'onda,da Isabella Ferrari,l'unica ad avere in seguito una vera carriera cinematografica,a Milly Carlucci (risultata molto meglio come conduttrice televisiva),e Karina Huff :ci sono altri caratteristi spesso presenti nelle commedie giovaniliste di quegli anni,a partire da Guido Nicheli,e un giovane Claudio Bisio,e l'effetto è quello d molte altre volte.Scrittura scarsa,pochissime o alcune occasioni per ridere,o almeno sorridere,situazioni telefonate a iosa,e un clima di giuliva superficialità che contraddistingue il filmetto.Qui,se possibile,Calà evidenzia molti dei suoi limiti attoriali,poco aiutato da una regia quasi nulla,insulsa,anche perchè Francesco Massaro,che non è mai stato esattamente un cineasta di spicco della nostra cinematografia,perlomeno nel genere scollacciato delle sexy commediole con Banfi,Fenech e Bouchet sembrava più a suo agio.Qui è frenato,e il tutto si risolve in un pastrocchio abbastanza uggioso,con obbligatissimo lieto fine.
I SEGRETI DI OSAGE COUNTY (August:Osage County,USA 2013)
DI JOHN WELLS
Con MERYL STREEP,JULIA ROBERTS,Julianne Nicholson,Ewan McGregor.
DRAMMATICO
In una piana persa nella profonda America,Osage County,sparisce per qualche giorno il capofamiglia Weston,scrittore dedito all'alcool e ad una convivenza di concordata tregua con la moglie Violet,affetta da un tumore alla bocca e da una personalità soverchiante,oltre che da una dipendenza dai farmaci ormai divenuta difficile da controllare:si riuniscono le figlie della coppia,e quando viene fuori che l'uomo si è suicidato in un lago,riemergono gli astii e le rabbie tenute faticosamente a bada negli anni.Candidato a Oscar importanti,naturalmente per le interpreti femminili,visti i nomi in gioco,"I segreti di Osage County",è uno dei grandi film della stagione 2013/14,assieme a "Nebraska",che meglio raccontano certa America solitamente ai margini.Arena di figure femminili tenute insieme dal rancore reciproco,con gli uomini poco influenti sullo scorrere delle esistenze,frastagliate,avvelenate dai rapporti tra personalità e dalle occasioni perse un pò da tutti,la pellicola,tratta da una pièce di Tracy Letts (e si sente che c'è una donna dietro a una scrittura del genere) e diretta da John Wells che concentra l'azione tutta o quasi in interni,è di quelle che fanno arrivare ai titoli di coda con poca voglia di alzarsi dalla poltrona.Ambientata tra due passaggi di "Lay down Sally" di Eric Clapton,di cui è appassionata Violet,vede uno scatenarsi di sfide,verità azzoppanti,e crudeltà varie miscelate ad un'analisi del fallimento personale raramente messo in scena con un'asciuttezza tale,e un sapore amaro di verità che resta fortemente impresso.Meryl Streep,che deliri veritiere cattiverie ad una cena di famiglia,o balli farneticante le note di Clapton,è in una gran prova da attrice matura,a un passo dall'istrionismo,ma sempre in tono con la cifra del racconto,Julia Roberts avrebbe meritato di vincere l'Oscar,dando la sua prova migliore nel registro brillante,nell'interpretare l'incarognita e dura Barbara,che è il personaggio più forte,e al quale comodamente ognuno spala la sua dose di mollezza,sapendo che è appunto quella più capace:tutt'intorno,bei numeri d'attore, Juliette Lewis a Chris Cooper,passando per tutti gli altri.E nella solitudine di Barbara,nel finale,che guida via da casa Weston mentre le note di "Last mile home" accolgono i titoli,c'è ben più di un motivo per avere gli occhi lucidi,o un groppo in gola.
UN MATRIMONIO DA FAVOLA (I,2014)
DI CARLO VANZINA
Con RICKY MEMPHIS,EMILIO SOLFRIZZI,ADRIANO GIANNINI,STEFANIA ROCCA.
COMMEDIA
Dopo la scuola,facile che ci si possa perdere di vista,e così è accaduto anche a Daniele,che lavora in una banca svizzera,e sta per sposarsi con la bella figlia del banchiere,e ai suoi compagni di liceo:ognuno,giunto alla soglia dei quaranta,ha la sua storia,e le sue scontentezze.Dal seduttore che fa la guida turistica,alla calciatrice che si è sposata un ometto petulante,da quello che si è sposato un'avvocatessa divorzista ferocissima e appiccicosa,e ha intrapreso una relazione con una bellissima donna più giovane,al militare in carriera che convive con un uomo e nasconde la propria situazione agli altri.Per rivedersi,e anche perchè i suoi invitati,rispetto alla parte della sposa,sono pochissimi,il bancario invita gli amici di un tempo,che porteranno al weekend di nozze un bel pò di agitazione.Venuto dopo il mancato rilancio di "Sapore di te",che avrebbe dovuto rinverdire i fasti di "Sapore di mare" per la carriera dei Vanzina Bros.,"Un matrimonio da favola" rientra nella parte corale della filmografia di Carlo ed Enrico,i figli di Steno,di cui comunque sono stati successori (meno efficaci,tutto sommato,anche perchè figli di papà e meno collegati alla società "normale"),e se qualcosa funziona,tipo lo zio di Daniele,il ladruncolo Max Tortora,o qualche situazione da pochade abbastanza simpatica,va da sè che l'avvio è pretestuoso (ma chi invita amici che non vede da oltre vent'anni al proprio matrimonio?),Solfrizzi,per quanto abile commediante,è vistosamente fuori quota rispetto agli altri,e la logica finale che vede un preteso reinverdire delle aspettative di ognuno,buttandosi allo sbaraglio (sì,però se il cambio ha una bella macchina sportiva e probabilmente un bel conto in banca,è sempre meglio...) è un mezzo scivolone.Piaciuto abbastanza a parecchi critici,diciamo che si lascia vedere,ma è difficile notare le differenze con certe fiction tv brillanti targate Mediaset o Rai.
THE GIVER-Il mondo di Jonas (The Giver,USA 2014)
DI PHILLIP NOYCE
con BRENTON THWAITES,Jeff Bridges,Odeya Rush,Meryl Streep.
FANTASCIENZA
L'ondata di fantascienza distopica che ha invaso il grande schermo,narrante società apparentemente perfette che nascondono incubi ai lati dell'inquadratura e si basano su segreti orribili,continua:di scena è una sorta di "isola felice",una terra circondata da nebbie che fungono a mò di Colonne di Ercole,in cui i giovani vengono allevati,e indirizzati verso incarichi di responsabilità,in una cerimonia che sancisce la fine dell'adolescenza e l'assegnazione di una professione.Escluso da lavori "normali",Jonas viene designato come "il prescelto",e deve farsi instruire da un "donatore",una sorta di eremita che detiene,in una casa isolata,e più vecchia delle altre abitazioni,la cultura della società.Ma l'uomo è in realtà un ribelle che aspetta un erede che abbia la forza di andare oltre le false sicurezze di quel mondo,e veda tra le righe di un ipocrita rispetto per le regole,la crudeltà di leggi da applicare senza colpo ferire.Diretto da Phillip Noyce,che negli ultimi anni sembra essersi defilato dal cinema hollywoodiano da grandi cifre,sia di produzione che di incasso,"The Giver" è tratto anch'esso da un romanzo destinato ai giovanissimi,di Robert B,Weide,ma rispetto a prodotti analoghi quali "Divergent" e "Hunger games" la qualità è migliore:c'è una buona cura della recitazione,e la trama si snoda senza accelerazioni fuori luogo,verso una chiusa umanista non banale.Noyce contrappone due big hollywoodiani come Jeff Bridges e Meryl Streep,come figure di riferimento antitetiche,l'uno consapevole della Conoscenza,cupo ed entusiasta,amaro e sarcastico,l'altra rigida e falsamente rassicurante.L'apologo manda libero il messaggio della necessità dell'esperienza,ed è comunque un'asserzione,soprattutto se riguardante i giovani,cui un'operazione è principalmente rivolta,degnissima di riguardo.
CATTIVE COMPAGNIE (Bad influence,USA 1990)
DI CURTIS HANSON
Con JAMES SPADER,ROB LOWE,Lisa Zane,Marcia Cross.
THRILLER
Occhio alle nuove amicizie:lo yuppie Michael viene soccorso,in un bar,dallo sveglio Alex,dall'aggressione di un bullo,e dopo averlo ritrovato,comincia a frequentarlo,attratto dalla vitalità e dalla destrezza del bel giovane,che rimorchia,lo spinge a darsi una scossa,e lo porta in giro scuotendolo dalla sua vita programmatissima.Però,ci sono effetti collaterali assai gravi,a partire dal matrimonio annunciato con la fidanzata di famiglia bene che salta.... Un thriller come negli anni Novanta abbondavano,visto che vertevano,a partire da "Attrazione fatale" in poi,sulla naturale diffidenza di persone solitamente controllatissime,che rimangono affascinate da qualcuno che sconvolge la linearità della loro esistenza,infilandosi in guai a non finire,in una spirale che contempla erotismo,rischi e violenza.Però Curtis Hanson è un buon regista,che forse ha perso il treno per laurearsi autore a tutto tondo,però sa confezionare una pellicola di intrattenimento di spessore,buona mano nel condurre gli interpreti,e una certa abilità nel portare avanti le trame scelte.Nel carosello di eccessi che porta dal sesso occasionale con belle sconosciute,alle scorribande alcooliche,fino alle spedizioni punitive verso i colleghi dello yuppie e l'omicidio cui segue il ricatto,in cui i due personaggi principali si avviano,legati l'uno all'altro,si subisce l'iniziale simpatia del "maledetto" e ci si chiede fino a che punto vivrà passivamente la situazione l'inquadratissimo coprotagonista,tra il primo,interpretato da Rob Lowe che,all'epoca,sembrava avviato a tutt'altra carriera (ma ci fu lo scandalo che la compromise,va detto),e il secondo,impersonato da James Spader,negli anni risultato un buon attore,mai star,nonostante diversi titoli importanti che lo hanno visto nel cast.Peccato per il finale un pò forzato,ma è un thriller abbastanza brillante.
LA SPIA CHE VENNE DAL FREDDO
(The spy who came in from the cold,GB 1965)
DI MARTIN RITT
Con RICHARD BURTON,Claire Bloom,Oskar Werner,Peter Van Eyck.
SPIONAGGIO
"Esiste una sola regola:la convenienza!",grida in faccia all'idealista Claire Bloom l'agente segreto Richard Burton,che le spara addosso tutta la crudele verità sul conflitto in atto tra blocco occidentale e paesi dietro la Cortina di ferro.Che John Le Carrè abbia realizzato il controcanto "serio",benchè venato da un'ironia amara,del mondo delle spie occidentali e orientali,delle avventure di James Bond,firmate Ian Fleming su carta,da vari registi dietro allo 007 di turno sullo schermo,è risaputo.A metà anni Sessanta uscì uno degli adattamenti da uno dei suoi romanzi più celebri,già riguardante il mondo di George Smiley,che qui è presente come personaggio importante ma "laterale",diretto da un cineasta oggi forse troppo poco considerato,alla stregua di autori popolari quali Robert Rossen,Richard Lester,John Frankenheimer,e molti altri:ubriacone,trasandato,introverso e poco simpatico a tutti,Alec Leamas sembra lasciarsi avvicinare da agenti sotto copertura del sistema socialista,nonostante sia stato di stanza per anni a Berlino,e va in Germania Est per vendere segreti,tenuto in una sorta di ospitale prigionia da parte di alcuni funzionari,che non sanno se fidarsi o meno dello scorbutico inglese.Il film sa immergere lo spettatore in un'atmosfera plumbea,smorta,disincantato sugli idealismi in guerra,apparentemente cinico nel presentare tutti i motivi di asprezza verso politica e rapporti umani,salvo in extremis stupire con un guizzo che,come in molti racconti di Le Carrè,tramuta una storia di suspence,in un apologo umanista.Bravissimo Richard Burton in un ritratto di scellerato ostile e falsamente freddo,non è da meno Oskar Werner veemente "cattivo" all'apparenza,vera vittima della macchinazione.
I MERCENARI 3 -The Expendables
(The Expendables III,USA 2014)
DI PATRICK HUGHES
Con SYLVESTER STALLONE,Jason Statham,Antonio Banderas,Arnold Schwarzenegger,Mel Gibson.
AZIONE
Il più annunciato dei tre episodi,con un cast che stavolta ha annoverato davvero altri nomi pesanti nel corollario del genere d'azione:Mel Gibson e Harrison Ford si sono uniti al clan capitanato da Sylvester Stallone,uno nei panni del "villain",l'altro di un alleato di Barney Ross,il leader degli Expendables.Oltre a loro,pure Wesley Snipes,che rientra su un set per la prima volta dopo la condanna e la pena scontata per evasione fiscale,e Antonio Banderas,che rappresenta il personaggio "comico" del gruppo.Tra un'incursione e una sparatoria,la sporca band che conosciamo dal 2010 viaggia tra Asia Minore,Africa,Nord-America e Europa Orientale,con reclutamento di nuove leve,e nuovi scontri con armi di ogni foggia e potenza,dai pugnali ai mitragliatori:i vecchi membri dell'equipaggio sembrano non reggere il passo con i tempi,e nuove insidie,così Ross ingaggia giovani per accompagnarlo in una missione forse suicida,per chiudere i conti con un ex-socio creduto morto e riciclatosi come trafficante di armi pesanti in Russia.Teatro dello showdown l'Armenia,con plotoni del locale esercito a circondare gli Expendables in uno stabile minato.Affidato allo sconosciuto Patrick Hughes,il capitolo tre delle avventure dei mercenari raccatta-vecchie glorie,è coerentissimo con il menu,che prevede spacconate di ogni tipo,una dozzina di soldati che debellano reggimenti interi,ferendosi al massimo da richiedere un paio di punti di sutura,nonostante l'alto rischio delle loro missioni,e poco simpatiche considerazioni su paesi sovrani,come appunto l'Armenia,indicata come nazione corrotta.Però,se il film presenta le ovvie inverosimiglianze di rito,ed è più che altro una sfilata di stagionate facce note per gli appassionati del cinema avventuroso dagli anni Ottanta in avanti,quello che resta maggiormente è il finale,gli occhi lucidi di Sly e Co.,consapevoli che non restano molti giri di giostra,e che gran parte del tempo è andata:in questa prospettiva,un'operazione che mette insieme nomi che vent'anni fa avrebbero riempito le sale solo a figurare uniti su un manifesto,diventa manifesto di mancata resa che fa inevitabilmente simpatia,e coglie solidarietà.
GRAND BUDAPEST HOTEL (Grand Budapest Hotel,USA 2014)
DI WES ANDERSON
Con RALPH FIENNES,TONY REVOLORI,Adrien Brody,Saoirse Ronan.
COMMEDIA
Un pò a sorpresa,è stato uno dei più sonori successi commerciali,da noi,della scorsa Primavera,superando oltre quattro milioni di incasso nelle prime visioni:per un film di un cineasta amato dai cinefili,ma non così apprezzato dal grande pubblico,è un mezzo trionfo.La cornice vede Jude Law e F.Murray Abraham incontrarsi al Grand Budapest Hotel,e il secondo gli racconta la sua storia,che è un pò anche quella del Novecento,filtrata attraverso eventi e personaggi che sono passati dalla sua esistenza,con base lo storico albergo.I nomi importanti nel cast pullulano:oltre ai citati,Ralph Fiennes,Harvey Keitel,Edward Norton,Jason Bateman,Tilda Swinton,Bill Murray,Jeff Goldblum e via enumerando,in una sarabanda di avventure,incarcerazioni,evasioni,fughe e inseguimenti,spionaggio e eserciti in guerra.Di materiale narrativo nell'ultimo titolo di Wes Anderson ce n'è eccome,e si vede che i numerosi attori accorsi ad interpretare parti anche consistenti,talvolta,in tre o quattro minuti sullo schermo hanno aderito all'operazione con entusiasmo.Però,a mio modestissimo parere,è il film meno riuscito del regista.Un divertissement può anche sostanzialmente raccontare poco,e consiste ,soprattutto,in una ricerca di leggerezza:solo che l'arzigogolata vicenda in scena risulta spesso macchinosa,ricca di incastri,sì,ma ogni tanto anche statica,e alcuni momenti,onestamente,risultano impensabilmente barbosi.Come andare ad un concerto ed assistere allo spettacolo di un chitarrista consapevole della propria destrezza,che si perde in svisature,impennate,scale e assoli senza fine,alla lunga il gioco stanca,e perde d'interesse.Peccato,perchè poteva essere una commedia unica,un lavoro di gran classe,ma non convince granchè,e di sorrisi ne riscuote assai pochi:neanche quelli in punta di labbro.
LA RAGAZZA DI NASHVILLE (Coal miner's daughter,USA 1980)
DI MICHAEL APTED
Con SISSY SPACEK,TOMMY LEE JONES,Beverly D'Angelo,Levon Helm.
DRAMMATICO
Regista non estraneo a biopic di donne coraggiose o particolari,vedi anche "Gorilla nella nebbia" (nel suo carnet anche un James Bond,con Pierce Brosnan),Michael Apted girò questa versione per il cinema della vita della cantante country Loretta Lynn,poco più che quarantenne all'epoca dell'uscita della pellicola:in America il film fu molto amato,guadagnando sette candidature all'Oscar,vincendo quella per la migliore attrice andata a Sissy Spacek,che vinse anche il Golden Globe per la migliore interprete di film musicali o commedie,oltre a quello per il miglior lungometraggio della categoria.Storia di una ragazza del Kentucky,figlia appunto di un minatore,come ricorda la sua canzone che dà il titolo originale al film,che si sposa prestissimo con un ex-soldato,che le ammolla un ceffone proprio la notte dopo aver promesso al suocero che non la picchierà mai,e che con il quale vivrà un amore ruvido e vivo,fatto di liti,diversi figli e slanci affettuosi,la pellicola sembra stare sospesa tra l'agiografia e il racconto di una fetta di Stati Uniti solitamente lontano dall'interesse del cinema.Non aiutato da un'edizione italiana che fa sembrare la protagonista,quando non canta,un'oca querula,il film di Apted è una discreta ricostruzione d'ambiente,non sempre a pieni giri di ritmo narrativo,con buone interpretazioni sia della Spacek che di Lee Jones,ma anche di Beverly D'Angelo,che interpreta Patsy Kline,alla quale pure verrà dedicato più tardi un film,"Sweet dreams",e il componente della Band,Levon Helm,che fa il padre della Lynn.
LA GENTE CHE STA BENE (I,2014)
DI FRANCESCO PATIERNO
Con CLAUDIO BISIO,Margherita Buy,Diego Abatantuono,Jennipher Rodriguez.
COMMEDIA/DRAMMATICO
Traendo spunto da un romanzo di Federico Baccomo,Francesco Patierno torna sugli schermi dopo due anni e mezzo da "Cose dell'altro mondo",sempre con Diego Abatantuono nel cast.Se nel titolo precedente,il tono tra il surreale e l'accusatorio,verso un Paese che si fa forte dei propri difetti,e nasconde la propria ipocrisia di fondo,poggiando proprio su cose di cui pubblicamente si vergogna,era funzionale al racconto,e comunque rendeva la pellicola piacevole,qui si tenta la via della black comedy,con un avvocato rampante che passa da un ruolo di potere al rischio totale di veder spazzar via tutti i vantaggi raggiunti in anni di carriera,sfruttando le disgrazie altrui:ma un gioco della sorte prima fa recuperare,poi rimette in gioco di nuovo la vita professionale,e non solo,del protagonista.Nel frattempo,c'è una moglie scontenta che è rimasta di nuovo incinta,un personaggio di spicco dell'ambiente del legale che potrebbe rilanciarlo,e una donna vistosa e misteriosa,che sembra attratta dall'avvocato,e che curiosamente gli si para davanti in più situazioni.Risultato un flop commerciale,"La gente che sta bene" parte come una commedia corrosiva,per tramutarsi in un dramma con coscienza verso la fine,e la presa di coscienza conclusiva del personaggio interpretato da Claudio Bisio è tutto sommato parecchio sommaria,risultando tra le non poche cose stonate dell'operazione.Un film senza ritmo narrativo,nonostante i vari arzigogoli del destino del protagonista,con buone intenzioni,ma scritto poco bene:Patierno non conferma le buone cose viste nel suo lavoro precedente,gli attori non sembrano a proprio agio,tranne un Abatantuono sardonicamente maligno,e si arriva al finale per inerzia,oltretutto con un quadretto di una solarità così smaccata da risultare oltremodo fasulla.
SNITCH-L'infiltrato (Snitch,USA 2013)
DI RIC ROMAN WAUGH
Con DWAYNE JOHNSON ,Jon Bernthal,Barry Pepper,Susan Sarandon.
DRAMMATICO/AZIONE
Imprenditore di successo nel settore trasporti,John Matthews ha una famiglia,con moglie e bambina,e un'ex-moglie,con figlio diciottenne:proprio quest'ultimo combina un guaio,accettando un pacchetto contenente droga,per fare un favore ad un amico,e si ritrova subito in carcere federale,con una pena che potrebbe giungere ai trent'anni di detenzione.Per venire in suo soccorso,il padre cercherà un accordo disperato con un procuratore senza scrupoli (Susan Sarandon),per infiltrarsi nel traffico di droga e colpire un signore di un cartello messicano.Girato come un film drammatico,essendo basato su uno spunto vero,diventa un film d'azione vero e proprio solamente nella mezz'ora finale,"Snitch".Veicolo per dimostrare che Dwayne Johnson,ex "The Rock",può interpretare anche ruoli che non comportino un'ora e mezza di prove fisiche o sparatorie sine die,il film è diretto da Ric Roman Waugh,ex-stuntman giunto qui alla terza regia:dotato di buona tensione,pur con qualche lentezza e lungaggine,il lungometraggio è ben costruito,riesce a tenere lo spettatore sul chi va là fino all'inseguimento conclusivo,tra i migliori visti al cinema negli ultimi anni,tra un tir e automobili alleate o nemiche.Attorno al piazzato protagonista,che passa l'esame,mostrando anche una discreta fibra d'interprete,in un ruolo più complicato di quanto possa sembrare a prima vista,la regia mette attori come Susan Sarandon,nelle vesti della donna di Stato arrivista e cinica,e Barry Pepper,come veterano della legge con un minimo di coscienza.Semmai,c'è da chiedersi se sia il caso di laureare come "integro" (così viene definito nel film) un ragazzo che fa dell'omertà un principio imprescindibile,ma per il resto è un discreto ibrido tra dramma e action movie.
SOTTO ASSEDIO-White house down
(White House down,USA 2013)
DI ROLAND EMMERICH
Con CHANNING TATUM,JAMIE FOXX,Maggie Gyllenhaal,James Woods.
AZIONE
Hanno scritto un pò dappertutto che Roland Emmerich passerà alla Storia del cinema come il regista che maggiormente ha "distrutto" la Casa Bianca,ma è la verità:se gli alieni di "Indipendence day" l'avevano polverizzata dall'alto,non è che i terroristi dall'interno di questo "Sotto assedio" facciano meno danni.Se nel di poco precedente "Attacco al Potere" la matrice terroristica era coreana,contro l'ammazzasette Gerard Butler e il presidente USA Aaron Eckhart,questa volta sono americani,reduci di guerra,complottisti con un insospettabile alleato esterno,un politico:due film praticamente fotocopia,per trama ,ambientazione,e schema narrativo,però,ad esser sinceri,lo scontro lo vince ai punti questo.Perchè,prima di tutto,è un film in cui si afferma che la colossale macchina da guerra delle industrie belliche americane punta a scatenare continuamente conflitti,ben lungi dal desiderare uno status di pace mondiale,e perchè comunque,sia pure in mezzo a mille spacconate,esplosioni,smitragliate e modi di allungare il brodo narrativo (su tutto,un inseguimento circolare attorno alla fontana frontestante la Casa Bianca,con annessa sparatoria,del tutto inutile,a livello di economia del racconto,perchè rimette le cose come stanno, pari pari,prima che avvenga),è presente una componente autoironica che fa accettare meglio questo lungometraggio.La coppia Tatum-Foxx sembra spuntarla sull'analoga accoppiata Butler-Eckhart,più disposta a sdrammatizzare e giocare qualche battuta,e sebbene tutta la trama sia telefonatissima,compreso l'alleato dei feroci eversori,tutto sommato,ci si annoia molto meno del temuto.
DUE COME NOI (Two of a kind,USA 1983)
DI JOHN HERZFELD
con JOHN TRAVOLTA,OLIVIA NEWTON-JOHN,Charles Durning,Oliver Reed.
COMMEDIA/FANTASTICO
Dio si è scocciato,annuncia agli angeli che formano una sorta di Gran Consiglio la decisione di scatenare un nuovo diluvio universale che si porti via tutta la spregevole razza umana:ma i "consiglieri" sono sbalorditi dall'annuncio,e fanno in modo da ottenere una settimana di tempo per convincere il Superiorissimo che l'Amore esiste ancora ,e che due tipi simpatici possono fare reciprocamente un gesto che lo convinca che l'umanità meriti ancora chances.Ed ecco l'inventore di cose poco utili Zack che,ricattato da dei tipi pericolosi,si improvvisa rapinatore ridicolo,con parrucca bionda e baffi neri,puntare la pistola sull'impiegata Debbie,che lo frega,però i due si piacciono,e forse si innamoreranno.Esordio da regista per John Herzfeld,che ne ha scritto il copione,il film fu un tonfo clamoroso,che sperava di rinverdire i fasti di "Grease", riproponendo la coppia Travolta-Newton-John,in una commedia a sfondo fantastico/sentimental/musicale,ma di fatto affossò definitivamente la carriera cinematografica della bionda cantante australiana,e fece imboccare a Travolta uno dei momenti neri della sua carriera.Sinceramente,la trama è una sciocchezzuola,che forse poteva andare ancor bene trent'anni prima,ingenua e caramellosa,ma nel 1983 sapeva già di fesso,la regia è latitante,gli attori,se Travolta è vistosamente svogliato,la Newton-John è decisamente fuori quota per il personaggio,e interpreti quali Charles Durning,Beatrice Straight e Scatman Crothers hanno indossato momenti di celluloide assai migliori.Discorso a parte merita Oliver Reed,diavolone in panciotto rosa e bombetta,in un'overdose di gigionismo indigesta e assurda,come quando intona "Rain" dei Beatles dopo aver fatto a torte in faccia.Un capitombolo che non ebbe fortuna nè con la critica,nè con gli spettatori,nonostante fosse arrivato a ridosso di un successo come "Staying alive",che aveva appena rilanciato John Travolta.E,come quando si fa una vacanza memorabile,repetita non iuvant,anzi:non bisognerebbe mai tornare dove ci si è divertiti tantissimo,il confronto è sempre impietoso.Come con le riproposizioni di coppie cinematografiche importanti, a volte.
LA TORTURA DELLA FRECCIA
(Run of the arrow,USA 1957)
DI SAM FULLER
con ROD STEIGER,Sara Montiel,Brian Keith,Charles Bronson,Ralph Meeker.
WESTERN
Un western di cui probabilmente ha tenuto conto Sergio Leone,anche perchè due degli attori principali del cast diverranno,anni dopo,protagonisti di due dei suoi film:Rod Steiger,qua reduce confederato che ha sparato l'ultima pallottola della Guerra di Secessione,e Charles Bronson,muscoloso capo indiano rude ma leale,interpreteranno poi,rispettivamente,"Giù la testa" e "C'era una volta il West".Se nella primissima parte,in effetti,tra una sorta di elegia del Sud che si oppose agli Stati Uniti di Lincoln,e la descrizione dei pellerossa come di barbari assetati di sangue,si ha l'impressione di star assistendo ad un western di destra,nel suo svolgersi,questa pellicola dimostra il contrario:anzi.L'uomo senza radici O'Meara,che,deluso dall'annessione al Nord delle giacche blu,sopravvive scorrettamente al rituale che dà il titolo originale al film,consistente in una corsa a piedi nudi inseguiti da indiani che hanno scoccato la freccia delineante il limite stabilito,e,innamoratosi della squaw che lo ha salvato,diventa una guida facente parte della tribù Sioux che lo ha accolto:nella storia,l'uomo cui il protagonistà sparò al petto,poi salvandolo,è divenuto un ufficiale baldanzoso e accecato dall'ambizione,alla Custer,e le loro strade si incroceranno ancora,quando O'Meara sarà la guida del drappello di cui fa parte l'altro,capitanato da un ufficiale moderno e con una visione democratica e aperta delle cose.Violento e ricco di sottotrame,pessimista sulla natura umana,"La tortura della freccia" è un western tra i primi a schierarsi dalla parte dei nativi americani,sottolineandone la cultura,l'invadenza dei bianchi e la loro tendenza a non rispettare le regole,e costruendo una trama avvincente e richiamante i classici della letteratura di guerra,risalendo anche ai Greci,si presenta come un western sottostimato ma importante.Se Rod Steiger mette passionalità e la carica recitativa giusta in un personaggio non esemplare,ma molto umano,Bronson è un verosimile guerriero pellerossa,Brian Keith è l'ufficiale dal destino sfortunato ma evoluto culturalmente,Ralph Meeker è il sopravvissuto ingrato,che conoscerà una fine purtroppo ancora più feroce dei suoi intenti,e Sara Montiel è un vero splendore.
COLPO DI FULMINE-Il mago della truffa
(I love you Phillip Morris,USA /F 2009)
DI GLEN FICARRA e JOHN FUQUA
Con JIM CARREY,EWAN MCGREGOR,Rodrigo Santoro,Leslie Mann.
COMMEDIA/DRAMMATICO
Sulla base del libro di Steve McVicker dal titolo "I love you Phillip Morris" (che richiama il celebre marchio amato dai tabagisti),una black comedy che si tinge di amaro in più punti della narrazione,ma riacquista positività giocando più di un tiro anche allo spettatore.Un truffatore pieno di risorse,che ovviamente surfa sulla fortuna e sulla credulità altrui,finisce in carcere,e si innamora di un altro detenuto,il senza malizia Phillip Morris del titolo.Un amore vero,torrenziale,che i casi e la vita proveranno a intralciare,e pure la truffaldina personalità del protagonista,ma,infine, riesce a superare tutto.Pure le malattie,a patto che siano vere...Diretto dal due Ficarra/Fuqua ,abili sceneggiatori di commedie al limite del "politically uncorrect" come "Babbo bastardo",e successivamente registi di "Crazy stupid love",il film è brioso,animato da un umorismo non troppo compiaciuto,e pure canaglia tanto da far prendere al racconto una piega quasi lacrimevole,salvo sorprendere con una sterzata quasi cinica.Bravissimi sia Carrey,in un ruolo da mattatore però opportunamente frenato,qua e là,dalla regia,e McGregor,candido e sentimentale,in una commedia d'amore che bypassa la questione omosex,e salta ogni convenevole per arrivare ad una qualità narrativa non comune,nel reparto brillante della Hollywood odierna.Infatti,è una produzione indipendente,grossi nomi a parte.
GIU' PER IL TUBO (Flushed away,GB/USA 2006)
DI DAVID BOWERS e SAM FELL
ANIMAZIONE
AVVENTURA
Dagli autori di "Wallace & Gromit",un film di animazione spigliato e brioso,ambientato per nove decimi nelle fogne,tra ratti,rospi,lumache e inseguimenti a piena velocità.Il topo "borghese" viene gettato nello scarico da un rattone volgare e casinista che ha fatto un'incursione nell'appartamento ove vive tra diversi agi;tra i tubi e i condotti delle fognature troverà una nuova dimensione,uno spirito avventuroso e l'amore,e combatterà contro il rospo-gangster che ha un piano per destabilizzare il mondo sopra.All'inizio sembra quasi fondamentale il contrasto tra il civilizzato topo di casa e il topastro selvatico,zozzone e urlante che viene dal sottosuolo,ma la sceneggiatura dribbla il clichè,ed imbastisce un vero e proprio racconto d'avventure che parodizza i film di James Bond,e altri titoli d'azione.Con la tecnica nota agli estimatori di "Galline in fuga" e il duo citato sopra,Bowers e Fell realizzano il loro terzo titolo per il cinema con una commedia ricca di verve,gustosa e con un umorismo di buona qualità che non perde colpi,ma diverte con il movimento gli spettatori giovanissimi,e con battute e situazioni i più grandi,e un'attenzione alla costruzione dei personaggi che non può che convincere.
A LETTO CON IL NEMICO (Sleeping with the enemy,USA 1991)
DI JOSEPH RUBEN
Con JULIA ROBERTS,Patrick Bergin,Kevin Anderson,Elizabeth Lawrence.
THRILLER
Sposata con un uomo benestante e di bell'aspetto,la giovane Laura ci mette un pò a rendersi conto di essersi coniugata con un despota,avvezzo alle maniere forti e a una crudeltà gratuita:durante una gita in barca,la donna si lancia in mare,viste le cattive condizioni climatiche,si finge dispersa,e si rifà una vita in un altro posto.Ma una telefonata di condoglianze da parte dell'istruttrice di nuoto della ragazza mette più di un dubbio al presunto vedovo,che si mette a ricercare la scomparsa....Thriller di buon successo in una stagione che vide la vera e propria esplosione del fenomeno Julia Roberts,tratto da un racconto di Nancy Price,"A letto con il nemico",se da un lato si può dire che è tra i non moltissimi film incentrati sul dramma delle violenze domestiche,c'è però da constatare la superficialità,grave,dell'insieme dell'operazione.Un giallo di una certa insulsaggine,un'atmosfera da thriller per la tv pomeridiana,scarsissima elaborazione della suspence,una forte sommarietà negli snodi della trama,e caratteri scolpiti con l'accetta:il marito è uno psicopatico che perde il lume della ragione in mezzo secondo,lei è una pura di cuore e d'animo assoluta,l'altro è la quiete dopo la tempesta,un uomo perfetto.Aggiungiamoci un finale in cui ogni cosa va a puntino,come un cattivo che impugna pure la pistola con cui l'hanno appena colpito a morte,e la frittatona è servita.Un successo di pubblico,una pellicola di una certa mediocrità,nonostante "Brown eyed girl" di Van Morrison in colonna sonora.