SAVING MR.BANKS (Saving mr.Banks,GB/AUS 2013)
DI JOHN LEE HANCOCK
Con EMMA THOMPSON,TOM HANKS, Colin Farrell,Jason Schwartzman.
DRAMMATICO
Dietro ad ogni opera c'è una storia,e la realizzazione di un film coinvolge così tanta gente,che spesso ce ne sono diverse:se "Mary Poppins" da cinquant'anni piace agli spettatori,le canzoni che fanno parte della sua colonna sonora sono tramandate di generazione in generazione,segno che il film della Disney Productions abbia colpito,eccome,nel segno.Quel che non si sapeva,era che l'autrice del romanzo da cui fu tratto il classico per bambini e meno,P.L.Travers,non ne voleva sapere di concedere al creatore di Topolino i diritti per fare un lungometraggio dal suo libro,e tutta la tenace strategia disneyana per arrivare a conquistarsi la fiducia della donna.La quale è ritratta come una stagionata zitella velenosa e protesa a complicare vita e affari,magari pur rimanendo senza un soldo,ma orgogliosa fino all'impossibile.Naturalmente,c'è una spiegazione per tutto,e sul come mai i due fossero così tanto concentrati nel loro obiettivo.Di "Saving Mr.Banks",è meglio la parte ambientata in USA negli anni Sessanta,che quella in Australia agli albori del Novecento:serve a definire come la signora Travers sia divenuta come il film ce la mostra,con il padre alcolista e sognatore impersonato da Colin Farrell,però va un pò sul risaputo,e si impregna non poco di melodrammaticità,mentre la parte inerente alla produzione del lungometraggio è interessante,sospesa tra commedia e dramma con mano abile,da un regista non eccelso,ma professionale come Hancock.Tra gli interpreti,abbastanza di routine Farrell,una buona imitazione di zio Walt,ma non uno dei picchi della carriera per Tom Hanks,mentre risulta assai bene,in un ruolo che certo è il più difficile da rendere,fatto di chiaroscuri,acidità e aggressività represse,Emma Thompson,una delle più brave sul mercato,a non aver mai conquistato un Oscar per un'interpretazione.
GARDENIA,IL GIUSTIZIERE DELLA MALA
(I,1979)
DI DOMENICO PAOLELLA
Con FRANCO CALIFANO,Martin Balsam,Robert Webber,Eleonora Vallone.
DRAMMATICO
Si fa fare barba e capelli da un anziano barbiere di fiducia,coccola un gatto bianco cui rivolge sconsolate osservazioni sulle donne,si mette una gardenia fresca all'occhiello ogni mattina,rigorosamente senza pagare,gira con tre amici uno più rintronato dell'altro,gestisce un ristorante nel quale cucina con gilet e cravatta,e si rende antipatico ai boss del traffico di droga della Capitale:è Gardenia,appunto,duro romano che piace alle donne (bacia praticamente quasi tutti i personaggi femminili,che gli cadono ai piedi),mena e pratica una sua giustizia che,all'occasione,diventa legge del taglione.Franco Califano tentò la via del cinema con questo crime-movie,onestamente di serie B,ma più decoroso di altri,sebbene ideologicamente piuttosto discutibile (non si vede un poliziotto che sia uno,nonostante vadano al Creatore una ventina di persone,in una guerra tra bande),diretto da Domenico Paolella,dapprima emerso con film pruriginosi sulle voglie celate delle monache,con diverse facce note,tra caratteristi italiani del periodo (tipo il corpulento Franco Diogene e il baffuto Roberto Della Casa) e i due nomi stranieri di peso quali Martin Balsam e Robert Webber."Me so'nnammorato come 'no stronzo." afferma perentorio Gardenia/Califano masticando amaro sulla bella viziata che è riuscita a farlo penare sentimentalmente,e il Califfo,tuttavia,risulta simpatico,nonostante in alcune sequenze sia truccato tipo al Carnevale,dato che si presta alla prova attoriale con evidente approccio dilettantesco,ma riflettendo nel personaggio molto di se stesso,compresa la presa d'atto della solitudine sostanziale,scelta per mancato rispetto di regole e troppa affermazione della propria straripante personalità.Da aspirante hard boiled vero,il Califfo pecca prendendo a schiaffoni una tizia che copre un tipo pericoloso,che poi provvede a far saltare in aria applicando un suo metro di giudizio fin troppo "pratico",e musica la pellicola con un tema piuttosto identificabile con diversi suoi brani.Non un granchè,però non è noioso.
LA SIGNORA SCOMPARE (The lady vanishes,USA 1938)
DI ALFRED HITCHCOCK
Con MARGARETH LOCKWOOD,MICHAEL REDGRAVE,Paul Lukas,May Whitty.
GIALLO
Il penultimo lavoro britannico di sir Alfred Hitchcock fu "La signora scompare",quasi per intero ambientato su un treno,rifatto ufficialmente nel 1979,con Angela Lansbury,e non in maniera tale,ad esempio,in "Flight Plan",con Jodie Foster:bloccati su un mezzo di trasporto in viaggio,i protagonisti si scervellano per capire che fine possa aver fatto un'altra dei passeggeri,oltre tutto mettendo in pericolo la propria vita e quella degli altri,per ficcare troppo il naso in un complotto che doveva filar via liscio,e invece proprio loro stanno per far saltare.Giocato tra dialoghi da commedia arguta e via via un'intricarsi della trama e dell'infittirsi del mistero,il film conferma il senso dell'umorismo del maestro di cinema inglese,la fede incondizionata nella filosofia del "McGuffin",qui in carne e ossa,con un messaggio cifrato che non verrà esplicato,e un senso del racconto e del ritmo narrativo che,appunto,l'hanno reso tra i vati dell'arte cinematografica di sempre.C'è da dire che,anche se sia Margareth Lockwood che Michael Redgrave,caratteri in conflitto all'inizio,associati nella ricerca poi,e attratti l'una dall'altro per finire,sanno servire la regia con brio,l'edizione ridoppiata è relativamente da gustare,perchè raffredda non di poco sia gli scambi di battute,che la storia stessa:che il finale, "a bandone",cioè spiccio e un pò forzato,come usava all'epoca,lascia un pò perplessi,anche perchè ,con la rivelazione finale,non si capisce benissimo tutto il trambusto che ha preceduto tale scena,o perchè,almeno,tanta briga da parte dei personaggi per non conoscere che parte delle risposte cercate;e,soprattutto,circola una certa atmosfera da film datato,se si guarda la sparatoria tra treno e assaltatori nel bosco,sostenuta a una cadenza a singhiozzo,e contraddistinta da una sostanziale flemma dei coinvolti,che rischia più di una volta di strappare qualche risata involontaria.Discreto,ma non uno dei migliori lavori hithcockiani.
BELOW (Below,USA 2002)
DI DAVID TWOHY
Con OLIVIA WILLIAMS,BRUCE ROBINSON,MATTHEW DAVIS,Holt McCallany.
HORROR
Si sa che nell'ambiente marinaro,una donna a bordo di un sottomarino non sia esattamente considerato una cosa propizia,ma la scaramanzia e le credenze sono da superare.Su un sommergibile,durante la II Guerra Mondiale,tre superstiti da un naufragio vengono raccolti,e uno,appunto,è una dottoressa:si percepisce che c'è un'atmosfera viziata,dentro il mezzo,e non solo perchè l'ossigeno è sempre più carente.Un segreto è celato dagli uomini al comando del sommergibile,e piano piano,si manifestano cose sempre più inquietanti,e si insinua un nervosismo destinato a diventare paura e panico.Il che,in un ambiente chiuso e sotto il mare,non è esattamente la migliore delle condizioni possibili.Diretto da David Twohy,che si era fatto conoscere con "Pitch Black",e poi era tornato a continuare la saga del nerboruto Riddick,"Below" conferma l'impressione avuta su questo regista.Il quale,come tanti altri suoi colleghi,arriva vicino a diventare un autore di cui tener conto,gira bene,sa elaborare la suspence e costruire una storia interessante,ma ad un certo punto si perde in troppi discorsi,o troppi dettagli,smorzando l'effetto costruito con buon piglio.Le colpe,e la follia,le nefandezze nascoste dietro il silenzio,che tornano a distruggere un equilibrio fittizio,si palesano in via orrorifica,come apparizioni che forse inizialmente sono considerate proiezioni mentali,e però,alla lunga,forse una forma di Giustizia marina si riafferma.Se il film avesse insistito su questa suggestione,forse sarebbe stato meglio:Twohy sa essere un discreto narratore,gira con buon senso dell'immagine,e almeno una sequenza è da memorizzare,quella delle bombe che scorrono sullo scafo del sottomarino,con una tensione cospicua,che aumenta attimo dopo attimo.
MALEFICENT (Maleficent,USA 2014)
DI PETER STROMBERG
Con ANGELINA JOLIE,ELLE FANNING,Sharlto Copley,Imelda Staunton.
FANTASY
Sapevate che la strega Malefica era cresciuta con buon cuore,che il padre di Aurora,il re Stefano,era un ambizioso senza freni,che il principe Filippo era tutto sommato un baldo bischerone e le tre fatine Fauna,Flora e Serenella tre petulanti donnine?Ecco,"La bella addormentata nel bosco" rivisitata live action nel 2014 vi racconterà anche questo,oltre che il corvo fedele compagno di Malefica si può tramutare in un giovane aiutante,e tanto altro.L'operazione che consiste nel commutare i classici animati della Disney in pellicole con attori spesso celebri,cominciò nel 1996 con "La carica dei 101",e ora sembra essere entrata proprio nel vivo,grazie anche alle sempre più buone tecnologie per gli effetti speciali.Affidato ad un esordiente,che viene dai settori tecnici,"Maleficent" può essere visto anche come pellicola non propriamente adattissima al pubblico per il quale è concepita,quello dei più piccoli:perchè la sceneggiatura,tendente a un femminismo denso (la mano femminile della sceneggiatrice Linda Woolverton è ben avvertibile),dato che dei personaggi maschili,il re è un despota,il principe è quasi un imbelle,porta argomenti complessi.Già in "Frozen",il voler giustamente illustrare come si possa diventare cattivi,o perlomeno esplicare da dove provengano le durezze di un carattere,è un passo avanti enorme rispetto alla logica manichea di molta Hollywood,non solo animata:e l'affetto che matura tra i due personaggi principali è reso bene,fuori dai canoni del "dovuto" bene rispetto ai rassicuranti "buoni" (che poi non lo sono fino in fondo).Se il film ha dei lati deboli,semmai,vanno trovati nelle scene d'azione,non svolte benissimo,con troppi "ralenti",e nella non tanto logica sequenza della puntura sull'arcolaio di Aurora,che praticamente agisce come una posseduta,ma è uno scarto senza motivazione nell'economia del racconto.Angelina Jolie,la bellezza del cui volto non risente minimamente degli zigomi indossati per via del copione,sa rendere bene patemi e furie di un personaggio assolutamente scritto senza grossolanità,Elle Fanning,che forse è meno bella di come la ricordavamo in "Super 8" esprime la purezza quasi inverosimile della principessa nascosta,e Sharlto Copley,una volta ancora,non lesina odiosità al proprio personaggio.
SONO UN FENOMENO PARANORMALE
(I,1985)
DI SERGIO CORBUCCI
Con ALBERTO SORDI,Eleonora Brigliadori,Elsa Martinelli,Pippo Baudo.
COMMEDIA
Fu l'ultimo film "natalizio" per Sordi,se si esclude la partecipazione a "Vacanze di Natale 91":la stella redditizia di Albertone,dopo l'ottimo successo commerciale de "Il tassinaro" si stava affievolendo,e infatti "Sono un fenomeno paranormale",che avrebbe dovuto intitolarsi "Babasciò",come il santone indiano che lo smascheratore di professione protagonista,il professor Roberto Razzi,si vede apparire più di una volta nel corso della storia.Diciamo pure storiellina,perchè,nonostante la conosciuta abilità dei Corbucci,qui la conduzione è di Sergio,il film si regge proprio sulle stecche,quasi incapace di riscuotere un mezzo sorriso,a parte un paio di battute striminzite:il fatto era che,seppure sempre un grandissimo dello spettacolo,Alberto Sordi negli anni Ottanta segnava il passo,a volte troppo rifacente se stesso,altre mostrante il suo noto lato meno felice,quello ultraconservatore e a tratti reazionario,che se lasciato libero di disquisire su società e quant'altro,mostrava i limiti di un anziano signore un bel pò qualunquista nelle opinioni,per quanto dotato di acume ed estro interpretativo.Commediola all'acqua di rose,tranne due uscite leggermente sboccate,"Sono un fenomeno..." ciondola per un'ora e mezza,chiama addirittura in scena l'allora televisivamente imprescindibile Pippo Baudo per una sequenza che vorrebbe essere pruriginosa e fa tenerezza,e giunge ad un finale relativamente possibilista sulle effettive doti dei veri santoni e sulle loro conoscenze.Inoltre,il Sordi in versione coloniale con tanto di casco e guanti,era già comparso con ben altra ironia in "Riusciranno i nostri eroi...." ,e il confronto è impietoso.
MILANO ODIA:LA POLIZIA NON PUO' SPARARE
(I,1974)
DI UMBERTO LENZI
Con TOMAS MILIAN,HENRY SILVA,Ray Lovelock,Gino Santercole.
AZIONE
E' uno dei titoli più amati del poliziottesco anni '70,celebre per le impennate di violenza densa e per la caratterizzazione di Tomas Milian nei panni di Giulio Sacchi,un viscido,psicopatico,vile e perverso malavitoso,vero protagonista della pellicola.C'è tutto l'arsenale del genere,al suo interno:stupri,incursioni e massacri nelle abitazioni di ignari cittadini comuni,sparatorie,inseguimenti,rapimenti e richieste di riscatto,tradimenti tra complici,e regolamento di conti al piombo nel finale tra uomini di legge disillusi e delinquenti che stanno per farla franca.Diretto con il dito sul grilletto della tensione da Umberto Lenzi,sceneggiato da Ernesto Gastaldi,il film mostra delitti commessi con una gratuità spietata,classico del genere,in cui il cattivo doveva esprimere la massima carica di carogneria,e c'è da dire che Milian riesce benissimo nel tratteggiare il personaggio:un campione di scelleratezza,cattiveria pura,che commette malvagità con nonchalance,e mette paura a chiunque,tranne,ovviamente,lo sbirro duro Henry Silva,che verrà anche colpito dal fuoco del mitra di Sacchi,e reso invalido,ma lo affronterà un'ultima volta,per vendicarsi.Ideologicamente è sconfortante,va da sè,estremizza con accortezza un ritorno alle logiche del West,pistola contro pistola,e la legge del taglione è l'unica risposta possibile in un delirio di violenza senza freni, che non risparmia nessuno:però c'è da dire che tiene sul chi va là lo spettatore con buona cura nell'elaborazione della suspence,che appunto Milian fornisce una delle prove più disturbanti e convincenti della sua carriera,e che le scene d'azione sono rese con grinta e senza tema di inferiorità verso francesi e americani.Si può disquisire sul carico di grevità dei dialoghi,sulla ricerca dell'effetto-shock e sulla recitazione non tutta all'altezza del protagonista,ma "Milano odia..." è un titolo che,nel genere,merita di spiccare.
L'APPRENDISTA STREGONE
(The Sorcerer's apprentice,USA 2010)
DI JON TURTELTAUB
Con NICOLAS CAGE,JAY BARUCHEL,Alfred Molina,Teresa Palmer.
FANTASTICO
Che la Disney abbia in progetto di riadattare "live action" quasi tutti i suoi classici,è dato di fatto:sono imminenti le trasformazioni de "Il libro della Jungla","Cenerentola" e altri hits della casa di Paperino & company."L'apprendista stregone",che prende spunto dall'episodio presente nel classicissimo "Fantasia",in cui Topolino,per pigrizia,scatenava le fin troppo efficienti ramazze per far fare pulizia a loro,e per poco non allagava la casa dello stregone che l'aveva preso sotto la propria ala,è del 2010,e fu un buon raggranellatore d'incassi.Assegnato ad un esperto del portare a casa film tutto sommato decorosi,magari senza guizzi,però capace di gestire grandi nomi nel cast e saper andare incontro ai gusti delle grandi platee,come John Turteltaub,mostra un prologo in cui vengono tirati fuori Merlino e Morgana, in lotta tra loro,e tre stregoni minori,Balthazar,Veronica e Horvath,che vengono coinvolti nella disfida magica,e a loro volta entrare in conflitto.Poi l'azione si sposta ai giorni nostri,in cui un fisico piuttosto nerd si imbatte prima da bambino,poi da giovane adulto,in Balthazar,che gli rivela che ha doti da mago,ed è il prescelto che aspettava da secoli.Naturalmente si libera anche Horvath,che sfoggerà trucchi e alleanze per riuscire nel disegno di distruzione che cova da sempre.Girato quasi tutto in interni o di notte,il film vorrebbe essere una commedia fantastica,ma non ha sufficiente ironia da supportare la consueta smitragliata di effetti speciali,che sono la cosa migliore dell'operazione,ha un tasso di prevedibilità impressionante,e non lesina un'ostentata ingenuità nel personaggio principale,che lo fa inquadrare invece come un fesso di prima categoria.Nel cast,sprecato il villain Molina,con look tamarrone e fuori fuoco Cage,Baruchel forse troppo grandicello per la parte del giovinotto dalla potenza inusitata,e la Bellucci compare sì e no in quattro scene,nonostante sia annunciata come una dei protagonisti.Loffio,di scarso interesse,insulso anche per un pubblico di ragazzini cui interessa solo uno spettacolone tutto scintille e sprazzi di luce.
I NUOVI CENTURIONI (The new centurions,USA 1972)
DI RICHARD FLEISCHER
Con GEORGE C.SCOTT,STACY KEACH,Jane Alexander,Erik Estrada.
DRAMMATICO
Nei primi anni Settanta,un'istituzione come il corpo di polizia,nei film americani,anche a causa delle denunce di Frank Serpico della corruzione e della durezza della vita dei poliziotti comuni,fu messa in discussione in varie pellicole:vedi appunto,"Serpico","I ragazzi del coro" e questo "I nuovi centurioni",tratti gli ultimi due da romanzi di successo di Joseph Wambaugh,che in polizia c'era stato,e aveva comunicato malesseri e crisi degli uomini in uniforme su carta stampata.Richard Fleischer,che è stato un cineasta affatto male,abile con i kolossal,ma anche con titoli meno roboanti con i budget,inquadra una squadra di agenti losangelini,includendo minoranze etniche,concentrandosi su un "rookie",una recluta,ed un veterano pronto al pensionamento,interpretati da Stacy Keach e George C.Scott.Se il primo,che nel corpo avrebbe dovuto passare solo un periodo,prima di laurearsi ed andare a fare l'avvocato,ma poi non sa più venir via da una vita di pattugliamenti,inseguimenti,perquisizioni,il secondo,che mette un'umanità consapevole e non cinica nel proprio mestiere,arriverà a lasciare il lavoro,prospettando un'anzianità serena,e una vita da nonno felice,ma così non sarà.Girato con stile realistico,dosando bene dramma e cinema d'azione,senza ricorsi alla spettacolarizzazione fine a se stessa,il lungometraggio soffre solo a tratti qualche elemento che lo data,ma sa raccontare un dramma di coscienza,e di disagio sociale e personale,con finezze come la telefonata "ordinaria",con metafora sulla solitudine di un personaggio che poi si spara in bocca,e la constatazione del senso di svuotamento degli appartenenti ad un ordine,non appena fuori,nella vita quotidiana.Si notano volti poi conosciuti come Erik Estrada,futuro divo tv di "CHIPS",e Ed Lauter,spesso nei film polizieschi:Stacy Keach era allora un giovane promettente,ma il migliore in campo è il mai troppo stimato George C.Scott,che ha una scena in solitaria,in cui fa emergere tutta la fragilità irrimediabile,del suo poliziotto d'esperienza.
JACK RYAN-L'INIZIAZIONE
(Jack Ryan:Shadow recruit,USA 2014)
DI KENNETH BRANAGH
Con CHRIS PINE,Kevin Costner,Keira Knightley,Kenneth Branagh.
THRILLER/AZIONE
Per Jack Ryan,il personaggio più celebre creato dalla penna di Tom Clancy,è la quarta incarnazione sul grande schermo.Prima di Chris Pine,che già riveste con successo un eroe non facile da rinnovare come il comandante Kirk di "Star Trek",l'analista della Cia diventato uomo d'azione era stato interpretato da Alec Baldwin,Harrison Ford e Ben Affleck.Nell'era del reboot,nuova linfa anche per Ryan,ma senza adattare uno dei romanzi dell'autore da poco scomparso:il soggetto è stato scritto appositamente per il cinema,raccontando il reclutamento dell'analista e la sua prima pericolosa missione.Tornano di moda i russi cattivi,e l'antagonista è un miliardario dalle intenzioni losche,che ha un piano segreto e fa circolare cifre spaventose per traffici affatto rassicuranti:tocca al giovane Jack Ryan volare a Mosca e fare il doppio gioco,onde sventare un probabile attacco terroristico abbinato ad un'offensiva economica che rischia di mandare al tappeto gli USA.In altri anni sarebbe stato un polpettone retorico,e meno male che dietro la macchina da presa c'è un inglese,che si è riservato anche il ruolo del raffinato villain.A livello commerciale,l'operazione ha deluso la produzione:50 milioni incassati sul suolo nordamericano,e addirittura,da noi,direttamente in home video,senza fiducia nel responso delle sale,probabilmente eccessivo,vista la buona confezione del lungometraggio,comunque superiore ai prodotti straight to video.Circondato da nomi che solitamente sono in maiuscolo sui cartelloni,quali Kevin Costner,Keira Knightley o lo stesso Branagh,forse è Chris Pine il punto debole della pellicola,troppo scavezzacollo e non troppo credibile come cervellone che intuisce le prospettive a lunga gittata dei piani eversivi:tuttavia,il film è abbastanza lungo,ma non annoia,le scene d'azione sono ben impostate,e l'occhio alla definizione dei personaggi fa notare la cura di un autore che forse ha deluso le aspettative riguardo agli esordi dell' "Enrico V",che faceva gridare la critica,un pò pomposamente,ad un "nuovo Laurence Olivier",ma si conferma uomo di spettacolo eclettico e senza spocchia.
RAGAZZI MIEI (The boys are back,AUS 2009)
DI SCOTT HICKS
Con CLIVE OWEN,Nicholas McAnulty,George MacKay,Emma Booth.
DRAMMATICO/SENTIMENTALE
Prendendo spunto da una storia vera,un dramma familiare in cui un giornalista sportivo,abituato a girare per lavoro per tutta l'Australia,inglese trapiantato in Australia per amore,improvvisamente vede il suo assetto esser stravolto.La seconda moglie muore,lasciandogli il figlio piccolo,quello maggiore vive in Inghilterra con la prima consorte,e tutto va ridiscusso,compreso quel che pensava di poter gestire,e un modo nuovo di vivere la paternità.Scott Hicks,da sempre cineasta alle prese con conflitti emotivi,rapporti paterni o filiali complicati,mette al centro del racconto il non morbido Clive Owen,interprete peraltro spesso interessante,che non lesina di mostrare le inadeguatezze,le goffaggini e gli atteggiamenti sbagliati di un uomo che,come molti altri prima e dopo di lui,ha delegato alle donne il mènagement familiare,e il rapporto con due ragazzi,con le difficoltà del caso.Certo,non è un capo d'opera,non sempre regia e sceneggiatura mostrano di padroneggiare certi cambiamenti di prospettiva,o di comportamento,del protagonista,ma va detto che "Ragazzi miei" non è assolutamente un film ricattatorio,racconta con sobrietà un dramma umano,e non ricorre alla via facile della lacrima,nonostante ci siano tutti i presupposti:anzi,spesso è incline ad una solarità inconsueta per un titolo di questo genere,e si lascia vedere con simpatia.Compresi quei momenti in cui un uomo molto comune capisce che non può semplicemente gestire tutto come credeva di poter fare,e ci sbatte il muso.
X-MEN:GIORNI DI UN FUTURO PASSATO
(X-Men:Days of future past,USA 2014)
DI BRYAN SINGER
Con HUGH JACKMAN,JAMES MCAVOY,MICHAEL FASSBENDER,Nicholas Hoult.
FANTASTICO
Saga storica della longeva serie a fumetti degli "X-Men","Giorni di un futuro passato" sottolinea come,probabilmente,appunto,miniserie e pezzi storici delle strisce,nella fattispecie di Chris Claremont,l'uomo che rifondò gli Uomini X,diverranno soggetto cinematografico,sempre di più:vi si immagina che,per sventare la distruzione sistematica degli X-Men,e di tutti i mutanti,ad opera dei super androidi chiamati Sentinelle (in smagliante,nuova versione grafica qua),un invecchiato Wolverine debba recarsi nel passato,in un buco spazio-temporale,e giungere nel 1973,quando un fatto cambierà le cose,ed accelererà la persecuzione dei suoi simili.La fusione tra versioni attempate e più giovani di diversi personaggi,che sfocia qua nella contrapposizione tra gli interpreti della prima trilogia e quelli del reboot di tre anni fa,è parte integrante dell'appeal dell'operazione:costante Hugh Jackman,dato che il suo irsuto Logan ha,tra le altre cose,la facoltà di passare lungo i decenni con lieve stagionatura.La barra del timone torna,dopo undici anni e vari episodi,nelle mani di Bryan Singer,tornano Ian McKellen,Halle Berry e Patrick Stewart a dar volto a Magneto,Tempesta e Xavier (e anche altri,di cui non svelerò il nome...):tra gli antagonisti,da segnalare l'arrivo di Peter Dinklage,divenuto celeberrimo nel televisivo "Il trono di spade",ad impersonare lo scienziato Boliver Trask,pericolo per i mutanti,ma anche obiettivo da tutelare per non arrivare alla catastrofe.Nonostante il ritorno del regista che per primo li portò sullo schermo,l'episodio precedente era parso più felice,sia nell'ambientazione,che nel bilanciamento tra commedia,film d'azione e fantascienza epica:qua l'umorismo,a parte qualche sarcasmo a cura di Hugh Jackman,e la sequenza,da antologia,della corsa a tempo sospeso di Quicksilver,latita,come,c'è da dire,non abbonda l'azione,e Singer,come gli accadde nella sua versione di Superman,indugia fin troppo negli scambi di dialoghi,privilegiandoli,e non di rado rischiando veri e propri tempi morti.Tuttavia,il kolossal diverte,anche se resta il sospetto che si rimanga più in superficie di quanto si sarebbe desiderato.Nel cast,collaudatissimo Jackman,ma brilla soprattutto Michael Fassbender,che non dispiacerebbe vedere,una volta ancora,negli alteri e ambigui panni del signore del magnetismo.
MONSTERS UNIVERSITY (Monsters University,USA 2013)
DI DAN SCANLON
ANIMAZIONE
COMMEDIA/FANTASTICO
Gli "Early days" di Mike Wazowsky e Sullivan,come si conobbero,e la prima avventura insieme:i due bizzarri eroi dall'aspetto grottesco e dal cuore buonissimo,l'oculoforme e il babau cornuto,giovanissimi e all'Università dello Spavento,dopo un prologo in cui viene spiegata la "vocazione" del primo.Dodici anni dopo il grande successo di "Monsters & Co.",che fu uno dei primi grandi risultati della Pixar non marcato "Toy Story",è arrivato il prequel.I due inizialmente si piacciono il giusto,Mike entra a far parte di una compagine apparentemente senza chances per vincere le gare indette all'interno del campus,Sullivan viene da una famiglia "nobile" e snobba gli sfigati e bonaccioni per far parte dei più "in" dell'istituto,ma è prevedibile che ben presto si allei all'amico verde e agli altri per farsi valere.Baciato da un buon risultato commerciale,"Monsters University" è aggraziato,garbato e scorrevole,riuscito soprattutto,a livello umoristico,nelle gare vere e proprie,in cui la regia di Dan Scanlon dà il suo meglio:però,se il primo film con il duo era di una certa delicatezza,senza essere mieloso,c'è da dire che questo prosieguo niente aggiunge di sostanziale all'altro lungometraggio.Una versione ingentilita de "La rivincita dei Nerds",con mostriciattoli con tentacoli,troppi occhi,ma che non spaventerebbero una zanzara,la morale robusta che con estro e carattere ogni risultato è verosimilmente perseguibile,ma quanto a originalità non siamo esattamente ad un picco della casa produttrice.Tuttavia,il film è simpatico,e ha nell'iperocchiuta madre del più giovane della squadra dei protagonisti,uno dei personaggi più candidamente comici dell'arsenale di creature proposte.
GODZILLA (Godzilla,USA 2014)
DI GARETH EDWARDS
Con AARON TAYLOR-JOHNSON,Ken Watanabe,Bryan Cranston,David Strathairn.
FANTASCIENZA
Dopo la non convincente rinascita del 1998 sotto la regia di Roland Emmerich,e nonostante il remake di "King Kong" del 2005 non avesse raccolto i risultati commerciali sperati (ma resta un film notevole), ecco una nuova versione di "Godzilla",affidata all'emergente Gareth Edwards.Si sa che il mostro anfibio non è mai stato così grande,che l'esordio USA è stato più che incoraggiante,con 93 milioni incassati nella prima settimana di programmazione,e che il kolossal è dalla parte del dinosauro atomico,e che non è facile dire qualcosa di nuovo su una creatura che è un'icona non solo cinematografica,e abbiamo visto in più salse,spesso da amatori duri e puri."Godzilla" versione 2014 elude la presenza della creatura,per metà film vediamo le conseguenze dei suoi passaggi,si parla della sua esistenza ma non appare,viene rivelato a poco a poco quel che i personaggi della storia conoscono del mito della grande lucertola venuta dal mare:i mostri veri sono degli esseri colossali,figli della radiazione,insettiformi,che distruggono ogni cosa per ricongiungersi e dare il via ad una nuova stirpe di giganti che domineranno il pianeta,ma la Natura conosce gli equilibri meglio delle imposizioni che l'Uomo è uso dare a ciò che lo circonda,e Godzilla si rivelerà un alleato impensabile.Il nuovo azzeramento della saga del dinosauro marino che Ishiro Honda portò sullo schermo per primo è un blockbuster d'autore che forse scontenterà le generazioni abituate ai ritmi degli sparatutto e dei videogames più recenti:si prende i suoi tempi,con una prima parte che esplora ciò che sta in tensione per l'avvento delle creature,e una seconda che mette in scena gli scontri,ma con rarefazione,tra buio,polvere e lampi di luminosità,quasi una graphic novel in movimento.Edwards mostra di amare e avere mandato a memoria tanto cinema spielberghiano,tra il nome del protagonista Brody,il passaggio di Godzilla sotto gli umani,come "Lo squalo",il tempo che serve ad aumentare la suspence e a centellinare le apparizioni mostruose,la zona contaminata che si rivela invece una bugia come in "Incontri ravvicinati":e poi cita se stesso,vedere la sequenza in cui i due mostri radioattivi si incontrano e scambiano effusioni,come accadeva nel suo titolo precedente,"Monsters".Ben costruito ed ecologista,il nuovo capitolo di una saga ormai data per estinta sembra portare linfa nuova,ed è probabile che abbia tutte le credenziali per diventare,tra qualche anno,un nuovo classico.
LONE SURVIVOR (Lone survivor,USA 2013)
DI PETER BERG
Con MARK WAHLBERG,Taylor Kitsch,Emile Hirsch,Ben Foster.
GUERRA
Qua da noi,e fuori dagli Stati Uniti in generale,ha avuto un riscontro non esaltante,ma in patria "Lone survivor",ispirato ad una vera azione di guerra del 2005,che vide un commando di Navy Seals americani,in Afghanistan,cercare di abbattere un leader talebano e invece ritrovarsi in territorio nemico,con la missione andata a monte e circondati di guerriglieri nemici,è stato un grande successo.Che Peter Berg sia un regista connotato ideologicamente a destra,così come lo è sempre stato John Milius (ma era più anarcoide),ormai l'hanno capito anche i sassi:è vero anche,però,che l'ex-attore sa il fatto suo nel girare le scene d'azione,e sa sviluppare una suspence come pochi altri."Lone survivor" è un'opera di propaganda a stelle e strisce,colma di testosterone e retorica reaganian-bushiana,in cui gli Stati Uniti sono l'Impero del Bene e della Libertà,e questo gli gioca a sfavore,decisamente:tuttavia,difficile negare che lo spettatore non venga coinvolto nella lunga sequenza,da metà pellicola in poi,dello scontro con i talebani nella foresta,e nella disperata lotta dei quattro soldati per sopravvivere e non essere sopraffatta.E c'è da dire che Berg sottolinea che gli estremisti ci siano tra i soldati americani (e infatti il punto di vista del protagonista,Mark Wahlberg,è meno spietato di alcuni commilitoni) e tra gli afghani,ci sono anche oppositori degli integralisti.Difficile avere a che fare con un film come questo:perchè viene da deprecare la dimensione reazionaria della cornice e apprezzare sia la buona qualità delle sequenze d'azione,che il messaggio di solidarietà tra esseri umani di diversa provenienza,contro l'orrore della violenza al servizio dell'ideologia fatta di assoluti.Come quell'abbraccio tra uomo e bambino in sottofinale,e il ringraziamento del soldato ai suoi salvatori,toccante e commovente,che stride con l'inzuppata di rassicurazioni sulla macchina da guerra americana protettrice dei suoi pargoli in uniforme e del mondo libero.Nel cast,buone le interpretazioni degli attori principali,cinque tra i volti sotto i quarantacinque anni più interessanti del cinema USA di oggi,e nota di merito in più per Mark Wahlberg che,film dopo film,ha mostrato grosse capacità di miglioramento.
EDGE OF TOMORROW-Senza domani
(Edge of tomorrow,USA 2014)
DI DOUG LIMAN
Con TOM CRUISE,EMILY BLUNT,Brendan Gleeson,Bill Paxton.
FANTASCIENZA
La formula dell'azzeramento della trama principale viene,perlomeno, da "Ricomincio da capo",di Harold Ramis,ma se si vuole essere più precisi,è "Terminator" che ha adottato lo schema dei piani temporali paralleli che si incrociano per ricreare realtà alternative:da un racconto pubblicato dieci anni fa,del nipponico Sakurazaka,un soldato che,in un'Europa invasa da organismi cibernetici alieni,muore e resuscita con nozioni nuove ogni volta,per combattere meglio ed eventualmente vincere il nemico,tra l'Inghilterra e la Francia.Kolossal da 180 milioni di dollari,e secondo film di fantascienza consecutivo per Tom Cruise,che affronta senza paura la stagione dei suoi cinquant'anni,"Edge of tomorrow",che durante la lavorazione si intitolava "All you need is kill",come appunto il racconto originale,si destreggia abilmente nel non semplice obiettivo di ripetere lo stesso punto di partenza e allungare di un pezzo lo sviluppo della trama tutte le volte.Chi oggi veleggia sulla quarantina ricorderà il videogame "Dragon's lair",praticamente un disegno animato su laserdisc,di cui era fondamentale ricordare la sequenza di mosse per andare avanti nello schema:ecco,il meccanismo adoperato dalla coppia protagonista Cruise-Blunt,è più o meno quello.Diretto da Doug Liman,primo director della saga di Jason Bourne,il lungometraggio non dimentica,tra l'approvvigionamento,qualche sterzata umoristica,che gli fa bene,e una buona spettacolarizzazione del racconto:certo,a livello narrativo si può lamentare qualche pecca (per esempio,quando i due eroi escono circondati da soldati alleati che sparano loro,e inspiegabilmente un secondo dopo sono dentro un'automobile lanciata a tutta velocità nella medesima fuga),o ancora una roulotte abbandonata,da cui esce misteriosamente una creatura lasciata in attesa chissà quanto.Virando verso una conclusione che probabilmente non è la migliore ipotizzabile,comunque tenendo sul chi vive lo spettatore nell'enfasi della battaglia quasi perenne sullo schermo,il film testimonia che la fantascienza,finalmente,nelle ultime due stagioni sta rialzando la testa.E' un rischio,perchè sono pellicole costosissime,che devono riportare nelle casse dei produttori praticamente tre volte le somme utilizzate,e quindi si parla di incassi astronomici.Però,dopo anni di opacità,meno male...