THE WHALE ( The Whale, USA 2022)
Di Darren Aronofsky
Con BRENDAN FRASER, Sadie Sink, Hong Chau, Ty Simpkins.
DRAMMATICO
Charlie è un insegnante di scrittura che svolge corsi on line per studenti che appunto aspirano a fare delle parole il proprio mestiere: nella prima scena di "The Whale" vediamo lo schema tipico delle lezioni date a distanza, con i vari riquadri nei quali ci sono i volti dei partecipanti, eccetto quello di chi si rivolge a tutti, oscurato. Perché il protagonista di "The Whale" è un uomo che vive chiuso nel suo appartamento, negando la visione di sé a quasi tutti, eccetto l'amica di origini asiatiche che gli fa da infermiera e lo assiste, perché Charlie è obeso, quasi impossibilitato a muoversi, sperso in una prigione volontaria fatta di mal nutrizione, malinconia e rimpianti e rimorsi. Seguiamo alcuni giorni della sua vita, compromessa da una salute portata al collasso per eccessi alimentari, finché non irrompe, come è tipica fare, la vita da fuori, sotto forma di un giovane che fa porta a porta per recare con sé il Verbo di una congregazione religiosa, e la figlia di Charlie, che non vede da otto anni, ed è un'adolescente invasa dal rancore e dalla furia. Presentato a Venezia nell'ultima edizione, ove Brendan Fraser, un tempo aitante protagonista di blockbusters come "La mummia", ma anche di titoli più raffinati come "Demoni e dei", ha riscosso una standing ovation considerevole, "The Whale" è arrivato in zona Oscar con la prevedibile nomination, e conseguente vittoria della statuetta per il miglior attore al suo interprete principale. Il film, che è il ritorno alla regia a cinque anni da "Madre!" per Darren Aronofsky, sottolinea la necessità di arrivare a un ripristino spirituale, che nasca dall'interno, e non venga suggestionato o alimentato dalle letture canoniche, oppure dai culti e dai loro ambasciatori: è l'aspetto più interessante di un lungometraggio che paga l'essere forse anche troppo programmatico sul versante emotivo. Fraser, debitamente truccato per apparire come un uomo di trecento chilogrammi, dà una prova convincente, toccante, ed il triturato rapporto con una figlia che esibisce solo odio e sentimenti di avversione verso il Creato tutto, è reso in maniera che sembri impossibile riuscire ad apportarvi un minimo tentativo di recupero. Del resto, spesso i protagonisti dei titoli di Aronofsky sembrano scivolare verso l'abiezione, fino ad andare consapevolmente verso la fine per ritrovarsi e dare un senso a quel che hanno vissuto: tratto da un'opera teatrale in maniera piuttosto evidente, ambientato quasi interamente nell'appartamento del protagonista, salvo un ricordo che si intreccia ad un'essenza di sogno, il film suggerisce di tentare fino all'ultimo spasimo di cercare e ritrovare un Amore che salvi, anche dinanzi ad una porta spalancata, anche contro parole di astio e ogni granello di incomprensione possibile. E se ne esce, magari non coinvolti sul piano delle lacrime, come era probabile intenzione della regia, ma comunque almeno sfiorati da un quadro di redenzione, che non sia per forza edificante.
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