ELVIS ( Elvis, USA/Aus 2022)
DI BAZ LUHRMANN
Con AUSTIN BUTLER, TOM HANKS, Olivia De Jonge, Luke Bracey.
BIOGRAFICO/DRAMMATICO/MUSICALE
Quarantacinque anni dopo la sua scomparsa precoce ( aveva solo quarantadue anni, quando morì), è arrivato il film su Elvis Presley: non che nel frattempo siano mancati lungometraggi che abbiano parlato di lui, tra l'instant movie di John Carpenter con Kurt Russell del '79, in pratica non distribuito nei cinema da noi, il film che vedeva Michael Shannon negli sfolgoranti panni di "The King" e il suo rapporto con Nixon, interpretato lì da Kevin Spacey, tanto per citarne due. Però forse è coerente che a raccontare una storia, certo assai romanzata, dell'epopea dell'uomo che è stato riconosciuto il re del rock'n'roll americano, sia l'australiano Baz Luhrmann, autore di "Moulin Rouge": il concetto di spettacolo, tra lustrini, luci abbaglianti, luccichii in ogni dove e un magnetico attrarre lo sguardo, sempre in bilico sul crinale tra grottesco e straordinario, è comune ai due, al musicista e al regista. Si parte dal 1997, anno in cui il "colonnello Parker", manager di Presley da quasi sempre, in realtà, come anche il film mostra, un personaggio che era vissuto nella menzogna, ha un forte malore e rievoca la storia del rocker: si passa così per l'infanzia della star, dalla illuminazione per il potere della musica, nella comunità nera, ai primi successi, dall'incontro con Parker, al matrimonio con la figlia del militare Priscilla, via via con l'esplosione del mito Elvis e della sua capacità di innovazione sia del palco che dei ritmi del rock ancora meteora incandescente. Lo spettatore ritroverà lo stile del regista in titoli sfavillanti, soluzioni visuali brillanti al limite del kitsch, però via via che il film scorre, Luhrman impugna maggiormente il racconto e tiene a bada i suoi istrionismi autoriali. Se si vuole, ci sono fin troppe ellissi temporali ( il consolidamento della leggenda presleyana lungo tutti i primi Sessanta viene tirato via abbastanza, anche se eventi come gli assassinii di Martin Luther King e Robert Kennedy hanno un certo peso nel racconto), i problemi con droghe e alcool della rockstar sono trattati in maniera abbastanza elusiva, lo sfascio fisico cui andò incontro è appena accennato nel finale, e l'impressione, nella primissima parte della pellicola, che si viaggi sul superficiale, non manca: ma il fulcro del lungometraggio è la storia di una manipolazione, al limite di un plagio, durata vent'anni, e delinea con buona mano il rapporto ambiguo tra Elvis e il manager, il primo dalle grande potenzialità, ma imbrigliato dall'astuzia affabulatrice del secondo, e qui il film prende forza, tramutandosi in un dramma corredato da grande musica leggera, con una venatura inquietante, a un passo dall'horror. Austin Butler impersona con verve e densa fisicità il Re del Rock, senza fare passi falsi, anzi, facendo emergere con finezza attoriale la malinconia e il senso di solitudine dietro alla leggenda luminosa, ma che celava una parte oscura sempre in crescita, e Tom Hanks, nascosto tra protesi e trucco per sembrare un obeso vampiro ( ricorda, in questo, il barone Harkonnen del "Dune" di Lynch), per la prima volta si impegna in un ruolo negativo, basando gran parte dell'interpretazione sui lampi di cupidigia e di freddo calcolo dello sguardo. L'operazione, rischiosa, riesce, e per due ore e quaranta minuti si è proiettati, senza annoiarsi, in un passato recente quanto irripetibile.
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