FELLINI SATYRICON ( I, 1969)
DI FEDERICO FELLINI
Con MARTIN POTTER, HIRAM KELLER, Max Born, Salvo Randone.
GROTTESCO
Produzione in macro rispetto al più povero progetto parallelo di Gian Luigi Polidoro dal testo di Petronio Arbitro (ci fu anche una causa tra produttori per via della lavorazione sul medesimo testo di due differenti film), il "Fellini Satyricon" vinse facile sul piano degli incassi, classificandosi sedicesimo nella graduatoria annuale del 69/70. Volutamente avulso da una logica narrativa, il film narra le avventure di due giovani scellerati in un Impero Romano opulento e già in fase di decadenza: si susseguono sullo schermo osservazioni di degenerazioni e vizi d'ogni tipo, sempre comunque a confermare che il Potere non ha pietà e le classi sono schiacciate sempre da quella sopra. Magniloquente nell'allestimento, fastoso nelle scenografie, è tuttavia un'opera in cui raramente si riconosce il tocco felliniano, se non, appunto, nell'esteriorità. Greve il passo, lente e compiaciute le sequenze, appare come un lavoro in cui l'intento pare più che altro quello di stupire o indignare lo spettatore: vige nel cast una sovraeccitazione sfiancante, probabilmente per l'esaltazione di attori poco celebri nel lavorare con un Maestro, abbondano pance e pappagorge, seni ubertosi e lascivie insistite. Senza fare dell'inutile moralismo, si arriva alla conclusione che tutto il rappresentato da Fellini in questo film anticipi di una decade l'ancor più provocatorio, ma forse meno politico "Caligola" diretto da Tinto Brass e poi tolto al regista di mano, ma ripeta in maniera pedante quel che si avverte già nelle prime scene: una deplorazione del Potere e dell'ignoranza entusiasta degli uomini che vi si piegano imbelli, oppure lo adoperino fiaccamente e ferocemente. Il meno convincente e peggio invecchiato dei film del Riminese.
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