venerdì 30 ottobre 2020


FELLINI SATYRICON ( I, 1969)
DI FEDERICO FELLINI
Con MARTIN POTTER, HIRAM KELLER, Max Born, Salvo Randone.
GROTTESCO
Produzione in macro rispetto al più povero progetto parallelo di Gian Luigi Polidoro dal testo di Petronio Arbitro (ci fu anche una causa tra produttori per via della lavorazione sul medesimo testo di due differenti film), il "Fellini Satyricon" vinse facile sul piano degli incassi, classificandosi sedicesimo nella graduatoria annuale del 69/70. Volutamente avulso da una logica narrativa, il film narra le avventure di due giovani scellerati in un Impero Romano opulento e già in fase di decadenza: si susseguono sullo schermo osservazioni di degenerazioni e vizi d'ogni tipo, sempre comunque a confermare che il Potere non ha pietà e le classi sono schiacciate sempre da quella sopra. Magniloquente nell'allestimento, fastoso nelle scenografie, è tuttavia un'opera in cui raramente si riconosce il tocco felliniano, se non, appunto, nell'esteriorità. Greve il passo, lente e compiaciute le sequenze, appare come un lavoro in cui l'intento pare più che altro quello di stupire o indignare lo spettatore: vige nel cast una sovraeccitazione sfiancante, probabilmente per l'esaltazione di attori poco celebri nel lavorare con un Maestro, abbondano pance e pappagorge, seni ubertosi e lascivie insistite. Senza fare dell'inutile moralismo, si arriva alla conclusione che tutto il rappresentato da Fellini in questo film anticipi di una decade l'ancor più provocatorio, ma forse meno politico "Caligola" diretto da Tinto Brass e poi tolto al regista di mano, ma ripeta in maniera pedante quel che si avverte già nelle prime scene: una deplorazione del Potere e dell'ignoranza entusiasta degli uomini che vi si piegano imbelli, oppure lo adoperino fiaccamente e ferocemente. Il meno convincente e peggio invecchiato dei film del Riminese.

 


BABY DOLL- La bambola viva 
( Baby Doll, USA 1956)
DI ELIA KAZAN
Con CARROLL BAKER, KARL MALDEN, ELI WALLACH, Mildred Dunnoch.
COMMEDIA/DRAMMATICO
Da un testo di Tennessee Williams, scrittore e drammaturgo degli scandali nell'America bacchettona della prima metà del secolo scorso, intitolato "Ventisette vagoni di cotone", un film del genere che oggi andrebbe nella categoria "dramedy", quindi mescolando tonalità leggere ad alte più serie, che fece indignare varie persone, soprattutto se d'animo conservatore o legate al clero più retrivo. Al centro del racconto la sposina giovane e dall'atteggiamento bamboleggiante ("Bambola" nella versione italiana) Baby Doll, che dette il nome poi al capo d'abbigliamento sfoggiato dalla protagonista per la maggior parte del tempo: sposata ad un uomo più vecchio, in odor di fallimento economico e dalle evidenti frustrazioni sessuali ( il film comincia con l'uomo che spia da un buco nel muro della propria abitazione in malora la giovane moglie dormiente, che non gli si concede), viene corteggiata avidamente da un rivale in affari del marito, la cui passione la renderà donna. In un contesto di ordinario squallore del Sud accaldato tipico dei racconti di Williams, un gioco delle parti che si svolge perlopiù nell'abitazione della coppia mal imbastita, o negli immediati dintorni, con tragedia sfiorata verso la fine. Rispetto a "Fronte del porto" questo è un'opera che ha subito maggiormente i segni del tempo, ma è una particolarità frequente in lavori che toccano temi che riguardano i presunti tabù in auge negli anni in cui vengono realizzati. Qui si parla di una sessualità repressa, che può guastarsi se auspicata nel modo sbagliato, ma fiorisce se si usano gli strumenti giusti, al punto da dare una svolta, in meglio. Malden ritorna a farsi dirigere da Kazan senza timore di dar corpo ad un personaggio quasi ripugnante, vile, prepotente, immaturo e ridicolo: gli esordienti Baker, nel ruolo della vita, e Wallach, qui nella sua interpretazione forse più misurata, danno il meglio sotto la conduzione di uno dei più grandi direttori d'attori del cinema di sempre, ed esordisce anche Rip Torn nel breve ruolo di un dentista. Il finale, come è giusto che sia, se si vuol parlare seriamente di certe tematiche, in dati periodi, si risparmia soluzioni illusorie, chiudendosi su un'incertezza che vede, comunque, le donne non al riparo dall'oscurantismo domestico di culture volte sempre all'indietro.

 

giovedì 29 ottobre 2020



 MAGIC NUMBERS- Numeri magici

( Magic numbers, USA 2000)

DI NORA EPHRON

Con JOHN TRAVOLTA, LISA KUDROW, Tim Roth, Michael Rapaport.

COMMEDIA/NOIR

La combutta tra un conduttore di una trasmissione sul lotto e una squinzia anch'essa bazzicante gli studi televisivi per una supertruffa legata alla conoscenza dei numeri vincenti genera una serie di situazioni potenzialmente pericolose, perchè le cifre in ballo sono molto alte,e tizi di malaffare, tra allibratori e tirapiedi che usano le maniere forti per riscuotere, sono molto interessati.... "Magic numbers", che nelle intenzioni avrebbe dovuto essere uno dei maggiori successi della stagione 2000/01, fu invece un bel capitombolo che azzoppò le carriere di molti nomi: dalla regista Nora Ephron, proveniente da una decade di trionfi ( ma perchè una che nasce sceneggiatrice si mette a girare un copione così senza accorgersi che non funziona nulla come dovrebbe?), ai due protagonisti John Travolta e Lisa Kudrow, l'uno al declino della terza fase di una carriera segnata da picchi e cadute, l'altra luminosa in tv ma al cinema mal servita, fino ai comprimari Tim Roth, Michael Rapaport, Bill Pullman e Michael Moore (sì, proprio lui, che due anni dopo avrebbe vinto l'Oscar per il documentario "Fahrenheit 9/11"). Una commedia che dovrebbe essere leggera e giocare con la suspence del noir, ma si risolve in un pastrocchio senza capo nè coda, senza battute divertenti, che arriva pure ad essere noiosa nella presunta sequenza di fallaci colpi di scena. Caduta meritatamente nel dimenticatoio, non giustifica mai il probabilmente sostanzioso investimento compiuto per metterla insieme. Altro che numeri magici....


FROZEN II- Il segreto di Arendelle
( Frozen II, USA 2019)
DI CHRIS BUCK e JENNIFER LEE
ANIMAZIONE
FIABA/AVVENTURA/FANTASTICO/MUSICALE
Potrà sembrare curioso, ma un dato frequente negli ultimi dieci/quindici anni dice che al cinema i sequel possono incassare ancor più del primo episodio, specialmente se questo ha infranto diversi record di tenuta e redditività. Anche per "Frozen II" è andata così: era dura battere il record assoluto del primo film, uscito nel 2013, che è divenuto il maggiore successo di cinema d'animazione di sempre, ma questo numero 2 ci è riuscito, sorpassandolo e divenendo, ad oggi, il decimo incasso assoluto della storia del Cinema, senza tener conto di inflazione e svalutazione del denaro. E non basta: anche a livello di merchandising, si sta parlando di una diffusione planetaria impressionante, con vendite reiterate negli anni, non solo al momento dell'uscita delle pellicole. Tornano quindi in scena le principesse Elsa e Anna, versione cartoon della fiaba di Andersen "La regina delle nevi", con molte differenze dall'originale concepito dallo scrittore danese: si parte con un prologo che vede le due da bimbe con i loro genitori regnanti, e, più avanti, scoprire un'amara verità sul loro regno e sul come si sia esteso. Da qui un viaggio per riportare giustizia e rendere a chi spetta quello che è stato sottratto. Non è difficile leggere in questo racconto una metafora, nemmeno tanto sottile, degli Stati Uniti e sul come siano stati creati, con soprusi sugli abitanti originari e con vile prepotenza averli ridotti al silenzio: cosa che rende intelligente e anche più simpatico questo numero due, punteggiato da molte canzoni, in cui la vera protagonista è la non "magica" delle due sorelle, Anna, che riuscirà a riportare la verità nonostante, ad un certo punto, tutto sembri perduto. Graficamente ricco, con forse meno spazio all'umorismo, comunque garantito dal pupazzo di neve Olaf, potrebbe, visti i risultati, generare un capitolo terzo, che, sicuramente, non dispiacerà a nuovi e vecchi fans della serie che si svolge al gelo dei ghiacci infiniti.

 

domenica 25 ottobre 2020


I VIAGGIATORI DELLA SERA ( I/ES, 1979)
DI UGO TOGNAZZI
Con UGO TOGNAZZI, ORNELLA VANONI, Corinne Clery, William Berger.
FANTASCIENZA/DRAMMATICO
E' celebre l'intervista a "Domenica In" in cui un Ugo Tognazzi visibilmente irrequieto mandava per alcuni minuti in bestia uno scafato padrone di casa televisivo come Pippo Baudo, evitando le domande sul suo lavoro da regista e interprete in uscita, "I viaggiatori della sera", suo quinto e ultimo film in veste di director, e cercando di intavolare argomenti provocatori, piuttosto che parlare della pellicola. Il Tognazzi regista amava l'apologo, il racconto- parabola, e questo è forse il suo titolo più apprezzato, tra la manciata che lo ha visto dietro la macchina da presa: tratto dall'omonimo libro di Umberto Simonetta, vi si immagina che in una società imminente, le nuove generazioni abbiano instaurato un regime falsamente benevolente, in cui l'Ordine e le Buone Regole siano da seguire indiscutibilmente, e, giunti in zona cinquantennio, si venga accompagnati ad un villaggio vacanze in cui passare il resto della vita. La quale, si scoprirà, non è probabilmente destinata a durare moltissimo, dato che è in vigore una lotteria i cui vincitori vengono imbarcati in una crociera da cui nessuno fa più ritorno. Il film è amaro, uno sguardo preoccupato sul come l'Umanità abbia una tendenza cannibale inestinguibile, e come i non più giovani vengano visti come un peso da togliere di mezzo più o meno schiettamente. Tognazzi rimanda a uno dei suoi registi più cari, come Marco Ferreri, ma il milanese avrebbe gestito meglio l'iter del racconto, che, ad una prima parte interessante, fa succedere una seconda che via via sembra perdere forza e lucidità nell'illustrare il proprio filosofico assunto. Non che manchino i momenti di profondità, come nell'addio lacerante tra i due coniugi protagonisti, ma, come spesso accadeva nel cinema italiano coevo, per esempio, i bambini fin troppo autosenzienti, che arrivano ad arrivare sinistri, sono un piccolo inciampo narrativo che rende datato il messaggio. Tognazzi interprete, che dà le tonalità giuste al suo ribelle fuori tempo, risulta più convincente fino in fondo di quello che dirige, il quale, tuttavia, ricava da una seducente Ornella Vanoni un bel ritratto di donna, fatto di chiaroscuri efficaci.

 

giovedì 22 ottobre 2020



LASCIAMI ANDARE ( I, 2020)
DI STEFANO MORDINI
Con STEFANO ACCORSI, Maya Sansa, Valeria Golino, Serena Rossi.
DRAMMATICO/FANTASTICO/THRILLER
In una Venezia opaca, poco baciata dal sole, un architetto vive tra progetti di lavoro sul difficile campo edilizio della città veneta e la prospettiva di ridiventare padre, ma l'angoscia che lo attanaglia per aver perso un figlio non lo molla: soprattutto se viene raggiunto da una signora che gli racconta di aver acquistato la sua vecchia casa, e di sentire la presenza del bambino morto qualche tempo prima. L'ex-moglie, saputa la cosa, insiste per recarsi a controllare se quel che ha detto la sconosciuta, personaggio in vista con mani in pasta in molti ambienti "up" corrisponda a verità, la nuova compagna non regge le mezze bugie raccontatele per non metterla al corrente del corrosivo dubbio nato, e più che la storia avanza, sale una tensione che porta a galla verità mai dette. Stefano Mordini è un cineasta venuto dal mondo dei videoclip, che sa impaginare una storia, ma che pare sempre non trovare un proprio percorso definito: tratto da un romanzo uscito nel 2012, " Sei tornato", questo film assomiglia fin troppo da vicino a un classico anni Settanta, "A Venezia...un Dicembre rosso shocking", pur senza seguirne il versante più orrorifico, seppure insinuando un lato soprannaturale abbastanza robusto. Ma lo spessore e l'atmosfera del film di Roeg sono altra cosa. Nel cast spicca un teso Accorsi, ma anche il corollario femminile fa bene il suo lavoro, sebbene il personaggio della nuova compagna, impersonata da Serena Rossi, sia meno approfondito di quanto necessiterebbe. 

 


ODIO LE BIONDE ( Je hais les blondes, I/F 1980)
DI GIORGIO CAPITANI
Con ENRICO MONTESANO, JEAN ROCHEFORT, Corinne Clery, Paola Tedesco.
COMMEDIA
Enrico Montesano, prima di far parlare di sé per atteggiamenti spesso confusi in politica, è stato un interprete di gran successo per almeno una decade, interpretando commedie a raffica, lavorando in teatro e ritrovandosi al centro di show televisivi: un mattatore forse non sfruttato appieno, nonostante la verve e la prova della sua presenza remunerativa, avendo recitato in diversi titoli campioni di incasso, da solo o a fianco di altre personalità dell'epoca come Renato Pozzetto, Adriano Celentano o Vittorio Gassman. A suo agio con personaggi sbruffoni o timidi, Montesano qui ha buon gioco in una commedia coprodotta tra Italia e Francia, in cui impersona un "negro" ( come venivano definiti quelli che al giorno d'oggi sono i "ghost writer", cioè chi scrive davvero al posto di uno scrittore celebre troppo prolifico o in fase di stanca) che viene coinvolto in un giro di gioielli rubati, mentre deve consegnare al suo sfruttatore un romanzo che dovrebbe rilanciare la sua carriera. Diretto con brio e garbo da Giorgio Capitani, uno dei migliori registi di commedia leggera degli anni Settanta, "Odio le bionde" la butta sulla commedia degli equivoci, con qualche nudo soft di bellezze come Corinne Clery e Paola Tedesco, la collaborazione fruttuosa tra l'estro di Montesano e la flemma di classe di Jean Rochefort, e, se non ci si sganascia rumorosamente, si sorride spesso e comunque lungo la trama. 
 

mercoledì 21 ottobre 2020


UNA STORIA SENZA NOME ( I, 2018)
DI ROBERTO ANDO'
Con MICAELA RAMAZZOTTI, Renato Carpentieri, Alessandro Gassmann, Laura Morante.
DRAMMATICO
Vera autrice di romanzi, ma segreta, essendo una "ghost writer" per un autore in auge ma da tempo in crisi creativa, la single di bell'aspetto ma tendente alla solitudine Valeria si ritrova in una trama intricata, e, alla lunga, pericolosa, dopo essere stata contattata da un uomo misterioso di una certa età, che le suggerisce un racconto a proposito di un quadro di Caravaggio di cui si vocifera, ma si ritiene perduto o distrutto da tantissimo tempo. Ci sono di mezzo la mafia, e organi nazionali corrotti, e ci saranno rivelazioni sconcertanti per tutti i personaggi... Roberto Andò è un cineasta che sta percorrendo, da qualche anno, una strada personale degna di viva attenzione, mettendo in scena tematiche serie, con un'ottica mai greve, e permettendosi anche il lusso di qualche leggerezza, il tutto dirigendo cast interessanti e ben assemblati, e con una buona tecnica di narrazione. Qui siamo alle prese con una storia ispirata a fatti accaduti, insinuando che questo quadro caravaggesco sia, addirittura, entrato in trattative tra Stato e mafia. Micaela Ramazzotti sta al gioco con abilità, finalmente scostandosi dalle troppe volte in cui le si è assegnato un ruolo da ragazza con degli infantilismi o fragilità che hanno radici in turbe della psiche, Renato Carpentieri è una garanzia come presenza intensa, Alessandro Gassmann cita anche papà Vittorio de "La grande guerra", Laura Morante si fa meno nevrotica e sempre sensuale. Appassionante eppur leggero, il film è un piacere a vedersi, da non sottovalutare, nonostante sia stata poca la fortuna in sala.

 

martedì 13 ottobre 2020


SECONDO PONZIO PILATO ( I, 1987)
DI LUIGI MAGNI
Con NINO MANFREDI, Stefania Sandrelli, Lando Buzzanca, Mario Scaccia.
COMMEDIA/DRAMMATICO
Figura di peso storica e biblica, ma sempre defilata rispetto agli accadimenti della parabola del Cristo, almeno cinematograficamente parlando, Ponzio Pilato, prefetto e governatore della Giudea al tempo dell'arresto del Nazareno, viene messo al centro della storia in questo film di Luigi Magni. Che immette ironia e un'umanità anche recalcitrante, nel personaggio storico, affidandolo ad un attore che con lui aveva recitato più volte, come Nino Manfredi. Su Pilato ci sono idee discordanti, da parte degli storici: c'è chi lo indica come un uomo messo di fronte ad una questione enorme, tutto sommato passivo, ma anche descritto come un romano non accanito verso il Profeta, mentre altri ne parlano come di un funzionario corrotto e all'occasione infame, che pensò bene, per quieto vivere, di lasciare Gesù alla mercé dei furenti Giudei. Magni fa una riflessione su un'epoca storica, e sul senso del mistero e del giusto, anche, da parte di un tizio che si ritrova dinanzi ad eventi di cui comprende il peso, ma capisce anche che non può apporvi gran cambiamento, nonostante l'ufficialità lo rivesta di importanza dandogli un ruolo alto. E il regista romano punta il dito sul clero locale come portatore di pressioni interessate e malafede, come, con coerenza, ha sempre sostenuto nella sua opera, fin da "Nell'anno del Signore". Manfredi dà connotazioni ironiche al proprio Pilato, cogliendo l'occasione in sottofinale per un monologo che dà spessore alla sua interpretazione: risulta bene Lando Buzzanca come consigliere- banderuola del protagonista, convince meno Stefania Sandrelli nel ruolo della sposa di Pilato, mentre non si capisce lo sperpero di un interprete come Flavio Bucci nella parte di Erode Antipa, che occupa lo schermo per pochi minuti e non pronuncia quasi verbo. Un film non riuscitissimo, ma volenteroso.


 

venerdì 9 ottobre 2020


IL FEDERALE ( I, 1961)
DI LUCIANO SALCE
Con UGO TOGNAZZI, GEORGES WILSON, Mireille Granelli, Stefania Sandrelli.
COMMEDIA
Già lontani di una quindicina d'anni i fatti della Liberazione, l'insieme liberatoria e tesa fine della II Guerra Mondiale, cominciavano a venir fuori, in Italia, pellicole in cui si osava anche ridere di quell'ondata storica così violenta e che, purtroppo, aveva segnato le vite di tanti, e a tanti era stata fatale. "Il federale" divise la critica: se ci fu chi lo indicò come una commedia qualunquista, nemmeno così mordace verso il personaggio principale impersonato da Ugo Tognazzi, fascista convinto ma umanamente non pessimo, altri plausero alla satira su un idealismo vuoto, i cui gran maestri erano dei vili e opportunisti, e l'ignoranza era strumento fondamentale per fare accoliti. Rivisto oggi, racconta un viaggio che diventa un rapporto, tra due uomini ai poli opposti, l'uno graduato del Fascio cui si prospetta l'agognato scatto verso la carica di "federale" se compirà l'ardita missione, l'altro uomo di pensiero del fronte partigiano, non esente da difettucci, persona di cultura e mentalità ampia: scritto da Castellano e Pipolo, i quali curiosamente, finchè erano solo sceneggiatori, mettevano su cose affatto male, mentre da registi spesso sbracavano e giravano film di successo ma di forte mediocrità, diretto da Luciano Salce, il film si fa seguire con puntuale sorriso. Ugo Tognazzi, che qui trovò il vero lancio verso una carriera cinematografica di spicco, dà la tonalità adeguata ad un povero diavolo, in fondo, non disonesto e che crede nella propria dottrina, compiendo anche un gesto coraggioso: Georges Wilson è un intellettuale dalla sensibilità netta, con qualche furberia all'italiana ( quando si finge militare tedesco per mangiare a sbafo da una famiglia di contadini), che avrà uno slancio di pietà verso il suo ex carceriere, salvandolo da morte certa. Storiche le scene del sidecar e della notte sul "campo minato", fu il primo film cui Ennio Morricone scrisse le musiche. 

 

martedì 6 ottobre 2020


MOGLIE E MARITO ( I, 2017)
DI SIMONE GODANO
Con PIER FRANCESCO FAVINO, KASIA SMUTNIAK, Valerio Aprea, Marta Gastini.
COMMEDIA
Facendo un test con un'astrusa macchina che permetterebbe di leggere i pensieri dell'interlocutore, il medico Andrea e la conduttrice televisiva Sofia, marito e moglie, dopo un corto circuito provocato accidentalmente dalla donna, si ritrovano con le menti scambiate nel corpo l'uno dell'altra. La singolare situazione provoca, chiaramente, equivoci a tutto spiano, confusione reciproca, scoperte curiose e una nuova tensione, che però si rivelerà positiva, tra i due. Sceneggiato da due donne, diretto da un regista al secondo lavoro, "Moglie e marito" si rivela soprattutto un film affidato ai due protagonisti: Favino che assume atteggiamenti effeminati, la Smutniak che si ritrova maldestra sui tacchi e prende movenze rudi. L'innesco della comicità dovrebbe venire appunto dal collocare un attore di una certa virilità a esprimere una femminilità quasi impensabile, e, viceversa, un'attrice dotata di un fascino e di una femminilità solidi mimare atteggiamenti da maschio: a tratti il gioco riesce, ma non sempre, e se accade, è dovuto appunto alla brillantezza di Favino e alla verve della Smutniak. Ma intorno non c'è quasi niente, il film ha respiro corto, non compie quello che un soggetto del genere avrebbe dovuto, e cioè dare briglia sciolta a caratteristi funzionali in piccoli personaggi di contorno, e se voleva dare una lettura satirica dei ruoli nella coppia di oggi, rimane del tutto in superficie.

 


UNKNOWN- Senza identità ( Unknown, D/F/GB 2011)
DI JAUME COLLET- SERRA
Con LIAM NEESON, Diane Kruger, January Jones, Bruno Ganz.
THRILLER/AZIONE
Cos'è successo al dottor Harris, che, trovandosi a Berlino per un convegno, ha un incidente terribile e viene salvato a stento da una tassista? Ripresosi dopo quattro giorni di coma, l'uomo scopre amaramente che la moglie non lo riconosce, ma risulta sposata appunto a un dottor Harris che è tutt'altra persona: in più, non ha più denaro, viene preso per folle e comincia a ritrovarsi in pericolo di vita, dato che un killer professionista cerca di eliminarlo in ogni modo. Il protagonista, perso in una città che non conosce e con tutte le problematiche di cui sopra, si affida alla donna che lo ha salvato e ad un vecchio investigatore, ex- membro dei servizi della Germania Est, per trovare il bandolo della matassa, e sopravvivere. Tratto da un romanzo di uno scrittore belga, Didier Van Cauwelaert, il thriller diretto da Collet- Serra ha una buona prima parte, in cui l'intrigo si tesse e si sviluppa sulla confusione che il protagonista Liam Neeson, e di conseguenza lo spettatore, vive nel perdere ogni previa certezza, ma comincia a perdere colpi quando deve tirare le fila della faccenda, con l'ovvio complotto che c'è dietro al tutto. E chi ha un pò di dimestichezza con le spy-story non ci metterà molto a annusare i colpi di scena maggiori, compresa la non troppo probabile chiusa. Neeson uomo nei guai professionista ormai ci ha abituati ad appassionarci alle sue peripezie di persona che vorrebbe trovarsi fuori dalle disavventure, ma ci scivola dentro di continuo, ma il breve duetto tra Bruno Ganz e Frank Langella, ricco di tensione sorda, è probabilmente la cosa migliore della pellicola.

 


TENET ( Tenet, USA / GB 2020)
DI CHRISTOPHER NOLAN
Con JOHN DAVID WASHINGTON, Elizabeth Debicki, Robert Pattinson, Kenneth Branagh.
AZIONE/FANTASCIENZA
In pratica, assieme a "Onward", è stato, per ora, l'unico dei grossi titoli pronti che le case distributrici hanno avuto il coraggio di fare uscire nelle sale,dopo la devastante ondata del Covid: atteso da molti fans, il nuovo lavoro di Christopher Nolan ha avuto pareri discordanti presso pubblico e critica. Si parte subito in quarta con un'azione di forze speciali che devono intervenire in un teatro preso in ostaggio, proprio come accadde a Mosca nel 2002, al teatro Dubrovka, si prosegue su incrociati piani temporali, in un racconto ad alto ritmo, nonostante la cospicua durata del film ( 150 minuti pieni), e spesso lo spettatore può ritrovarsi anche frastornato da quel che succede sullo schermo, tra inseguimenti anomali, con auto sparate a velocità contraria, e cose che accadono più avanti o indietro nel tempo narrativo. Monito contro i nuovi oligarchi che conoscono solo l'arroganza del Potere economico, "Tenet" ( è la parola "Ten", dieci, incrociata normale e al contrario, forse?), il nuovo kolossal firmato Nolan prende eccome, ha colpi di scena calibrati ad hoc, semmai dà poco tempo di entrare a fondo nelle psicologie dei personaggi, ma questo viene compensato da una cadenza di racconto mozzafiato, magniloquente e mai fine a se stessa. Forse da vedere almeno due volte per comprendere appieno i "tranelli" e i giochi di regia e sceneggiatura, è un'opera da godersi su schermo grande, farsi prendere seguendo con attenzione e assaporare con gusto. C'è chi parla di lui come un bluff, ma da vent'anni questo regista ci spiazza e ci appassiona, e in futuro sarà uno dei non troppi nomi da mandare a memoria, di queste decadi.

 


SE LA STRADA POTESSE PARLARE 
( If Beale Street could talk, USA 2018)
DI BARRY JENKINS
Con KIKI LAYNE, STEPHAN JAMES, Regina King, Teyona Parrish.
DRAMMATICO
Barry Jenkins, come si sa, ha avuto la più bizzarra premiazione agli Oscar che si ricordi: indelebile la scena che vide il produttore di "La La Land" chiamare sul palco lui e chi stava dietro a "Moonlight" per assegnare giustamente il premio per il miglior film alla loro pellicola, e non, come erroneamente proclamato da Warren Beatty e Faye Dunaway, al musical di Damien Chazelle. Due anni dopo, Jenkins ha girato questo lungometraggio, tratto da un romanzo degli anni Settanta, nel quale le tematiche affrontano di nuovo problemi legati alla comunità nera. La giovane coppia al centro della storia vede precipitare la loro unione in un abisso di disgrazie, dato che il ragazzo viene accusato, erroneamente, di aver partecipato ad una rapina a mano armata, finisce in prigione, ed una testimone nè attendibile, nè sana di mente, giura che sia stato invece proprio lui a commettere reato. Il film racconta gli screzi, le sofferenze, il dolore e la rabbia di vite sprecate per una falla nel sistema giudiziario, e di come sia più difficile per un membro della comunità black dimostrare la propria innocenza: niente di nuovo sotto il sole, lo abbiamo visto molte altre volte, però, come purtroppo possiamo vedere ai telegiornali, e leggere sui quotidiani, sono molti i casi di discriminazione che sconfinano nel sopruso e nella violenza razziale. "Se la strada potesse parlare" è ben girato, con attori in parte, ma sembra non decollare mai, non ha un crescendo, Jenkins adotta uno stile quasi in sottrazione, per un racconto che, invece, dovrebbe avere tonalità vibrante. Questo smorza non di poco la denuncia, sacrosanta, che invece titoli più grintosi come "Black Klansman" di Spike Lee facevano sentire eccome.