venerdì 25 settembre 2020


IL CACCIATORE DI TAGLIE ( The hunter, USA 1980)
DI BUZZ KULIK
Con STEVE MCQUEEN, Eli Wallach, Kathryn Harrold, LeVar Burton.
AZIONE
L'ultimo film girato da una star hollywoodiana tra le più amate, fu questo film d'azione con venature da commedia: McQueen, già gravemente malato da qualche anno, volle girare di persona quasi tutte le scene in cui di solito gli attori celebri vengono sostituiti da una controfigura. Questo moderno cacciatore di taglie, che opera catturando piccoli criminali, aspetta in maniera recalcitrante di diventare padre, sebbene non sia più giovanissimo ( all'epoca diventare genitori oltre i quarantacinque era considerato un azzardo bello e buono), se la cava bene negli inseguimenti ma fa disastri parcheggiando, è reso con divertita partecipazione dal divo di "Papillon", che nei primi piani appare provato dalle cattive condizioni di salute. Alla regia manca un bel pò di personalità, visto che Buzz Kulik proveniva più che altro dalla tv e al cinema aveva lavorato di rado, e il lungometraggio non presenta molti altri motivi di interesse dall'essere, appunto, il congedo di Steve McQueen. Il quale, per fortuna, ha come ultima immagine sullo schermo il bel sorriso che rivolge al finalmente arrivato, e accettato, erede.

 


SQUADRA OMICIDI: SPARATE A VISTA 
( Madigan, USA 1968)
DI DON SIEGEL
Con RICHARD WIDMARK, HENRY FONDA, Inger Stevens, James Whitmore.
POLIZIESCO
Quando uscì ebbe un iter abbastanza ordinario, tra l'altro realizzato in mezzo a due titoli più all'avanguardia nella carriera di Don Siegel, "L'uomo dalla cravatta di cuoio" e "Ispettore Callaghan: il caso Scorpio è tuo!": poi, negli anni, "Squadra omicidi: sparate a vista!" ha assunto un'importanza sempre più crescente per i cinefili. Molte le letture psicologiche ( la pistola sottratta al detective protagonista divenuta simbolo di impotenza maschile), i due caratteri maschili principali diametralmente opposti, come l'investigatore di strada Madigan, tradito dalla moglie, avvezzo a parlare con manovalanza criminale e tipi poco raccomandabili, ed il procuratore, rigido e disposto a chiudere la relazione con la donna che ama per non creare uno scandalo, i conflitti a fuoco repentini e quasi "obbligati" nel racconto: girato con mestiere e diretto abilmente, appare, però, rispetto ai due film con Eastwood, una pellicola più statica, meno moderna, che ha preso sì le misure al nuovo modo di raccontare dei telefilm, ma che rivisto oggi presenta meno respiro cinematografico. Widmark impersona un poliziotto troppo preso dal suo istinto di caccia, Fonda dà carisma al funzionario che deve presentarsi in maniera irreprensibile, e nel finale subisce con signorilità accuse forse ingiuste: ma spicca anche un ottimo caratterista come James Whitmore, nel ruolo del dirigente che soffre i peccati del figlio nei guai con la legge.

 

lunedì 21 settembre 2020


IL PREMIO ( I, 2019)
DI ALESSANDRO GASSMANN
Con GIGI PROIETTI, ALESSANDRO GASSMANN, Rocco Papaleo, Anna Foglietta.
COMMEDIA
Portare in dote un cognome imponente, è un'arma a doppio taglio, come è prevedibile: può spalancare porte o concedere scorciatoie  notevoli, ma può anche divenire un fardello alla lunga, come può rappresentare un accarico il dover sempre sottostare a raffronti con "quello prima", specie se è stato veramente un grande della categoria a cui apparteneva. C'è da dire che Alessandro Gassmann ( che ha recuperato la seconda N dal padre tolta al cognome) ha saputo conquistarsi stima, negli anni, con ruoli sia brillanti che drammatici, contando sì sul cognome di peso, sulla prestanza fisica, ma avendo anche una certa umiltà, sia da attore che da regista. Qui alla seconda prova in tali vesti, racconta come un padre geniale e scapestrato, straordinario nel percorso artistico ( ha vinto un Nobel) e imbarazzante o inaffidabile nella gestione degli affetti, sia cosa difficile con cui trattare: nel viaggio che questo vate della cultura intraprende con i due figli, avuti da donne diverse, e con il fidatissimo segretario, saranno molte le sorprese, i momenti di sconcerto, e quelli ilari. Diciamo che si vede che il film è molto sentito dall'attore e regista, che ha scelto interpreti capaci e qua e là la sceneggiatura fornisce anche occasioni divertenti, ma che "Il premio" risulta anche dispersivo, non del tutto a fuoco narrativamente, sembra perdere a volte il filo del discorso e prendersi pause che lo fanno inceppare, e infine è fin troppo assolutorio. Però rimane impressa almeno una scena da commedia di qualità: quella in cui, dopo un paio di sfoghi delle "vittime" del personaggio centrale, durante una serata di gala, suona un cellulare e tutti i presenti sperano sia il proprio,per cavarsi d'imbarazzo. 
 

mercoledì 16 settembre 2020


DUPLICITY ( Duplicity, USA 2009)
DI TONY GILROY
Con JULIA ROBERTS, CLIVE OWEN, Tom Wilkinson, Paul Giamatti.
THRILLER/COMMEDIA
Nel mondo dei grandi marchi, tutto ciò che genera business, a livelli alti, comporta giro di affari, denaro in cifre enormi, immagine che va tutelata: e quindi, può anche capitare che qualcuno rischi grosso, mettendo in mezzo spie e trucchi che possono rovinare carriere o anche far peggio. Raro che si parli di spionaggio industriale nel cinema hollywoodiano, in cui è più comune vedere lotte tra agenti segreti di Paesi diversi, scandali pronti a venir tirati fuori, intrallazzi politici roboanti. Ci prova questa commedia gialla scritta e diretta da Tony Gilroy, sceneggiatore rinomato, qui all'opera seconda dopo il bel risultato di "Michael Clayton": dei tre film diretti sinora, è quello che convince meno. Se il modello voleva essere, probabilmente, il giallo-rosa americano degli anni Sessanta, con gli ovvi adeguamenti ad oggi, non funziona. Le due cose migliori della pellicola sono lo scontro al rallentatore, sotto la pioggia, tra i due rivali in affari Tom Wilkinson e Paul Giamatti, che diventa una vera e propria rissa da stadio, e il finale con sorpresa ( forse un pò prevedibile): ma in mezzo c'è una trama parecchio macchinosa, che vorrebbe essere ricca di colpi di scena, ed invece perlopiù stanca e distrae lo spettatore, l'alchimia tra le due star protagoniste Julia Roberts- Clive Owen non è avvertibile, e la durata è lunga oltre misura, sforando pesantemente le due ore di proiezione. Un film che assomiglia a quei pacchi regalo dei quali è molto meglio la confezione, che il contenuto. 

 

 



GLI UOMINI D'ORO ( I, 2019)
DI VITTORIO ALFIERI
Con GIAMPAOLO MORELLI, FABIO DE LUIGI, EDOARDO LEO, Giuseppe Ragone.
NOIR
Ispirato "ad un'incredibile storia vera", come appare scritto sullo schermo appena prima che partano i titoli di coda, è il secondo film che tratta una rapina avvenuta a Torino nella seconda metà degli anni Novanta: se ne era già occupato "Qui non è il Paradiso", uscito una ventina di anni fa, e ne riparla questo titolo, che rappresenta il secondo lavoro da regista di Vittorio Alfieri, già attore, sceneggiatore e montatore da anni. Non si faccia l'errore di considerare il film un riferimento al celeberrimo successo italiano degli anni Sessanta "I sette uomini d'oro", perchè non si imita quel modello tra commedia e thriller, nè si pensi a questo lungometraggio come ad un film brillante, nonostante i tre attori principali, Morelli, De Luigi e Leo siano professionisti attivi eccome nella nuova commedia all'italiana di questi anni: è un noir senza altra ironia che non sia quella della sorte per i personaggi, con virate al nero, e con qualche morto che ci scappa. Balordi nell'animo i due esecutori materiali della "robbery", nevrotizzato fino all'astio il complice, imploso l'ex pugile che fornisce un appoggio e luoghi ove trovarsi ai criminali per caso; il film ha i suoi momenti migliori quando definisce la diversità tra i complici, la loro miseranda umanità, e, soprattutto, evidenzia come anche una combriccola di suonati come questa possa diventare pericolosa, se imbocca le vie sbagliate. Il difetto più vistoso, o, se vogliamo, il limite più evidente, del film, è che Alfieri tende a "tarantineggiare" fin troppo, con scariche di colpi di pistola che beccano di tutto fuorchè il bersaglio come in "Pulp fiction", o la storia che va in avanti e poi torna indietro a raccontare come il dato personaggio è arrivato fin lì, come quasi tutti i film dell'autore di "Django Unchained". E allora si comincia a incespicare, e a fare il verso a troppi altri film, mandando in malora l'occasione per fare un thriller "diverso" per il mercato italiano: però la voglia di ripristinare un cinema di genere pare stia generando cose in prospettiva interessanti. Forse si dovrebbe fare meno il verso ad altri, e indossare l'umiltà comunque orgogliosa di essere se stessi. 

martedì 15 settembre 2020

 Onward - Oltre la magia: una sequenza: 516270 - Movieplayer.itOnward - Oltre la magia: recensione del film Pixar - Cinematographe.it

ONWARD- Oltre la magia

( Onward, USA 2020)

DI DAN SCANLON

ANIMAZIONE

FANTASTICO/COMMEDIA/AVVENTURA

Rimandato a più riprese, causa il protrarsi dell'emergenza Covid, arriva in sala in pieno Agosto il nuovo film della Pixar, che ha già in sviluppo altri due titoli ad abbastanza breve scadenza, di cui uno ambientato in Italia. In "Onward" sono di scena due fratelli, che in ventiquattro ore intraprendono un viaggio, da un tramonto al seguente, per riuscire ad avere un contatto con il padre, il quale, deceduto anni prima, appunto solo per quel lasso di tempo ricomparirebbe. Da un'inaspettata magia, questi riappare ma....solo per metà, dalla cintola in giù: e, inoltre, i protagonisti sono elfi blu, che, a bordo del furgone scassato del fratello maggiore, il quale è un ultranerd spesso considerato un pò sgangherato in giro, si cimenteranno in questa avventura. Pescando a piene mani dal repertorio di Indiana Jones nell'evoluzione dell'avventura ( ci sono perlomeno un paio di citazioni nette, su tutte il passaggio che si chiude come nel prologo de "I predatori..." e il cammino su un ponte immaginario, preso dal sottofinale de "L'ultima crociata"), il film di Dan Scanlon è sì figlio del cinema spielberghiano, con un'atmosfera molto vicina più alle produzioni dell'autore de "Lo squalo" che alle sue regie, e punta a divertire il pubblico con una strizzata di commozione sul finale, come da tradizione Pixar. Colorato e vivace, shakera racconto fantastico e cinema d'avventura, ma senza le stucchevolezze alla Harry Potter: oltretutto, con delicatezza nella scrittura, sottolinea come l'insicurezza giovanile non sia da considerarsi qualcosa di cui vergognarsi, ma un aspetto del carattere che può mutare prendendosi maggiori responsabilità, e confidando nell'aiuto di chi sappia dare l'affetto ed il conforto che sostengono. Tra fatine dispettose e biker, una manticora imborghesita ( figura mitologica difficilmente presentata al cinema), draghetti a far le veci dei cani, una piacevole favola con approdo finale non scontato.

venerdì 4 settembre 2020

 Lo sceicco bianco” di Federico Fellini a Venezia Classici 2019 ...Veri capolavori in tv, come Lo sceicco bianco e Un uomo per tutte ...

LO SCEICCO BIANCO 
( I, 1952)
di FEDERICO FELLINI
Con BRUNELLA  BOVO, LEOPOLDO TRIESTE, ALBERTO SORDI, Ugo Attanasio.
COMMEDIA
Primo film da "solista" per un regista che segnerà profondamente la cinematografia in generale, "Lo sceicco bianco" è una satira aguzza sul cinema, ma anche delle influenze del cattolicesimo ( curioso, da parte di uno che negli anni Settanta votò DC per "contribuire ad impedire il sorpasso dei comunisti") e dell'Italia post-bellica che sperava nelle benedizioni clericali e si perdeva a cullare sogni da rivista. La coppia di sposini Brunella Bovo e Leopoldo Trieste, con lei che, sedotta da un personaggio dei rotocalchi e splendido in celluloide, "lo Sceicco Bianco", appunto, si dà ad una scriteriata fuga per raggiungere questi su un set, e lui che si danna tra mille impacci per celare che la mogliettina è scappata agli zii che vivono a Roma, le sue nevrosi e chi non crede alla strampalata storia che racconta. E poi c'è Lui, lo Sceicco, con Alberto Sordi che fa un'entrata magnifica, dondolandosi su un'altalena ad un'altezza spropositata, e che rivela tutta la sua pochezza e piccineria facendo bizze e svelando la sua immensa fanfaroneria, ometto succube di una gigantessa felliniana, anticipatrice di altre donne corpose del cinema del riminese. Commedia anomala,sicuramente più avanti del suo tempo, che fino alla fine non perde occasione per mordicchiare le sue figurette patetiche eppure sognatrici, si fa godere quasi di più a visione terminata, per quel che lascia. Interpreti tutti intonati, compresa una Giulietta Masina che appare brevemente.