venerdì 27 marzo 2020

Pericle il nero: Scamarcio, romantico camorrista, fa il salto di ...Pericle il nero, Scamarcio criminale troppo solo - Cinema - ANSA.it
PERICLE IL NERO ( I/B/F 2016) 
DI STEFANO MORDINI
Con RICCARDO SCAMARCIO, Marine Fois, Gigio Morra, Valentina Acca.
DRAMMATICO/NOIR
Sgherro e picchiatore di un camorrista che svolge i propri ignobili affari a Liegi, Pericle è un tipaccio cresciuto dal malavitoso, che sente quindi anche come "famiglia" il clan: incaricato di far paura ad un prete troppo impiccione, il giovane sbandato assale anche una donna di una cosca rivale, e ritiene di averla uccisa. Agendo perlopiù con sacchetti riempiti di materiale contundente, il tirapiedi viene dapprima rassicurato dal boss, ma quando arrivano due sicari per farlo fuori, comincia una fuga in cui dovrà difendersi anche diventando un assassino. Presentato a Cannes nel 2016, tratto dall'omonimo romanzo di Giuseppe Ferrandino, "Pericle il nero" è il terzo film di Stefano Mordini, formatosi come documentarista: si nota negli scorci insoliti, di quotidianità grigia eppure reale, da dove Mordini proviene. Peccato che l'ambizione a girare un film noir di ambientazione moderna non riesca del tutto: benchè la trama sia interessante, ed il personaggio principale, nella sua balordaggine e aura negativa, voglia essere infine qualcuno che cerca disperatamente una casa a cui appartenere, ed il finale sia svolto con buona tensione, tra crudezze e un crescendo ben composto, manca il coinvolgimento vero e proprio per lo spettatore. Scamarcio evita di cercare di risultare simpatico, accentuando l'ambiguità del personaggio, che tuttavia non è il peggiore tra quelli che compaiono in scena, la parte debole del film sono forse i dialoghi, in gran parte poco incisivi: anche se l'evoluzione finale della storia deve anche a qualche sapido colpo di scena, proprio nel confronto verbale. 
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L'AVARO ( I, 1990)
DI TONINO CERVI 
Con ALBERTO SORDI, Laura Antonelli, Miguel Bosè, Carlo Croccolo.
COMMEDIA
Il gioco era già riuscito undici anni prima, stessa squadra, che vede Tonino Cervi alla regia e Alberto Sordi e Laura Antonelli come coprotagonisti, con "Il malato immaginario": furono alti gli incassi ( quarto nel '79/80, davanti a "Apocalypse now", "Io sto con gli ippopotami", "Moonraker", per dire) ma anche velenose le stroncature per l'adattamento, molto riveduto, del classico della scena teatrale di Molière. Più che altro, quello che pesava era l'involgarimento piuttosto pesante dell'umorismo del commediografo francese: in questa versione dell'altro classico francese del teatro, minore è il carico di parolacce e grevità ( ma l'immagine finale con il lenzuolo che si gonfia accennando ad un'erezione è scultissima!), ma, nonostante che questo sia stato l'ultimo vero successo in sala per Albertone ( vero, ci fu anche "Vacanze di Natale 91", ma era uno dei tanti personaggi principali), anche qui siamo nella pura mediocrità. Lento nello svolgersi, fiacco nella resa dei dialoghi, eppure provenienti da uno dei più geniali autori degli stessi a teatro, "L'avaro" sordian-cerviano è fin troppo genuflesso alla star protagonista, con un Sordi manieratissimo, che piega fin troppo a sé stesso il personaggio, con vari "Ammazza oh!", "Pussa via!", che lo rendono caricatura e mai carattere. Scarse anche le occasioni per ridere, ci si avvia al finale e bonario cambiamento di Arpagone in meglio con moscissimo spirito. Pur circondato da un cast di nomi abbastanza solido, tra i quali un Christopher Lee dignitoso, Sordi nell'ultima fase della propria carriera fece prevalere alla propria carica interpretativa uno sfociare in una presunta "modernità" fatta di male parole e esondazione dei propri tic e clichès che non gli giocavano certo a favore. 

domenica 22 marzo 2020

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ODIO L'ESTATE ( I, 2020)
DI MASSIMO VENIER
Con ALDO, GIOVANNI E GIACOMO, Lucia Mascino.
COMMEDIA
Campionissimi del box-office nella parte finale degli anni Novanta, il trio Aldo, Giovanni e Giacomo ha conosciuto negli ultimi anni un certo declino, sia di riscontro commerciale, ma, sopratutto, anche a livello qualitativo in ciò che proponevano al pubblico: "Il cosmo sul Comò", ma anche e soprattutto "Fuga da Reuma Park" erano scadenti, fiacchissimi, fatti male e per nulla divertenti. Ed è un peccato che questa squadra, che invece precedentemente ha confezionato commedie di buon livello, con riflessioni gentili e non superficiali, fosse scesa così tanto. Quasi a sorpresa, visto che si pensava che il gruppo fosse sciolto, hanno fatto arrivare nelle sale questo "Odio l'estate", in cui i tre si ritrovano per caso in una località balneare, su un' isola del Centro-Italia che non viene mai specificata, ed un'errore dell'agenzia a cui sono si sono rivolti li ha messi tutti nella stessa bella casa: invece di accapigliarsi, i tre nuclei familiari cominciano una bizzarra convivenza, nonostante le differenze d'estrazione e provenienza, e, complice lo spirito della vacanza, comincia un'amicizia. Commedia garbata perlopiù, come nello stile del terzetto, "Odio l'Estate", che prende il titolo dal celeberrimo brano di Bruno Martino, che si sente anche in una sequenza, si toglie lo sfizio di viaggiare leggera ma con strizzata amara mano a mano che il film avanza. Affiatati come sempre, Aldo, Giovanni e Giacomo scelgono meno la gag per dar modo alla trama di svilupparsi, e ai personaggi intepretati di acquisire maggiore spessore, concedendo anche ai personaggi d'intorno, soprattutto i femminili, di rappresentare caratteri definiti. E nella conclusione, la sensazione di salutare, magari fino alla prossima volta, i tre, è come quando un amico che non vedevamo da tempo ci ha fatto una visita gradita, e promette di farsi rivedere presto.
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SPENSER CONFIDENTIAL ( Spenser confidential, USA 2020)
DI PETER BERG
Con MARK WAHLBERG, Winston Duke, Iliza Shlesinger, Alan Arkin.
AZIONE/COMMEDIA
Il personaggio dell'ex poliziotto Spenser, divenuto detenuto per non aver tollerato la violenza domestica di un superiore e, una volta uscito, per istinto tornato a indagare dove non dovrebbe, ha avuto un destino letterario singolare: creato da uno scrittore, Robert B. Parker, ha proseguito le sue avventure, un pò come James Bond, con la firma di altri. Nello specifico, la sceneggiatura del film che prova a lanciare questo nuovo eroe dal pugno facile e dalla testa dura, viene da un romanzo scritto da Ace Atkins. Tanto per presentare il personaggio, lo incontriamo appena prima che lasci il penitenziario dove ha scontato la sua pena, ove va a prenderlo l'amico di sempre presso cui alloggiava, ma si ritrova a dover dividere la stanza affittata con un ragazzone nero che potrebbe essere un buon peso massimo sul ring, ma va sgrezzato. Viene ucciso proprio l'ufficiale che Spenser aveva menato, ovviamente quest'ultimo rientra tra i sospettati, ma l'ex poliziotto non ci sta e si mette a cercare la verità, provando a svicolare dalla fidanzata che gli dà la caccia. Collaborazione numero cinque tra il regista Peter Berg, che ha i suoi difetti, ma le scene d'azione sa girarle, e il divo Mark Wahlberg, "Spenser Confidential" è un action mischiato alla commedia, un pò nello stile di "Arma letale", che intrattiene lo spettatore con piglio grintoso, e con buon gioco d'attori ( Alan Arkin è diventato uno dei grandi comprimari di Hollywood negli ultimi quindici anni, ed il suo apporto è sempre prezioso). Distribuito via Netflix, sconta qualche inciampo di sceneggiatura, tipo quando, senza voler rivelare troppo, un personaggio da una posizione di vantaggio assoluto si mette a rischio per risolvere lo scontro a pugni e dimostrare di saperci fare di più, e, su un piano politico, ripete un pò l'operazione che Clint Eastwood fece con "Una 44 Magnum per l'ispettore Callaghan": sia Berg che Wahlberg sono conservatori convinti, repubblicani dichiarati, ma ci hanno tenuto a sottolineare che con gli estremisti di destra non hanno nulla a che vedere.

sabato 21 marzo 2020

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HANGMAN ( Hangman, usa 2017)
DI JOHNNY MARTIN
Con AL PACINO, KARL URBAN, Brittany Snow, Sara Shahi.
THRILLER
Si è detto più volte che la fase crepuscolare delle grandi star del cinema si traduce in tre maniere: il ritiro dalle scene, come hanno fatto Sean Connery, Cary Grant e Gene Hackman, le partecipazioni straordinarie in brevi ruoli, che da un lato valorizzano l'apporto dell'attore, per quanto la parte possa risultare di relativa importanza, oppure si accettano contratti e sceneggiature un pò di ogni tipo, sperando di agganciare qualche bravo regista, qualche ruolo di peso e qualche sceneggiatura di livello, però spesso si trovano anche soggettacci  e directors di scarso spessore. Purtroppo per i cinefili, che ovviamente di Al Pacino pensano più che altro bene, anche "Hangman" risulta essere una produzione di poco conto, con una trama abbastanza balorda, in cui si vuole che un serial killer orni le sue non poche vittime con lettere dell'alfabeto, affinchè si capisca che ha intrapreso il gioco infantile dell' "Impiccato": in cui, appunto, bisogna indovinare una parola e se non si indovinano le lettere che la compongono, per ogni errore si compone un patibolo. Se l'indagine in pratica è inesistente, salvo un'intuizione legata ad un oggetto che avevamo visto in apertura, anche la logica va a farsi benedire: un assassino che uccide, e poi issa in luoghi più o meno pubblici, le sue vittime, per inscenare quindi un'allusione al gioco divenuto mortale, che rimane in zona anche quando gli investigatori sono giunti sulla scena del crimine, ma quando mai? E poi anche la conclusione, che vorrebbe forse indicare che l'incubo non sia finito, piuttosto richiamante certe tendenze anni Ottanta che, oggi, risultano abbastanza demodè. Se Pacino fa notare che è lì soprattutto per riscuotere la parcella, Karl Urban si accontenta di fornire la parte fisica del duo, coadiuvato dalla bionda Brittany Snow. Il regista Johnny Martin è un illustre sconosciuto, ma, a giudicare da questo film, è probabile che rimanga tale.

domenica 15 marzo 2020

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RAY ( Ray, USA 2004)
DI TAYLOR HACKFORD
Con JAMIE FOXX, Kerry Washington, Regina King, Clifton Powell.
BIOGRAFICO/DRAMMATICO
Talento assoluto della scena musicale mondiale, Ray Charles perse la vista da bambino, e insieme a Stevie Wonder, fu uno dei grandi non vedenti della musica americana, cavalcando successi per oltre quarant'anni, da "I can't stop loving you", a "Georgia on my mind", concedendosi spesso a duetti di classe ( da citare almeno "Baby Grand" accanto a Billy Joel): partecipò anche a Sanremo nel 1990, presentando "Good love gone bad", versione in inglese de "Gli amori" (decisamente migliore dell'originale). Ne ha girato un biopic un regista saldo ma mai definito autore quale Taylor Hackford, responsabile di pellicole di successo come "Ufficiale e gentiluomo" e ""L'avvocato del diavolo": il film racconta dall'infanzia, con la perdita del fratellino in un incidente, la cecità giunta sempre in verdissima età, alla passione per la musica e alla perdizione nei vizi. Uscito quando l'artista era alla fine dei suoi giorni, "Ray" fece vincere al suo protagonista premi di livello mondiale come il BAFTA, il Golden Globe e l'Oscar, ma per quanto Foxx sia un buon interprete, qui sembra che si fermi ad una convincente imitazione del musicista: e l'intero lungometraggio, oltre che, chiaramente, un omaggio alla musica straordinaria di Charles, dà l'idea di una lunga esposizione, ma che rimanga tutto sommato in superficie rispetto alla storia tormentata, per quanto eccezionale, che racconta. Ben girato e per niente agiografico, correttamente, ma il film poteva risultare più memorabile: spesso le biografie su pellicola non riescono a dare lo spessore adatto ad una materia complessa come un'intera esistenza.

mercoledì 11 marzo 2020

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TRUE STORY ( True story, USA 2014)
DI RUPERT GOOLD
Con JONAH HILL, JAMES FRANCO, Felicity Jones, Robert John Burke.
DRAMMATICO
Reporter appassionato, il giovane Michael Finkel viene costretto a lasciare il suo posto al New York Times per un servizio in cui non ha dimostrato esattamente un'etica cristallina: tornato a casa dalla moglie nel profondo Nord americano, il giornalista viene a conoscenza del fatto che un uomo detenuto per aver sterminato la propria famiglia, prima di finire nel penitenziario ha adottato la sua identità, presentandosi usurpando il suo nome. Insieme turbato e incuriosito dal singolare caso, Finkel decide di andare a conoscere in carcere l'omicida, e i due uomini, spinti ognuno da motivazioni diverse, avranno modo di aprirsi e sviluppare un rapporto che a tratti dà l'idea di poter diventare un'amicizia. Come lo stesso titolo chiarisce, i fatti narrati sono realmente accaduti, e la sceneggiatura di David Kajganich (quello del "Suspiria" di Guadagnino) e dello stesso regista Rupert Goold, che qui esordisce dietro la macchina da presa, è basata sul libro di Finkel che ha narrato la vicenda. Facile che venga alla mente Truman Capote, che quando scrisse "A sangue freddo" creò un precedente che molto fece discutere, vedendo lo scrittore intrattenere un rapporto umano con chi aveva massacrato i propri familiari per andare nel braccio della morte; "True story", che forse necessitava una regia che gestisse con mano meno cauta l'ambiguo confronto tra i due uomini al centro del racconto. Buone le interpretazioni sia di Jonah Hill, qui in una delle sue migliori prove, mostrando la confusione comportamentale e morale del suo giornalista che si fa coinvolgere fin troppo nella faccenda, che di James Franco, che fa titubare sulla condizione mentale del suo personaggio, a fasi alterne mostrandone lo smarrimento o la sua sinistra capacità di mostrarsi non colpevole. Svolto perlopiù ad un tavolo al quale il giornalista e il detenuto si confrontano, è tuttavia un dramma che lascia spazio a considerazioni interessanti.
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CONTRATTEMPO ( Contratiempo, ES 2016)
DI ORIOL PAULO
Con MARIO CASAS, ANA WAGENER, José Coronado, Barbara Lennie.
THRILLER
Arrivista e arrogante, il giovane Adrian si è svegliato in una stanza di hotel chiusa da dentro, con la sua amante uccisa vicino : è in un grave guaio, e il suo avvocato gli manda una specialista che probabilmente risolverà il problema. Nell'esposizione dei fatti, però, viene fuori che il protagonista è stato protagonista di un altro brutto fatto, non molto tempo addietro, che ha visto morire un altro giovane. Il confronto con la donna è anche duro, ma via via che il tempo scorre, Adrian comincia a pensare davvero che la specialista possa salvarlo dal carcere: ma un contrattempo può risultare sempre decisivo... Uscito nel 2016, questo thriller spagnolo ha già generato un remake, il nostrano "Il testimone invisibile" con Riccardo Scamarcio: congegnato bene e ben scandito nella diffusione della tensione, è un giallo con sorpresissima finale tra le migliori ideate negli ultimi anni, che rasenta il racconto morale. Curioso che un lavoro così ben fatto e articolato con originalità non abbia trovato la via delle sale, e sia stato distribuito qui solo sulla piattaforma Netflix: il rifacimento italiano è pressochè identico, ma per la buona riuscita di questo originale è godibile la visione anche conoscendo il colpo di scena cruciale.

domenica 1 marzo 2020

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IL SIGNOR DIAVOLO ( I, 2019)
DI PUPI AVATI
Con GABRIELE LOGIUDICE, FILIPPO FRANCHINI, Massimo Bonetti, Gianni Cavina.
HORROR
Ritorno di Pupi Avati al genere che forse gli ha conquistato, negli anni, forse più simpatizzanti di gran parte degli altri, numerosi titoli che il regista emiliano ha realizzato in una carriera a questo punto quasi cinquantennale, "Il signor Diavolo" è tratto da un romanzo che lo stesso Avati ha firmato. Si narra dell'indagine di un giovane funzionario ministeriale circa un delitto commesso da un ragazzino nel Veneto attivo che tanti voti portava alla governativa Democrazia Cristiana nei primi anni Cinquanta: il fatto di sangue è legato a dicerie e sinistri indizi che avrebbero voluto che l'ucciso, reo da bambino di aver assassinato la sorellina in fasce, fosse posseduto dal demonio, anzi, dal "signor Diavolo". Cupo e senza un filo di umorismo o ironia, il film è tratteggiato con colori desaturati, e vede giovani attori sconosciuti nei ruoli principali, lasciando ai volti più noti ( Lino Capolicchio, Gianni Cavina, Chiara Caselli, Alessandro Haber, Massimo Bonetti), alcuni habituès del cinema avatiano ruoli importanti ma di contorno: e colpisce, nella resa visiva, quanto siano segnati dal tempo i lineamenti dei più celebri del cast. Interessante nella prima parte, "Il signor Diavolo" nel suo procedere perde un pò di forza narrativa, approdando ad un presunto colpo di scena finale al quale lo spettatore esperto di suspence non avrà grandi sussulti: diciamo che il gioco, al regista, era riuscito molto meglio nel cult "La casa dalle finestre che ridono", ma anche ne "L'arcano incantatore". Se è efficace la messa in scena della provincia del ricco Veneto, con un'arcaica credulità in macabri credi e nell'elaborazione del "conto" tradizionale, basato sul passaparola, e ritorna fuori la radice anticlericale del Pupi Avati versione orrorifica ( fateci caso, quasi sempre le figure attorno alla Chiesa in questi suoi film sono inquietanti quando non addirittura portatori del Male), a livello di tensione non si arriva mai a rimanere veramente coinvolti nel racconto. Peccato, perchè le intenzioni e le credenziali erano buone.