MACCHINE MORTALI ( Mortal engines, USA/NZ 2018)
DI CHRISTIAN RIVERS
Con HERA HILMAR, ROBERT SHEEHAN, Hugo Weaving, Jihae.
FANTASCIENZA/AVVENTURA
Come negli ultimi anni è andato di moda, la fantascienza è spesso distopica, e tratta da romanzi piuttosto venduti tra le file dei giovanissimi: dietro a questo kolossal coprodotto da USA e Nuova Zelanda, c'è la trinità che dette vita alle due trilogie de "Il signore degli anelli" e "Lo Hobbit", vale a dire Peter Jackson, Philippa Boyens e Fran Shaw, che elabora un libro, firmato Christian Rivers. In cui si vuole che nel futuro le metropoli saranno semoventi ed ingloberanno, per assorbirne energie e proprietà, le città piccole. La metafora di un consumismo folle e cannibale, che si pappa i deboli per far reggere le strutture grandi, è appena accennata: in una trama che contempla l'inseguimento come leit-motiv assoluto ( accadeva anche in "Mad Max:Fury Road", per fare un esempio, ma è cinema di altro livello), si seguono le peripezie di due giovani, Hester e Tom, con lei che porta in volto i segni che motivano il suo odio verso il falso profeta Thaddeus Valentine, e lui che salva questi per poi doversi amaramente ricredere sulle intenzioni del condottiero londinese. In più, giunge a dar la caccia alla ragazza una sorta di cyborg, in realtà un morto vivente semi-meccanico, che pretende da lei la soddisfazione di un'antica promessa. Se le scenografie sono ragguardevoli, e al film non mancano riprese vertiginose a testimoniare lo sforzo produttivo, piuttosto notevole, "Macchine mortali", nonostante le firme illustri sullo script, dice poco di nuovo, con qualche scena spettacolare, ed una rivelazione quasi sul finale, simile ad una che in altri contesti, qualche decennio fa, fu uno shock per l'audience, e qui affonda invece nel banale. La parte più interessante è quella attinente allo zombie-cyborg Shrike, ma nell'economia narrativa del film emana un che di posticcio, e di incluso per cercare di dare più corpo ad una trama abbastanza gracile, nonostante il grosso dispendio economico. E poi, nonostante balzi, lotte, scontri e corse, gli attori sembrano tutti appena alzati dalla poltrona del coiffeur, a dare un tono ancora più posticcio all'intera operazione: si distingue un invecchiato Hugo Weaving tra attori di poco conto, ma ha gioco facile.
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