LA TENEREZZA ( I, 2017)
DI GIANNI AMELIO
Con RENATO CARPENTIERI, Giovanna Mezzogiorno, Micaela Ramazzotti, Elio Germano.
DRAMMATICO
Va detto: scegliere di girare un film, oggi, in Italia ( ma non solo da noi), con protagonista un anziano, è già un atto di coraggio, che fa guadagnare simpatia. Però, non è solo questo che valorizza l'ultimo film di Gianni Amelio: nel raccontare questa storia di solitudini incrociate, di sentimenti restii ad emergere, di scontrosità fattasi natura, il regista calabrese ha messo la consapevolezza della maturità, e la sensibilità del saper annotare, tra i dettagli e le righe di comportamenti e atteggiamenti, facendo suo uno spunto venuto dal romanzo "La tentazione di essere felici", di Lorenzo Marone. Ambientato in una Napoli non usuale, di palazzi borghesi un tempo eleganti, oggi sbrecciati e trascurati, "La tenerezza" è un titolo che affascina e coinvolge: sa parlare allo spettatore con silenzi, frasi mozze e non detto, senza la facile scappatoia di scene madri, si noti il momento della tragedia, che dà la svolta al film, che ci racconta il "dopo", con lo sfondo di una notte di tempesta, buia e stremata da una pioggia torrenziale. Amelio è, di base, un anarcoide (in tutti i suoi film dipinge con scarsa simpatia a istituzioni e uomini che dettano le regole), e sembra trovare una forte congenialità con questo avvocato finito in disgrazia, attraversato da un egoismo che ha amministrato tutta la propria vita, che niente può fare per fermare l'affezione verso una famiglia giovane, venuta a vivergli accanto: perchè voler bene a qualcuno non è mai un fatto di convenienza, e implica anche, coscientemente o meno, il rischio di perderlo. Un magnifico Renato Carpentieri (lo dico da oltre vent'anni che è uno dei più bravi attori italiani, rimasi folgorato dal commissario dalla barba lasciata crescere come gramigna di "Puerto Escondido") riveste di ruvidità onesta un personaggio difficile da decifrare, apparentemente anaffettivo, in verità incapace di venire a patti con la propria emotività, che cela al mondo esterno: la regia ha comunque scelto un cast di alto livello, con la fragilità di Germano, l'amarezza della Mezzogiorno, la vitalità della Ramazzotti ed il contributo di Greta Scacchi, che in una sola scena, lascia comunque una certa traccia. La filmografia del regista è, di fatto, una delle più corpose e di qualità del cinema italiano degli ultimi quarant'anni: ma questo lungometraggio, ha quel sapore di vissuto, di riscontrabile, che appartiene alle opere che qualcosa sanno lasciare dentro a chi ci si confronta, dosato con qualche spruzzata d'umorismo di solito rado nei suoi film che equilibra la forte componente di dramma: perchè nella vita di tutti ci sono, e ci sono stati, quei legami a volte faticosi, fatti più di incomprensioni e di frasi arrivate alle labbra e non fatte uscire, cui un inaspettato e forse goffo, ma irresistibile gesto d'affetto può far tanto affinchè riescano a non perdersi.
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