lunedì 29 febbraio 2016


JERSEY BOYS ( Jersey Boys, USA 2014)
DI CLINT EASTWOOD
Con JOHN LLOYD YOUNG,Erich Bergen, Vincent Piazza, Christopher Walken.
BIOGRAFICO/MUSICALE
La storia di una band che lanciò dei successi negli anni Cinquanta, il cui front-man era Frankie Valli, che fu quello che lanciò, in versione solista, "Can't get my eyes off you", poi divenuta un hit assoluta nella versione di Gloria Gaynor, e la canzone dei titoli di "Grease": Clint Eastwood, tra "J.Edgar" e "American sniper" ha girato questo biopic su dei personaggi relativamente celebri, in Europa, come i Four Seasons, senza destare particolare clamore. La storia di Valli e compagnia, narra di una giovinezza passata tra maramalderie nei quartieri bassi, tra boss benevolenti e truffe subite o ordite, del successo arrivato e mantenuto, degli screzi all'interno del complesso una volta arrivato il benessere economico, e del successivo scioglimento del gruppo, con coda che contempla i quattro ex-ragazzi ingrigiti ad esibirsi in un concerto nostalgico. Pur essendo un Eastwood minore, anche perchè questa volta Clint non ha azzeccato del tutto gli interpreti giusti, "Jersey Boys" è un'operina che non dispiace, un film lungo due ore e un quarto, ma che procede con scioltezza, raccontando uno spaccato d'America post-bellica in cui si sente che chi narra ha vissuto il momento. Tra un litigio in studio e un'esibizione con goffa coreografia, l'avventura musicale dei Four Seasons si dipana facendosi seguire volentieri, soprattutto nella seconda parte della pellicola. 

THE WALK ( The walk, USA 2015)
DI ROBERT ZEMECKIS
Con JOSEPH GORDON-LEVITT,Charlotte Le Bon, Ben Kingsley, James Badge Dale.
COMMEDIA
E' andato meno bene del previsto, nonostante le generalmente buone recensioni riscosse, questo ultimo lavoro di Robert Zemeckis. Il tema romanza l'impresa folle e unica dell'artista Philippe Petit, funambolo che volle percorrere su un cavo la distanza, in aria, tra le Torri Gemelle, nel 1974, armato solo di un'asta per mantenere l'equilibrio. Sulla vicenda, andate a rivedervi anche il bellissimo documentario "Man on wire", del 2009,  premio Oscar, di James Marsh: storia da romanzo, e da cinema, l'anarchico gesto di Petit, che venne raggiunto sui tetti delle Twin Towers dalla polizia, ma ormai la traversata era già compiuta, viene qui descritta raccontando quanto il francese avesse progettato la faccenda, e trovando il climax nella sequenza in aria. Con la cornice del protagonista che racconta la sua versione dei fatti, Zemeckis dirige una commedia d'azione che ha momenti molto spettacolari, con una discreta ricostruzione della New York di quarant'anni fa, ma che forse pecca di fin troppa "confezione", risultando alla fine un buon intrattenimento, e niente più: e la resa dell'insieme folle e poetica camminata in aria di Petit, non ha la tensione necessaria per avvincere fino in fondo. Certo, è il lavoro di un regista che più di tanti altri ha saputo coniugare senso del cinema, buona mano narrativa, e grande spettacolo, ma non rientra tra i lavori migliori dell'autore di "Ritorno al futuro". 

domenica 28 febbraio 2016


MAGIC MIKE ( Magic Mike, USA 2012)
DI STEVEN SODERBERGH
Con CHANNING TATUM, Alex Pettyfer, Matthew McConaughey, Cody Horn.
COMMEDIA
La moda degli strip maschili viene dagli anni Novanta, quando i "California Dream Men" impazzavano alle feste di addio al nubilato, a quelle dell'8 Marzo ( mai stato d'accordo su questo aspetto di donne che in tal senso fanno di tutto per assomigliare a certi brutti lati maschili): il mondo di maschioni muscolosi e disposti a farsi infilare banconote in ristretti tanga è, come quello delle ragazze da night, diviso tra chi considera tale vita una fase per mettere da parte un gruzzolo di una certa consistenza, e chi sbanda in un ambiente in cui la carne è merce. Curiosa la firma di Steven Soderbergh per questa commedia/dramma, che alla sua uscita ha totalizzato cifre importanti, tanto da generare un sequel, uscito questa stagione, ma con minore rilevanza: Channing Tatum, Alex Pettyfer, Matthew McConaughey & co. sono impegnati in balletti, acclamati da signore ai bordi del palco, con uscite a sballarsi di ecstasy, scazzottate a feste domestiche, ubriacature e ragazze che smaniano all'idea di farsi uno degli spogliarellisti. Diciamolo, è un film discretamente diseducativo, con utilizzo di droghe facile, accettazione piana di malavita presente nell'ambiente, e varie altre cose che vengono fatte passare quasi per "normali". E, con tanto di finale scippato, per sommi capi, a "La febbre del sabato sera", si può capire che le signore e signorine, nel vedere diversi bei ragazzi esibire quasi tutto l'armamentario, abbiano visto il film con interesse, ma la storia è scontata e noiosa, e si dura una gran fatica ad arrivare alla fine. Un film insulso, diretto con mestiere da un regista in fase vaga. 

sabato 27 febbraio 2016


1981:INDAGINE A NEW YORK (A most violent year, USA 2014)
DI J.C. CHANDOR
Con OSCAR ISAAC, Jessica Chastain, David Oyelowo, Albert Brooks.
DRAMMATICO
Nonostante i nomi presenti nel cast, probabilmente è stata la presenza di Oscar Isaac nel settimo episodio di "Star Wars" a dare la spinta a "A most violent year" per essere distribuito al cinema, qui da noi, e non andare "straight to video": l'attore guatemalteco è il protagonista di questo dramma a forte connotazione noir, ambientato nel 1981, che le statistiche apposite indicano come uno dei più violenti e criminosi della città di New York. Di scena un giovane imprenditore di origini latine, nel ramo dei rifornimenti, che sta per chiudere un grosso affare, ma si è esposto molto, e troppe cose gli vanno storte, perchè non ci sia una macchinazione ai suoi danni da parte di qualche rivale: in più, ha addosso la legge, per via di certi movimenti di soldi poco chiari del suo passato, e quello che poteva essere il momento della svolta per farsi un nome nella metropoli, può diventare quello del crollo irreparabile. J.C. Chandor, dopo aver girato un film con un solo attore protagonista, Robert Redford, con pochissime battute, in "All is lost", realizza un lungometraggio che per certi versi ricorda "Il padrino" di Coppola. E' molto buona l'ambientazione nei primissimi anni Ottanta, la scelta e la conduzione degli attori evidenziano la mano ispirata di un potenziale autore di spicco: quel che difetta a Chandor, e non  appunto a uno come Coppola, per esempio, è il non ricorrere a commenti musicali in alcune scene decisivi per sottolineare un passaggio o una svolta narrativa, il raccontare con chiarezza ma senza mettere vera passione nella storia. L'ambiguità di tutti i personaggi, compreso quello principale, che il film presenta come una persona sostanzialmente retta, ma che di fronte ad un evento particolarmente drammatico sembra pensare più al calcolo e alla propria convenienza, che prendere coscienza della gravità della situazione, è invece ben resa: anche grazie ad un buon cast ( alti lai, come sempre, da molti recensori per Jessica Chastain, attrice notevole, vero, ma lo script pare dimenticarsi il suo personaggio per un buon terzo di film), "A most violent year" procede inesorabile, prendendosi tempo, ma disegnando un quadro efficace di obbligata corruzione e ferocia appena tenuta a bada in società.

giovedì 25 febbraio 2016


LE FATE ( I, 1966)
DI LUCIANO SALCE, MARIO MONICELLI, MAURO BOLOGNINI, ANTONIO PIETRANGELI.
Con MONICA VITTI, CLAUDIA CARDINALE, RAQUEL WELCH, ALBERTO SORDI, CAPUCINE.
COMMEDIA
I film a episodi uscivano a raffica negli anni Sessanta, spesso formati da segmenti con uno o più attori celebri attorno ai quali ruotava il racconto, e diretti da registi importanti, che realizzavano così un minifilm, lungo meno di mezz'ora. Ci sono passati quasi tutti i più importanti, da Fellini a Monicelli, da Scola a Risi, ed infatti qua abbiamo quattro composizioni che raccontano di donne devastanti quanto fascinose: nel primo (di Salce)  Enrico Maria Salerno raccoglie per strada la bella svampita Monica Vitti, che gli dice di star fuggendo da un molestatore, ma la realtà non è esattamente quella raccontata dalla donna; nel secondo (di Monicelli) un medico interpretato da Gastone Moschin si incapriccia di una bellissima ragazza, che ha la sensuale presenza di Claudia Cardinale, che gli presenta il figlioletto che, però, ha sempre connotati differenti; nel terzo ( di Bolognini), Jean Sorel va a trovare l'amico che ha sposato la bellissima Raquel Welch, tra i due è attrazione fulminea, e riescono a prendersi, nonostante il poco tempo e le scarse possibilità di rimanere da soli; nell'ultimo, quello più lungo ( di Pietrangeli), Alberto Sordi è un cameriere impeccabile, che durante una festa finisce nel letto con una signora ubriaca, salvo scoprire, il giorno dopo, che è la moglie dello studioso che l'ha appena assunto. Delle quattro parti, se la prima è appena gradevole, ma ha poco succo, la terza, la più breve, ha vaghi allacci con lo spirito boccaccesco, ma è molto insulsa; la seconda, in cui sorge una sorta di malinconia nella conclusione, in cui l'uomo, che ha realizzato la fallacità della propria passione per una donna sfuggente e senza radici, mette al juke-box la canzoncina scema che gli ricorda lei, e l'ultima, la migliore, è quella che ha sia più fiato a livello narrativo, che attenzione nella scrittura, ed i due personaggi principali hanno più spessore, anche grazie alla buona prova di Sordi e di Capucine. 

IL BACIO DELLA PANTERA ( Cat people, USA 1942)
DI JACQUES TOURNEUR
Con SIMONE SIMON, Kent Smith, Jane Randolph, Tom Conway.
FANTASTICO
Titolo di culto da quando è uscito, "Il bacio della pantera" ebbe anche un seguito, "Il giardino delle streghe", che non è stato ricordato quanto questo lavoro diretto da Jacques Tourneur, e prodotto da Val Lewton, ma che molti cinefili reputano da dividere tra i due, per merito: la storia della slava Irena che ha qualcosa da nascondere nel passato, e pure nel presente, di cui l'uomo comune Oliver Reed si infatua, e sposa in fretta e furia. Ma grava sulla coppia una superstiziosa ombra, appartenente alle leggende delle terre da cui la donna proviene: ci sarebbe qualcosa di misterioso e animalesco in lei, ed in effetti, certi segnali sono inquietanti, come il terrore che gli animali provano quando si avvicina. Il film, più che un horror, è una storia fantastica con un alone romantico-malinconico, in cui, a ben vedere, la protagonista è una vera e propria vittima di qualcosa di atavico, di cui è inconsapevole portatrice. E chi si comporta male, in termini etici, è più il marito, e la scena del museo, in tale senso, è molto significativa. Tourneur fa parlare il non detto, inquieta lo spettatore con le allusioni, con ciò che non viene mostrato: molto cinema si è ispirato a sequenze come quella della piscina, in cui tutto ciò che può creare agitazione viene da ombre e quel che la macchina da presa non focalizza. Simone Simon, che qui interpretò il ruolo della vita, dà le giuste sfumature ad un carattere fino all'ultimo non del tutto comprensibile, ma per cui, nell'ottica di oggi, si arriva a simpatizzare, più che ad averne timore. Nel 1982 Paul Schrader ne fece un remake,  di discreto livello, che sottolineava maggiormente gli aspetti erotici della vicenda.

martedì 23 febbraio 2016


DEADPOOL ( Deadpool, USA 2016)
DI TIM MILLER
Con RYAN REYNOLDS, Ed Skrein, Morena Baccarin, Brianna Hildebrand.
FANTASTICO/AZIONE
Benvenuti nel lato più "oltraggioso" della Marvel: antieroe dalla parlantina forsennata e dalle parolacce più frequenti dei già numerosi proiettili che spara, Deadpool è un personaggio "minore" dell'universo di Thor & Spider-Man, che però ha già un pubblico di nicchia ma invaghito delle imprese del mercenario vestito di rosso e nero, che usa le armi con la scioltezza con cui si usano le posate di casa. L'operazione "Guardiani della Galassia" era andata benissimo, avranno pensato i produttori del Marvel Studios, perchè non ripetere con altri brand per pochi sulla carta, ma che possono totalizzare incassi di un certo livello? Infatti, in dieci giorni di vita sugli schermi, "Deadpool" ha già raccolto, a livello mondiale, una cifra sui 400 milioni di dollari, trasformandosi in un'affare con i fiocchi. Fin dall'inizio, in cui ci ritroviamo dentro una sparatoria/inseguimento spettacolare quanto pericolosa, il gioco di Tim Miller è chiarissimo: tutto il lungometraggio è basato su un sarcastico nonsense, tra battute a raffica e situazioni al confine del demenziale. In tal caso, la sequenza del reincontro tra il protagonista e la donna amata, dopo varie vicissitudini, sulle note di "You're the inspiration" dei Chicago, la dice lunga. Ryan Reynolds, che già aveva dato volto al di rosso vestito ammazzasette in "Wolverine", si prende la rivincita circa i suoi ruoli a fumetti, dopo il flop di "Lanterna verde", ed il film intero pullula di ammiccamenti e citazioni al mondo dei comics, per cui un aficionado delle strisce si godrà la visione ancor meglio. Ne è annunciato un seguito per l'anno prossimo, visti anche i risultati commerciali conseguiti:tra sghignazzi e risate in sala, pare di assistere ad una capatina di Tarantino e dei fratelli Coen nel mondo Marvel, elettrizzata da un'assenza di riguardo per il "politicamente corretto" che era l'unica maniera possibile di portare il personaggio al cinema. 

domenica 21 febbraio 2016


ROGUE ( Rogue, AUS 2007)
DI GREG MCLEAN
Con MICHAEL VARTANRADHA MITCHELL, Caroline Brazier, Sam Worthington.
HORROR
I "Croc-movies", da "Alligator" del 1980, spesso appassionano gli aficionados di horror, film di mostri e cinema di serie B in generale: i grandi rettili acquatici, così come gli squali, affascinano e respingono, in quanto pericolosissimi, dato che possono emergere da sotto la superficie, camminare lenti ma inesorabili sulla terraferma, e agguantare e sbranare con le loro fauci zannute. In questo film, diretto dal regista di "Wolf Creek", si percepisce l'ostilità del luogo, l'outback australiano, verso chi viene da fuori, fin dalla prima sequenza sotto i titoli, nel bar in cui il protagonista va a chiedere informazioni: un tema caro a McLean, che sottolinea appena può la non socievolezza della provincia oceanica con lo straniero, fino a pretenderne l'eliminazione fisica. Rispetto al thriller cui McLean deve la popolarità, se si vuole, "Rogue" ha un impianto ancora più basico: una barca con una conducente bella ed esperta, un carico di turisti, una complicazione che porta a conseguenze inaspettatamente orride, un mostro famelico, nel suo ambiente. Sarà un B-movie, ma è fatto molto bene: McLean fa scelte non scontate, tiene sotto controllo il rischio di sprofondare nel gore, ed anche a livello zoologico, la pellicola tiene conto del fatto che il coccodrillo è un predatore vorace, ma avveduto, visto che porta le proprie vittime sott'acqua per affogarle, e poi le porta a "frollare" nella tana, lasciandole immerse almeno in parte. Cruento solo in alcuni passaggi, il film avvince e, nella lunga scena nella grotta che ospita il gigante ricoperto di squame ( ad occhio, dovrebbe essere sugli otto metri, un esemplare fuori dalla norma) la regia ha modo di alimentare la suspence con bravura e buon senso cinematografico. Finale un pò accomodato, ma questo è un regista da seguire. 

PERFETTI SCONOSCIUTI (I, 2016)
DI PAOLO GENOVESE
Con MARCO GIALLINI, VALERIO MASTANDREA, KASIA SMUTNIAK, ANNA FOGLIETTA.
COMMEDIA/DRAMMATICO
Cinque sceneggiatori, per un film, solitamente non gli fanno bene, perchè spesso si riscontra, negli script in cui sono intervenute troppe mani, buchi, difficoltà nella tenuta del racconto, incertezze: aggiungiamo che circa la celeberrima polemica sul cinema italiano- quattro sedie ed un tavolo, quindi ambientato spesso in spazi domestici, qui ci troviamo dinanzi ad un film interamente ambientato in un appartamento, o quasi, durante una cena. Insomma, il nuovo lavoro di Paolo Genovese ne aveva diverse di carte in mano per fallire, e invece funziona. Amici di una vita, tre coppie sulla quarantina ( alcuni attori non sono proprio centrati per fascia d'età, ma pazienza...) ed un single si ritrovano nella casa di due di loro, per una serata conviviale. Sono di estrazione borghese, più o meno tutti, e la padrona di casa propone di fare un gioco: ognuno pone il proprio cellulare sul tavolo, ed ogni messaggio, chiamata e quant'altro arrivi, si legge a voce alta davanti a tutti. Naturalmente, verranno fuori cose che imbarazzeranno, o complicheranno le cose, a ognuno.... Per metà commedia, il film scivola lentamente nel dramma, in confronti duri, verità evitate, insincerità mai emerse: chiaro che in un contesto del genere, il supporto degli attori è fondamentale, e va reso atto sia a Genovese, che a chi abbia curato il casting, che sono stati scelti interpreti di tutto rispetto, generazionalmente. Tutti molto bravi, con una menzione necessaria per Valerio Mastandrea e Marco Giallini, attualmente tra i più in palla nel cinema italiano: basti dire che l'indurirsi progressivo del volto del primo, e la sensibilità mostrata dal secondo, solitamente abilissimo a dar volto a personaggi sopra le righe, nella sequenza della telefonata della figlia, mostrano che, forse, credere in questi attori e scriver loro copioni degni, potrebbe aiutare molto la nostra cinematografia. Certo, non tutto è perfetto, e forse ci sono un pò troppi colpi di scena: ma se il senso era di sottolineare quanta ipocrisia permei l'esistenza di molte persone, e quanto venga riversato in un oggetto che rivela i tanti strati di ognuno, come il telefono cellulare oggi, l'obiettivo è raggiunto eccome. 


TOTO' TERZO UOMO ( I, 1951)
DI MARIO MATTOLI
Con TOTO', Franca Marzi, Elli Parvo, Diana Dei.
COMMEDIA
Totò si fa in tre, e di qui il titolo, che ammicca volontariamente al classicissimo noir all'epoca uscito da poco, diretto da Carol Reed, e di cui scimmiotta parodisticamente il celebre motivo con la lira, ma i riferimenti si fermano qui. La storia di questo film invece riguarda tre fratelli, uno integerrimo politico, rigoroso e severo, l'altro gaudente e mal visto dall'altro, e il terzo, di cui nessuno conosceva l'esistenza, che giunge a scompigliare le cose e definitivamente, per rimetterle a posto. Una farsa degli equivoci che Mattòli e Totò utilizzano con scioltezza, ma che è molto meno efficace di altre pellicole della coppia: nonostante il comico napoletano si adoperi con abbondanza per rivestire tre parti, è la sceneggiatura che offre non moltissime occasioni di divertimento, e il film si fa addirittura uggioso, in qualche passaggio. Il cast è composto di volti che con Totò avevano un forte affiatamento, da Aroldo Tieri  a Carlo Campanini, comprendendo Franca Marzi, ma il divertimento, su una trama piuttosto tenue, è piuttosto esiguo. 

sabato 20 febbraio 2016


BELLI DI PAPA' ( I, 2015)
DI GUIDO CHIESA
Con DIEGO ABATANTUONO, Matilde Gioli, Andrea Pisani, Federico Facchinetti.
COMMEDIA
Bella cosa i figli, però di prole scriteriata che abbia mandato in malora i piccoli e grandi regni messi su dai genitori, ce ne sono stati tanti: il benestante Diego Abatantuono, vedovo con tre figli, di cui uno occupa una scrivania in azienda, ma passa il tempo a proporre al padre progetti scriteriati, un altro più che fare gli esami all'università, passa il tempo a sedurre attempate professoresse, e la figlia si è innamorata persa di un losco tizio rampante, che non convince il genitore. Che fare? D'accordo con il socio, il capofamiglia inventa che le cose sono andate male, e bisogna nascondersi in Puglia, nella casa di famiglia, per sfuggire a finanza e investigatori: i ragazzi dovranno rimboccarsi le maniche, ed imparare che non tutto gli è dovuto. Come adesso succede spesso, anche questa commedia prende spunto da un film estero, "Nosotros los Nobles", messicano ( segno che i nostri sceneggiatori si fanno venire in mente un soggetto sempre più difficilmente?), e gira su una messinscena che riguarda i personaggi principali, come molte volte accade nella commedia classica, anche teatrale, la finta per vedere come reagirebbero le persone che si hanno d'intorno: nonostante il buon lavoro del cast, e l'efficacia dell'idea, "Belli di papà", però, non sfrutta bene tutte le potenzialità della storia, nella seconda parte soprattutto imbastendo un finale accomodante che sa parecchio di superficiale. Chiesa non gestisce benissimo i tempi narrativi della commedia brillante, e si ride via via sempre meno: con questo, il film è decoroso, certo, ma in mano a registi come Scola, Comencini, Risi e Monicelli, un'idea così avrebbe dato ben altri frutti. 

martedì 16 febbraio 2016


FRANNY ( The benefactor, USA 2015)
DI ANDREW RENZI
Con RICHARD GERE, Theo James, Dakota Fanning, Clarke Peters.
DRAMMATICO
Cosa muove l'adrenalinico milionario Franny, filantropo sempre dedito ad organizzare beneficenza per bambini ammalati, brillante in pubblico nonostante l'andatura claudicante, particolarmente dedito a proteggere una giovane coppia, in cui la donna è la figlia di amici amatissimi morti in un incidente stradale, in cui si è salvato solo lui? In privato, invece, l'uomo è afflitto, pericolosamente incline a ingerire medicinali, e cova un segreto molto grave ( di cui noi conosciamo da subito cosa non sanno i personaggi che circondano Franny). Film piccolo, non prodotto dalle majors, che curiosamente, qui in Italia è stato presentato come uno dei lungometraggi dell'appena recente Natale, "Franny" è l'esordio alla regia di Andrew Renzi. Il quale paga pegno, mostrando diversi dei difetti di un'opera prima, con ralenti fuori luogo, un'errata gestione dei tempi narrativi, lo scarso respiro cinematografico dato alla vicenda raccontata. Interpretando un personaggio che ricorda molto il bipolare "Mr.Jones", Richard Gere gigioneggia oltremodo in questo ruolo, lasciando poco spazio al non troppo espressivo Theo James e a Dakota Fanning, di cui spesso la sceneggiatura si dimentica, nonostante sia tra i personaggi principali. Un melodramma dai toni fin troppo contenuti, che non incide molto a fondo. 

MA CHE BELLA SORPRESA ( I, 2015)
DI ALESSANDRO GENOVESI
Con CLAUDIO BISIO, Valentina Lodovini, Chiara Baschetti, Frank Matano.
COMMEDIA
Lasciato in tronco dalla convivente, il professore di lettere Guido va in crisi, e l'appoggio del collega e amico che insegna educazione fisica non gli giova affatto, nè si accorge degli sguardi della vicina di casa appena rimasta vedova: di punto in bianco, all'uomo compare davanti un'altra vicina, giovane e bella, che compensa tutte le sue ferite sentimentali, rispondendo ad ogni esigenza e risultando, in pratica, la donna ideale. Anche troppo. Sta andando in voga riprendere commedie internazionali, e farne una versione italiana: del resto, il botto di "Benvenuti al Sud" è ancora sonoro, e proprio Claudio Bisio è ancora diretto da Paolo Genovesi, in questo film  che narra di uno sfasamento psicologico, e di una forma di immaturità sentimentale profonda. Ci sono anche Renato Pozzetto e Ornella Vanoni, ad interpretare gli svaporati genitori del protagonista, ma il tocco di insolito casting è tra le non moltissime cose positive della pellicola. Che non risulta essere nè una commedia, perchè di divertente c'è ben poco, nè un dramma su un problema mentale, dato che ogni cosa viene risolta bellamente con un paio di discorsetti, e sul piano dei clichès, dai panni stesi fuor da quasi ogni finestra nel napoletano, alla classe poco disciplinata ma affezionata all'insegnante, i genitori che non condividono le scelte del figlio, la bella vicina dall'aria dimessa e dal marito bestiale ( ma quello è una macchietta, mica un personaggio...) eccetera, si abbonda eccome. Del cast, chi figura meglio è la sensuale Valentina Lodovini, mentre l'accoppiata Bisio-Matano non sembra avere la chimica necessaria per accattivare le simpatie dello spettatore. 

lunedì 15 febbraio 2016


THE HATEFUL EIGHT (The hateful eight, USA 2015)
DI QUENTIN TARANTINO
Con SAMUEL L. JACKSON, KURT RUSSELL, JENNIFER JASON LEIGH, Walton Goggins.
WESTERN
Dice Quentin Tarantino che un regista di western deve averne girati almeno tre, e quindi, c'è da aspettarsene almeno un altro nei prossimi due lavori che dovrebbero concludere l'esperienza da director dell'ex ragazzo del videonoleggio. Computo a parte, il nuovo lavoro del regista di "Kill Bill" è una specie di thriller mascherato da western, ambientato sulla neve, in una diligenza, nella lunga introduzione, e per il resto in un rifugio in cui si ritrovano gli otto personaggi del titolo: uno peggiore dell'altro, gente da cui diffidare, se non si vuol prendere una pallottola a tradimento. In gioco c'è una prigioniera che deve essere accompagnata ad un processo che probabilmente la spedirà sulla forca, e tutto ruota attorno a lei. Tra ex-sudisti, ex-schiavi, bounty killers, mandriani, aspiranti sceriffi e messicani, si snoderà una trama ricca di risvolti ambigui, e rivelazioni ribaltanti. Se la prima parte, appunto, è atta ad introdurre il racconto ed i personaggi in scena, nella seconda si scatena la violenza, e parecchia, che è una delle componenti maggiori del cinema tarantiniano: sempre sarcastica, quasi posticcia nella propria iperbole, abbonda come i dialoghi, dato che lo spazio è condiviso dai caratteri per quasi tutto il tempo, e le uccisioni non turbano più di tanto i presenti. "The hateful eight" è un'opera destinata a dividere anche i fans più accesi del regista, tra chi lo ha amato appassionatamente, e chi vi vede più difetti che pregi. Racconto sulla mistificazione o sulla natura irrimediabilmente violenta degli USA, che sia autorizzata dallo Stato, o meno, ma radicata nel DNA nordamericano, il film numero 8 di Tarantino, in alcuni passaggi, non sfugge al sospetto di un'autocelebrazione di sè e del proprio modo di fare cinema: l'occhio e la memoria vanno a "Le iene", naturalmente, gioco al massacro in spazio chiuso, tra confessioni e tradimenti, crudeltà ed eliminazioni. Certo, tenere gli spettatori avvinti per quasi tre ore con lunghi scambi di battute, cambiamenti di prospettiva e scatti di violenza cieca, soprattutto contro l'unico personaggio femminile (reso magnificamente da Jennifer Jason Leigh, che dà uno sguardo da bambina ferita ad un personaggio capace di una malignità perversa) era impresa titanica, non del tutto garantita nella riuscita. Ma c'è da dare atto a questo director anarcoide, fatto di contraddizioni come ogni americano che si rispetti, di aver creato, forse unico negli ultimi trent'anni, un modo di fare cinema così personale, ed allo stesso tempo, citazionista e inzuppato di altre visioni, attesissimo da pubblico e critica, che non può non lasciare il segno. 

venerdì 12 febbraio 2016


TENERAMENTE FOLLE ( Infinitely polar bear, USA 2014)
DI MAYA FORBES
Con MARK RUFFALO, Zoe Saldana, Imogene Wolodarsky, Ashley Aufderheide.
DRAMMATICO
Dall'esperienza vera della regista Maya Forbes, il racconto di un'infanzia niente affatto semplice, con un padre che ce la mette tutta, ma i cui problemi di bipolarismo mettono a dura prova la tenuta della famiglia. La madre, per garantire un futuro migliore alle figlie, prova a ottenere un master, trasferendosi a New York, lasciando le due bambine in gestione al marito, che alterna momenti di armonia ad altri in cui si lascia andare a cose sconsiderate, sfuggendo le responsabilità, per effetto del proprio disturbo psicologico. "Teneramente folle", titolo italiano che non rende giustizia a quello originale ( la più piccola delle due bambine capisce "bipolare" come "orso polare"), è un lungometraggio che allinea meriti e demeriti, quasi in pari cifra: parla con leggerezza, quasi, di un grave problema psicologico, senza cercare il ricatto della lacrima facile, ed il fatto che chi abbia scritto e diretto il film lo abbia vissuto sulla propria pelle, valorizza l'intento dell'opera. Però, c'è da dire che il tutto è tenuto fin troppo a freno, e cinematograficamente parlando, si assiste a qualcosa di realizzato con correttezza, ma senza che venga reso memorabile in qualche maniera. Quello che spicca, è l'interpretazione di Mark Ruffalo, che infonde un'umanità viva nel personaggio del padre, tra rabbia, consapevolezza dei propri problemi, vivere a un passo dalla scelleratezza,  fragilità e furore. E, seppure ci si poteva aspettare anche di più da questo film, difficile non avere gli occhi lucidi nella scena finale, che arriva a giusta chiosa. 

martedì 9 febbraio 2016


NON SPOSATE LE MIE FIGLIE! ( Qu'est-ce qu'on fait au bon Dieu?, F 2014)
DI PHILIPPE DE CHAUVERON
Con CHRISTIAN CLAVIER, Chantal Lauby, Fréderique Bel, Elodie Fontain.
COMMEDIA
In Francia è stato un caso, entrato nella classifica dei dieci maggiori incassi di sempre al botteghino nazionale, questo film sui matrimoni misti diretto da Philippe De Chauveron. Claude e Marie sono una coppia facoltosa, con quattro figlie, delle quali tre hanno sposato un ebreo, un algerino ( e musulmano), e un cinese, e la quarta ufficialmente è ancora libera, così i genitori vorrebbero "sistemarla" con un buon partito, possibilmente cattolico, ma la fanciulla ha invece già un uomo che vorrebbe sposarla, ma è ivoriano, e questo potrebbe mandare un pò in crisi papà e mamma. Anche se non è detto... Una commedia moderatamente progressista, che ha in un appesantito Christian Clavier, ex-"Asterix" l'unica star riconosciuta: il film è comunque volenteroso, nel voler "aprire le frontiere" e insieme celebrare la ricchezza di una società multietnica. C'è da dire che, a livello di tempi brillanti, non tutto funziona, il discreto gioco d'attori non compensa sempre la carenza di credibilità dei personaggi, e il tutto è un pò troppo impostato per divertire davvero gli spettatori al di fuori dei confini francesi ( può darsi che non doppiato, il film risulti più divertente). Mamme ansiose e depresse, forse per il troppo benessere, figlie non simpaticissime, il sospetto, talvolta, con la caratterizzazione a suon di clichès delle appartenenze etniche dei generi delle similitudini con le barzellette ( "Ci sono un italiano, un tedesco e un messicano..."): il regista confeziona il proprio lavoro in maniera non dissimile da una fiction tv ben fatta, ma il cinema è una cosa ben diversa...

IL POLIZIOTTO E' MARCIO ( I, 1974)
DI FERNANDO DI LEO
Con LUC MERENDA, Delia Boccardo, Richard Conte, Salvo Randone.
POLIZIESCO
Sbirro abile, il commissario Malacarne non esita a inseguire delinquenti violenti, e ad affrontarli a sberle e calci, e se i malviventi estraggono le armi, il poliziotto non sta a guardare. Figlio di un maresciallo dei carabinieri, sta facendo carriera, ma forse non è tutto oro quel che luccica, e il fatto che il funzionario di PS sia sempre presente quando accadono fatti di cronaca nera, comunque riguardanti pesci piccoli, può destare qualche sospetto.... E' uno dei titoli meno celebrati, nella riscoperta del cinema action di Fernando Di Leo, onestamente tra i migliori del periodo, tra "Milano calibro 9" ( il migliore in assoluto), "La mala ordina", "I ragazzi del massacro" e "Avere vent'anni", ma "Il poliziotto è marcio", che nel titolo forse indica non solo il protagonista, ma il sistema della legge dell'epoca, è un lungometraggio che quanto a ritmo, sostanza narrativa e piglio avrebbe da insegnare a molti specialisti statunitensi pure di oggi. Di Leo, sul piano della violenza, lesina poco e niente, tra ginocchiate in faccia ( anche a una donna), coltellate, spari alla testa ( confesso che la scena dell'uccisione del gatto non ho voluto guardarla...) e altro: certo, i due personaggi dei "portoghesi" (che parlano un misto di spagnolo, inglese ed italiano, tutto fuorchè portoghese appunto...), sono un pò forzati e servono solo come espediente narrativo per innescare la resa dei conti finale, e il piazzamento strategico, molto tipico della decade dopo il '70, di J&B, Acqua Pejo, e Punt e Mes, tanto per dire, anticipano di anni il "products placement" che serviva ad aiutare la produzione. Però seppur rigido, Luc Merenda è funzionale al personaggio del protagonista, e Salvo Randone rappresenta il cuore emotivo della storia, nei panni dell'indignato padre maresciallo dei CC. Finale cruento, per niente scontato.

domenica 7 febbraio 2016


CRIMSON PEAK ( Crimson Peak, USA 2015)
DI GUILLERMO DEL TORO
Con MIA WASIKOWSKA, TOM HIDDLESTON, JESSICA CHASTAIN, Charlie Hunnam.
HORROR
Ritorno al cinema dell'orrore per Guillermo Del Toro, "Crimson Peak" vede, a fine Ottocento, la figlia di una donna morta di colera, venir visitata dallo spettro della donna che la avvisa di stare lontana da un luogo chiamato "Crimson Peak". Nel 1901, la ragazza che abbiamo visto bambina all'inizio della storia, aspirante scrittrice di racconti di fantasmi,  incontra un giovane che la affascina, proveniente dall'Inghilterra, recatosi in America per trovare finanziatori per l'impresa che vuole allestire, circa l'estrazione di argilla rossa dal territorio di proprietà. Contro il parere del proprio padre, che farà una brutta fine, ucciso da mani ignote, la ragazza sposa l'uomo venuto dall'Europa, che le presenta la sorella con cui ha un legame molto stretto, e si trasferisce nella tenuta di famiglia del neomarito, per scoprire che le cose non sono più floride come immaginato. E altro, ben più spiacevole. E' chiaro fin dall'inizio che non si deve cercare molto a fondo per capire come funzioni la trappola mortale in cui la protagonista si infila, e che molto del racconto dipenda dal non fidarsi delle apparenze, anche perchè le apparizioni ectoplasmiche che balenano di fronte all'atterrita Mia Wasikowska forse significano altro da quel che la giovane paventa.... Del Toro fa un dichiarato omaggio all'horror di seconda generazione, tra la Hammer Films, il cinema di Dario Argento ( tra mannaie, bocche fracassate sugli spigoli e un ascensore decisivo, indovinate a quale dei lavori del regista romano si allude esplicitamente?), e il finale di "Shining" nella neve, e per allestimento e spirito cinefilo merita una certa attenzione; ed il film promette assai bene, nei primi venti minuti. Peccato che, via via, la storia si snodi in modo sempre meno fluido, e il finale sia dilatato in un atto esteso oltre la sua naturale durata. A giochi fatti, appunto, la suspence sfuma per troppe spiegazioni, oramai a quel punto anche scontate. ll trio d'attori messo in gioco, è di quelli che farebbero felice ogni regista, eppure, in quest'occasione, un interprete di cui si è apprezzato, finora, la capacità di muoversi sull'ambiguità come Tom Hiddleston, appare come il meno in parte e convincente. E "Crimson Peak" si conclude lasciando nello spettatore che ama il genere la sensazione di un'occasione un pò sprecata. 

A SUD-OVEST DI SONORA ( The Appaloosa, USA 1966)
DI SIDNEY J.FURIE
Con MARLON BRANDO, John Saxon, Anjanette Comer, Emilio Fernandez.
WESTERN
Dopo aver girato l'unico film da regista della propria carriera, "I due volti della vendetta", per molti un cult del western, Marlon Brando tornò al genere pochi anni dopo, per "A Sud-Ovest di Sonora", un lungometraggio meno conosciuto, in cui la star interpreta un vaquero che viene preso di mira da un capoclan messicano: all'inizio è la donna del villain, che egli considera sua proprietà, che accusa lo straniero incrociato in una chiesa di averla molestata, per aver modo di sfuggire al tiranno, poi la faccenda diventa una faida, che non potrà che chiudersi con l'ultimo che resta in piedi. Sidney J.Furie, venuto dal Canada, realizza un film che tiene già conto dell'avvento del cinema di Sergio Leone, infatti questo è più violento della media delle pellicole del genere realizzate canonicamente in USA, e tra l'altro, il western aveva già cominciato la sua parabola discendente. Un racconto di vendetta reciproca, ma anche l'affrontarsi di due uomini all'opposto, uno che vive sulla prepotenza e non concepisce altra legge che quella imposta da sè, l'altro un idealista che intende dare una possibilità ad una famiglia di campesinos: tra Brando e John Saxon si crea la tensione giusta, con il secondo maggiormente a proprio agio nel ruolo dell'arrogante tenutario, mentre il personaggio della star risente di qualche incertezza di troppo, facendone un carattere parzialmente passivo. Non un capo d'opera, ma una visione piacevole, con qualche momento da ricordare, come il braccio di ferro tra gli scorpioni. 

venerdì 5 febbraio 2016


L'ULTIMA ODISSEA (Damnation Alley, USA 1977)
DI JACK SMIGHT
Con GEORGE PEPPARD, JAN-MICHAEL VINCENT, DOMINIQUE SANDA, Paul Winfield.
FANTASCIENZA
Neanche il tempo di far finire i titoli di testa, ed è già finito il mondo: le principali città americane sono state bombardate da testate nucleari, e gli USA sono diventati in gran parte una piana desertica, dove qua e là sopravvive qualcuno. In una base dell'aviazione un imbecille si addormenta con la sigaretta accesa, sopra dei giornaletti con le donnine nude, e rimangono vivi in tre, che con un caravan super-attrezzato, intraprendono un fortunoso viaggio verso Albany, ove, secondo il più maturo del trio, c'è una comunità di altri superstiti. Tra città vuote, insetti carnivori e aracnidi ipertrofici, non sarà facile arrivare fin là. Nel 1977, ironicamente, era "L'ultima odissea" il kolossal fantascientifico su cui puntava la 20th Century Fox, mentre "Guerre stellari" era più una scommessa che altro, su cui insistette molto Alan Ladd jr. per portarlo avanti, e sappiamo quale dei due è rimasto nella storia del cinema, e quale ha incassato comunque di più. Jack Smight, che veniva da due successi, per quanto di vecchia scuola hollywoodiana, quali "Airport 75" e "La battaglia di Midway", con questo tonfo vide andare, in pratica, a picco la propria carriera: il film, in sè, non è peggiore di altri prodotti analoghi del periodo, con catastrofi e mostri, e, per quanto datati, gli effetti speciali sono abbastanza discreti, vedi l'invasione degli scarafaggi carnivori. Quel che lascia perplessi, è la svolta "biblica" dell'ultima parte della storia, con un pellegrinaggio verso una "Terra Promessa" con segnali dal cielo, con tanto di luci e folgori, e che sminuisce parecchio un film non indecoroso, ma poco emozionante. Nel cast, tra un quasi ex-divo, poi passato in tv con l'"A-Team", come Peppard, un giovane promettente che poi mantenne poco, come Vincent, e la transfuga dall'impegno europeo, visto che passò da "Novecento" a questo lungometraggio, come Dominique Sanda, fanno a gara a chi sembra meno convinto dell'operazione.

giovedì 4 febbraio 2016


SEI MAI STATA SULLA LUNA? ( I,2015)
DI PAOLO GENOVESE
Con LIZ SOLARI, RAOUL BOVA, Neri Marcorè, Sergio Rubini.
COMMEDIA
Rispetto a molti suoi colleghi, che la buttano sul facile e cavalcano mode o modi di fare il verso alla commedia all'italiana, spesso senza riuscirci, e comunque realizzando pellicole che dopo qualche sorriso, cadono presto nel dimenticatoio, c'è da dire che Paolo Genovese abbozza un tentativo di ripristinare tempi, costruzione dei personaggi, dialoghi che hanno costituito, insieme, naturalmente alle capacità attoriali di divi e caratteristi di lungo corso, la spina dorsale della commedia classica di casa nostra. In "Sei mai stata sulla Luna?", commedia con venature romanticheggianti, si vuole che una supersnob, giornalista di moda, erediti una masseria in Puglia, e, andata sul posto per espletare le formalità, rimane affascinata dal microcosmo tra campagna e piazza che è popolato da personaggi ognuno a suo modo particolare: fa capolino una relazione, con un vedovo aitante, e tra il parente con un ritardo mentale, due baristi che da sempre conducono una disfida pur avendo i rispettivi locali gomito a gomito, una zitella con voglia di volare, il film si dipana senza stuccare. Certo, ci sono i consueti passaggi prevedibili, un finale che procede verso il rosa, ma perlomeno c'è un tentativo di costruire un telaio che qualche sapore lo abbia, e un cast niente male, che trova in Neri Marcorè e Emilio Solfrizzi (questo, un interprete forse anche troppo sottovalutato) i migliori in campo. Si sorride, senza sentirsi in colpa, e non ci si annoia, certo, senza graffi e morsi di sarcasmo, però è già qualcosa la sensazione di non aver buttato via un'ora e mezza, rispetto a lungometraggi brillanti nostrani che paiono ciclostilati da come si somigliano....