GLI ANNI PIU' BELLI ( I, 2020)
DI GABRIELE MUCCINO
Con KIM ROSSI STUART, CLAUDIO SANTAMARIA, MICAELA RAMAZZOTTI, PIERFRANCESCO FAVINO.
DRAMMATICO
Dal 1980 ad oggi, quarant'anni d'amicizia tra ragazzi cresciuti in borgata e poi un pò perdutisi, un pò no, tra Roma ed altrove. Gabriele Muccino, che da "L'ultimo bacio" in poi è tra i beniamini del pubblico nostrano, solitamente accorrente all'uscita di ogni suo nuovo lavoro, arrivato alla soglia dei cinquanta, prova a tracciare un ritratto della sua generazione ( anche quella di chi scrive, tra l'altro) e sullo sfondo delle storie dei suoi personaggi,si dipana la Storia, quella grande, che comunque, anche quando non ci sembra, condiziona la vita di tutti, e riallinea percorsi e conseguenze delle scelte di ognuno. Il parallelo con quello che è, non solo tra i grandi film italiani degli anni Settanta, ma tra i titoli prodotti in questo Paese, tra i più belli di sempre, e cioè "C'eravamo tanto amati", non è solo suggerito, ma proprio rimarcato, vedi le sequenze del conflitto del personaggio ex idealista, anche qui avvocato, con il suocero corrotto e intrallazzone, che qui vede in scena Pier Francesco Favino e Francesco Acquaroli e là Vittorio Gassman e Aldo Fabrizi, e quella del ritrovo in trattoria tra i tre vecchi amici cambiati dalla vita. Però Ettore Scola aveva un'altra fibra, un'altra mano di regista e sceneggiatore, e soprattutto meno compiacimento verso i propri personaggi: se una riconciliazione vera tra quelli che furono amici un tempo nel classico del '74 non era possibile, qui invece si punta ad un finale da "volemose bbene", addirittura con due figli che arrivano a far coppia. Nel cast, se la Ramazzotti rifà la ragazza fragile, di virtù relativa e in balìa dei venti della vita, vista in troppi altre pellicole, il migliore in scena è Kim Rossi Stuart, che nella scena in cui viene lasciato e tradito anche da un amico fraterno e ha un attacco di panico spicca per adesione al ruolo e resa interpretativa. E per qualche sequenza valida, come quella in cui la ragazza del quartetto, Micaela Ramazzotti, fa di corsa quelle scale che non potè risalire, e ad ogni piano ha un'età diversa, troppe le frasi da teleromanzo messe in bocca ( "Quanta fame di vita avevamo..:" sempre lei che guarda una foto fatta da ragazzi), e sul versante emotivo, la regia sembra non saper sfruttare il potenziale a disposizione: ma come, fai una scena d'amore ritrovato sul crescendo di "E tu come stai?" di Claudio Baglioni ( che canta anche la title-track e di cui viene cantata anche "Mille giorni di te e di me"), uno dei pezzi a tutto cuore della nostra canzone, e ti viene fuori una scena banale e nemmeno tanto originale?
IL DILEMMA ( The Dilemma, USA 2011)
DI RON HOWARD
Con VINCE VAUGHN, Kevin James, Wynona Ryder, Jennifer Connelly.
COMMEDIA
Oltre che amici anche soci nel dar vita a progetgti rampanti, Ronny e Nick condividono anche frequentazione con le mogli: che fare, allora, quando uno dei due vede la consorte dell'altro in atteggiamento inequivocabile con un altro tizio? Meglio essere sinceri e onesti e raccontare al compagno di avventure di una vita il fatto, o nasconderglielo per non turbare la sua tranquillità? Su un dilemma appunto etico, Ron Howard ha realizzato questa commedia "adulta" puntando molto sugli attori, ma la ciambella non è venuta con il buco. Se avesse dovuto essere una commedia, non c'è quasi mai spazio per situazioni brillanti, per assumere toni più seri si viaggia troppo sul superficiale andante, e per mischiare i due toni non c'è la fluidità necessaria. Addirittura si mette in scena una sequenza, nello scontro tra Vince Vaughn e Channing Tatum , l' "altro", che vorrebbe attingere ad una tonalità tarantinian-coeniana del tutto fuori luogo. Peccato, perchè Howard in altre occasioni ha mostrato di avere stoffa da autore di cinema a tinte umoristiche aggraziate, ma non è qui il caso. E se dovevano essere un cardine gli interpreti, nessuno è abbastanza convincente: non che si debba rimpiangere sempre attori come Lemmon, Matthau e la MacLaine, ma anche un Willis, un Hanks ed una Hawn in forma avrebbero surclassato qua Vaughn, James & co. .
BASE ARTICA ZEBRA ( Ice Station Zebra, USA 1968)
DI JOHN STURGES
Con ROCK HUDSON, Patrick McGoohan, Ernest Borgnine, Jim Brown.
AZIONE/SPIONAGGIO
Chiamato a soccorrere per un'emergenza tecnica una base britannica nel Profondo Nord, l'equipaggio di un sottomarino nucleare statunitense si trova a dover fronteggiare un delicatissimo e potenzialmente pericoloso confronto con i sovietici per una faccenda che potrebbe causare un incidente diplomatico dagli imprevedibili sviluppi. Da un romanzo spionistico di un autore all'epoca in voga, e oggi un pò dimenticato come Allistair MacLean, un thriller fantapolitico diretto da un regista che tra i "non autori" era tra i migliori quale John Sturges: tanto per essere chiari, non è tra i lavori più ispirati del director di "Giorno maledetto", che non sembra essere molto a suo agio con i doppi giochi, le implicazioni politiche di un mondo ancora diviso nettamente in due. Troppo lungo ( quasi due ore e mezzo), abbastanza statico anche nello scioglimento della trama, "Base artica Zebra" è tuttavia un kolossal dignitoso e realizzato con mestiere. Nel cast, se Rock Hudson non sembra particolarmente indicato nè convinto nel ruolo del comandante, meglio lo spirito da canaglia provetta di Ernest Borgnine, una delle carogne dello schermo a cui siamo da sempre più affezionati.
PARASITE ( Gisaengchung, S.KOR 2019)
DI BONG JOON-HO
Con SONG KANG-HO, Park So-Dam, Choi Woo-Shik, Lee Sun-Kyun.
GROTTESCO/DRAMMATICO/COMMEDIA
Da Maggio scorso, lunga e trionfale la cavalcata di "Parasite", che ha visto prima premiare il film con la Palma d'oro, e poi, oltre a guadagnare la nomination per il miglior film straniero, è arrivato a vincere addirittura l'Oscar sia in quella categoria, sia in quella per il miglior film dell'anno, diventando così il primo lungometraggio in lingua non inglese a ottenere lo storico riconoscimento. Dark comedy dotata di un sarcasmo belluino degno di un Ferreri d'annata, che sfocia in un inevitabile bagno di sangue, il film commisera la condizione di tutti, al di là degli strati sociali, descrivendo la fatuità schifiltosa e compiaciuta dei ceti ricchi, che la miseranda condizione, anche cultural-relazionale, dei poveri, per i quali la connessione Whatsapp è divenuta vitale, e si dà a questa una valenza cruciale, in barba al degrado in cui si possa vivere. Girato con fluida eleganza, e contrassegnato da scene di un umorismo paradossale mordace e velenoso ( la lotta tra disgraziati sulle note di "In ginocchio da te" di Gianni Morandi!, la rassegnazione del recluso nei sotterranei della villa, che per sfuggire ai debiti vive una volontaria prigionia appena allietata dalle visite segrete della moglie), il film rappresenta un precedente importante nell'assegnazione dell'Oscar; anni fa un film con un soggetto così corrosivo e agile nel definire la follia che pulsa nei divari economici e sociali dell'umanità, difficilmente avrebbe trovato la via della premiazione, ed invece anche gli oltre 40 milioni di dollari incassati su suolo americano specificano che forse certo gusto degli spettatori, solitamente vituperati e considerati grossolani, ha fatto considerevoli passi in avanti. E veder premiato un cineasta che sa sposare lo spettacolo, con la lettura politica della società globale, è un atto di giustizia che merita plauso.
JOSS IL PROFESSIONISTA ( Le professionel, F 1981)
DI GEORGES LAUTNER
Con JEAN-PAUL BELMONDO, Robert Hossein, Michel Beaune, Elizabeth Margoni.
THRILLER/AZIONE
Agente dei servizi speciali, il colonnello Josselin Beaumont si ritrova in Africa alla mercè di un tribunale che ha già pronta per lui una condanna, in quanto il francese voleva eliminare il dittatore che presiede il Paese, ma gli equilibri ed i rapporti politici sono nel frattempo cambiati per convenienza, e la madre patria transalpina ha mollato il protagonista nelle mani del regime africano. Abile e sagace, l'uomo riesce a fuggire insieme ad un compagno di prigionia, e rocambolescamente torna in Francia, ove attende di realizzare l'obiettivo prefissato, anche se tutto gli gioca contro. Diretto dallo scafato George Lautner, "Joss il professionista" è una delle ultime zampate del leone dell'action francese Bebel, a suo agio nel dar volto e fisico ad un duro di quelli " come c'erano una volta", più coerente e tutto d'un pezzo rispetto ai carrieristi e ai voltagabbana che ci sanno fare con la politica, "con due cosi così"; condotto con ritmo qua e là altalenante, ma gestito bene nella suspence, soprattutto nella sfida tra il protagonista ed il commissario che disegna di continuo e adopera metodi anche infami per perseguire la caccia all'agente ribelle (interpretato da un Robert Hossein tagliente), che culmina in un vero e proprio duello in stile western. Guascone ma con misura, ironico e letale, il "professionista" Joss va incontro alla resa dei conti senza incertezze: e per fortuna il film evita scappatoie, o forzature verso un finale ottimista che sarebbe stato fuori luogo.
GENITORI QUASI PERFETTI ( I, 2019)
DI LUCIA CHIOSSONE
Con ANNA FOGLIETTA, Lucia Mascino, Paolo Calabresi, Marina Rocco.
COMMEDIA
Mamma single sempre di corsa, la veterinaria Simona organizza la festa di compleanno del figlioletto Filippo a casa propria, invitando alcuni compagni di classe del bimbo, e con la presenza dei corrispettivi genitori: questo porterà ad un inaspettato confronto tra gli adulti, in cui verranno fuori non proprio gli aspetti più positivi di ognuno.... Ambientato quasi per intero nell'appartamento della protagonista, se si esclude l'avvio e il finale con sequenza musical sulle note della rettoriana "Kobra", "Genitori quasi perfetti" ambirebbe forse ad abbozzare un ritratto genitoriale di inizio Ventunesimo Secolo, sulla falsariga delle coppie dipinte in "Perfetti sconosciuti". Se il gioco nel film di Genovese rendeva, nonostante la circoscrizione dell'azione, qua, in realtà, l'asfittico spazio si sente tutto. E i genitori in scena sono ognuno un cliché, da quello che sta al livello dei bambini perché si sente empatico a quello tutto dietro alla professione, da quella che fa l'idealista perpetua e ha da insegnare a tutti a quella tutta di superficie, salvo, alla resa dei conti, far esplodere le contraddizioni proprie e in contrasto con gli altri. Sceneggiatura e regia alluderebbero anche a problematiche concrete, ma via via che il racconto procede, a Lucia Chiossone il film scappa di mano, ed imbocca la via di uno showdown che avrebbe senso solo con una virata netta e decisa nel grottesco puro. Anna Foglietta e gli altri attori si spendono a fondo, ma i personaggi sono troppo unidimensionali per essere convincenti davvero. E il film si avvita su se stesso, senza lasciar gran traccia di sè.
FIGLI ( I, 2020)
DI GIUSEPPE BONITO
Con PAOLA CORTELLESI, VALERIO MASTANDREA, Stefano Fresi, Andrea Sartoretti.
COMMEDIA/DRAMMATICO
Bello metter su famiglia, ma più si cresce di numero e più, chiaramente, aumentano impegni, spese, e meno tempo si ha per se stessi ed il partner. La coppia formata da Sara e Nicola, all'arrivo del secondo figlio vede saltare ogni equilibrio messo a punto, il sonno se ne va, la figlia grande si ingelosisce e a malapena tollera il fratellino, le serate con amici vanno a farsi benedire, eccetera eccetera, fino a rendere i due componenti la coppia quasi nemici. Venuto dal monologo "I figli ti invecchiano", scritto dal troppo presto perduto Mattia Torre, già dietro alla serie "Boris", questo progetto è stato ideato e preparato dallo stesso Torre, che avrebbe dovuto dirigere, se la malattia non lo avesse portato via, passando di mano a Giuseppe Bonito,alla seconda regia. Improntato su un registro sospeso tra commedia e dramma sentimentale, il film viaggia presentando situazioni e idiosincrasie degli ultratrentenni d'oggi, arrivando spesso a estremizzarle. Il problema è che questo tipo di commedia, che fa il suo dovere raccontando un risvolto o una facciata della società d'oggi, dovrebbe mantenere una linea, anche narrativamente; qui, invece, si accumulano tre o quattro possibilità di finali del tutto diversi, quando non opposti. E poi, vero che i ritmi odierni, sia per gli adulti che per i bambini, siano troppo accelerati, ma le famiglie venivano composte anche nei decenni scorsi, affiora il dubbio che si sostenga che queste generazioni dai sessanta in giù non reggano il passo e la perdita di concentrazione su sé stessi generi un'insoddisfazione non compensata dal perseguimento di altri progetti, coadiuvata male dai genitori troppo intenti a non sentirsi vecchi. Se Mastandrea punteggia con il suo umorismo sdrucito e lievemente stralunato le perplessità agitate del suo personaggio, convince meno qui la Cortellesi, perennemente sopra le righe e impelagata in un personaggio monocorde.