DRAGON TRAINER: il mondo nascosto
( Dragon Trainer: The Hidden World, USA 2019)
DI DEAN DEBLOIS
ANIMAZIONE
AVVENTURA/AZIONE/COMMEDIA
L'avventura di un'amicizia insolita, e forse contronatura, tra un ragazzo ed un drago, è il cuore della serie "Dragon Trainer", uno dei grandi risultati, anche commerciali, della Dreamworks sezione animazione: dopo il primo atto, che aveva visto come Hiccup e "Sdentato" si siano conosciuti, in età verdissima, e il secondo, in cui il loro rapporto si era consolidato, e il mondo di vichinghi e draghi si era amalgamato, nonostante le sfide ardue per far sopravvivere le creature sputafuoco, arriva l'ultimo capitolo, che, appunto, chiuderà quella che, di fatto, è una trilogia. C'è un cacciatore di draghi che viene ingaggiato per catturare Sdentato, elemento Alfa che permetterebbe di sconfiggere il popolo di cui Hiccup è divenuto sovrano, anche se la giovane età non lo fa sentire sicuro del proprio ruolo: lo scontro è inevitabile, e se il "villain" ha un elemento-chiave per subdolamente mettere fuori gioco il potente draghetto nero, la solidarietà tra diversi sarà elemento fondamentale per i confronti da superare, per maturare e garantire pace. Difficile che una serie mantenga un livello qualitativo alto, soprattutto se i capitoli vanno oltre il numero due: "Dragon Trainer" riesce a tramutarsi in una sorta di romanzo-epopea, che diverte i piccoli in platea, e appassiona gli adulti, con tematiche come l'accettazione del Diverso, e l'armonia tra Uomo e Natura. Questo numero tre, che ha il buon gusto di sancire la conclusione della saga, ha un paio di momenti di cinema (d'animazione e non) da mandare a memoria, come la battaglia conclusiva, con riprese vorticanti ad alto tasso di spettacolarità, e l'incontro-gioco d'amore tra i due draghi, che è un'esplosione visiva di colori, scenari e impasto tra musica ed immagini da antologia, nonché un momento poetico di gran delicatezza e romanticismo. Una bella conclusione.
THE MULE- Il corriere ( The Mule, USA 2018)
DI CLINT EASTWOOD
Con CLINT EASTWOOD, Bradley Cooper, Dianne Wiest, Michael Pena.
DRAMMATICO
A ottantotto anni non deve essere semplice fare molte cose, figuriamoci dirigere un film, con tutto il trambusto che comporta: e, nonostante avesse detto che non sarebbe più apparso sullo schermo dopo "Di nuovo in gioco", del 2012, commediola innocua, con una discreta prova sua, ma nulla più, Clint Eastwood torna protagonista, in un'opera, la sua trentottesima regia cinematografica, in cui narra, romanzandola, la storia tratta dal vero del più anziano trafficante di droga mai esistito, Leo Sharp ( che nel film si chiama Earl Stone), il quale prestò servizio presso un cartello messicano di narcotrafficanti, riuscendo a portare diversi carichi di droga proprio perchè nessuno avrebbe mai sospettato di un ultraottuagenario con un pick-up. Alcuni critici lo hanno già battezzato come vagamente senile, e forse un titolo minore della filmografia eastwoodiana; e, guardando come per una buona metà la pellicola dipinga la situazione al limite dell'assurdo, per cui il personaggio principale trasporta droga per usare a fin di bene i proventi, i criminali sembrano quasi alla buona, considerando che i narcotrafficanti sono tra i più crudeli delinquenti esistenti, a tratti può parere un lavoro con delle pecche, rispetto a come ci ha abituato negli ultimi trent'anni il vecchio Clint. E, per certi versi, per un pò, può sembrare di trovarsi di fronte ad un racconto baldamente immorale, con un protagonista egoista, preoccupato solo della mondanità e dei propri piaceri: ma è nella traccia personale impressa alla svolta della trama, ed al coraggio di dipingere un personaggio troppo concentrato su di sè, che "The Mule" trova il proprio senso, e il proprio apice nella splendida, toccante scena dell'ospedale ( senza melensaggini ricattatorie, ma una sincera scena d'amore concreto quanto tardivo). E la scelta che riscatta il tutto, chiudendo la storia, rimanda ad una forma di idealismo di cui oggi si fatica a ricucire i tessuti; anche nella scelta del cast, rimettendo volti già noti al cinema di Eastwood ( Bradley Cooper, Laurence Fishburne, Loren Dean), quasi a celebrare un probabile passo d'addio al pubblico, che si congeda dai titoli di coda con almeno un minimo di groppo in gola. Ha detto basta Robert Redford, forse è il "goodbye" del granitico Clint: è un mondo che finisce, che ci ha accompagnati e definiti, al quale abbiamo guardato con emozione, affetto e voglia di sognare. Via via abbiamo salutato altri giganti, il cinema continuerà, ma per chi lo ama, sapere che difficilmente vedremo altre volte questi volti in nuove storie, non è mai facile.
SOLO SOTTO LE STELLE ( Lonely are the brave, USA 1962)
DI DAVID MILLER
Con KIRK DOUGLAS, Walter Matthau, Gena Rowlands, Michael Kane.
AZIONE/DRAMMATICO
Il romanzo da cui questo film venne tratto era di soli sei anni prima, di Edward Abbey, che firmò anche il soggetto: la sceneggiatura, invece, è opera del ribelle Dalton Trumbo, che instilla nel racconto quella malinconica considerazione che il mondo, cambiando, perde romanticismo e lascia indietro gli inadeguati. Il cowboy solitario John "Jack" Burns, reduce decorato di Corea, è un uomo fuori dal tempo, vive come fosse l'epoca del Far West, ma intorno girano Tir, volano elicotteri, suonano sirene, e, come ogni grande misantropo, Burns confida veramente solo nel suo cavallo Whiskey: finito in carcere per una serata balorda, riesce a fuggire, e, recuperato il cavallo, darà luogo ad una fuga tenace dalla polizia per rifugiare in Messico. Il regista David Miller non ha girato molti film, ma almeno un paio risultano interessanti: questo, e "Azione esecutiva". In un bianco e nero elegante e senza fronzoli, questo atipico western del XX secolo ha una prima parte in cui si presenta l'angolo di mondo che il protagonista vive con disagio, un cantone di Stati Uniti lontano dai grandi centri, ed una seconda quasi tutta concentrata sull'accidentata fuga di Burns, insieme al compagno di avventure di cui non sa fare a meno. E qui la pellicola trova la sua parte più bella e lirica, in una sfida senza quartiere tra un essere umano che non trova posto nella modernità, e quelli che vorrebbero farlo prigioniero e togliergli l'unico suo bene, la libertà. In una lunga sequenza di cui sicuramente Ted Kotcheff ha tenuto conto per girare il suo "Rambo", vent'anni dopo, quasi senza profferir verbo, Douglas rende epica la propria interpretazione, in un'incarnazione romantica del rapporto tra Uomo e Natura, rappresentando l'amicizia tra un essere umano ed un animale, commuovendo lo spettatore nell'avviarsi ad un tragico finale, in cui il pessimismo solido di Trumbo non lascia scampo. Lo sguardo di Douglas che chiude la pellicola, in una sconfitta senza alcuna possibilità di riscatto, è quello di un grande attore che sa come rendere indimenticabile un personaggio.
GREEN BOOK ( Green Book, USA 2018)
DI PETER FARRELLY
Con VIGGO MORTENSEN, MAHERSHALA ALI, Linda Cardellini, Mike Hatton.
COMMEDIA/DRAMMATICO
1962: in un'America in cui la percezione di una pacificazione razziale è alimentata dall'ondata kennedyana, a un anno dai tragici eventi di Dallas, un buttafuori d'origine italiana, Tony Vallelonga, si ritrova momentaneamente senza lavoro, perchè il locale presso il quale era assunto, chiude. Si ritrova così a candidarsi per fare da autista ad un pianista nero, per una tournée nel profondo Sud degli States. I due uomini sono assai diversi: cresciuto in strada, avvezzo a contare sulla propria sagacia, ed ogni tanto su qualche sganassone, pragmatico l'italoamericano, distinto, coltissimo, elegante e distante da tutto l'afroamericano: nelle otto settimane che comporterà l'impegno del tour, avranno modo di conoscersi e confrontarsi, non senza qualche stridore, un'apertura reciproca ed un rapporto destinato a crescere. "Green Book" è piaciuto molto negli USA, vincendo tre Golden Globes su cinque candidature, tra cui quello per il miglior film commedia, e ottenendo anche cinque nominations agli Oscar, delle quali quattro tra le più importanti: certo, negli USA trumpiani, un'amicizia, anche se non semplice da tirar su, come questa, tra un bianco ed un nero, rappresenta una piccola sfida in una nazione ove proprio un senso di rivalsa, dopo gli ultimi due mandati ad un presidente "coloured", ha spinto per assegnare lo scranno di comando ad un personaggio alquanto opinabile su condotta e mentalità. Va detto che, trent'anni dopo, pare una rilettura al maschile di "A spasso con Daisy", in cui, sommessamente, veniva celebrata un'analoga relazione di rispetto e di possibilità di convivenza tra persone di diversa razza, che gli italoamericani, se si vuole, sono raffigurati in maniera abbastanza caricaturale, e che tutto sommato, abbiamo già visto svariate volte storie in cui bianchi e neri scoprono di poter condividere uno stesso spazio, imparando un pò gli uni dagli altri, e viceversa. Però l'ex reuccio del demenziale Peter Farrelly confeziona bene una commedia con punte drammatiche che non fa sentire affatto il peso dei suoi 130 minuti di proiezione, il film evita scene madri particolarmente retoriche, e tra Viggo Mortensen ( bravo, ma una prova un pò troppo "caricata" per un attore che ci ha abituato a prove più sfumate) e Mahershala Ali, che vince ai punti il "duello" d'attori, si sviluppa una buona alchimia, che rende i personaggi amabili e fa loro affezionare il pubblico. Sarà una lezione vagamente edificante di educazione civica, ma, considerati i tempi che corriamo, ogni sforzo per ribadire che il mondo è di tutti, pesa il triplo.
LA VISITA ( I, 1963)
DI ANTONIO PIETRANGELI
Con SANDRA MILO, FRANCOIS PERIER, Gastone Moschin, Mario Adorf.
COMMEDIA/DRAMMATICO
Pina e Adolfo si scrivono via fermo posta, e decidono di incontrarsi: lui vende libri, lei vive presso Ferrara, i due non si sono mai sposati, e cercano una svolta sentimentale. Quando l'uomo si reca a trovare per una giornata la trentaseienne, inizia un corteggiamento che però, via via che le ore scorrono, avremo modo di verificare quanto sia più interessato che spontaneo, e se lei ha taciuto alcune cose, come il fatto che ha per amante un camionista sposato, lui si rivelerà gretto, viscido, maligno e prepotente, nonchè avvezzo a far dispetti e spregi agli animali che la donna si tiene intorno. Antonio Pietrangeli, riscoperto purtroppo solo negli ultimi vent'anni, era un regista che sapeva raccontare la gente come pochi, soprattutto nei ritratti femminili, come sappiamo: "La visita" è una commedia, sostanzialmente, ma attraversata, per tutta la sua durata, da una malinconia crepuscolare, un senso di disfatta esistenziale che evidenzia due solitudini, ma ci tiene a sottolineare la differenza d'animo tra i due personaggi principali. E a fare da cornice alla breve vicenda, il racconto sapido di una provincia abile ad etichettare, per cui una donna sola "alla bella età di trentasei anni", è vista con compassione e scherno, e nei flashbacks di Roma, la regia inquadra la squallida vita di Adolfo, che racconta in maniera molto ritoccata quella che è la sua quotidianità. Sandra Milo e Francois Perier sono molto bravi a tratteggiare due personaggi perennemente fuori posto, fatti di chiaroscuri, quando non, maggiormente, di parti oscure, con l'attrice nel ruolo migliore sostenuto al cinema: di fianco, fanno bella figura volti destinati a fare strada come Gastone Moschin e Mario Adorf. Un piccolo classico che meriterebbe maggiore ribalta.
CREED II ( Creed II, USA 2018)
DI STEVEN CAPLE, Jr.
Con MICHAEL B. JORDAN, Sylvester Stallone, Tessa Thompson, Dolph Lundgren.
DRAMMATICO
Quarantadue anni e mezzo dopo il primo risuonare della fanfara di "Rocky", la serie prosegue: come abbiamo visto tre anni fa, ha cambiato nome e Rocky Balboa si è costruito un ruolo di spalla, essendo divenuto Adonis Johnson, poi Creed, figlio di Apollo, il vero protagonista di un romanzo cinematografico con schemi, se si vuole, molto primordiali, ma evidentemente efficaci, se da quasi mezzo secolo la gente accorre nelle sale che proiettano gli episodi, ne rivede più volte i capitoli a casa, e conosce bene scene e battute. Dopo aver sfiorato il titolo nel film precedente, nei primi minuti del secondo atto dello spin-off, il Creed junior riesce a vincerlo, battendo un degno avversario: gli è al fianco, ovviamente, Rocky, ma il cuore del film è la riproposta di una sfida la cui prima manche è avvenuta nel 1985, e continua venendo tramandata tra genitori e figli. Il figlio di Ivan Drago è un campione rampante, la cui furia è pari solo alla possanza fisica: il padre, che conobbe una sconfitta storica nel quarto atto, lo ha alimentato a rancore e spirito di rivalsa, e i due lanciano il guanto al novello numero 1 mondiale.... "Creed II" prosegue un racconto che, scansiamo una volta per tutte snobistiche alzate di sopracciglio, è uno dei capisaldi dell'epica americana dell'ultimo secolo, soprattutto perchè parla con il linguaggio della gente comune al suo cuore: ogni allenamento doloroso, ogni complicazione di vita, ogni perdita e trionfo visto negli otto episodi della "Rocky/Creed Saga" è un passaggio di un feuilleton meno semplice di quel che sembri a prima vista, in cui l'intuito narrativo stalloniano ha infilato grandi tematiche di tutti, che tira fuori il coraggio di dire quelle cose che fanno sfrigolare di sentimento puro, senza vergognarsene, occhi e apparato cardiaco degli spettatori. E se si perdonano alla pellicola certe curiose ingenuità (su tutte: i Drago vivono a Kiev, in Ucraina, e vengono riproposti dal Potere come "orgoglio russo", strano, nel 2018, per due nazioni ad un passo dal conflitto totale tra loro), e certi risaputi passaggi (l'allenamento nel deserto è pari pari alla "discesa agli inferi" del terzo "Rocky"), la tensione dei rapporti tra i personaggi è ben resa, senza crogiolarvisi, e la rappresentazione dei "cattivi" Drago è meno becera di quanto riportato in "Rocky IV", umanizzandoli, alla fine, per via della crescita nella durezza ( c'è da dire che quell'episodio, per quanto altamente criticabile, è uno dei massimi esempi della fusione tra cinema e videoclip, stilisticamente parlando, quindi per forza di cose molto "sintetico"). E nella scrittura dell'evolversi della storia, rimane nello spettatore, la presentazione della squadra di Creed contro il tenebroso trionfalismo di Drago II, con una famiglia disfunzionale che avanza, capitanata da una donna, nera, con handicap fisico: sarà familismo, può anche darsi, ma il messaggio è di quelli che arrivano e picchiano duro.