CREED- NATO PER COMBATTERE (Creed, USA 2015)
DI RYAN COOGLER
Con MICHAEL B.JORDAN, SYLVESTER STALLONE, Tessa Thompson, Phylicia Rashad.
DRAMMATICO
A quasi dieci anni dall'ultimo capitolo di una serie già piuttosto longeva, tanto più che si basa in gran parte sulla tenuta fisica della star che ha indossato il personaggio principale, uno spin-off che si può considerare sia una ripartenza della saga, che una prosecuzione di un'avventura cinematografica che dal 1976, tra Oscar vinti a sorpresa, stroncature critiche dei segmenti successivi ai primi due, e rilanci impensati con "Rocky Balboa" ha accompagnato moltissimi fans. Qui vediamo il figlio illegittimo di Apollo Creed, nel 1998, essere raccolto, in un riformatorio, dalla vedova del campione che affrontò Rocky nei primi due film, lo aiutò nel riscattarsi nel terzo, e morì nel quarto nella sfida con il gigante russo Ivan Drago. Al giorno d'oggi, il ragazzo, Adonis Johnson, vuole farsi strada nella boxe, nonostante abbia un buon impiego ed una condizione di vita invidiabile, e si reca a Filadelfia per cercare l'aiuto del buon Rocky, rimasto solo, avendo perduto anche Paulie, a condurre l'attività di ristoratore e vivere di ricordi. Tra i due non è subito sintonia, il ragazzo ha una baldanza che sfiora l'arroganza, e l'ex pugilatore è lontano ormai da palestre e ring: però, qualcosa scatta, e l'idea di allenare l'erede di chi contribuì a fargli recuperare se stesso, porta Balboa verso il giovane, che nel frattempo ha intrapreso una relazione con una musicista che ha un handicap... Diciamolo, l'arrivo di un potenziale "Rocky VII" ha sollevato molti sarcasmi, ma il film funziona. Anche perchè pone due lotte, per il rispetto di se stessi, e per la vita, al centro del racconto, e la regia di Ryan Coogler, se gli si perdonano un paio di scivoloni ( per essere un trentenne, già troppo in là con l'età per la boxe, Michael B.Jordan è troppo giovane, e del figlio di Rocky si parla solo in una scena) è salda e asciugata dalla retorica. A sorpresa, negli USA hanno tributato al lungometraggio un entusiasmo, anche critico, forse fin eccessivo, ma è un buon film, che tocca corde non banali, sottolineando quanto i sentimenti contino nella costruzione di sé, e del proprio percorso. Penso anche che sia giusto riconoscere che "Rocky III" ha fatto molto più contro la discriminazione razziale di tanti altri film "seri". Personalmente, spero che al vecchio Sly sia consegnata la statuetta per il miglior non protagonista ( mossa, questa, da uomo di cinema con un certo stile, perchè fare un passo indietro non era da tutti): un riconoscimento ad un personaggio che, con tutti i suoi difetti e passi falsi, ci ha fatto compagnia e ricordato, se serve, che metterci un pò di cuore, nella vita, aiuta sempre.
Nessun commento:
Posta un commento