CAROL ( Carol, USA/GB 2015)
DI TODD HAYNES
Con CATE BLANCHETT, ROONEY MARA, Sarah Paulson, Kyle Chandler.
DRAMMATICO
"Carol" è tratto da un romanzo di Patricia Highsmith, "Il prezzo del sale", che raccontò con inaudita franchezza, per l'epoca, un rapporto d'amore tra due donne negli anni Cinquanta: una signora della società bene, oltre la quarantina, con un matrimonio finito ed una figlia, incontra una giovane commessa con l'hobby della fotografia, e scocca la scintilla della passione, che comunque, prima di trovare sfogo, dovrà incontrare diversi inciampi e complicazioni. Il rischio è che il marito della prima cerchi di sottrarre la bambina alla moglie che ancora vuole accanto a sè, e in tribunale una "condotta immorale" giocherebbe a sfavore della donna. Todd Haynes, dodici anni dopo "Lontano dal paradiso" rilancia nel rifare il melò hollywoodiano classico, alla Douglas Sirk, mostrando quello che allora non si poteva: amori da tenere nascosti, ribellioni alla società perbenista, la crudeltà di chi sta intorno e giudica. Il film, che ha conquistato apprezzamento della critica un pò ovunque, è realizzato con un'eleganza formale ed una cura dei dettagli notevole, dalle scenografie ai costumi, una ricostruzione d'epoca molto ben fatta: è un'opera in cui densità di scrittura, qualità della recitazione, elaborazione dei personaggi meritano un applauso. Cate Blanchett, una volta di più, dimostra di essere probabilmente la miglior attrice della sua generazione, e Rooney Mara, che, in un omaggio non espressamente dichiarato, ma evidente, nel trucco e nella mise, a Audrey Hepburn, regge il confronto con agilità attoriale. Rimane, a scalfire la buona opinione che lascia la pellicola, una vaga sensazione di troppa accademia nella regia di Haynes, e non aiuta a fugare il dubbio circa una visione anche troppo laccata, tra sigarette fumate in posa e alcool scolato con nonchalance, di un'America anni Cinquanta ipocrita e freddina.
SE MI LASCI NON VALE ( I, 2016)
DI VINCENZO SALEMME
Con VINCENZO SALEMME, PAOLO CALABRESI, Carlo Buccirosso, Serena Autieri.
COMMEDIA
Due uomini si incrociano ad una festa, si riconoscono nella mancanza d'entusiasmo dovuta al recente naufragio di una relazione, e si raccontano le rispettive sventure, e si fanno compagnia, poi al meno giovane dei due viene un'idea non nuovissima ( c'era una cosa del genere già in "Innamorati cronici" con la coppia Meg Ryan/Matthew Broderick, e in chiave più delittuosa, il punto di riferimento inevitabile è "L'altro uomo-Delitto per delitto" di Hitchcock...): ognuno farà la corte all'ex dell'altro, per farla innamorare e spezzarle il cuore. Se una delle due donne è più sognatrice e romanticheggiante, l'altra è affascinata dagli uomini di potere, e i due "vendicatori" ingaggiano un attore di terz'ordine per essere aiutati nella farsa che hanno in mente.... Vincenzo Salemme, arrivato al decimo film diretto, mette in scena una commediola meno cialtrona di diverse operazioni similari che circolano per le sale ( capito che il genere brillante in teoria attira più spettatori, ma non ne vengono fatte troppe? E tutte su dilemmi di cuore...), ma che, con il personaggio di Carlo Buccirosso, che si pone maldestramente come attore di metodo, strizza l'occhio ad una satira vagamente intellettuale sulla recitazione, che stride con l'andamento più sentimentale che da commedia vera e propria della storia. Del cast, quasi tutti appaiono un pò frenati, e la situazione da equivoco migliore, quella del teatro in cui l'attore recita un "Otello" da strapazzo, non viene sfruttata a dovere. Filmetto all'acqua di rose, diluita con cura: non si offende nessuno, da qui a divertirsi, però, ce ne corre...
SAN ANDREAS ( San Andreas, USA 2015)
DI BRAD PEYTON
Con DWAYNE JOHNSON, CARLA GUGINO, ALEXANDRA DADDARIO, PAUL GIAMATTI.
CATASTROFICO
Il "Big One", il terremoto che dovrebbe in pratica separare la California dal resto dell'America, è una teoria che da decenni è considerata, e già da anni si sono realizzati film a sfondo catastrofico su un possibile evento cataclismatico in tali terre: ogni tanto, vedi "2012", torna di moda il genere che su incendi, alluvioni, sismi e maremoti sviluppa sia la spettacolarità testando nuovi effetti speciali, sia l'incrocio di diversi personaggi con le loro storie ed il loro atteggiamento di fronte ad uno scenario apocalittico. Qua c'è un pilota di elicotteri del dipartimento dei pompieri di Los Angeles che deve accettare il divorzio dalla moglie, che si è scelta un facoltoso uomo d'affari come nuovo compagno, e la di loro figlia rimasta ( perchè un'altra è deceduta in un incidente in barca) cerca di smussare i contrasti tra i genitori: il tutto verrà rimesso in discussione da un imprevisto e colossale sisma che si abbatte su San Francisco, messo in moto da un altro terremoto in Nevada, annunciato da un sismologo che da anni studia la zona. Capace di incassare cifre poderose, più di 450 milioni di dollari a livello globale, il film di Peyton mette in scena momenti molto spettacolari, come la grande onda che si dirige verso il Golden Gate, e grattacieli che crollano come birilli. L'ironia è che nonostante tutti gli scenari titanici di cemento che si sgretola, macchine che si accartocciano e asfalto che si spezza, il film punti ad un nocciolo più intimo, come il ricongiungimento di una famiglia. Il cast, dall'imponente Dwayne Johnson alle belle Carla Gugino (ahimè, con bocca liftata) e Alexandra Daddario, con il di solito più avvezzo a ruoli più consistenti Paul Giamatti e la breve partecipazione di Kylie Minogue, che fa in tempo ad apparire e precipitare giù da un palazzo, si muove in mezzo a tutto ciò che possa infrangersi e venire di sotto, e dialoghi scontati quando non addirittura risibili ( in un palazzo che sta crollando si capta "Si è fatta male ad un gomito, ma vedrà che tornerà a posto!"....). Eppur evidentemente al pubblico è piaciuto.
VACANZE AI CARAIBI-Il film di Natale ( I/RD, 2015)
DI NERI PARENTI
Con CHRISTIAN DE SICA, MASSIMO GHINI, DARIO BANDIERA, LUCA ARGENTERO.
COMMEDIA
C'è una domanda che ritorna, ogni volta che capita di assistere al tradizionale "cinepanettone": ma con un anno di tempo, gli sceneggiatori non possono far di meglio che ripresentare, cronicamente, i soliti episodi con le medesime questioni ( corna, soprattutto, ricchi scemi e ricchi fasulli, gente capitata per caso in posti oltre le loro possibilità normali, belle figliole da circuire, uomini maturi agitati da una smania sessuale frenetica), battute sempre più rade o inefficaci, affidarsi soltanto alla verve, sempre più stanca, di Christian De Sica, che appare sempre più come il vecchio bomber che, anno dopo anno, tira la carretta con sempre meno fiato e viaggiando più di mestiere che di estro? Siamo alle solite: ambientazione esotica, tre episodi di cui uno, quello con Luca Argentero e Ilaria Spada, vorrebbe fare il verso alle commedie sentimentali hollywoodiane di un tempo, con un pressapochismo sciatto come pochi, quello con Dario Bandiera, maniaco della tecnologia che vive di "app" e online che si perde su un'isoletta, è insulso e alla lunga irritante, e quello con De Sica/Ghini/Finocchiaro, nelle intenzioni forse quello che dovrebbe trainare gli altri, si affida a volgarità, battute grossolane da osteria, cattivi odori e bottiglie infilate sulle parti intime. Insomma, la solita tiritera che ha comunque fatto discreti numeri, ma sempre più in ribasso, che puntualmente rimane sullo stomaco come una zuppa inglese avariata. E ci ribecchiamo alle prossime feste, sempre più loffiamente...
IL MEDICO E LO STREGONE ( I/F, 1957)
DI MARIO MONICELLI
Con VITTORIO DE SICA, MARCELLO MASTROIANNI, Marisa Merlini, Lorella De Luca.
COMMEDIA
Nel dopoguerra, in un paesino in Irpinia abbastanza poco al passo con i tempi ( sul pulmino che conduce lì il dottore protagonista ad un contadino "Scusi, ma perchè non mi dà del lei?", "Del lei? E che sei, una donna?!?") giunge un medico condotto giovane e un pò impettito, che si scontra da subito con un guaritore riverito come un santone dalla popolazione locale. Tra sotterfugi ed inghippi si dà luogo ad una sfida tra i due uomini, con la gente del posto tendente a rivolgersi al furbo guaritore: però il diavolo fa le pentole e non i coperchi, come risaputo, e così le cose si aggiusteranno da sole. Non è molto conosciuto questo lavoro di Mario Monicelli, pur schierando un cast invidiabile, con perfino Alberto Sordi in una parte piccola ma assai incisiva, che in pochi minuti definisce perfettamente un personaggio di una meschinità infinita. Il regista confeziona una pellicola garbata, in cui sconfessa la superstizione, ma guarda con un certo margine di scetticismo anche alla scienza riconosciuta, rifacendosi in parte al neorealismo rosa, sia per l'ambientazione che per lo stile con cui è girato il film. Si nota che il gaglioffo interpretato da Vittorio De Sica ha tuttavia una simpatia difficile da negare, e che il medico cui dà volto Marcello Mastroianni, con tutte le sue rigidità, viene guardato, talvolta, come isterico e non troppo accattivante, mentre la parte nobile della storia è quella di Mafalda, signora per bene devota ad un uomo sparito dopo essere partito per il fronte russo, che forse non merita tanta dedizione. Con un finale leggero quanto sorprendentemente toccante, una chicca da riscoprire.
REVENANT-Redivivo ( Revenant, USA 2015)
DI ALEJANDRO GONZALES INARRITU
Con LEONARDO DI CAPRIO, Tom Hardy, Domnhall Gleeson, Will Poulter.
AVVENTURA/DRAMMATICO
La vicenda del "trapper" ferito ed abbandonato dai suoi compagni di ventura, che riesce a rimettersi in piedi e dare la caccia a coloro che l'hanno tradito era già stata portata sullo schermo da Richard Sarafian con "Uomo bianco, và col tuo dio", interpretato da Richard Harris e John Huston, nel 1971. Il romanzo "Revenant" è uscito nel 2003, scritto da Michael Punke, e Alejandro Gonzales Inarritu ne ha tratto un film che riprende il libro parzialmente: fin dalle prime sequenze, il regista messicano conduce lo spettatore in piani sequenza serrati, fluidi e coinvolgenti, con un incipit che agguanta subito il pubblico, con una scena di battaglia memorabile. Candidato autorevole alla prossima cerimonia degli Oscar, con 12 nominations tra cui miglior film, regia, attore protagonista ( Di Caprio) e non protagonista (Hardy), "Revenant" è un'epopea furiosa sulla lotta per la sopravvivenza, che può far regredire allo stato animale, quasi, e che comunque tiene a sottolineare la linea che separa la crudezza dalla crudeltà. Per tutto il film, la regia rimarca che c'è differenza tra chi è violento per non soccombere, e chi si lascia andare alla gratuità dell'infierire per pura cattiveria, sia bianco o indiano. Ci sono scene che non sarà facile dimenticare, vedi l'aggressione del grizzly al protagonista, di un realismo agghiacciante, quelle oniriche dei deliri durante i momenti di maggior sofferenza, e l'intento di compiere la propria vendetta e saldare i patti con le cose irrisolte porta avanti, pur tra molte peripezie, il cammino di Glass, il personaggio interpretato da Di Caprio, che si sottopone ad un calvario attoriale notevole: benissimo, anche, figurano il subdolo cacciatore di pelli Tom Hardy, e l'emergente Domnhall Gleeson nei panni del retto capitano Henry. Forse una ventina di minuti in meno avrebbero innalzato ulteriormente il livello del lungometraggio, comunque ottimo, però ci si ritrova a ripensarci più volte, a visione terminata, ancora affascinati dalla grande forza visiva ed emotiva dell'opera.
UN' ALTRA GIOVINEZZA ( Youth without youth, USA/ RO/I/F/D)
DI FRANCIS FORD COPPOLA
Con TIM ROTH, Alexandra Maria Lara, Bruno Ganz, Andrè Hennicke.
DRAMMATICO/FANTASTICO
Il ritorno alla regia di Francis Ford Coppola, dieci anni dopo "L'uomo della pioggia", fu l'adattamento cinematografico del romanzo "Un'altra giovinezza" dell'autore rumeno Mircea Eliade, in cui uno studioso di lingue suo connazionale, ormai anziano e solo, vive disperatamente nel ricordo della moglie e ossessionato dalla ricerca negli idiomi antichi, all'epoca dell'invasione tedesca. Colpito una sera da un fulmine, misteriosamente ringiovanisce e sviluppa poteri paranormali: il suo destino è sfuggire ai nazisti, continuando a studiare linguaggi ritenuti intraducibili, finchè non incontra una donna, che complicherà il suo cammino.... Che Coppola sia un regista con due livelli di racconto, "micro" e "macro" è risaputo, il passaggio tra i progetti kolossal come i "Padrini", il "Dracula di Bram Stoker" e lavori più piccoli come "Giardini di pietra", "Jack", "La conversazione" è sempre stata una caratteristica della sua cinematografia, dovuta anche alle fortune drammatiche o trionfanti che hanno accompagnato l'avventura autoriale dell'autore. "Un'altra giovinezza" non è uno dei suoi lavori migliori, funziona decisamente la seconda parte, più "romantica", che la prima, in cui c'è la componente fantastica-thriller ad avere maggior peso. Certo, la mano di un regista che ha concepito cinema magnifico si nota, la buona conduzione degli attori gli è propria, ed il finale malinconico è un giusto punto d'arrivo per questa storia. Rimane il rimpianto di non aver potuto per anni avere i film di un grande del cinema, e la rarità del suo ritorno dietro la macchina da presa (dopo questo, solo altri due lavori) conferma la sensazione, non proprio bella per chi il cinema lo ama.
CREED- NATO PER COMBATTERE (Creed, USA 2015)
DI RYAN COOGLER
Con MICHAEL B.JORDAN, SYLVESTER STALLONE, Tessa Thompson, Phylicia Rashad.
DRAMMATICO
A quasi dieci anni dall'ultimo capitolo di una serie già piuttosto longeva, tanto più che si basa in gran parte sulla tenuta fisica della star che ha indossato il personaggio principale, uno spin-off che si può considerare sia una ripartenza della saga, che una prosecuzione di un'avventura cinematografica che dal 1976, tra Oscar vinti a sorpresa, stroncature critiche dei segmenti successivi ai primi due, e rilanci impensati con "Rocky Balboa" ha accompagnato moltissimi fans. Qui vediamo il figlio illegittimo di Apollo Creed, nel 1998, essere raccolto, in un riformatorio, dalla vedova del campione che affrontò Rocky nei primi due film, lo aiutò nel riscattarsi nel terzo, e morì nel quarto nella sfida con il gigante russo Ivan Drago. Al giorno d'oggi, il ragazzo, Adonis Johnson, vuole farsi strada nella boxe, nonostante abbia un buon impiego ed una condizione di vita invidiabile, e si reca a Filadelfia per cercare l'aiuto del buon Rocky, rimasto solo, avendo perduto anche Paulie, a condurre l'attività di ristoratore e vivere di ricordi. Tra i due non è subito sintonia, il ragazzo ha una baldanza che sfiora l'arroganza, e l'ex pugilatore è lontano ormai da palestre e ring: però, qualcosa scatta, e l'idea di allenare l'erede di chi contribuì a fargli recuperare se stesso, porta Balboa verso il giovane, che nel frattempo ha intrapreso una relazione con una musicista che ha un handicap... Diciamolo, l'arrivo di un potenziale "Rocky VII" ha sollevato molti sarcasmi, ma il film funziona. Anche perchè pone due lotte, per il rispetto di se stessi, e per la vita, al centro del racconto, e la regia di Ryan Coogler, se gli si perdonano un paio di scivoloni ( per essere un trentenne, già troppo in là con l'età per la boxe, Michael B.Jordan è troppo giovane, e del figlio di Rocky si parla solo in una scena) è salda e asciugata dalla retorica. A sorpresa, negli USA hanno tributato al lungometraggio un entusiasmo, anche critico, forse fin eccessivo, ma è un buon film, che tocca corde non banali, sottolineando quanto i sentimenti contino nella costruzione di sé, e del proprio percorso. Penso anche che sia giusto riconoscere che "Rocky III" ha fatto molto più contro la discriminazione razziale di tanti altri film "seri". Personalmente, spero che al vecchio Sly sia consegnata la statuetta per il miglior non protagonista ( mossa, questa, da uomo di cinema con un certo stile, perchè fare un passo indietro non era da tutti): un riconoscimento ad un personaggio che, con tutti i suoi difetti e passi falsi, ci ha fatto compagnia e ricordato, se serve, che metterci un pò di cuore, nella vita, aiuta sempre.
IL PONTE DELLE SPIE (Bridges of spies, USA 2015)
DI STEVEN SPIELBERG
Con TOM HANKS, Mark Rylance, Scott Sheperd, Alan Alda.
DRAMMATICO
"Il ponte delle spie" del titolo è quello di Glenickie, tra le due metà della Berlino divisa tra la parte Ovest e quella Est, sul quale avvenivano gli scambi tra le due parti avverse, durante la Guerra Fredda, di prigionieri tenuti in ostaggio. Il film che vede Steven Spielberg tornare alla regia a tre anni da "Lincoln" narra di fatti realmente accaduti; al centro del racconto, c'è il delicatissimo momento che riguardò la crisi tra USA e URSS, nell'appena divisa Berlino, dopo l'abbattimento dell'aereo spia U-2. Il protagonista, un avvocato di una compagnia assicurativa, viene incaricato dal governo di gestire, in via ufficiosa, il "baratto" umano tra una spia sovietica da lui difesa qualche anno prima ed il pilota catturato, ma James Donovan, il legale, vuole portare via dalla città tedesca anche uno studente rimasto in trappola oltre il muro. Un ottimo Tom Hanks, che è sempre più l'erede del miglior James Stewart, per quell'aura di "normalità" che emana in qualsiasi situazione si trovi sullo schermo, gareggia in bravura con l'interpretazione tutta in sottrazione della spia venuta dal freddo Mark Rylance. Del cinema "politico" di Spielberg, volto a raccontare pagine conosciute ma spesso tralasciate tra le pieghe della Storia, c'è da parlare solo bene, perchè come in "Amistad", "Munich", lo stesso "Lincoln" sono tante le cose portate sullo schermo a compiere informazione, pur tenendo sempre a mente che il cinema vuole essere spesso intrattenimento. E, in questo senso, "Il ponte delle spie" scorre fluidamente per due ore e un quarto, che appaiono molto meno allo spettatore: eccellente la ricostruzione d'ambiente, e rifuggita la retorica degli USA patria della libertà. Se qualcosa c'è da eccepire, in questo filmone di impostazione tendente al classico, è una certa attenuazione della parte emozionante della storia, ma è pur vero che con i fratelli Coen alla scrittura, comunque di alta qualità, era difficile che la componente emotiva prendesse il sopravvento. Però la sequenza dell'aereo colpito e la lotta del pilota per sopravvivere sono, invece, ad alto tasso di emozione, e tuttavia, tra due sistemi colossali, Spielberg predilige i rapporti tra gli individui, atti a passare nel magma della Storia, ma capaci anche di imporle delle variazioni di percorso.
LA GRANDE SCOMMESSA ( The big short, USA 2015)
DI ADAM MCKAY
Con STEVE CARELL, CHRISTIAN BALE, Ryan Gosling, Brad Pitt.
COMMEDIA/DRAMMATICO
L'implosione del sistema finanziario americano, poi occidentale, che dalla seconda metà degli anni "zero" del Duemila ha prodotto una crisi epocale, di cui ancora oggi si pagano le conseguenze, non è stata una cosa improvvisa. Le premesse per un cedimento sistemico c'erano tutte, ma chi tirava ad arricchirsi per cavalcare l'onda della sfrenata corsa all'immobile che contraddistinse tutto l'Occidente, Italia compresa, dalla fine degli anni Novanta, le copriva o non perdeva tempo a considerarle. Questo lungometraggio è una dramedy sulle vicende vere di chi intuì dove saremmo andati a parare, e dei paradossi sconcertanti di una società in cui se non possedevi un appartamento, eri quasi un reietto. Diretto da Adam McKay, che ha regie di commedie come "Anchorman" sulle spalle, il film ha un cast d'eccezione, con Steve Carell, Christian Bale, Ryan Gosling in inedita versione bruna, Brad Pitt nel ruolo secondario ma importante di un guru disgustato dalla piega presa dalla finanza, e nomi come Marisa Tomei e Melissa Leo in parti piccole. Certo, all'operazione va riconosciuto di provare a semplificare e spiegare una cosa che riguarda, e ha riguardato, tutti, sottolineando, una volta di più, come chi ha generato la catastrofe (le grandi banche) siano state poi le prime a giovarsi di aiuti e sostegni dal Sistema, alla faccia di milioni di disgraziati che si sono ritrovati rovinati dal mattino alla sera. Però la pellicola non è una satira, anche se qua e là diffonde l'impressione di esserlo, non è un film drammatico perchè si concede fin troppe strizzate d'occhio e leggerezze, non è una commedia perchè non ha i presupposti per esserlo. In definitiva, si ha la sensazione di un lungometraggio "didattico" per analizzare e tentare di portare a portata d'uomo comune tutta la terminologia e la complessità dell'alta finanza di oggi. Del cast, eterogeneo e valido, da apprezzare perlomeno la performance stranita del bizzarro Michael Burry, interpretato da Christian Bale, e un Pitt in un omaggio non dichiarato a Robert Redford nei panni del riluttante Rickert.
IL CLUB DEI 39 ( The 39 steps, GB 1935)
DI ALFRED HITCHCOCK
Con ROBERT DONAT, MADELEINE CARROLL, Lucie Mannheim, Godfrey Tearle.
GIALLO
Uno dei titoli più celeberrimi del "periodo inglese" di Hitch, "Il Club dei 39" vanta due remakes, comunque nessuno all'altezza dell'originale, come peraltro spesso accade nel cinema. Intrigo spionistico, con un protagonista aitante, che incontra per caso una donna misteriosa, che allude di essere a conoscenza di molti fatti segreti ed importanti, in un teatro di vaudeville, in cui si sta esibendo un personaggio curioso, chiamato "Mr.Memory", che, pare, impari 50 nozioni nuove al giorno e le tiene a mente. Il protagonista ospita la sconosciuta, la quale viene però uccisa nella nottata, e l'uomo si ritrova in una spirale di sospetti, inseguimenti, minacce e rischi di morte. Lo schema, se si vuole, precorre quello di "Intrigo internazionale", in cui un simile personaggio, fortuitamente, capita in un gioco mortale che conquista lo spettatore: in tal senso, memorabile la fuga dal treno, o l'inseguimento nella brughiera. In più, Hitchcock punteggia il tutto con un'ironia pungente che rende ancora più accattivante l'operazione, servendosi di Robert Donat come eroe per caso, che passa da vittima di un equivoco a preda da eliminare, a risolutore della faccenda. Godibilissimo ancora oggi, realizzato con un piglio gagliardo che non può non affascinare.
QUO VADO? ( I, 2015)
DI GENNARO NUNZIANTE
Con CHECCO ZALONE, Eleonora Giovanardi, Sonia Bergamasco, Maurizio Micheli.
COMMEDIA
Per la terza volta consecutiva, al quarto film interpretato, arriva Checco Zalone a far esultare gli esercenti cinematografici, in pochi giorni facendo incassare cifre che solitamente sono solo sospirate: con quest'ultima pellicola, in una decina di giorni è già a 50 milioni di euro raggruzzolati. La storia, italiana quanto si vuole, di un Checco Zalone che fin da bimbo ha l'unico obiettivo del "posto sicuro", viene su con una visione parecchio retrograda del mondo attorno a sè, scopre che c'è altro, ma le radici sono sempre invincibili.... C'è chi in sala si sbellica già dalla prima inquadratura riguardante l'ex-star di "Zelig", chi dalle pagine dei giornali lancia strali contro l'onda qualunquista cavalcata allegramente da Luca Medici, in arte appunto Checco Zalone: oggettivamente, il film, a livello narrativo, è poca cosa, più volenteroso dei due titoli precedenti del comico, che non ha l'ambizione di voler dirigere, per il momento (ma partecipa alla sceneggiatura e scrive di persona le musiche). Però, c'è da dire, che il personaggio è, neanche troppo esageratamente, quello che le brutture e il malcostume insito nell'italiano più mediocre che medio, che butta i rifiuti dove capita, suona il clacson facendo rumore per nulla, considera le donne come essere suddito, se non è mammà o la fidanzata/moglie, e via enumerando. Quindi, è una satira aguzza travestita da filmetto che tira al botteghino, o è un elenco compiaciuto di tanti viziacci comuni di noi italiani? Certo, Villaggio con "Fantozzi" diceva le stesse cose, ma con un inimitabile gusto del paradosso, che incideva ben più a fondo, anche perchè, fateci caso, ripetiamo le gags del ragionier Ugo quarant'anni dopo, qui troviamo difficile ripetere una battuta il giorno dopo. E il sospetto che quelli che ridono più sonoramente siano proprio quelli che si rispecchiano maggiormente in quel che compie il protagonista sullo schermo, viene fuori....
COLPO GROSSO ( Ocean's Eleven, USA 1960)
DI LEWIS MILESTONE
Con FRANK SINATRA, DEAN MARTIN, Peter Lawford, Sammy Davis jr..
COMMEDIA/THRILLER
L'operazione fu una buona maniera di far fruttare anche su schermo cinematografico il "Rat Pack", il clan che ruotava intorno a Frank Sinatra ( qui da noi venne fatta una cosa similare con Adriano Celentano), imbastendo una commedia d'azione con venature da crime-story, su un colpo pensato come "grande Slam" da parte di una congrega di reduci di guerra, ai danni dei principali casinò di Las Vegas. Tra dubbi, passi indietro, motivazioni varie e trucchi da congegnare, il film procede lungo uno schema molto caro al cinema a cavallo degli anni Sessanta, con un assetto di personaggi corale, via via inquadrati uno per uno e poi uniti per la missione da compiere nella pellicola. Spazio quindi un pò a tutti, anche se i protagonisti veri sono Sinatra, Dean Martin e Peter Lawford, con numeri musicali, strizzate d'occhio, in un elogio della "coolness" della bandaccia di amici fuori e dentro lo schermo, con alcuni caratteristi storici quali Henry Silva e Richard Conte in parti di peso. Il film è piacevole, con un'impostazione molto tipica della sua epoca, ed è stato rifatto, come sappiamo, nel 2001 con "Ocean's Eleven" che assemblava George Clooney, Brad Pitt, Matt Damon, Andy Garcia e altri bei nomi, in una chiave più leggera e meno malinconica. Qui la chiusa è, forse anche perchè si era ancora in un clima in cui il codice Hays aveva ancora forza, che il diavolo fa le pentole ma non i coperchi, e quindi i sogni milionari di Danny Ocean e compagnia non si concretizzano pienamente. Diretto con diligenza da Lewis Milestone, il lungometraggio viaggia sul vistoso autocompiacimento degli interpreti, ma ha la sua dose di gradevolezza accattivante.
IL RAS DEL QUARTIERE ( I, 1983)
DI CARLO VANZINA
Con DIEGO ABATANTUONO, Mauro Di Francesco, Lino Troisi, Isabella Ferrari.
COMMEDIA
Insieme a "Attila il flagello di Dio", il lungometraggio che sancì la fine della prima fase della carriera di Diego Abatantuono, letteralmente esplosa all'inizio degli anni Ottanta, con film campioni di incasso costruiti in gran parte sulle sparate in gergo "terrunciello" dell'attore lombardo, ma di radici pugliesi, fu "Il ras del quartiere", che Carlo Vanzina, anch'egli attivissimo in tale periodo ( tra l'80 e l'83 girò nove film, tanto per dare un'idea...) diresse tra "Vacanze di Natale" e "Amarsi un pò". Ed in effetti, guardando un film come questo, viene da domandarsi in quanti giorni sia stato scritto, allestito e girato, dato che spesso Abatantuono, che fece l'errore di sputtanare la propria comicità infilandosi in un numero esagerato di partecipazioni e parti da protagonista, pur di cavalcare l'onda del successo di pubblico. Qui, in una Milano in cui la teppa la fa da padrona, si parla in gergo ( tutto molto anni Ottanta, vero, ma esageratissimo), e più che altro si traccheggia in scena tra l'avvio e la conclusione, il grosso Diego impersona un sedicente leader di una banda, incaricato da un padre in pena di ritrovargli la figlia: la storia arranca sconclusionata come poche, la recitazione, a parte Lino Troisi, dei comprimari è alquanto ipotetica, e Abatantuono infila ogni tanto un gioco di parole o qualche battuta che possono anche far sorridere, ma è veramente troppo poco, per l'uggiosa pellicola girata senza estro nè interesse dalla produzione. E addirittura la PFM mette mano alla colonna sonora, così come i Goblin in disarmo: fiasco netto all'epoca, per qualche irriducibile del trash un piccolo cult, addirittura. Ma è un inciampo bello e buono, altro che.
IL PICCOLO PRINCIPE ( Le petit prince, F/I 2015)
DI MARK OSBORNE
ANIMAZIONE
FANTASTICO
Uno dei libri più venduti del mondo, doveva trovare prima o poi la via del grande schermo. Per realizzare un film da "Il piccolo principe", a settantadue anni dalla prima pubblicazione, è stato realizzato in versione animata, in una coproduzione tra Francia e Italia che può competere, a livello tecnico, con altri titoli che provengono da America e Asia. Nella versione originale nomi come Jeff Bridges, Benicio Del Toro, Marion Cotillard, James Franco, Vincent Cassel, mentre in quella italiana si possono annoverare Toni Servillo, Paola Cortellesi, Alessandro Gassman, Stefano Accorsi, Giuseppe Battiston: alla regia Mark Osborne, che diresse già "Kung Fu Panda". Quindi un lavoro di prim'ordine, e comunque non era affatto semplice dare una forma filmica ad un racconto tendenzialmente rapsodico come quello di Antoine De Saint-Exupèry: la sceneggiatura prevede l'incontro tra una bimba, per la quale la madre, sola e in carriera, ha progettato un futuro solido, e le fa vivere le giornate con una vera e propria tabella di marcia sfiancante, ed un anziano aviatore che le racconta di avere incontrato il personaggio del titolo. E' vero che la cornice scelta fa un bel pò "Pixar", e ricorda non poco da vicino "Up", ma tutto sommato l'operazione è riuscita: sia gli spettatori adulti che quelli piccoli potranno gradire la pellicola, i primi vi ritroveranno l'emozione della pagina scritta e i secondi potranno rimanere affascinati da una fiaba gentile, che non ha l'obbligo di un lietissimo fine. Un pò meno convincente, semmai, è la parte in cui la piccola protagonista ritrova il piccolo principe cresciuto, che forse voleva essere il pezzo più intenso, ma fa somigliare, in tale fase, la storia a troppi film d'animazione d'azione. Però, tanto di cappello, perchè non era affatto facile riuscire perlomeno a esprimere una visione di un romanzo di grande interesse per i grandi che hanno conservato almeno un briciolo d'infanzia dentro di loro.
IRRATIONAL MAN ( Irrational man, USA 2015)
DI WOODY ALLEN
Con JOAQUIN PHOENIX, EMMA STONE, Parker Posey, Jamie Blackley.
DRAMMATICO
Non si capisce tanto bene perchè da cinque anni a questa parte, l'appuntamento con i film di Woody Allen siano quasi sempre per le feste natalizie, ma questo riguarda la distribuzione. E, come si è detto ancora, girare un film o più all'anno, di certo non fa bene alla creatività di un autore che da più di trent'anni lavora a questo ritmo, anche perchè i film se li scrive pure. "Irrational man" appartiene al ramo legato al thriller, che Allen inaugurò una decina di stagioni fa con "Match Point": infatti, un professore di filosofia disilluso, dedito a bere e galleggiare nel sentore della propria depressione, cui però non manca la compagnia femminile, ritrova voglia di vivere e realizzazione quando comincia a progettare l'assassinio di un individuo estraneo, ma che, sentendo persone parlare in una tavola calda, ritiene persona indegna. Nel film si cita esplicitamente Dostojevskji, ed è abbastanza chiaro il riferimento, nella trama, a "Delitto e castigo", perchè a Woody Allen, come in altre pellicole con tematiche simili a questa, interessa scandagliare la linea tra scelte morali e colpa, tra interpretazione della Giustizia e castigo. In sè, "Irrational man" non è un brutto film, ma pare, tuttavia, un titolo minore della filmografia alleniana, scritto di mala voglia, e diretto più con mestiere che con convinzione. Non si capisce granchè come un Joaquin Phoenix sfatto e lagnoso divenga così attraente per i personaggi femminili principali, meglio figura la neomusa Emma Stone, al secondo lavoro con Allen. Meno coerente di "Match Point", con un finale che, non si sa quanto consapevolmente, rimanda a "Il vedovo" di Dino Risi, non di rado dà la sensazione di star guardando l'operina di un regista che fa un pò il verso a se stesso.
FANTASMI A ROMA ( I, 1961)
DI ANTONIO PIETRANGELI
Con MARCELLO MASTROIANNI, EDUARDO DE FILIPPO, Vittorio Gassman, Tino Buazzelli.
COMMEDIA/FANTASTICO
E' vero che la miscela di cinema brillante e cinema fantastico, per l'Italia, è una mossa pochissimo frequentata, si contano sulle dita di una mano, o poco più, le pellicole di tale categoria, o sottogenere che si voglia. Tra queste, "Fantasmi a Roma" è tra le più riuscite: nobile squattrinato, il principe Annibale non intende cedere il proprio palazzo ad una compagnia che vorrebbe farne un supermercato, e lo circondano, senza che egli lo sappia, dei fantasmi che lo tutelano, lo osservano, commentano quello che fa, e tra questi c'è lo spettro del fratello maggiore, morto da bambino. Tra stratagemmi, beffe all'indisponente rappresentante del gruppo edile ( impersonato, come molte altre canaglie del cinema italiano, da Claudio Gora), viene coinvolto anche l'ectoplasma del pittore Giovan Battista Villari, detto "Il Caparra", che sarà decisivo per la disputa circa la vendita dell'immobile.... Si torna a dire che Antonio Pietrangeli non è stato un regista apprezzato e ricordato come invece meriterebbe: un tocco elegante nella conduzione di trame e attori, l'attenzione ai ritocchi della psicologia dei personaggi, la capacità di non essere mai banale. Chiaramente, un cast da sogno composto da Marcello Mastroianni, Eduardo De Filippo, Vittorio Gassman, Tino Buazzelli, con l'aggiunta del già citato Gora, Sandra Milo e Belinda Lee aiuta: e viene da pensare che una pellicola realizzata con il garbo che contraddistingue questa, è merce rara.
ADALINE-L'ETERNA GIOVINEZZA ( The age of Adaline, USA 2015)
DI LEE TOLAND KRIEGER
Con BLAKE LIVELY, Michiel Huisman, Harrison Ford, Ellen Burstyn.
FANTASTICO/DRAMMATICO
Nata nel 1906, sposatasi dopo poco più di un mese dall'incontro con un ingegnere, Adaline Bowman precipita in un fiume gelato con l'automobile e, mentre rischia annegamento e ipotermia, viene per l'appunto colpita da un fulmine: il quale la risveglia e la salva, ma causa un'anomalia, bloccandole l'invecchiamento. Infatti, la donna dovrà vivere, da lì in poi, in fuga, perchè uomini del governo la cercano per far compiere, probabilmente, delle ricerche su di lei. Sospeso tra sentimento e fantastico, "Adaline" ribadisce quel che, scremato dalla spettacolarità di scontri e cambi di costume, era il nocciolo di "Highlander": non invecchiare comporta anche un disagio forzato, e dolori a non finire, per la perdita di chi si ama e dei compagni di vita. Diretto da Lee Toland Krieger, molto giovane, ma già alla quarta regia, ha una buona impostazione, salta tra le epoche in maniera interessante, e può contare su un buon cast, con comprimari de luxe quali Harrison Ford e Ellen Burstyn, ed un'interprete che avrà probabilmente un buon futuro come Blake Lively, al primo ruolo da protagonista vera e propria. Sorretto da un romanticismo non d'accatto, si evolve con la cadenza di un thriller e riesce a tenere lo spettatore sul chi vive, tra le fughe e le esitazioni del personaggio principale.