LO SGUARDO DI SATANA-CARRIE
(Carrie,USA 2013)
DI KIMBERLY PEIRCE
Con CHLOE-GRACE MORETZ,Julianne Moore,Gabriella Wilde,Judy Greer.
HORROR
Ventisette anni dopo la prima versione diretta da Brian De Palma (che fu sia il primo vero successo commerciale per il regista,che la prima volta al cinema per uno scritto dell'autore del Maine),è tornato sugli schermi un adattamento del romanzo di Stephen King,"Carrie".Affidato questa volta ad una regista,la Kimberly Peirce che colse un forte successo di critica con "Boys don't cry",con Chloe-Grace Moretz nel ruolo della sventurata protagonista,al posto di Sissy Spacek,e Julianne Moore in quello della psicotica madre di Carrie,che fu di Piper Laurie.Quando uscì,"Carrie" fu uno degli horror che cambiarono i codici,e le "regole d'ingaggio" del genere presso il pubblico:tematiche più profonde,un'ambientazione nel mondo giovanile,e una capacità più netta del solito di sottolineare come si facesse paura,anche per parlar d'altro (nello specifico sia i danni di una religiosità cieca e ossessiva,che la crudeltà dell'emarginazione del "diverso" della comunità,oltre che,naturalmente,il controcanto tragico di un potere insolito).Oggi,dopo un sequel apocrifo,che uscì nei tardi Novanta,senza lasciar gran traccia,è un film tutto sommato ben gestito,in cui lo spavento latita,e si cerca maggiormente la dimensione più fantastica,con una più spettacolare illustrazione della potenza telecinetica di Carrie,ma meno impressionante,perchè è sempre vero che il cinema se non mostra troppo,può inquietare ancor di più chi guarda.Non sfigurano nè la lanciatissima Moretz,nè l'attivissima Moore,in ruoli peraltro già ben resi da Spacek e Laurie,ma si dubita che venga fuori un altro John Travolta in uno dei maschietti comprimari,e con tutto il rispetto per la Peirce,la mano di De Palma rivelava un maggior talento registico,anche,appunto,nella scelta (un pò forzata per motivi di limiti tecnologici e di budget) di non essere eloquenti del tutto circa la furia vendicatrice della protagonista.Rimane la pietà naturale per un essere umano cresciuto nell'ignoranza,e nel senso di colpa assurdo e "originale",che,in uno dei più bei romanzi kinghiani,scaturisce a fiotti,in un finale toccante e agghiacciante allo stesso tempo.
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