COSTA AZZURRA (I,1959)
DI VITTORIO SALA
Con ALBERTO SORDI,GIOVANNA RALLI,FRANCO FABRIZI,RITA GAM.
COMMEDIA
Film a episodi,tra i primi a portare sugli schermi la struttura che,sopratutto nella decade successiva a questo titolo,ebbe buon successo,favorendo i produttori e i contratti con i vari divi.Qua,sullo sfondo ridente e fascinoso della Costa Azzurra,ci sono:una bella donna che seduce un giornalista di rotocalco,ma non intende lasciare il ricco mecenate che la mantiene;una coppia sicula,che si ritrova a fare la vacanza assieme allo sfaccendato vitellone del paese della sposa,che propone un patto ai due,nonostante la gelosia del maritello;una star del cinema statunitense che si finge cinica e senza cuore per far tornare sui suoi passi l'uomo che la ama,ed è in procinto di lasciare la famiglia per lei;uno studentello si prende una sbandata per una ragazza;e una coppia di fruttivendoli romani,arrivata lì perchè lei vuol fare cinema,vede invece il marito sedotto dalle promesse di un regista con corte al seguito. Nel gruppo,l'episodio più celebre,e migliore,è l'ultimo citato,con Alberto Sordi e Giovanna Ralli,che cita una celebre storia di Cinecittà,che vedeva Nino Manfredi chiudersi in camera a difendersi dagli "assalti" di Franco Zeffirelli.Sordi,a proprio agio con le fanfaronate fessacchiotte del suo personaggio,regala sorrisi e qualche risata,ma il resto del film è poca cosa davvero:storielle tendenti a un moralismo di comodo,o piuttosto superficiali,dirette in maniera appena diligente da Vittorio Sala.Eppure,anche questo filmetto ha conosciuto diverse riedizioni,e vari passaggi televisivi:ma se si eccettua,appunto,il segmento sordiano,rimane quasi niente.
LE 5 LEGGENDE (Rise of the guardians,USA 2012)
DI PETER RAMSEY
ANIMAZIONE
FANTASTICO/AVVENTURA
La Dreamworks,nella sezione animazione,ha fin dai suoi esordi,con "Z-La formica",cercato un target leggermente meno "pacioccoso" e con tematiche e una scrittura più adatta a ragazzi,che a bambini.Un cartoon ispirato ai libri dello scrittore William Joyce,che narrava storie come questa alla propria figlia,Mary Katherine,morta a 18 anni per un tumore al cervello,alla quale la pellicola è dedicata.Si uniscono,come capita anche negli "Avengers",cinque figure leggendarie,che magari da noi dicono meno,ma in America sono celeberrime alla stregua del Lupo Cattivo e della Befana:c'è Santa Claus,il nostro Babbo Natale,c'è il Coniglio Pasquale,la Fatina dei Denti,Mr.Sandman,che vigila sui bei sogni,e c'è Jack Frost,spiritello glaciale.Appunto,è un racconto che può colpire maggiormente in terra americana,ma che,tuttavia,ha attratto spettatori anche da noi.Spettacolare nelle scene d'azione,ha un canovaccio che non sarebbe dispiaciuto al nostro Gianni Rodari:l'Uomo Nero,eterna nemesi dei cinque eroi,vuole estendere un manto di paura e tenebra sull'immaginario dei bambini di tutto il mondo,e perchè questi non crescano nel timore,e con una visione buia dell'esistenza,c'è da dargli battaglia.L'animazione non è fluidissima,ma il look che richiama la grafica del computer oggi piace molto,e,comunque,la storia è svolta con ritmo,qualche guizzo d'umorismo e una buona predisposizione all'incoraggiamento a sognare,non può dispiacere.Tra l'altro,se la Fatina dei Denti è un pò svantaggiata nell'economia del racconto,molto buona l'idea di lasciare muto Mr.Sandman,che visualizza i propri pensieri per esprimersi.E il controcanto tragico di Jack Frost,sorto da un sacrificio e un atto d'altruismo,viene reso senza disarmonizzare il tono avventuroso e fiabesco dell'intero lungometraggio.
LA PARTE DEGLI ANGELI (The angel's share,GB/F 2014)
DI KEN LOACH
Con PAUL BRANNIGAN,John Henshaw,Gary Maitland,Jasmin Riggins.
COMMEDIA
Vincitore del premio della Giuria a Cannes 2012,"La parte degli angeli" fa parte del registro "leggero" della cinematografia di Ken Loach,quella tutto sommato meno amata dai fans del regista britannico.Perchè in un'era in cui la rincorsa al disimpegno era divenuta addirittura quasi obbligatoria,l'autore di "My name is Joe" è divenuto,a modo suo,una star e un baluardo del cinema impegnato.Del resto,difficilmente Loach ha diretto attori celebri,o destinati a diventar tali,se si eccettuano rari casi come Scott Glenn,Robert Carlyle,Peter Mullan,per fare degli esempi."La parte degli angeli" indica l'accettabile quantità di liquore evaporato nella stagionatura di quelli pregiati:nella fattispecie,di un whisky quasi inestimabile,reperito per caso,e giunto a un livello quasi sublime,secondo gli intenditori.Quindi,un gruppo di balordi,pentitisi dei loro trascorsi,più o meno gravi (il protagonista ha comunque compiuto cose esecrabili),pensa bene di accaparrarsi la scarsa percentuale di liquido alcoolico da rivendere a cifre che consentirebbero loro di svoltare.Rocambolesco come si conviene a un'impresa "criminosa" in stile "Soliti ignoti",ben diretto da un regista che,da sempre, ha saputo tirar fuori il meglio dalle facce scelte,"The angel's share" è una commedia umanista,ambientata in Scozia,tra kilt,scontri realistici con risse e scazzottate,intrallazzi e furbate,coglionerie e un pizzico di fortuna,che serve sempre a ribaltare le situazioni.E il finale sottolinea che valori come speranza,riconoscenza,e fiducia in un'impostazione civile della società,può non essere uno spreco di aspettative.
TOTO' CONTRO IL PIRATA NERO (I,1964)
DI FERNANDO CERCHIO
Con TOTO',Mario Petri,Grazia Maria Spina,Aldo Giuffrè.
COMICO
Che Totò sia stato inserito,via via,con gli anni,avviato verso il finale di carriera,in contesti sempre più assurdi o pretenziosi è risaputo.Messo insieme a Maciste,Cleopatra,il grande comico partenopeo qua è compreso in una parodia del film di pirati,sottogenere in voga all'inizio della decade dal '60 al '70,vedi qualche adattamento salgariano,oppure corsari o bucanieri d'altra estrazione,con produzioni volte a sfruttare costumi e scenografie creati per altri titoli.Qui si vuole che il povero ladruncolo Totò,per scampare all'arresto e a probabile impiccagione,si nasconda in un barile che finisce sulla tolda di una nave di pirati,e dopo poco,smascherato,per una serie di equivoci,finisca prima gettato in mare,ma in realtà non ci arriva,poi sventa,con un trucco,un assalto della Marina,e diventa l'eroe del galeone.La trama è appiccicata con il nastro adesivo,le situazioni strampalate,e la regia di Fernando Cerchio è piuttosto scialba,quando non addirittura maldestra (c'è una scena con pietre di vistosa gommapiuma che galleggiano in aria,sullo sfondo,di assai pedestre qualità...),e,come spesso accadeva in queste pellicole,si dava "palla" a Totò,e lo si lasciava improvvisare,augurandosi che si inventasse qualcosa.Non sempre lo schema funzionava,ma in questo lungometraggio,ogni tanto,la scintilla del mattatore si accende,vedi il dialogo con il governatore sordo,che tocca momenti di surreale piacevolezza.Le spalle Castellani e Giuffrè fungono abbastanza,più il primo del secondo,mentre il robusto Mario Petri è un antagonista di poca consistenza.Per chi ama Totò e il suo cinema,un titolo qua e là anche simpatico,ma più che altro un'ennesima conferma del professionismo e della capacità mattatoriale di un comico,abile come pochi,a rendere più appetibile possibile il lavoro dei collaboratori,anche i più mediocri.
LO SGUARDO DI SATANA-CARRIE
(Carrie,USA 2013)
DI KIMBERLY PEIRCE
Con CHLOE-GRACE MORETZ,Julianne Moore,Gabriella Wilde,Judy Greer.
HORROR
Ventisette anni dopo la prima versione diretta da Brian De Palma (che fu sia il primo vero successo commerciale per il regista,che la prima volta al cinema per uno scritto dell'autore del Maine),è tornato sugli schermi un adattamento del romanzo di Stephen King,"Carrie".Affidato questa volta ad una regista,la Kimberly Peirce che colse un forte successo di critica con "Boys don't cry",con Chloe-Grace Moretz nel ruolo della sventurata protagonista,al posto di Sissy Spacek,e Julianne Moore in quello della psicotica madre di Carrie,che fu di Piper Laurie.Quando uscì,"Carrie" fu uno degli horror che cambiarono i codici,e le "regole d'ingaggio" del genere presso il pubblico:tematiche più profonde,un'ambientazione nel mondo giovanile,e una capacità più netta del solito di sottolineare come si facesse paura,anche per parlar d'altro (nello specifico sia i danni di una religiosità cieca e ossessiva,che la crudeltà dell'emarginazione del "diverso" della comunità,oltre che,naturalmente,il controcanto tragico di un potere insolito).Oggi,dopo un sequel apocrifo,che uscì nei tardi Novanta,senza lasciar gran traccia,è un film tutto sommato ben gestito,in cui lo spavento latita,e si cerca maggiormente la dimensione più fantastica,con una più spettacolare illustrazione della potenza telecinetica di Carrie,ma meno impressionante,perchè è sempre vero che il cinema se non mostra troppo,può inquietare ancor di più chi guarda.Non sfigurano nè la lanciatissima Moretz,nè l'attivissima Moore,in ruoli peraltro già ben resi da Spacek e Laurie,ma si dubita che venga fuori un altro John Travolta in uno dei maschietti comprimari,e con tutto il rispetto per la Peirce,la mano di De Palma rivelava un maggior talento registico,anche,appunto,nella scelta (un pò forzata per motivi di limiti tecnologici e di budget) di non essere eloquenti del tutto circa la furia vendicatrice della protagonista.Rimane la pietà naturale per un essere umano cresciuto nell'ignoranza,e nel senso di colpa assurdo e "originale",che,in uno dei più bei romanzi kinghiani,scaturisce a fiotti,in un finale toccante e agghiacciante allo stesso tempo.
LIBERACI DAL MALE (Deliver Us from Evil,USA 2014)
DI SCOTT DERRICKSON
Con ERIC BANA,EDGAR RAMIREZ,Olivia Munn,Sean Harris.
THRILLER/HORROR
Jerry Bruckheimer,ormai ingrigita ma sempre vivace volpe di Hollywood,da metà anni Ottanta in poi,ha saputo metter su grandi successi,spesso fragorosi negli effetti speciali e nella confezione,patinata però efficace,dopo il fiasco notevole di "Lone Ranger" ha prodotto sia il quarto capitolo delle avventure robotiche dei "Transformers",che questa miscela di thriller e horror.La quale non ha sbancato,però ha avuto buona stampa,e comunque si è conquistata un discreto seguito,che potrebbe aumentare in seguito,soprattutto all'estero.Lo spunto viene da un libro,di un ex-poliziotto divenuto studioso di esoterismo e demonologia,dopo aver vissuto l'esperienza narrata nel film,in cui alcuni reduci dall'Iraq,avendo scomodato uno spirito maligno locale,ne sono tornati posseduti,a compiere malvagità varie in terra d'America.Si troveranno contro il duro sbirro e un prete sui generis,carismatico e fascinoso,molto fisico,ma capace esorcista.Al di là del lecito dubbio sulla verità della vicenda,con tanto di possessioni,atti di ferocia e forza inusitata da parte degli indemoniati,che,ad aver la pazienza di seguire i titoli di coda,viene curiosamente messa in dubbio dalla canonica scritta "Ogni riferimento a persone e fatti realmente..."eccetera,e della non sempre felicemente risolta collocazione di genere della pellicola,perchè è strutturata come un thriller metropolitano,ma ha anche la componente fantastica del film dell'orrore,c'è da dire che "Liberaci dal male" non è un brutto film.L'effettaccio non è ricercato a tutti i costi,se si eccettua un povero gatto finito malissimo secondo un rituale folle,e qualche scena sanguinaria,Derrickson lavora maggiormente sull'elaborazione della suspence,con qualche rozzezza narrativa (l'indemoniata che lancia il bimbo tra i leoni avviando la storia,sparisce dal racconto,per tornare solo sporadicamente,e risultare,infine,solo un mezzo per far saltare sulla sedia lo spettatore);una colonna sonora costruita per tre quarti da riusciti inserimenti di canzoni dei Doors in momenti topici della trama,una fotografia quasi completamente occupata a far risaltare buio e contrasti di colori lividamente pallidi,con un prete che in alcuni frangenti somiglia a Simon Le Bon,impugna il crocefisso come una 44 Magnum,però gli va dato adito di essere ben impersonato da Edgar Ramirez,e un poliziotto più "terreno" che ha la presenza fisica di Eric Bana,sono elementi a favore di un lavoro tutto sommato apprezzabile,anche se discutibile in più punti.
APES REVOLUTION-Il pianeta delle scimmie
(Dawn of the Planet of the Apes,USA 2014)
DI MATT REEVES
Con ANDY SERKIS,JASON CLARKE,Gary Oldman,Keri Russell.
FANTASCIENZA
C'era da immaginarsi che la crescita dello scimpanzè Cesare,che si rifugiava nella foresta di altissime conifere alla fine de "L'alba del pianeta delle scimmie" fosse solo l'avvio di una nuova saga che,dati alla mano,promette di durare addirittura quanto l'originaria,partita con il classico di Franklin J.Schaffner nel 1968,e proseguita per altri cinque capitoli:dati alla mano,anche questo "Apes revolution" (in originale "L'alba del Pianeta delle Scimmie",ma da noi era già stato sfruttato questo titolo...) promette di far continuare l'avventura delle scimmie evolute nel conflitto con gli uomini.I quali sono ridotti a minoranza,dopo l'epidemia generata da un virus creato in laboratorio,e finito fuori controllo.I primati si sono radunati fuori da San Francisco,e sono capeggiati da Cesare,appunto,un leader che predica sostanzialmente la pace,e mostra più senso di responsabilità di un capo umano.Ma gli esseri umani,bisognosi di risorse,si inoltrano nella foresta,e le due specie entrano in contatto,e poi in contrasto:da entrambe le parti,con motivazioni diverse,guerrafondai premono per arrivare a una guerra sterminatrice.Affidato al Matt Reeves di "Cloverfield",dopo l'abbandono della serie per probabili contrasti con la produzione da parte di Rupert Wyatt,il secondo episodio della nuova saga è un kolossal spettacolare e pacifista,che condanna i falchi di ogni schieramento.E ci ricorda,tra un combattimento e l'altro,che siamo la specie che ha portato più distruzione verso le altre,mettendo in serissimo pericolo la sopravvivenza di molte,quando addirittura non accelerandone l'estinzione.Un pò prevedibile negli sviluppi del racconto,che vede un sovvertimento dell'ordine,per causare il disastro,come in effetti è capitato spesso anche nella Storia vera e propria,ma con il pregio di un arco narrativo tra due sguardi,dello scimpanzè protagonista,nei quali cambiano consapevolezze e decisioni,robusto e comunque ben gestito.Andy Serkis è sempre di più il miglior interprete dalla faccia camuffata,comincia a emergere il robusto Jason Clarke,e Gary Oldman è interessante nel dipingere un carattere a metà tra l'umanamente comprensibile e il discutibilmente ottuso.In attesa del prossimo,drammatico segmento,è uno dei blockbuster estivi che la distribuzione si è degnata di proporre in contemporanea con gli States.
RALPH SPACCATUTTO (Wreck- it Ralph,USA 2014)
Se nella vita contano anche i ruoli,che dire di quella dei personaggi di un videogame,costretti a ripetere per sempre le solite mosse,a seconda delle abilità,e delle intuizioni,di chi manovra i joystick?Ralph Spaccatutto è una specie di Hulk non colorato di verde,che deve distruggere un palazzo,è il villain di un videogioco vintage,e un giorno si stufa di fare sempre ciò per cui è stato programmato,e intende riabilitarsi,mettendo di fatto in crisi il suo micromondo,e,per effetto domino,l'intero universo parallelo dei videogiochi.Derivazione da "Toy Story" in versione videoludica,"Wreck it Ralph" non è stato tra i titoli di maggior favore da parte delle platee mini e adulte:forse perchè collegato appunto idealmente alla saga,per ora rimasta trilogia,creata da John Lasseter (che mette lo zampino anche qua,e si nota);ed è un peccato.Perchè è un lavoro che sta in equilibrio tra le gags visivo-spettacolari e una ricchezza di dialoghi e citazioni di prim'ordine,dalle strizzate d'occhio alle generazioni cresciute con i videogames "storici" (Pac-Man,Sonic,Street Fighter,QBert,e via enumerando) a quelle cinematografiche (la corsa è un chiarissimo riferimento a quella degli "sgusci" di "Star Wars-La minaccia fantasma"),quasi un "Alice nel Paese delle Meraviglie" invertendo dalla ragazzina bionda in un orco buono chi si avventura in una dimensione fantastica e molto meno rosea di come viene figurata inizialmente.Spassoso e di buon ritmo,riesce,nel rapporto tra l'omone sguaiato che vorrebbe essere leggero ma è fisicamente distruttivo e la bambina senza nessuno che è meno "tremenda" di come l'hanno creata,a risultare toccante e gentile,sfiorando nella conclusione la commozione,senza risultare mieloso e stucchevole.Una chicca,che meriterebbe piena rivalutazione.
LA MASCHERA DELLA MORTE ROSSA
(The masque of the Red Death,USA 1964)
DI ROGER CORMAN
Con VINCENT PRICE,Jane Asher,Hazel Court,David Weston.
HORROR
Nella decade più omaggiante a Edgar Allan Poe,anche grazie al notevole impegno di Roger Corman nel realizzare più lungometraggi possibili dagli scritti dell'autore de "La tomba di Ligeia" e "Il gatto nero",Vincent Price formò con il tycoon del cinema "povero" per eccellenza un'alleanza che giovò a entrambi,e li rese due leggende per cinefili che stavano crescendo,e colleghi vari.Se si guarda,due titoli di spicco di trent'anni dopo,fanno,per esempio,non ammesso riferimento a questo specifico lavoro:il manifesto "geniale" de "Il silenzio degli innocenti",con tanto di falene che in realtà celano corpi nudi di cadaveri,riporta nè più,nè meno,l'effetto del poster di questo,che vede Price con il volto rosso,ma nel particolare vi sono impresse vittime della peste che imperverserà nel finale:e che dire della mise del "maestro di cerimonie" di "Eyes wide shut",che è pressochè identica a quella della Morte Rossa?Tuttavia,anche qui si strizza l'occhio al pubblico consapevole,con accenni a "Il pozzo e il pendolo",e altri titoli "poecormaniani",per inquadrature e situazioni:nel narrare la crudele fiaba nera del principe Prospero,che dispensa morte ludicamente,e attua un regime di paura per capriccio,ordendo nello stesso tempo ricevimenti in cui dà il via alle danze e i cui ospiti fanno di tutto per compiacerlo,Corman compensa lo scarso budget con il senso del cinema che gli era proprio.Forse troppo teatrale,sia nella recitazione,con un gigioneggiamento da parte del sornione Vincent,marcatissimo,e tenuto a un ritmo che,tuttavia,ricorda quello della pagina di E.A.P.,mai accelerato,in verità,"La maschera della Morte Rossa" è una discreta rilettura di uno dei lavori più sarcastici dello scrittore.Bello il finale con la processione serafica delle "Morti" con veste di vario colore.
L'AMMUTINAMENTO DEL CAINE
(The Caine mutiny,USA 1954)
DI EDWARD DMYTRYK
Con ROBERT FRANCIS,HUMPHREY BOGART,VAN JOHNSON,Fred McMurray.
DRAMMATICO
Per stare in mare lungo tratte che durano mesi,e la cosa vale soprattutto per i sommergibili,ma anche sulle navi che solcano la superficie marina,occorrono soprattutto nervi saldi.E quando l'ufficiale comandante,che già aveva mandato segnali di disagio personale,durante una tempesta in mare aperto,mostra di non essere all'altezza della situazione,gli ufficiali lo destituiscono,almeno il più alto in grado sotto di lui,e un guardia marina.Gli altri,che caldeggiavano l'ammutinamento già da tempo,non si espongono,e,addirittura,colui che sembrava il più spavaldo e perspicace nel captare la natura paranoica del comandante Queeg,è quello che farà il voltagabbana più maiuscolo.Dramma militare che specifica,all'inizio,che nella Marina USA non si sono mai verificate circostanze di ammutinamento,è diretto con mano solida da Edward Dmytryk,che alterna momenti brillanti,con un progressivo scivolare nel dramma,fin dall'entrata in scena di Humphrey Bogart.Classico del cinema americano,di solida sceneggiatura,riesce ad imbastire un'ottima sequenza avventurosa,quella della nave in tempesta,che probabilmente all'epoca doveva risultare altamente impressionante:scandito in cinque tempi narrativi (l'arrivo del guardia marina che narra la vicenda,il periodo del comando di Queeg,l'ammutinamento,il processo e le sue conseguenze),ha naturalmente negli attori un dichiarato punto di forza.Se Robert Francis è un tramite abbastanza inespressivo,Bogey è un villain sofferente e ambiguo,e Van Johnson offre il suo volto da impacciata brava persona,si notano tra le figure di fianco gente come Lee Marvin e E.G.Marshall,ma il migliore risulta il farlocco Fred McMurray,che cambia tonalità con una naturalezza lieve e insieme corposa.
TRANSFORMERS 4-L'era dell'estinzione
(Transformers 4:Age of Extinction,USA 2014)
DI MICHAEL BAY
Con MARK WAHLBERG,Nicola Peltz,Stanley Tucci,Kelsey Grammer.
FANTASCIENZA/AZIONE
Era scontato che i "Transformers" non si limitassero a concludere la saga con tre episodi,meno che proprio Michael Bay si dedicasse a firmare anche la prosecuzione dell'avventurona fantascientifica che dal 2007 macina introiti miliardari come le balene ingoiano il plancton.Dopo la devastante apocalisse tecnorobotica di Chicago,sembra che tra la razza umana e gli Autobot l'alleanza sia conclusa,e addirittura viene data la caccia ai robottoni nascosti sulla Terra,con tanto di accordi segreti tra una parte marcia dei servizi segreti e i Decepticon,anzi,una nuova frangia ancora più potente.E,tra l'altro,la serie ci informa che i dinosauri sono stati estinti dall'arrivo della razza che ha generato sia gli automi buoni che quelli cattivi,e intenderebbe ripetere l'esperimento.... Si sa,il cinema targato Bay non è a grana fine,che è uno dei meno capaci direttori d'attrici,che sa solo inquadrare come nel più patinato e luccicoso degli spot,che quando dice di far baccano,ecco,è un concetto esteso al cubo,con medesima proporzione di scoppi,crolli e cose in movimento.Però,nonostante la durata-monstre di 2 ore e 45 minuti (!),si può rimanere sorpresi dalla tenuta di ritmo (meglio la prima parte della seconda,nella quale il rischio-accumulo si rasenta più di una volta) e dall'alta spettacolarità del lungometraggio.Wahlberg,personaggio più "american traditional" di Shia Laboeuf,si conferma tuttavia,nonostante la dichiarata fede neocon,un eroe dal volto umano,con difetti e un impeto da uomo del popolo piuttosto energico,Tucci sta al gioco in souplesse,e la "furbata" di girare la parte finale tra Pechino e Hong Kong per compiacere i mercati gonfi di denaro d'Oriente,è commercialmente una buona iniziativa.Spalancando le porte ad un probabilissimo quinto atto,"Transformers 4" lascia di sè l'immagine,visivamente possente,di Optimus Prime che cavalca un tirannosauro-robot,spada in resta,verso Pechino.E',a rigor di logica,un'immagine troppo folle per non possedere un bel pò di fascino.
UN BOSS IN SALOTTO (I,2014)
DI LUCA MINIERO
Con PAOLA CORTELLESI,ROCCO PAPALEO,Luca Argentero,Angela Finocchiaro.
COMMEDIA
La famigliola "felice" Coso vive nel bolzanino,una terra fiorente,paesaggi belli e una compostezza tendenzial-borghese ben radicata:il capofamiglia spera di far carriera,la moglie ha origini meridionali ma le maschera benissimo con ottimo accento "nordista" e spinge sia il marito che la figlia a primeggiare,ma quando arriva per un caso della sorte (forse mala,forse no...)il fratello rinnegato di lei,che è accusato di essere un boss della camorra,e "parcheggiato" ai domiciliari in casa dei Coso,la musica è destinata a cambiare.... Tra i campioni d'incasso di una stagione non felicissima per gli introiti in Italia,ma tuttavia capace di presentare tra i primi dieci del box-office cinque pellicole nostrane,"Un boss in salotto" gioca molto sugli equivoci,e sul camuffamento delle realtà,anche e soprattutto la facciata fasulla ordita dalla protagonista,e l'impatto con il fare i conti con la maggiore concretezza delle cose di tutti i giorni.Miniero dirige con garbo,peccato gli manchi la zampata al veleno,che avrebbe migliorato notevolmente il suo lungometraggio,che trova in un finale frettoloso e un pò arruffato una conclusione poco azzeccata.Il gioco d'attori è la cosa più riuscita,con un buon affiatamento tra Paola Cortellesi,che se si togliesse l'aura da perfettina guadagnerebbe maggior simpatia,perchè talento ne ha tanto,ma non sempre riesce a gestirlo benissimo,e Rocco Papaleo.Passato da caratterista pieraccioniano a ruoli sempre più da protagonista,l'attore lucano è qua un guastafeste di una certa forza,e la scena della cena,il climax comico del film,deve molto a lui e alle due attrici presenti,la Cortellesi e la Finocchiaro,della sua riuscita. Simpatico,tutto sommato,graffiante il giusto,ma premiato dal pubblico.
KILLING SEASON (Killing season,USA 2013)
DI MARK STEVEN JOHNSON
Con JOHN TRAVOLTA,ROBERT DE NIRO,Milo Ventimiglia,Elizabeth Olin.
AZIONE
Un prologo spiccio,ambientato nella cruentissima guerra dei Balcani,storia recente,neanche vent'anni or sono.E in breve si è lanciati nella storia:un ex-ufficiale dell'esercito USA si è ritirato a vivere nei boschi,e incrocia un viandante grande e grosso,che gli dà una mano a far ripartire l'auto che ha avuto un problema.Piove,l'ex-militare offre una cena all'altro,i due si fanno confidenze,e la cosa finisce in una sbornia.Ma l'incontro non era casuale:l'uomo di passaggio è un sopravvissuto alla guerra,e ha conti personali da regolare con l'altro.Lo scontro sarà violento,con ribaltamento di ruoli,e ognuno tirerà fuori il suo lato più violento,e insieme la più abile sagacia.Il film doveva essere diretto da John McTiernan,ed invece è passato a Mark Steven Johnson,del quale si ricorda le non proprio epiche gesta registiche con "Daredevil" e "Ghost Rider", e quindi c'era di che rabbrividire.Vero che sono in scena due star oggi passatelle,ma capaci di far felice qualsiasi regista abbia a che fare con loro,ma basta ricordare "Righteous kill" che vedeva insieme De Niro e Pacino per farsi passare gli entusiasmi.Eppure,pur riconoscendo che forse in mano a un altro regista le cose sarebbero state migliori, da "Killing season" si può rimanere affascinati.Un dramma avventuroso piuttosto teso,crudo e senza timore di presentare due personaggi in lotta tra loro che non riescono a sopprimere la propria natura violenta,e la crudeltà umana di cui sono stati insieme testimoni e rei.E un aroma western che permea tutta la pellicola,dall'attesa minacciosa di cui è piena tutta la parte dell'incontro tra i due,alla caccia senza requie che i due si danno,fino alla conclusione,non banale e umanistica. Tra De Niro e Travolta,forse,la spunta,recitativamente,il secondo,ma anche il vecchio Bob stavolta sembra molto più in palla di quanto sia risultato negli ultimi anni:il film è concentrato quasi esclusivamente su loro due,richiama un titolo scorticato come "The hunted" di William Friedkin,che lo ricorda per ambientazione e temi,e coinvolge emotivamente lo spettatore.Non ha avuto pareri particolarmente benigni dalla critica,ma è un lavoro interessante,e inspiegabilmente non arrivato sul grande schermo da noi.