È STATA LA MANO DI DIO (I, 2021)
DI PAOLO SORRENTINO
Con FILIPPO SCOTTI, Toni Servillo, Teresa Saponangelo, Marlon Joubert.
DRAMMATICO/COMMEDIA/GROTTESCO
Un walkman sempre sul fianco, come tenevano le pistole i cowboys, le cuffiette sempre al collo, in pieni anni Ottanta, per Fabio, o Fabietto la vita a Napoli è tutta una scoperta, tra eventi pubblici (l'arrivo di Diego Armando Maradona nell'Estate '84 nelle file della squadra di Ferlaino) e cose private, tra famiglia, idee sul futuro e progetti da realizzare, una sensibilità tenuta a freno perché fin troppo acuta, la Donna e il Sesso cose quasi insormontabili: Paolo Sorrentino ci ha messo tanto di sé in questo suo lavoro, sentitamente autobiografico, che narra anche la tragedia che colpì il regista in adolescenza, con la perdita dei genitori. E in mezzo, un'aneddotica copiosa, tra fatti divertenti e momenti sconfortanti, con un filo di follia, come in tutte le storie delle famiglie. È un film napoletano fino al midollo, "È stata la mano di Dio", per il suo umorismo, la sua vitalità, la casualità di ogni incontro e quell'affrontare la vita con sfacciataggine e filosofia, ben recitato da tutti, con un Servillo che con Sorrentino gioca sciolto come non mai, un'adeguatissima spalla femminile come Teresa Saponangelo, una fulgida Luisa Ranieri che a quasi quarantasette anni si concede un nudo che farà storia ( e va sottolineato che il regista sa valorizzare soprattutto le bellezze in età matura, vedi Elena Sofia Ricci in "Loro", o Sabrina Ferilli ne "La grande bellezza"), e tutto un corollario di attori importanti e di nome, come Gallo, Carpentieri, che prestano la propria faccia per ruoli secondari. Però l'impressione che la pellicola ti lascia è che sia dispersiva, vive di fin troppi accumuli, inciampa su "fellinismi" fin troppo esibiti, come la nave tutta illuminata che parte di notte, l'emiro che passa di notte, in una piazza deserta, affiancato da una bellezza di madrelingua ispanica che si rivela sgarbata, si protragga in una durata anche eccessiva: intendiamoci, il film è da vedere, perché, soprattutto quando non insiste sul piano grottesco, e viaggia sulla commedia, ha momenti felici ( il pranzo con l'attesa del nuovo fidanzato della zia, politicamente assai scorretto e condito da umorismo sapido), e la cifra così personale della regia di Sorrentino si riscontra eccome. Solo che, come succede spesso per i progetti fin troppo personali, o più anelati dai registi e magari rimandati per anni per questioni di realizzabilità, pratiche o economiche, non tutto è a fuoco, qualcosa appesantisce il risultato, si prova la sensazione che, con minor coinvolgimento personale di chi è alla regia, probabilmente l'opera sarebbe stata ancora meglio. Regista che oramai è considerato, alla stregua di quelli che hanno lasciato il segno veramente, per via di uno stile talmente marcato quanto esclusivo, Paolo Sorrentino è un autore con sicuramente ancora tanto da dire: il "film della vita" lo ha realizzato qui, può passare oltre, e ne aspetteremo nuovi segnali.
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