RAMBO: LAST BLOOD ( Rambo: Last blood, USA 2019)
DI ADRIAN GRUNBERG
Con SYLVESTER STALLONE, Paz Vega, Yvette Monreal, Sergio Perris-Mencheta.
AZIONE
Benché solo qualche anno fa Sylvester Stallone avesse affermato perentoriamente, in alcune interviste, che non ci sarebbero stati ulteriori capitoli per le avventure di John Rambo, il reduce dal Vietnam che rispondeva con brutalità devastante alle ingiustizie subite, eccoci al capitolo quinto, che segue quello del 2008, che tanti fans riconquistò dopo gli scivoloni, seppure redditizi, del secondo e, ancor più, del terzo episodio della serie. Arrivato all'autunno della propria esistenza, Rambo è un uomo che ha trovato una dimensione tranquilla, tenendo nel ranch di famiglia la governante messicana e sua nipote, cui guarda come un vero e proprio clan d'appartenenza: purtroppo la ragazza vuole ritrovare il padre, un messicano tornato al proprio Paese, che si rivelerà un uomo senza cuore e abietto. Da lì a precipitare in un gorgo di vizio e violenza, anche tramite una falsa amica, ci vorrà poco: la giovane cade nelle grinfie di un cartello di narcotrafficanti, guidato da due efferati fratelli, che ricavano molto del denaro con cui operano dal mercato della prostituzione, e l''ex- soldato partirà verso la nazione confinante nel tentativo di recuperare la ragazza. Accolto da una sostanziale negatività, da parte di diversi recensori ( soprattutto quelli della categoria online, sempre spicci nei giudizi), il quinto atto dell'eterna tragedia del personaggio di David Morrell ( il quale, sembra, pure lui ha disconosciuto questo nuovo sviluppo del carattere da lui creato) è, sì, grossolano in diversi passaggi di sceneggiatura, vedi una presentazione dell'ambiente messicano, tra corrotti, delinquenti e farabutti vari che si può leggere come la visione di chi ha votato un presidente soprattutto perchè gli prometteva un muro divisorio da "quelli", approssimativo (di che campa John Rambo, un ranchero con due cavalli soltanto? come ha scavato una rete fitta di tunnel sotto la sua proprietà, da solo?) e, se si volesse leggere la pellicola come usava una volta, con il filtro dell'idelogia, sostenitore della vendetta come risorsa ultima dell'Uomo di fronte alle brutture dell'esistenza. Però, se pur si vuol definire il film "funereo" come ha scritto nella sua bella recensione Emiliano Morreale su "Repubblica", va detto anche che l'antitesi naturale di Rocky Balboa, che resta sempre invece un positivo, questo Berretto Verde che a stento placa i suoi istinti di violenza, che ammette il proprio squilibrio mentale e per il quale ogni scampolo di pace residua è distrutto, trova il suo viale del tramonto con la perdita dell'ultima innocenza conosciuta, e ritrova la sua furia annichilente, senza mai averla davvero smarrita. Per Rambo il conflitto è sempre a portata di tiro, ha vissuto l'orrore della guerra incamerandolo e riversandolo ad ogni occasione, più feroce che mai. E, su tale piano interpretativo, si potrebbe leggere l'intera saga come un monito pessimista, sulla natura ferina degli esseri umani, così protesi alla distruzione di ambiente e propri simili, da perdere ogni struttura evoluta, e utilizzare esperienza e logistica per perpetuare la via all'autodistruzione. Stallone, cui la macchina da presa non risparmia primi e primissimi piani, per sottolinearne l'avanzata età e la stanchezza mista a furore della maschera del personaggio, lascia il posto a Adrian Grunberg, che già con "Viaggio in Paradiso" con Mel Gibson non ci aveva fatto pensare che abbia una buona opinione del Messico: la tonalità western, con la resa dei conti giocata sottoterra come se fosse in una miniera, giova tutto sommato al film, che nell'ultimo atto pesta forte sul piano della truculenza, al punto da far somigliare il vecchio militare vagabondo ai vari Jason e Leatherface degli horror di culto degli anni Settanta e Ottanta.
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