lunedì 30 gennaio 2017

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LA BANDA DEGLI ONESTI ( I, 1956)
DI CAMILLO MASTROCINQUE
Con TOTO', PEPPINO DE FILIPPO, Giacomo Furia, Gabriele Tinti.
COMMEDIA
Uno dei più celebri titoli con Totò, e una delle più apprezzate collaborazioni con Peppino De Filippo, è "La banda degli onesti", in cui dei poveri cristi che hanno, chi più chi meno, dei problemi per sbarcare il lunario, entrano in possesso del sistema di stampare banconote false e quindi avviare un piccolo ma redditizio giro da falsari: però la coscienza duole, e per chi non è abituato a maramaldeggiare, giocare sporco è complicato.... Diretto da uno dei registi con cui il principe della risata ha avuto tra i più solidi connubi, il film è simpatico, garbato, piacevole e ben raccontato. Magari, rispetto, ad esempio, a un "Totò, Peppino e la Malafemmina" cerca meno la risata forte, e punta più su una gradevolezza lineare, ma, appunto, va detto anche che il classico diretto da Steno ha alti e bassi narrativi che qui non si trovano, a beneficio di una storia curata ed una buona presentazione dei diversi personaggi in scena, compreso l'amministratore di condominio dalla facciata integerrima ma pronto ad intrallazzare appena possibile, il ragionier Casoria. Tra Totò e De Filippo, che si davano del lei a cineprese spente, nonostante la proficua e duratura, lungo gli anni, "società", è un'intesa naturale, e bene figura anche Giacomo Furia nel ruolo del mammone che si fa un sacco di problemi. Leggerezza e garbo, merce non così facile da reperire.

giovedì 19 gennaio 2017

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LA FURIA DEI BASKERVILLE ( The hound of the Baskervilles, GB 1959)
DI TERENCE FISHER
Con PETER CUSHING, ANDRE' MORELL, CHRISTOPHER LEE, Marla Landi.
GIALLO
Dal classico di Arthur Conan Doyle, una delle avventure più celebri del detective creato dallo scrittore, Sherlock Holmes, alle prese con un intrigo che prevede una persecuzione sull'ultimo membro di un casato, quello dei Baskerville, che dovrebbe morire assalito da una creatura mostruosa nella brughiera. Tutto è legato ad un misfatto accaduto due secoli prima, che infamò la famiglia possidente Baskerville, un cui rappresentante commise un doppio delitto particolarmente infame, e fu il primo a perire sbranato da un cane gigantesco e orrido. Della Hammer Films è particolarmente piacevole l'atmosfera, sì cupa e protesa a spaventare lo spettatore (dell'epoca), ma ben allestita e ottimo sfondo per la vicenda narrata. Qui Fisher mette in scena un'indagine dell'investigatore, tenendo in campo maggiormente il fido Watson, e l'ultimo Baskerville, rispettivamente Andrè Morell e Christopher Lee, e puntando su Holmes nelle prime scene, e negli ultimi quaranta minuti di proiezione: tenuto in equilibrio tra sardonica ironia e tensione dell'indagine, "La furia dei Baskerville" rimane una delle più celebri pellicole su Sherlock, e una buona trasposizione cinematografica di un classico della letteratura gialla. 

martedì 17 gennaio 2017

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OCEANIA ( Moana, USA 2016)
DI RON CLEMENTS E JOHN MUSKER
ANIMAZIONE
AVVENTURA/FANTASTICO
L'annata trionfale della Disney, con "Zootropolis", "Alla ricerca di Dory", "Captain America:Civil War", "Doctor Strange", si conclude con "Oceania", in originale "Moana" dal nome della protagonista, da noi ribattezzata "Vaiana" e col titolo del film cambiato per ovvi riferimenti alla pornostar scomparsa qualche anno fa. Diretto dagli autori che già con "La sirenetta" azzeccarono il rilancio della casa dopo qualche anno sottotono, il nuovo cartoon è interamente in computer graphic, e narra l'avventura della giovane "scelta" dall'oceano per riportare il proprio popolo alla sua vera natura di navigatori e scopritori: di mezzo c'è il precedente del semidio Maui, che ha rubato il cuore dell'isola madre Te Fiti, simbolizzato in una pietra verde, mille anni prima, e da allora la gente di Vaiana vive al sicuro su un'isola, finchè le sicurezze non vengono meno, per via del peggiorare della natura. Già dalla definizione di cieli e oceano, "Oceania" meriterebbe la visione, per lo splendore con cui viene reso il mare ed i colori che lo circondano: eroina con zone fragili, ma coraggiosa e decisa a non darsi per vinta inseguendo i propri intenti, Vaiana è un personaggio Disney da antologia, senza alcuna leziosità, dal carattere forte e dall'intelligenza aumentata dalla curiosità. Con un personaggio comico come il galletto strabico che puntualmente riscuote sorrisi, una forte spettacolarità, un andamento narrativo che può ricordare il viaggio per mare di Ulisse, ed i suoi incontri-ostacoli fantastici ed un messaggio molto più educativo di tanti altri film d'animazione, che sottolinea la necessità del rispetto per la Natura, che può rivelarsi il peggiore dei nemici, o l'alleato più prezioso, questo cartoon merita un posto tra i classici da vedere e rivedere. 
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HUNGER ( Hunger, GB/IRE 2008)
DI STEVE MCQUEEN
Con MICHAEL FASSBENDER, Brian Milligan, Liam McMahon, Liam Cunningham.
DRAMMATICO/BIOGRAFICO
Uscito da noi dopo il buon successo di "Shame", che vedeva insieme di nuovo il regista Steve McQueen ed il protagonista Michael Fassbender, "Hunger" è il film d'esordio per il futuro vincitore dell'Oscar con "12 anni schiavo", che sarebbe divenuta la terza collaborazione delle due personalità: è il racconto del percorso-calvario dell'attivista dell'IRA Bobby Sands, nel 1981, che in carcere intraprese uno sciopero della fame, che lo portò alla morte. Premiato con la Camèra d'Or a Cannes come migliore opera prima, questo lungometraggio non fa mancare letteralmente niente allo spettatore: detenuti denudati, perquisizioni anali, escrementi sui muri delle celle, manganellate e atti di violenza vari, la "protesta dello sporco", con capelli non tagliat e corpi non lavati in segno di ribellione contro il Regno Unito. Di per contro, McQueen narra la frustrazione ed il tormento dei poliziotti costretti ad usare la massima durezza, fino all'accanimento, contro i prigionieri, mostrandoli paranoici per la paura di attentati, o in lacrime dopo aver partecipato ad un pestaggio tra le mura del carcere. Girato con l'eleganza di inquadrature, che contrasta ancor di più con le cose orride e repellenti che vengono messe in scena, proprie dell'autore, questo non è un film da consigliare a cuor leggero, tanto da indurre un vago sospetto di provocazione esibita, nel progredire di scene da vero e proprio pugno nello stomaco. Però va detto anche che la narrazione di McQueen, dopo aver visto gli altri due titoli di cui sopra, è concisa, mai ridondante, cruda, ma non retorica: e la prova di un Michael Fassbender che intraprende un supplizio destinato ad un finale tragico, con un dimagrimento folle e molto fedele alla scelta estrema di Sands, è di quelle che segnano un punto fermo nella carriera di un attore

lunedì 16 gennaio 2017

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IL GRANDE CAMPIONE ( Champion, USA 1949)
DI MARK ROBSON
Con KIRK DOUGLAS, Marilyn Maxwell, Arthur Kennedy, Paul Stewart.
DRAMMATICOu 
Sei candidature all'Oscar, tra le quali per il miglior film e la migliore interpretazione maschile per Kirk Douglas, ed una statuetta vinta per il miglior montaggio, "Il grande campione" fu, in pratica, il lungometraggio che lanciò definitivamente la stella di Kirk Douglas, recentemente arrivato al traguardo dei cent'anni di età, destinata a durare per decenni. Dramma sportivo classico, in cui, però, a differenza di molti film sulla boxe, il pugile protagonista è un cinico, ambiziosissimo, che pesta il prossimo per fare i propri interessi, così come sul ring percuote gli avversari, "Champion" vale soprattutto per la grintosissima, densa, ruvida, interpretazione di Douglas, il quale spicca per il non curarsi di ispirare simpatia agli spettatori. Basterebbe l'espressione di protervia mista a smarrimento che ha il boxeur, ad un passo dalla sconfitta, con tutti i personaggi importanti della propria vicenda mescolati tra il pubblico dell'ultimo incontro, per applaudire la prova di Kirk Douglas. Un personaggio animato da uno spirito di rivalsa, e di affermazione di sè, impressionanti, che fanno pari con la sua insensibilità ed il suo egoismo. Robson dirige con cura, anche le scene di boxe, che per essere del 1949, sono tecnicamente buone, e riprese tenendo il pubblico sul chi va là. Finale quasi da noir, sottolineando che nelle pagine di sport, spesso si conosce la gloriosa facciata, piuttosto di quel che di prosaico c'è dietro.

sabato 14 gennaio 2017

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ASSASSIN'S CREED ( Assassin's Creed, GB/USA/F/HK 2016)
DI JUSTIN KURZEL
Con MICHAEL FASSBENDER, MARION COTILLARD, Jeremy Irons, Ariane Labed.
FANTASTICO/AVVENTURA 
Per chi non è tanto a conoscenza del videogame "Assassin's Creed", il quale è tra i brand più seguiti del mondo cyberludico, si tratta della lotta secolare tra Templari e Assassini: i primi vogliono il controllo della società, gli altri ribadiscono l'importanza della natura umana, a costo di atti di violenza reciproci, per la sfida tra Ordine e Umanità. Nove le versioni del gioco, di anno in anno, fino alla produzione di questa pellicola, che vede Michael Fassbender nei panni doppi dell'omicida Cal Lynch e del suo antenato Aguilar, vissuto alla fine del Quattrocento: sottratto alla pena di morte da scienziati facenti parte dei Templari, su di lui viene condotto un esperimento, per ricostruire la storia dell'avo e della sua lotta contro i predecessori dell'Ordine. Si riunisce la triade di "Macbeth", uscito lo scorso anno, con il regista australiano Justin Kurzel, e i divi Fassbender e Marion Cotillard, in un film che mescola fantascienza e azione su uno sfondo storico, visto che mette in mezzo anche Torquemada e Cristoforo Colombo: il risultato è altalenante, con buone sequenze action, nelle parti ambientate nel passato, e fin troppa seriosità nella parte moderna, dividendo nettamente l'illuminazione tra un monocromatismo bluastro in questa, e colori desaturati ma più vivi nella tranche del Quattrocento. Fassbender ci mette molta fisicità, la Cotillard è costretta ad un'ambiguità fin troppo elaborata, Jeremy Irons è un gelido avversario del protagonista, ma le due apparizioni di Charlotte Rampling e Brendan Gleeson, interpreti di ottimo livello, in parti senza spessore, non rendono loro giustizia. Nello scontro per il libero arbitrio, senza fare paragoni sulla qualità piuttosto fuori luogo, aveva già detto meglio e più a fondo Kubrick quarantasei anni fa, con "Arancia meccanica".

venerdì 13 gennaio 2017

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TORINO NERA ( I, 1972)
DI CARLO LIZZANI
Con DOMENICO SANTORO, ANDREA BALESTRI, BUD SPENCER, Nicola Di Bari.
DRAMMATICO
Il nome di una città italiana nel titolo, e un aggettivo o un verbo accanto, erano cose comuni nel poliziottesco, genere d'azione all'italiana, che negli ultimi anni ha conosciuto una rivalutazione in cui, scremando le implicazioni ideologiche, che negli anni Settanta in cui uscivano, erano molto più sottolineate, si è maggiormente apprezzato l'oggettiva bravura tecnica nell'allestire inseguimenti e scene spettacolari con mezzi spesso poveri. "Torino nera", rispetto ai vari "Roma violenta", "Napoli spara" eccetera, è un discorso a parte, perchè dietro alla macchina da presa c'è un cineasta comunque riconosciuto più autore, come Carlo Lizzani: c'è un delitto  compiuto allo stadio, di cui viene accusato un operaio edile, padre di famiglia, che con l'ucciso aveva avuto scontri, perché questi era una sorta di kapò della ditta. La cosa singolare è che sono i due figlioletti dell'operaio, incarcerato per anni, a correre grossi pericoli per aiutare un avvocato ad indagare personalmente sulla vicenda. L'incursione di Lizzani in questo genere non è tra i suoi passi più felici:un cast bizzarro, che vede l'Andrea Balestri-Pinocchio televisivo, Nicola Di Bari (!) nei panni dell'avvocato, Marcel Bozzuffi nel ruolo dell'impresario edile, Bud Spencer nel ruolo di Raho, l'accusato del delitto, Saro Urzì, Francoise Fabian, ed altri in ruoli sullo sfondo. Poi, si parla per tre quarti di film dell'accusato al passato, come se fosse morto, ed invece è in prigione: Spencer compare in un paio di scene all'inizio, e poi lo vediamo nel finale impugnare la pistola, per l'inevitabile giustizia privata. Finale amaro, come ci si poteva aspettare. 

giovedì 12 gennaio 2017

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MR. FELICITA' ( I, 2016)
DI ALESSANDRO SIANI
Con ALESSANDRO SIANI, Elena Cucci, Diego Abatantuono, Carla Signoris.
COMMEDIA
Sette milioni e mezzo di euro incassati in pochi giorni proiettano già il nuovo film diretto ed interpretato da Alessandro Siani tra i campioni del box-office italico di quest'anno: certo, non raggiunge le cifre di Checco Zalone, ma il comico napoletano, che per la seconda volta in tre anni ha scelto di far uscire il suo lavoro il primo di Gennaio, è una garanzia per gli esercenti. Detto questo, perchè si sa che questi sono film per fare cassetta, e bisogna essere obiettivi, si può anche riconoscere che "Mister Felicità" è uno dei più brutti film che potremo vedere in questa stagione cinematografica. Scritto pedestremente, diretto senza un minimo sussulto di verve, recitato alla buona, con personaggi con meno spessore dei protagonisti di "Peppa Pig", il filmetto dimentica per strada l'innesco ( l'operazione per salvare la gamba della sorella del protagonista, di cui si parla solo nei primi venti minuti di proiezione), mette in scena dei camorristi del giro delle scommesse quasi bonari ( cosa abbastanza esecrabile, perchè si rischia di far passare per problemi da niente cose invece piuttosto gravi), pasticcia un conflitto familiare che più attaccato con lo sputo non si poteva escogitare, e siamo solo agli elementi narrativi. Ancor peggio i tentativi comici, con un tormentone ripetuto all'infinito, che non funziona neanche la prima volta ( "O lo fa, o non s'ha da fare!" e via declinando...), ruzzoloni da circo di serie C, gags sgonfie, e lo sperpero di due attori brillanti di altro livello, come Diego Abatantuono e Carla Signoris: Siani gioca a fare il comico che imita in parte Troisi (lasciamo stare, non infieriamo, povero Massimo, che con tre secondi centrava un sorriso), e un pò fa il belloccio che conquista comunque la ragazza di turno. Non è che con "O frate" ( gergo napoletano, a suo dire, giovanile) possa reggere di film in film, il ripetere costantemente se stesso ha affossato anche Pieraccioni. E se come comicità fisica si rimpiangono le comiche di Benny Hill, come descrizione di Napoli vengono da rivalutare i film con Nino D'Angelo. E' tutto dire.

domenica 8 gennaio 2017

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IL MEDICO DI CAMPAGNA ( Médecin de campagne, F 2016)
DI THOMAS LILTI
Con FRANCOIS CLUZET, MARIANNE DENICOURT, Christophe Odent, Patrick Descamps.
DRAMMATICO/COMMEDIA
In Francia è stato uno dei successi del 2016, e da qui, probabilmente, la scelta di far uscire "Il medico di campagna" per le festività natalizie, da noi, onde proporlo come alternativa "impegnata" ai kolossal americani e ai cinepanettoni nostrani: tra l'altro, del regista Thomas Lilti, è il primo lungometraggio ad arrivare sugli schermi italiani, nonostante si tratti del terzo titolo diretto. Girato sull'onda di esperienze anche personali, giacchè Lilti è un ex-medico, questo film, da parte di alcuni recensori, è stato associato al candidato alle future elezioni presidenziali francesi, Francois Fillon, per una presunta esaltazione dei "buoni vecchi tempi" di una Francia provinciale e più serena, insomma, è stato etichettato come un film conservatore. In realtà si tratta di una storia che vede, sì, la sentita sottolineatura della validità di un mestiere quasi desueto, come il dottore di paese, che tutto sa dei propri assistiti, e vive il lavoro come una missione, ma specifica anche le ottusità del protagonista, la buona fede ma anche qualche sotterfugio non corretto verso la collega che gli hanno affiancato, dottoressa dalla concezione più elastica del mestiere, che si rimbocca le maniche contro i pregiudizi, in quanto donna. Più dramma che commedia, anche perchè, come sappiamo dall'inizio, il personaggio principale è ammalato di cancro al cervello, il film è ben raccontato, e ha il merito di non essere ricattatorio, nonostante appunto si parli di malattie gravi, di salute e di morte, e di non obbligatoriamente portare ad un lieto fine zuccheroso, con tanto di love story sbocciata tra i due personaggi centrali. Magari, dà loro una possibilità, ma non dà niente per scontato. Se di Cluzet sapevamo che è un buon interprete, magari scoperto un pò tardi da noi, affiorano nette la classe e la bellezza matura ed espressiva di Marianne Denicourt.
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IL JOLLY E' IMPAZZITO ( The Joker is wild, USA 1957)
DI CHARLES VIDOR
Con FRANK SINATRA, Mitzi Gainor, Jeanne Crain, Eddie Albert.
DRAMMATICO
Ispirato alla storia di Joe E. Lewis, cantante di rosee prospettive, che, rifiutatosi di lavorare per un malavitoso, venne aggredito da sgherri di questi, gli vennero danneggiate le corde vocali, e venne sfregiato: di seguito, si riciclò come comico su palcoscenici di basso livello, per risalire la china faticosamente, e giocandosi però la vita privata e sentimentale. Veicolo da star, con Frank Sinatra che, visto che si parla di un cantante, intrattenitore eclettico, "Il Jolly è impazzito" è un dramma che vede un protagonista in ascesa, caduta, ripresa, ma condizionato sia dai traumi subiti che da un attitudine autodistruttiva che gli fa perdere più di una donna che ama, e una tendenza alla bottiglia che complica inevitabilmente le cose: interpretato con passione dalla star di "Da qui all'eternità", molto del positivo lo deve appunto alla prova di Sinatra, il quale fece vincere al lungometraggio un Oscar per uno dei suoi classici, "All the way". Qua e là prolisso, soprattutto nella seconda parte, punta verso un finale moderatamente edificante in cui l'immagine riflessa del personaggio principale lo interroga e lo induce a ritornare sui suoi passi per correggere gli errori commessi. Diligente nella regia, ma non particolarmente memorabile.

giovedì 5 gennaio 2017

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MISS PEREGRINE- La casa dei ragazzi speciali
( Miss Peregrine's home for peculiar children, USA 2016)
DI TIM BURTON
Con ASA BUTTERFIELD, EVA GREEN, Ella Purnell, Samuel L. Jackson.
FANTASTICO
"La casa per bambini speciali di Miss Peregrine" è un romanzo fantastico di un autore giovane, Ransom Riggs, che si rivela il primo di una (per ora) trilogia sull'incontro tra un ragazzo ed una comunità di bambini "speciali" che vive nel 1942, trascorrendo sempre lo stesso giorno, per motivi che si scoprono seguendo il racconto. Tim Burton ne ha girato l'adattamento per il cinema, e molti fans dell'autore di "Edward Mani di fornice", uno dei registi più innovativi e abili nel fondere cinema ricercato con esigenze del box-office aspettavano quest'opera nuova come il possibile rilancio dopo qualche anno un pò appannato, e qualche titolo meno felice. Diverse recensioni sono state severe, fin anche troppo, ma quando si abitua bene la gente, può rivelarsi un'arma a doppio taglio: infatti, ad essere onesti, rispetto allo standard di tanto cinema fantasy di oggi, "Miss Peregrine-La casa dei ragazzi speciali" è di un livello sia di allestimento, che di idee registiche, abbastanza buono ( la scena del bombardamento sotto la pioggia, per dirne una). E', semmai, un anomalo caso di adattamento da un romanzo: ad una prima parte che ricalca molto fedelmente la pagina scritta, ne segue la seconda metà alquanto mutata, con soluzioni diverse da quelle del libro, un climax finale assai distante da quello originario, e il personaggio che dà il titolo alla storia piuttosto sacrificato. Ci sono lungaggini che si potevano risparmiare, compensate da un omaggio cinefilo al pioniere degli effetti speciali Ray Harryhausen, con scheletri combattenti in un Luna Park, e la sensazione che, riguardo alla saga letteraria, Burton abbia voluto girare un lungometraggio autoconclusivo, e, soprattutto, non per bambini, date un paio di scene a forte componente orrorifica. Dipende da come gli introiti della pellicola gireranno, è chiaro, se ci saranno anche un capitolo secondo ed un terzo. Per quanto riguarda il cast, fascinosa, per quanto relegata fin troppo sullo sfondo Eva Green, mentre Samuel L. Jackson gigioneggia scatenato nei panni di un cattivo da cartoon. 

domenica 1 gennaio 2017

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BLOOD FATHER ( Blood father, F 2016)
DI JEAN-FRANCOIS RICHET
Con MEL GIBSON, ERIN MORIARTY, William H. Macy, Michael Parks.
AZIONE
Messosi in testa di azzerare la propria esistenza, chiudendo i conti con un passato di carcere, droga e sbornie, Link si è messo a fare il tatuatore, vive in una comunità di recuperati, e tutto pare, seppur faticosamente, avere un'aura di normalità, finchè la figlia diciassettenne del protagonista non si inguaia, essendosi messa con un giovane rampante di un cartello della droga messicano, e sotto pressione fa partire un colpo che cambia tutto. Era dal 2012 che Mel Gibson non girava un film come attore principale, e comunque gli ultimi due ruoli da protagonista sono stati molto simili a questo: un uomo invecchiato ma ancora carico di furore, che si ritrova coinvolto di malavoglia in brutti affari, per proteggere, o vendicare, ragazzi, e usa ogni mezzo per non farsi sopraffare. Tratto da un romanzo di Peter Craig, prodotto in Francia, sebbene ambientato in Messico e States, diretto dal francese Jean-Francois Trichet, "Blood father" è stato presentato all'ultimo festival di Cannes, fuori concorso, e qui non si sa ancora se guadagnerà l'onore della proiezione in sala: va detto che la logica è quello dell'action di oggi, in cui non ci si perita di essere brutti, sporchi e cattivi, e pur di portare a casa la pelle, non c'è codice etico che tenga, vince chi è più feroce. La storia non è nuovissima, in ottantotto minuti si ha modo di assistere ad un racconto di fuga per la sopravvivenza, finchè non viene l'inevitabile momento in cui si deve fronteggiare il pericolo, e arriva una violenta resa dei conti. Pur con la voce di Claudio Sorrentino sonoramente in là con gli anni, Mel Gibson  non nasconde rughe e segni del tempo, e conferma, una volta di più, di essere stato il migliore a recitare dei duri hollywoodiani dagli anni Settanta in poi: è soprattutto per lui, che "Blood father" si fa vedere, pur con molti passaggi prevedibili, e per la carica comunque umana che imprime al suo uomo sbagliato, ma fieramente in piedi. 
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LA RAGAZZA DEL TRENO ( The girl on a train, USA 2016)
DI TATE TAYLOR
Con EMILY BLUNT, Haley Bennett, Rebecca Ferguson, Luke Evans.
THRILLER
Tre figure di donna, e tre figure di uomo sono al centro de "La ragazza del treno", caso letterario del 2015, che è divenuto un film in un soffio: c'è una donna che vive un'esistenza sfasata, prende il treno ogni giorno per vedere com'è andata avanti la vita del suo ex-marito, ha perso il lavoro ma non lo confessa, e tra alcool e confusione continua, un giorno si rende conto di aver visto qualcosa che non avrebbe dovuto. E le altre due donne sono quella per cui il marito l'ha lasciata, e la giovane babysitter che ne guarda la figlia. Gli uomini sono l'ex-marito, l'analista della babysitter, e il marito di quest'ultima: le loro vite si incroceranno tragicamente, perchè viene commesso un delitto. E non sarà semplice venirne a capo. Trasferendo l'azione dall'Inghilterra agli Stati Uniti, il film, con il quale alcuni recensori hanno visto analogie con "Gone girl", ma, a parte il titolo e, forse l'ambientazione, si tratta di soggetti molto diversi, inizialmente pare in difficoltà a mettersi in moto, sfrangiando fin troppo il racconto e puntando su fin troppi personaggi, prima di mettersi a fare sul serio, e diventare il thriller drammatico che infine risulta essere. Come Borges prima, e Antonioni poi, insegnano, quel che si recepisce è una parte relativa di un insieme, e pur essendo presenti, si dà una versione che può essere anche fuorviante, o non avere a disposizione un dettaglio che ricomponga l'intero puzzle. Ecco, quindi, che la sceneggiatura, ad un certo punto, pare servire molte opzioni di lettura e di risoluzione dell'intrigo: che è molto più prosaico, e tristemente pratico, di come si possa pensare. Sgarbata, imballata dal troppo bere, e a metà tra un'alterazione del comportamento, e un'ostinazione che non  le fa piegare la testa alla rassegnazione, la Rachel impersonata da Emily Blunt è un personaggio completo, che passa dall'essere irritante a degno di compassione, fino all'essere apprezzato, e si può dire che i tre personaggi femminili principali, nella loro complessità, sono ben raccontati e con uno spessore concreto: meno bene va a quelli maschili, che forse avrebbero necessitato di un minore ricorso a certi stereotipi. Come thriller va molto meglio nella parte che tira a risolvere la faccenda, che nella fin troppo lunga parte introduttiva: come dramma, rende già di più.