IDENTIKIT DI UN DELITTO ( The flock, USA 2007)
DI ANDY LAU
Con RICHARD GERE, CLAIRE DANES, Kadee Strickland, Ray Wise.
THRILLER
E' risaputo che un film, quando subisce montaggi diversi, problemi produttivi, dissidi tra coloro che lo mettono su, ne soffre, e difficilmente, molto difficilmente, il prodotto finale incontri consenso popolare: magari, come è accaduto, ad esempio, per "Il disprezzo" di Jean-Luc Godard, negli anni un titolo può diventare oggetto di culto, ma è raro che il pubblico premi una pellicola che ha avuto vicissitudini eccessive. "Identikit di un delitto", che in originale si intitola "The flock", "Il gregge", è un thriller che tocca temi scottanti assai: vittime di abusi sessuali, condizionamenti psicologici, rapporti malati tra vittime e carnefici che possono ribaltarsi e creare nuove vittime ancora. E' di scena un operatore sociale che prende fin troppo a cuore i casi che segue, e da anni non si dà pace per alcune ragazze sparite nel nulla: l'uomo è ad un passo dal ritiro, e deve istruire una giovane donna che prenderà il suo posto. Ma più si va avanti, e si avvicina il momento del distacco dell'assistente sociale, più affiorano il suo coinvolgimento ed i suoi metodi ossessivi: come gli dice la partner, lui non parla, interroga. Andy Lau, dopo "Infernal affairs", come molti cineasti non americani che hanno realizzato un film particolarmente riuscito, ha avuto la chance di lavorare nel sistema hollywoodiano, ma questo lungometraggio non convinceva la produzione, con Gere che metteva soldi suoi per rimaneggiare il prodotto finale, giudicato fin troppo morboso ed inquietante. In sè, non è un thriller malvagio, che fino a quando inquadra con voluta ambiguità il suo protagonista (è una persona divorata dalla frustrazione o un potenziale maniaco?) ha buon gioco, supportato dal discreto lavoro di squadra tra Richard Gere e Claire Danes, i quali, ruvidamente e con insofferenze e incomprensioni varie, dipingono bene il rapporto non semplice tra i loro personaggi. Sul finale, si va verso il risaputo, facendo troppo il verso a classici come "Se7en" e senza stupire lo spettatore, consegnandogli una conclusione un pò banale, ma è un film passato inosservato, fin troppo, non riuscitissimo, ma nemmeno da buttare.
EQUUS (Equus, USA 1977)
DI SIDNEY LUMET
Con RICHARD BURTON, PETER FIRTH, Colin Blakely, Jenny Agutter.
DRAMMATICO
Che "Equus" sia stato un testo comunque capace di inquietare, e di creare interesse, lo dimostra anche il fatto che qualche tempo fa, quando Daniel Radcliffe, sul palcoscenico, scelse di interpretare il tormentato Alan Strang, nudo in scena, ci fu l'interesse, un pò morboso, di certa stampa e di diversi fans: il dramma scritto da Peter Shaffer, successivamente autore anche di "Amadeus" continua a rappresentare una prova ardita per gli attori e registi, ed un testo cupo e coinvolgente per il pubblico. Come mai il giovane Alan è stato colto, completamente nudo, in un fienile, ove aveva accecato, delirante, con un falcetto, diversi bellissimi esemplari della razza che tanto amava? Lo psichiatra Martin Dysart prende in esame il ragazzo, ma si addentra fin troppo nello scavo della personalità sconquassata di Strang, rimanendo coinvolto dalla discesa nella sua follia e disperazione. Nonostante le candidature ed i premi ottenuti ( tre nominations agli Oscar, per Burton, Firth e la sceneggiatura, a cura di Shaffer, due Golden Globes vinti, sempre dai due attori principali, ed un BAFTA a Jenny Agutter), non è uno dei titoli più amati o citati della filmografia fluente di Sidney Lumet: forse per la sgradevolezza di fondo di tema e svolgimento, ma anche perchè il lungometraggio paga abbastanza l'origine teatrale del testo. Certo, le prove attoriali sono di qualità forte, coraggiose e sentite, anche perchè Richard Burton, forse, è un attore meno valutato di quanto meriterebbe, Lumet ha sempre saputo risultare un direttore d'attori capace e intenso, ed il racconto ha una progressione drammatica che evidenzia, come forse oggi sarebbe più difficile rendere, data la sterzata verso il pudico del cinema mainstream, un'omosessualità repressa che sfocia in un attacco di violenza verso le cose più amate. Non un capolavoro, e nemmeno un film che mette voglia di riguardarlo a cuor leggero, ma comunque un lavoro interessante.
SERENDIPITY- Quando l'amore è magia
( Serendipity, USA 2001)
DI PETER CHELSOM
Con JOHN CUSACK, KATE BECKINSALE, Jeremy Piven, Molly Shannon.
COMMEDIA/SENTIMENTALE
Incontrarsi una sera, un giovane uomo, una giovane donna, corteggiarsi, avere la sensazione di star vivendo una notte magica, ma senza arrivare neanche a baciarsi: sono tutti e due impegnati, vivono alle due opposte estremità degli States, si scambiano i numeri di telefono, ma per scelta di lei scrivono quello di lui su una banconota subito data via, quello di lei sulla prima pagina di una copia di "L'amore al tempo del colera". "Serendipity" significa, appunto, che se il Caso è benigno, qualcosa di bello è destinato ad accadere. Una commedia che, sospesa tra spirito natalizio e sentimentalismo al caramello, è di quelle che, puntualmente, la tv trasmette nei giorni delle Feste di fine anno: per quanto John Cusack e Kate Beckinsale, all'epoca piuttosto lanciati, poi non propriamente divenuti delle star, sono bellini, simpatici, ma il film è la glorificazione dell'effimero. Due persone che hanno due relazioni avviate al matrimonio, lunghe di anni, con partners che vogliono loro bene, mandano tutto all'aria per una serata che è rimasta memorabile, in nome di un flirt che, forse, sarebbe stato giusto lasciare tale? Logica assente, un inno alla superficialità abbastanza raggelante, e va bene che pellicole come questa richiedono la massima concessione alla rilassatezza, alla disponibilità al lasciarsi narrare una favoletta, e vedere più rosa possibile, ma la morale è di quelle esecrabili, via.
STAR WARS-EPISODIO VII:IL RISVEGLIO DELLA FORZA ( Star Wars-Episode VII: The Force awakens, USA 2015)
DI J.J. ABRAMS
Con DAISY RIDLEY, JOHN BOYEGA, Harrison Ford, Oscar Isaac.
FANTASCIENZA
Quando la Disney acquistò la LucasFilm, sapevamo che avrebbe tratto i massimi profitti dallo sfruttamento del marchio, con tutte le produzioni annesse. Era già successo per la Marvel, e se è chiaro che non esiste una macchina da guerra altrettanto potente per merchandising, forza mediatica e capacità di lanciare le proprie produzioni, lo è altrettanto che, da un punto di vista artistico, possa piacere o no il risultato finale, viene scatenata ogni capacità creativa e che possa definire un lavoro più accattivante possibile. Tralasciando la strafottenza dello snobismo più o meno raffinato dei detrattori a priori della saga di "Star Wars", e la dedizione quasi ossessiva di chi dello scontro tra Jedi e asserviti al Lato Oscuro ne ha fatto una questione a un passo dal culto spirituale, il settimo episodio dell'avventura galattica che dal 1977 porta spettatori nelle sale, oggetti nelle camere dei ragazzi e altro ancora nell'immaginario collettivo, è un capitolo che rinnova il fascino di una serie che mescola tutto ciò che del cinema appassiona: c'è la fantascienza, il film di mostri, il western, l'avventura, il sentimento, i duelli con armi di ogni tipo, la magia del volo e l'inevitabilità del conflitto tra Potere e Ideale. Passando dalle mani del creatore George Lucas a quelle del primo continuatore, J.J.Abrams, che già con "Star Trek" aveva svolto un buon lavoro, agguantando nuovi fans ( i prossimi due episodi saranno diretti da altri registi), ritrovando Lawrence Kasdan a dare mano nella scrittura, "Il risveglio della Forza" è insieme una rivisitazione dei temi principali della saga ed una prosecuzione ad alto ritmo, ricca di scene spettacolari ( da citare, perlomeno, il caccia TIE "in trappola" dentro l'astronave più grande, e come si libera...), diretta con ampio respiro da Abrams, riproponendo i personaggi canonici, da Han Solo ai robot R2D2 e C3PO, ma affidando ai nuovi il compito di portare avanti la storia, come avviene per quella con la "S" maiuscola, per quanto, certo, si strizzi l'occhio all'effetto-nostalgia. Se l'Impero dei primi sei film era una metafora del nazismo, come rileva uno dei nuovi characters, il "Primo Ordine" potrebbe essere l'Is, una società che punta a sterminare non solo le popolazioni, ma anche i riferimenti culturali diversi da sè; in un racconto di scontri con spade laser modificate, inseguimenti nel buio dello spazio, ricongiungimenti e distacchi, i legami di sangue e gli scontri generazionali impregnano di epica l'avventura, umanizzandola. E in un' inaspettata carezza, che è l'addio, bellissimo, di uno dei personaggi più amati, condensa la forza dei sentimenti che vanno oltre le miserie dell'ambizione, del tradimento e del potere ad ogni costo.
IL NOME DEL FIGLIO ( I, 2015)
DI FRANCESCA ARCHIBUGI
Con ALESSANDRO GASSMAN, LUIGI LO CASCIO, VALERIA GOLINO, ROCCO PAPALEO.
COMMEDIA/DRAMMATICO
Una serata romana in terrazza, una cena tra parenti con un amico speciale, un legame tra i commensali che viene dall'infanzia, due fratelli figli di un parlamentare di sinistra, ma se la figlia è sposata ad un professore universitario con ambizioni letterarie frustrate e troppo legato allo smartphone, il figlio, in procinto di diventare padre a sua volta, ha scelto di essere di destra, anche per reazione. Tra una chiacchiera ed uno scherzo, scatta un gioco a darsi addosso, se non proprio al massacro, che scoprirà molti segreti mai confessati, e farà pensare a tutti di non conoscere così bene come pensava, gli altri. Francesca Archibugi gira una dramedy che è il rifacimento italiano del francese "Cena tra amici", di tre anni fa: cast interessante, composto da Alessandro Gassman, Valeria Golino ( i fratelli Pontecorvo), Luigi Lo Cascio ( il marito della Golino), Rocco Papaleo (l'amico storico del gruppo, eterno single), e Micaela Ramazzotti (la moglie incinta di Gassman), e quando l'aggressività esplode, il film viaggia bene, rivelando a più riprese una discreta mano nel mettere tutti contro tutti. Quel che non convince è il ritratto dell'intellighenzia di sinistra, snob come ogni stereotipo vuole ( i figli chiamati Pin e Scintilla, come Papere di "Verso sera".....), le forzature che la sceneggiatura impone al racconto, rimettendo insieme i cocci misteriosamente dopo liti roventi, senza prendersi la briga di spiegarle minimamente, stemperando fin troppo il clima creatosi sullo schermo. Rimane un'operazione riuscita a metà, incerta, mai troppo divertente, che non porta alla riflessione sui rapporti familiari e di amicizia, e qua e là, duole ammetterlo, si avverte un retrogusto intellettualoide nei dialoghi, non leggero da smaltire.
LO SPAVENTAPASSERI ( Scarecrow, USA 1973)
DI JERRY SCHATZBERG
Con GENE HACKMAN, AL PACINO, Dorothy Tristan, Ann Wedgeworth.
DRAMMATICO
Max e Lionel sono due poveri diavoli che si incrociano su una strada di campagna, facendo autostop: hanno addosso tutti i loro averi, ma sono due personalità antitetiche. Vengono da un lustro di allontanamento dalla vita normale, ma il primo, di indole attaccabrighe e un pò prepotente, è appena uscito dal penitenziario, mentre il secondo, giocoso e un pò tra le nuvole, è stato imbarcato per mare per altrettanto tempo. Fanno amicizia e progettano di metter su un autolavaggio, incontrano donne e situazioni, e la bontà d'animo del secondo alla lunga contagia il primo, portandolo alla gentilezza verso il prossimo e al cercare di far sorridere le persone. Ma c'è un dramma in agguato. Vincitore della Palma d'Oro a Cannes nel 1973, "Lo spaventapasseri" ( il titolo è in riferimento alla teoria di Lionel, che asserisce che gli uccelli ridono vedendo gli spaventapasseri, e allora lasciano stare il campo in cui è piantato) è un film su un'amicizia virile nata dove non è scontato, ricordando in più momenti "Un uomo da marciapiede". Tra Hackman e Pacino, sul set, non ci fu un gran rapporto, e il secondo lo rivelò con rammarico in un'intervista, tempo dopo, affermando di essere dispiaciuto di non aver concesso molto al collega, ma sullo schermo non traspare questo disagio: semmai, tra i due grandi attori, forse la spunta Gene Hackman per lo scavo graduale del personaggio, mentre Al Pacino rivela quasi da subito la natura "strana" del suo ex-marinaio. In questo senso, particolarmente riuscita la sequenza della rischiata rissa nella tavola calda, che si risolve in un numero comico di Max per i presenti . Avviato a passo calmo verso il triste finale, il film di Schatzberg è un cult raramente visibile oggi, e sebbene paia qua e là un pò datato, merita una visione senz'altro.
L'UOMO CHE NON SAPEVA AMARE
( The carpetbaggers, USA 1964)
DI EDWARD DMYTRYK
Con GEORGE PEPPARD, Alan Ladd, Carroll Baker, Martha Hyer.
DRAMMATICO
Dall'omonimo romanzo di Harold Robbins, un best-seller a tinte abbastanza forti, per l'epoca in cui uscì, come gli altri libri dello scrittore, un film dagli incassi notevoli negli anni Sessanta, e il più grosso successo commerciale per George Peppard. Il quale impersona Jonas Cord, figlio di un uomo d'affari che aveva sposato la ragazza che lui aveva portato a casa come fidanzata: dotato di un senso per fare soldi e fare impresa quanto poco avvezzo alle relazioni interpersonali e anaffettivo, mosso da una smania di fare, decidere e intraprendere quasi furente, l'uomo attraversa, dagli anni Venti ai tardi Quaranta, trent'anni trovando il verso di far fruttare ogni sua iniziativa. A ben guardare, questa storia sembra il controcanto de "Il gigante", vista dall'ottica del personaggio principale, e non da chi gli ruota intorno. Dmytryk gira un melò a colori densi, su un uomo-degenerazione di un bambino che aveva sofferto un trauma indicibile: nonostante la pellicola sia fin troppo lunga e ricca di accadimenti, che nella seconda parte si fanno fin troppo fitti, e che approdi ad un finale conciliante che suona molto forzato, visto il narrato fino a quel punto, è un film discontinuo, ma non spiacevole. Chiaramente ispirato alla vicenda umana e alla leggenda di Howard Hughes, "L'uomo che non sapeva amare" ha gli attori migliori nei "supporting roles" Alan Ladd e Carroll Baker, capaci di buttarsi via, ma più umani del protagonista nella loro vulnerabilità.
HINDENBURG (The Hindenburg, USA 1975)
DI ROBERT WISE
Con GEORGE C. SCOTT, Anne Bancroft, William Atherton, Charles Durning.
DRAMMATICO
Il dirigibile Hindenburg, un Led Zeppelin simbolo della potenza nazista, esplose alla fine di una traversata dalla Germania agli Stati Uniti, il 6 Maggio del 1937: fu un attentato, secondo questo film, ordito da nemici del nazismo tedeschi, e per via dell'embargo americano al paese di Hitler, i palloni aerostatici erano alimentati da idrogeno, e non da elio. Robert Wise, comunque un autore meno apprezzato di quanto avrebbe meritato, imbastì un film del filone catastrofico, con annesse le canoniche storie dei personaggi principali che si intrecciano in attesa del momento in cui il disastro scoppia, scegliendo un contesto particolare: difficile, infatti, far appassionare il pubblico ad una vicenda che riguarda personaggi riportanti un simbolo generalmente inviso, storicamente, a gran parte della popolazione mondiale ( e meno male). Però, la regia fa distinguo tra i seguaci ottusi del Fuhrer e i tedeschi meno convinti delle teorie hitleriane, come si può notare nella scena del numero musical-satirico a bordo del velivolo: e la decisione di riportare le scene finali della catastrofe aerea in bianco e nero, o seppiato, è una finezza degna di un regista capace di unire grande spettacolo e buon cinema. Certo, non è uno dei suoi lavori migliori, ci sono lungaggini, e il classico intersecarsi di situazioni e storie personali dei maggiori caratteri è risaputo, però c'è da dire che il gioco d'attori è interessante, e che George C.Scott è stato un attore di gran classe, perlomeno in proporzione a quanto sapeva essere ruvido e introspettivo ad un tempo.
HEART OF THE SEA- Le origini di Moby Dick ( In the Heart of the sea, USA 2015)
DI RON HOWARD
Con CHRIS HEMSWORTH, Benjamin Walker, Brendan Gleeson, Cillian Murphy.
DRAMMATICO/AVVENTURA
A due anni da "Rush" e prima di continuare la serie dei film tratti dai romanzi di Dan Brown, Ron Howard imbastisce un film d'avventura classicissimo, con il racconto, romanzato, della sventura della baleniera Essex , che ispirò Herman Melville nell'ideazione e scrittura di "Moby Dick". La storia è narrata in flashback da un uomo che all'epoca dei fatti era mozzo, e sopravvisse alla tragedia marina: un capodoglio di grandi dimensioni attaccò la nave, dopo una prima caccia, fatto quasi inspiegabile per i marinai, e non in molti riuscirono a scampare all'incidente, e alla conseguente deriva in mare. Il film narra il conflitto tra il primo ufficiale, uomo d'esperienza e forte sagacia Owen Chase, ed il capitano, comandante della nave, George Pollard, uomo di teoria e discendente di ufficiali, e il patto tra i due dopo il disastro, per non morire nell'oceano: fotografato in modo da dare una luce epica alla pellicola, "Heart of the sea" ha diversi rimandi all'opera melvilliana, suggerendo una lettura della Balena come fosse Dio o la Natura, a seconda della formazione dello spettatore. Come, infatti, "Moby Dick" si può interpretare la furia, e poi la pietà, dell'animale, come un monito all'umana arroganza, o una prova che agli uomini una creatura di immane potenza impone perchè sappiano leggere nel proprio animo. Vigoroso e dipanato come un romanzo, parla anche della crudeltà della sopravvivenza, senza indugiare in scene macabre oltremodo, trattando di ciò che gli esseri umani sono disposti a fare pur di vivere: fisicamente disposti al dimagrimento per la seconda parte della storia, gli attori si prestano senza risparmio all'operato di Howard, che è divenuto, salvo qualche leggero inciampo, uno dei registi che maggiormente ha saputo diventare un autore popolare, quasi senza farsene accorgere, ha sviluppato una propria cifra, allo stesso tempo conoscendo come tenere il pubblico vivo e attento.
CHILD 44- Il bambino n. 44 (Child 44, USA/GB/RO/CRK, 2015)
DI DANIEL ESPINOSA
Con TOM HARDY, NOOMI RAPACE, Gary Oldman, Joel Kinnaman.
THRILLER
Chi ha ucciso oltre 40 bambini in Unione Sovietica, nel primo dopoguerra, infierendo sulle piccole vittime, che non vengono denunciate come tali, in quanto il regime di Stalin non tollera che sia ammessa la presenza di assassini tra i cittadini? Indaga l'eroe di guerra Leo Demidov, ma finisce silurato e costretto ad una vita di stenti per la denuncia di tradimento della moglie, da parte di un collega che gliel'aveva giurata, perchè Demidov si era opposto alla sua ferocia nella troppo disinvolta esecuzione di sospetti dissidenti. Dal romanzo di Tom Rob Smith, che fa parte di quella che per ora è una tetralogia sul personaggio principale, un thriller a sfondo storico/politico che mette insieme diversi nomi celeberrimi, da Tom Hardy e Noomi Rapace a Gary Oldman, Joel Kinnaman, Vincent Cassel, Jason Clarke, e lo script porta la prestigiosa firma di Richard Price, lo scrittore che sceneggiò "Il colore dei soldi": e, tranne l'apertura, che è abbastanza indiziaria, il film ricorda molto da vicino il romanzo originale. Però, pur probabilmente con diverse verità sulla vita durante il regime degli anni Cinquanta, sia romanzo che lungometraggio paiono venire dalla propaganda antisovietica più classica e accanita: il giallo, in sè, è abbastanza prolisso, e fa rimpiangere un pò le avventure di Arkady Renko, il detective in azione nella Russia dagli anni Ottanta in poi, creato da Martin Cruz Smith e portato sullo schermo con il volto di William Hurt nel 1983. Per quanto riguarda gli attori, sembrano un pò tutti a disagio con ruoli molto schematici, e Daniel Espinosa, che aveva convinto maggiormente con "Safe house", dirige confusamente le scene d'azione, provocando un senso di frastornamento allo spettatore, che non giova alla visione.
IL PROFESSOR CENERENTOLO ( I, 2015)
DI LEONARDO PIERACCIONI
Con LEONARDO PIERACCIONI, Laura Chiatti, Davide Marotta, Flavio Insinna.
COMMEDIA
Ventun anni dopo il fortunatissimo esordio con "I laureati", Leonardo Pieraccioni prosegue la sua avventura cinematografica, puntualmente per Natale, ogni due anni (unica "anomalia" , fu "Fuochi d'artificio" nel 1997, uscito a Ottobre), che prevede uno schema più o meno fisso: lui, protagonista e regista, nei panni di un buon diavolo che si ritrova in un tiraemolla sentimentale con la tizia più bella in giro, in un contesto in cui tutti intorno sono di buon cuore, in fondo,e ogni problema si può risolvere con una pacca sulla spalla. Peccato che, a cinquant'anni, il simpatico Leonardo cominci a parere rinchiuso in una visione del mondo rosea e senza via d'uscita, il che sa di allarmante: qui è un ingegnere rinchiuso in un penitenziario, in cui tutti i detenuti sono degli allegri buffoni (un carcere che sembra un campeggio...), che deve rientrare entro mezzanotte in cella, ma per l'appunto si innamora di una bella animatrice un pò squinternata, e partono così le complicazioni. "I'Piera", come lo chiamavano gli spettatori giovani più entusiasti subito dopo "Il ciclone", ha fatto anche di peggio, vedi "Una moglie bellissima" e "Io e Marilyn", ma alla fine lui fa sempre se stesso, il soggetto sembra riciclato per l'ennesima volta, i comprimari non sono esilaranti, e si percepisce l'effetto dell'albero di Natale finto, usato troppe volte, che ormai mette anche un goccio di malinconia...
IL MATRIMONIO CHE VORREI (Hope Springs, USA 2012)
DI DAVID FRANKEL
Con MERYL STREEP, TOMMY LEE JONES, Steve Carell, Elizabeth Shue.
COMMEDIA
Il senso pratico è importante, ma averne fin troppo, può essere letale in una relazione di coppia: coniugi che dormono in stanze distanti, Kay e Arnold sono in stasi, con lui che dà per scontate troppe cose e le rivolge un'attenzione bassissima, e lei che ha ancora slanci romantici, e, per tentare di recuperare la situazione, organizza una vacanza di una settimana per recarsi, insieme, da un consulente che dovrebbe dare nuova linfa alla loro unione. Meryl Streep e Tommy Lee Jones, attori pluripremiati ed incensati, danno vita ad un confronto fatto di impacci, tensioni, affettuosità ruvide, imbarazzi, con bravura, e la loro prova è la cosa migliore di questa commedia a venature drammatiche, diretta da David Frankel, che con la diva ha colto il maggior successo della sua carriera, "Il Diavolo veste Prada": scritta da una donna, e si nota nei dialoghi, soprattutto, la sceneggiatura va avanti fin troppo a strappi, e la malinconia che pervade il racconto di due persone giunte ad un punto della vita abbastanza avanzato, ma che non sono ancora nella terza età, è percepibile solo a tratti. Non è un film sgradevole, "Il matrimonio che vorrei", si vede volentieri, ma scene come quella del cinema, che si vorrebbe divertente, è solo imbarazzante, e potevano evitare di infilare una sequenza così sguaiata in un contesto che ha, per il resto, abbastanza garbo: ed il finale, prevedibilmente roseo, poteva essere migliore.
THE HORSEMEN (The Horsemen, USA 2009)
DI JONAS AKERLUND
Con DENNIS QUAID, Ziyi Zhang, Clifton Collins, jr., Lou Taylor Pucci.
THRILLER
Chi compie gli efferati delitti che vedono vittime torturate con ganci, pratiche sadomaso spinte oltre i limiti, strappando in un caso tutti i denti, e firma con la citazione biblica "Vieni e vedi"? Il detective Aidan Breslin, stazzonato e contrito, per via della recente perdita della moglie, ha un rapporto non semplice con i figli, e si dedica all'indagine, che lo porterà a "vedere" il gioco perverso di chi uccide, ispirandosi ai Quattro Cavalieri dell'Apocalisse, e, in una spirale sempre più rischiosa, gli farà fare scoperte sconvolgenti. Un thriller ambientato in una cornice innevata, la cui chiave lo spettatore più esperto in gialli non faticherà troppo ad intuire: "The horsemen" parte abbastanza bene, inquadrando un protagonista trascinato dagli eventi, che si attacca all'investigazione del caso più per salvarsi dalla depressione che per zelo professionale. Peccato che, via via, il racconto si conceda troppe pause, e la rivelazione finale non sia sintonizzata con un arco di tensione adeguato, che la regia non sia brillantissima: Quaid, un tempo battezzato "nuovo Jack Nicholson" da alcuni giornalisti, sembra arrivato ad un'onesta terza fase della carriera, in cui offre professionalità e sicuro mestiere.