MA TU DI CHE SEGNO 6?
DI NERI PARENTI
Con GIGI PROIETTI, MASSIMO BOLDI, VINCENZO SALEMME, RICKY MEMPHIS.
COMICO
Negli anni Settanta era stato un successo di cassetta "Di che segno sei?", con quattro episodi che vedevano star della risata all'italiana come Paolo Villaggio, Renato Pozzetto, Alberto Sordi, Monica Vitti e Adriano Celentano in quattro episodi che, con il pretesto dei segni zodiacali, attiravano gli spettatori che premiavano spesso pellicole composte da minifilm così. Dopo l'addio (molto provvisorio, visto che quest'anno ci risiamo...) di Christian De Sica al sodalizio con Neri Parenti e le vacanze di qua e di là, il regista fiorentino mette insieme attori che ha diretto già più volte, come Proietti, Boldi, Memphis, Salemme, e giocando sempre sull'abbinamento comici+ zodiaco, incrocia varie storielle: dal maniaco asettico Massimo Boldi, all'avvocato che perde la memoria Gigi Proietti, al maresciallo dei Carabinieri Vincenzo Salemme, gelosissimo della figlia, all'antennista Ricky Memphis che per superstizione perde l'occasione di cedere alle grazie di una sventolona, e i televisivi Pio e Amedeo che si danno da fare per far conquistare ad uno dei due una bellezza sudamericana. Al di là della ovvia pretestuosità dello spunto, il film scritto da Carlo ed Enrico Vanzina assieme a Parenti, è di una noia consistente, recitato malissimo, da tutti, e fa sembrare l'ora e mezza di durata un periodo troppo lungo e sprecato a non fare altro che assistere alla desolante accozzaglia di battute loffie, luoghi comuni e banalità assortite che compongono questo filmaccio. Cinepanettone, ma avariatissimo.
HUNGER GAMES:LA RAGAZZA DI FUOCO
(The Hunger Games: Catching fire, USA 2013)
DI FRANCIS LAWRENCE
Con JENNIFER LAWRENCE, Josh Hutcherson, Woody Harrelson, Donald Sutherland.
FANTASCIENZA/AVVENTURA
Sia la saga di "Harry Potter" che quella di "Twilight" hanno sancito una maniera di estendere la propria prosecuzione, facendo sì che anche i guadagni aumentino: quindi, ogni serie partita e baciata dal successo popolare ( non tocca a tutte, vedi "Città delle Ossa" e altre, partite e affondate dai costi eccessivi e dallo scarso ritorno): "Hunger Games", con l'avventura della ribelle Katniss che, in un mondo futuro afflitto da una divisione di status cui viene abbinata un'oscena menzogna perpetua con un reality senza fine, in cui giovani assassini per istinto di sopravvivenza divengono le star da seguire, arriva qui al secondo capitolo, prima degli atti terzo e quarto, che concludono le vicende dei Distretti. La regia passa da a Francis Lawrence, e onestamente, rispetto al primo capitolo, dei passi avanti vengono compiuti: non tanto la storia del triangolo sentimentale tra la protagonista ed i due guerrieri antitetici cui si affianca, che non appassiona e sembra allungata come il brodo non di prima qualità; nè la critica ad un sistema che spettacolarizza i conflitti sociali, poco lucida per essere efficace. E nè, narrativamente, nella prolungata illustrazione delle conseguenze del primo film, con Katniss e Peeta assurti, controvoglia, a modelli giovanili da mostrare per esaltare la facciata del regime crudele di Snow: quello che funziona, oltre ad una fotografia veramente di alto livello (è firmata da Jo Willems), è la seconda parte del racconto, che la butta nettamente sull'avventuroso, e crea la tensione giusta per farsi seguire volentieri dallo spettatore. Molte facce celebri in ruoli importanti ma di contorno (oltre a Sutherland, Stanley Tucci, Woody Harrelson, Elizabeth Banks, Lenny Kravitz, Amanda Plummer, Philip Seymour Hoffman e Toby Jones...), e la considerazione finale che sia questa, che "Maze runner" e "Divergent" sono serie che rimescolano cose tuttavia già viste e riviste, e che difficilmente lasceranno gran traccia di sè, per i posteri.
PREMONITIONS ( Solace, USA 2015)
DI ALFONSO POYART
Con ANTHONY HOPKINS, Abbie Cornish, Colin Farrell, Jeffrey Dean Morgan.
THRILLER
C'è un killer che uccide le proprie vittime conficcando loro uno stiletto nella nuca, procurando una morte rapida: gli agenti dell'FBI incaricati del caso contattano uno psichiatra che ha il dono/dannazione di poter prevedere il futuro delle persone toccandole. Quel che verrà fuori, coinvolgerà l'uomo e lo sconvolgerà: l'assassino ha le sue stesse facoltà. Un thriller che è stato originato da uno script concepito per essere il sequel di "Se7en", che trova in Anthony Hopkins un protagonista capace di assorbire molto dell'interesse suscitato dalla pellicola. Il film di Poyart è un giallo a tinte sovrannaturali con buoni momenti, una valida escalation della tensione, ed un confronto finale non proprio risolto benissimo. All'attivo del film lo scavo dei personaggi, più complessi della media dei canonici caratteri del thriller all'americana contemporaneo, il parallelo tra cacciatore e killer, le buone interpretazioni degli attori: meno bene, troppi effetti e simbolismi da spot patinato di flashbacks e connessioni mentali, che appaiono come un narcisismo esasperato della regia. Certo, la "sorpresa" finale dell'ultimissima sequenza, sconcerta e dà un senso differente al racconto, ed è un risvolto ben giocato. Peccato che ci sia un ricorrere a troppi estetismi, ma è un giallo di discreta fattura.
IL BOSS E LA MATRICOLA ( The Freshman, USA 1990)
DI ANDREW BERGMAN
Con MARLON BRANDO, MATTHEW BRODERICK, Penelope Ann Miller, Bruno Kirby.
COMMEDIA
Che fare se, appena arrivato a New York, uno studentello viene dapprima rapinato di bagagli, denaro e quant'altro si è portato dietro dalla provincia, e poi, ritrovato il ladro e introdotto al cospetto di un boss della malavita, questi si affeziona a lui a tal punto da consegnargli un lavoro, incarichi delicati e forse la mano della figlia? Una commedia che fu tra le pellicole che riportarono Marlon Brando sullo schermo dopo quasi un decennio di assenza (tra "La formula" e "Un'arida stagione bianca" intercorsero nove anni...), e nella quale l'ormai extralarge star si dedicava alla parodia di uno dei suoi ruoli più acclamati, quello di Vito Corleone ne "Il Padrino". il filmetto è ordinatamente scritto, diretto ed interpretato, scorre liscio e non annoia, semmai, come molte commedie statunitensi uscite a cavallo tra gli anni Ottanta e i Novanta, ci si chiede, ad un certo punto, quando il film si decide a non essere solo gradevole, ma anche divertente; però va detto che l'entrata in scena di Brando, che per l'occasione sfoggia un'aura carismatica "suave" come direbbero i recensori americani, è poderosa, e si pappa il film con classe e divertito compiacimento. Il plot "giallo" è all'acqua di rose, e ci si mette pochissimo a farsi le domande giuste, per il resto un'ora e mezza, o poco più, che scorre via senza intoppi.
OPERAZIONE U.N.C.L.E. (The man from U.N.C.L.E., GB/USA 2015)
DI GUY RITCHIE
Con HENRY CAVILL, ARMIE HAMMER, Alicia Vikander, Hugh Grant.
AZIONE/COMMEDIA
Un inglese che interpreta un americano, ed un americano che impersona un russo, entrambi agenti speciali dei rispettivi paesi, impegnati in una sfida ad un'organizzazione che intende compiere attentati di forte portata, tra Berlino Est, Berlino Ovest e Roma, il tutto nel 1963, in piena Guerra Fredda. Dalla serie tv andata in onda dal '64 al '68 "Man from U.N.C.L.E.", interpretata da Robert Vaughn e David McCallum, un progetto che, come accade di consueto a Hollywood, ha cambiato spesso regista designato (il primo era Steven Soderbergh) e interpreti potenziali ( si è parlato di George Clooney, Matt Damon, Christian Bale, Channing Tatum, Michael Fassbender...), finito nelle mani di Guy Ritchie che, considerando il ragguardevole risultato di pubblico, e pure di critica, del dittico di "Sherlock Holmes", pareva la scelta più adatta. E invece il film è affondato nel disinteresse internazionale, curato nell'allestimento e nella riproduzione della "coolness" ispirata agli anni Sessanta, ma si ha l'impressione che questo aspetto abbia preso la mano al regista, e benchè ci siano anche scene d'azione con buon ritmo, si finisce presto saturi della fin troppa stilizzazione di tutto quel che avviene sullo schermo, dai costumi, alle pose degli attori, alle scenografie: pretesi colpi di scena si susseguono senza catturare l'attenzione dello spettatore, e se il modello preteso era, forse, "True lies", buon compromesso tra azione e commedia parodistica, manca una salace ironia di fondo a dar sapore alla pellicola. Gli attori, tutti di bell'aspetto e a proprio agio in questa dimensione patinata, sono semplici marionette gestite da un director forse troppo convinto di se stesso.
PHILOMENA ( Philomena, GB/USA/F 2013)
DI STEPHEN FREARS
Con JUDI DENCH, STEVE COOGAN, Neve Gachev, Charlie Murphy.
DRAMMATICO
E' stato uno dei lungometraggi più importanti del 2014, in bilico tra dramma e commedia, o meglio, un film drammatico con venature brillanti, che narra una storia realmente accaduta, con qualche licenza: in cui un giornalista, consulente per il governo Blair, è stato accantonato, e vorrebbe scrivere un libro sulla storia russa, ma non riesce a ripartire. Viene allora consigliato dal proprio capo, di occuparsi di storie di gente comune: tramite la figlia, contatta una donna anziana, Philomena Lee, che in gioventù era stata ragazza madre, affidata ad un convento, il cui bambino era stato dato, come altri, a famiglie facoltose in adozione. Il giornalista, fiutando uno scoop, accompagna la donna nella ricerca del figlio, fino negli Stati Uniti, via sorprese amare e i contrasti tra un uomo colto, un pò cinico e dal carattere non facile, ma alla fine un idealista, ed una donna senza cultura, sensibilissima, e dall'umanità profonda. Stephen Frears ha sempre avuto talento per raccontare le donne, e, complice anche una splendida Judi Dench, che ha ancora una luce sfavillante negli occhi, lo fa anche questa volta: la semiprigionia di Philomena, le cattiverie subite in convento, gli anni persi a chiedersi dove fosse finito il proprio bambino, e quel che la vita le ha riservato, non appannano la bontà, la gentilezza e la dolcezza di un'eterna ragazza, cui le asperità dell'esistenza non hanno tolto la capacità di sorridere e commuoversi. Il film è sobrio, per quel che racconta, ma riesce ad essere toccante, verso la conclusione: ricordando che non importa rifugiarsi dietro le scuse di ogni credo religioso, concepito in maniera oscurantista, per essere capaci di pietà e avere dentro un frammento di Dio.
SOPRAVVISSUTO- The Martian ( The Martian, USA 2015)
DI RIDLEY SCOTT
Con MATT DAMON, Jessica Chastain, Chiwetel Eijofor, Jeff Daniels.
FANTASCIENZA
Dal romanzo "L'uomo di Marte", di Andy Weir, un kolossal umanista/fantascientifico, che dopo il controverso "Exodus" ha riportato la critica a parlare bene di Ridley Scott, ventilando una papabile candidatura come regista dell'anno ai prossimi appuntamenti di Golden Globes e Oscar. Si narra di una spedizione della NASA su Marte, con un equipaggio che, a causa di una tempesta sul pianeta, batte in ritirata, ma uno dei componenti, il botanico dell'equipe, rimane colpito da un oggetto e creduto morto: invece, sopravvive per una combinazione di fattori, e, nonostante tutto gli giochi contro comincia ad organizzare la propria sopravvivenza, e, a seguire, tentativi di contattare la Terra per farsi salvare. Richiamante "Cast away" per la scelta di raccontare quasi esclusivamente l'odissea di un uomo abbandonato, e "Gravity" per ricalcarne i passi, ma in chiave cosmica, il film è un inno alla sagacia umana, ed è contraddistinto da un'ondata di umanesimo ottimista; dall'inizio, i personaggi sono tesi a muovere per aiutare il prossimo, e la caparbietà dell'essere positivi, permea l'intero lungometraggio. In questo senso, emblematica l'inquadratura della piccola pianta nata in mezzo ai sassi, una sfida alla logica ed alle probabilità, come la lotta per non morire del protagonista. Spettacolare e non privo di un'ironia che ammorbidisce la visione, e ne smorza i rischi di retorica, montato ad hoc da Pietro Scalia, che alterna benissimo gli stacchi di racconto tra i vari blocchi narrativi, "The Martian" potrebbe riservare sorprese alle prossime premiazioni. Matt Damon, va da sè, si carica buona parte del film sulle spalle, e presta una "normalità" che colpisce ad un individuo cui tocca una sorte straordinaria: va dato atto, comunque, al regista, che quando riesce a non distrarsi troppo dai temi che intende affrontare, sa confezionare cinema di prima qualità, e che resta negli occhi e nel cuore degli spettatori.
UN UOMO DA RISPETTARE ( The Master touch, I/D, 1972)
DI MICHELE LUPO
Con KIRK DOUGLAS, GIULIANO GEMMA, Florinda Bolkan, Wolfgang Preiss.
AZIONE
Ad Amburgo, un ladro professionista, che ha passato qualche tempo in carcere, viene contattato da qualcuno che vorrebbe commissionargli un colpo adatto solo ad uno come lui: l'uomo tentenna, si è rifatto una vita, ma il brivido del rischio gli manca, e, trovando un collaboratore in un giovane italiano che sbarca il lunario facendo l'acrobata in un circo, si mette ad organizzare il furto. Chiaramente, le cose non andranno come previsto. Coproduzione italo-tedesca, per la regia di Michele Lupo, che, qualche anno più tardi, avrebbe diretto Bud Spencer in un paio di film,(ed infatti le scene d'azione sono la cosa migliore di questa pellicola), con Kirk Douglas che, nella fase matura della sua carriera, spesso lavorò in Europa, tornando ad Hollywood più raramente, è un B-movie onesto, in quanto consapevole della propria categoria: su una sceneggiatura abbastanza prevedibile, con personaggi non delineati benissimo ( a soffrirne, più che altro, il rapporto tra "Maestro" e allievo, che si sviluppa non moltissimo, ed era invece il fulcro del racconto, tutto sommato), gli attori danno una mano al regista, seppure Douglas ci metta più che altro mestiere, e Gemma si distingua soprattutto per gli atletismi. Condotto verso un finale che è il naturale arrivo della spirale di cose che vanno storte, non è certo da cineteca, ma si lascia guardare senza annoiare.
SPECTRE (Spectre, GB 2015)
DI SAM MENDES
Con DANIEL CRAIG, Lèa Seydoux, Ralph Fiennes, Christoph Waltz.
AZIONE
Attesissimo, il secondo film di James Bond diretto da Sam Mendes, ed il quarto con la spia interpretata da Daniel Craig, ha un titolo quasi elementare, riconoscibilissimo dai fans e non della serie dell'agente segreto inventato da Ian Fleming: che gli episodi con Craig fossero, a differenza dei precedenti, maggiormente connessi tra loro, era un disegno chiaro, ma non si era ancora profilata l'organizzazione criminale internazionale dalla potenza incommensurabile, presidiata dalla nemesi bondiana per eccellenza, Ernst Stavro Blofeld. Non ci dimentichiamo che l'operazione iniziata nel 2006 con "Casino Royale" è stato un vero e proprio reboot della serie, giunta al capitolo 24: dopo aver perso "M", morta nel finale di "Skyfall", ritroviamo 007 a Città del Messico, mascherato in mezzo alla tradizionale "Festa dei Morti", un carnevale in cui folleggiano scheletri, teschi e quant'altro di funerario, ma in chiave giocosa, intento a sventare un attentato, in lotta con un cattivaccio che assomiglia a Abel Ferrara, per poi proseguire l'avventura tornando in Inghilterra, giungendo in Austria, fino in Marocco e di nuovo a Londra, sulle tracce di un messaggio vago, che lo rimanda al proprio passato, e verso una misteriosa associazione che compie misteriose riunioni, e fa soldi speculando su terrore e morte. Diciamolo subito, "Skyfall" aveva colpito più a fondo, tessendo una trama complessa ed eloquente nella rielaborazione della mitologia bondiana, ma "Spectre" è un titolo che cresce nello spettatore con più lentezza, come certi liquori necessitano di essere gustati appieno per dare la loro reale cifra. Mendes cita, consapevolmente, altro cinema, come "Lo squalo" (i bidoni che schizzano via legati tra loro, uno alla volta), "Eyes wide shut" (gli spettatori alla riunione esclusiva, in un clima di cupezza e tensione), "Potere assoluto" (una figlia che scopre l'amore del padre in una stanza mai esplorata, con foto sulle pareti), e realizza sequenze d'azione tesissime e spettacolari, la più bella forse l'inseguimento tra aereo e auto sulla neve. Potrebbe essere l'ultimo episodio di 007 sia per Daniel Craig che per Sam Mendes, anche se i fans sperano il contrario, ed il finale potrebbe essere sia un congedo per il Bond più amato dopo Sean Connery, che una nuova ripartenza, lo sapremo da qui a un anno, più o meno. Resta il fatto che dopo questa tetralogia, che ha cambiato notevolmente 007, facendone un eroe meno spaccone e più destinato a soffrire e animato da uno spirito di vendetta, sarà difficile non tenerne conto, e tornare su un registro nel quale è solo l'azione a prevalere sulla storia.
SUBURRA (I/F, 2015)
DI STEFANO SOLLIMA
Con PIER FRANCESCO FAVINO, ELIO GERMANO, CLAUDIO AMENDOLA, ALESSANDRO BORGHI.
DRAMMATICO
A Roma, dal 5 al 12 Novembre 2011, che viene definito il "giorno dell'Apocalisse", sarcasticamente, si intrecciano diverse storiacce: c'è un senatore allacciato alla mala di estrema destra che in un gioco erotico a tre è coinvolto nella morte di una delle due ragazze presenti; un criminale del giro della Magliana che ha contatti con le famiglie della camorra e punta a stringere i tempi per fare di Ostia una nostrana Las Vegas; un capoclan di origine rom particolarmente feroce, cui uccidono un fratello e vuole scatenare vendetta; un giovane leone delle borgate che scalpita per avere più potere; un p.r. dalle ambizioni megalomani che si ritrova indebitato nelle mani del capoclan di discendenza gitana. In mezzo, droga, sparatorie, accordi sottobanco, l'imminenza delle dimissioni del papa e del presidente del Consiglio, in un'orgia di abusi di potere, intrallazzi, carognate di ogni tipo, e regolamenti di conti da far apparire certe lande centroamericane in mano ai vari cartelli dei narcos molto simili. Dal libro di Giancarlo De Cataldo e Carlo Bonini, che partecipano anche alla sceneggiatura, coadiuvati dai resistenti alfieri del cinema impegnato Stefano Rulli e Sandro Petraglia ( sul lavoro di questi due sceneggiatori sarebbe bene fare più luce, in anni di fiero disimpegno hanno continuato a portare la croce e cantare lo stesso), un film cupo, che coniuga scene d'azione e impennate di violenza al racconto denso dell'eterna penombra delle stanze del Potere, con una deplorazione della corruzione che inquina e erode l'Italia e Roma, resa in maniera vibrante. Sollima aveva già mostrato di essere un regista su cui contare in "A.C.A.B." e nella serie tv "Romanzo criminale", qui fa un passo avanti intersecando i vari intrecci narrativi in un'opera lunga due ore e un quarto che non perde un colpo di tensione: c'è da dire che "Suburra" rinuncia a diventare un grande film in qualche passaggio fin troppo romanzato delle analogie con i vari casi di "olgettine", dell'affaire Marrazzo, e via enumerando, e dando troppe risposte nel finale alle storie di ognuno dei personaggi mostrati. Però è un film capace di coinvolgere lo spettatore senza dare epica al mondo criminoso che illustra, anche se evidenzia le differenze tra i vari caratteri, con intuizioni registiche non esenti da finezze, nonostante il furore messo in scena( basti la sequenza della strage vista con l'ottica della ragazza sotto effetto di stupefacenti): del cast, tutto molto credibile, è giusto dire bene in blocco, e però va sottolineato, una volta ancora, come Claudio Amendola sia cresciuto ed abbia imparato a recitare di mezzi toni, il che ne fa un interprete di gran spessore.