13 HOURS- The secret soldiers of Benghazi
(13 Hours: The secret soldiers of Benghazi, USA 2016)
DI MICHAEL BAY
Con JOHN KRASINSKI, JAMES BADGE DALE, Max Martini, Toby Stephens.
GUERRA
Di 11 Settembre in 11 Settembre ( il golpe cileno, l'attacco alle Torri Gemelle, e appunto i fatti raccontati in questo lungometraggio), la Storia moderna è segnata da pagine tragiche: l'assalto al distaccamento statunitense in terra libica, da parte di miliziani, costò la vita all'ambasciatore USA, ma in termini di perdite, il quadro avrebbe potuto essere ben più pesante se non fossero intervenuti dei contractors, i soldati non ufficiali "in affitto" da parte di privati ( in sostanza, dei mercenari, ma in una chiave diversa). Film anomalo per la cinematografia di Michael Bay, solitamente dedito a spettacoloni di pura finzione, come "Armageddon", la saga di "Transformers", e puntualmente stroncato dalla critica quanto premiato al box-office, da più di vent'anni oramai, "13 Hours" si immette nella scia di pellicole come "Black Hawk Down", narrando una sconfitta, all'atto pratico, ma valorizzando il valore della resistenza contro un nemico in condizioni di vantaggio e in territorio sfavorevole. Va detto che le due ore e venticinque minuti di durata reggono per ritmo e buona qualità del racconto: a differenza di molti titoli bellici americani, non si va a cercare la retorica a tutti i costi e, anzi, secondo quale punto di vista o chiave di lettura si adoperi per analizzarlo, il film di Bay tende a sottolineare la grave difficoltà di operare contro un terrorismo più organizzato del solito, e uno dei temi ricorrenti della storia è il non avere idea di chi dei locali incontrati via via sia nemico o alleato. E via via che il racconto scorre, e l'assedio stringe, la regia tiene in tensione lo spettatore con abile tenacia. Se non fosse per un'altra sottolineatura, e cioè di quanto siano poco utili le prassi e le regole d'ingaggio, rispetto all'interventismo ad ogni costo, sembrerebbe di avere a che fare, quasi, con un oggetto misterioso: ma l'evitare di rimarcare che in terra di Libia ufficialmente militari o paramilitari americani non avrebbero dovuto esserci, e questo spiega la non collaborazione di Esercito e Marina con gli assediati, riporta il film di Bay su una visione molto parziale della politica e della Storia corrente.
IT FOLLOWS ( It follows, USA 2014)
DI DAVID ROBERT MITCHELL
Con MAIKA MONROE, Keir Gilchrist, Daniel Zovatto, Jake Weary.
HORROR
Benchè sia stato prodotto nel 2014, negli USA è uscito solo nella Primavera 2015, e ha incassato oltre 20 milioni di dollari, che per un titolo a piccolo budget come questo è una bella affermazione: arrivato da noi nelle settimane scorse, "It follows" è stato salutato già da diversi recensori come uno degli horror migliori degli ultimi anni, addirittura, per qualcuno, "il più inquietante degli ultimi vent'anni". In pratica, il film di Mitchell ricicla in chiave mistery-horror il concetto alla base delle società piramidali, tirare nei guai qualcuno vicino per liberarsi dall'impiccio, immaginando che qualcosa si possa trasmettere sessualmente: una presenza indefinita, che assume vari volti, che lentamente si avvicina in maniera inesorabile, fino a far perdere il senno, e la vita, a chi è colpito dal Male. Girato con stile e proprietà di ripresa, nonostante i mezzi esigui, il film ha momenti molto intensi ( l'inseguimento nell'ospedale) e qualche caduta di ritmo nella seconda parte: senza arrivare a entusiasmi anche eccessivi per questa pellicola, che comunque conferma l'interessante momento del genere, soprattutto quando virato al femminile, vedi anche "Babadook" dell'anno scorso, per fare un esempio, si può dire che è emerso un nuovo regista dallo sguardo acuto e dalla buona capacità di gestire la tensione e il racconto, sebbene abbia scelto attori non simpaticissimi, nè particolarmente memorabili. Curioso che nel film sia presente un solo cellulare, nel prologo, e un e-book, mentre il televisore di casa delle ragazze protagoniste è un vecchio apparecchio in bianco e nero che trasmette solo vecchi horror di serie C.
10, CLOVERFIELD LANE (10, Cloverfield Lane, USA 2016)
DI DAN TRACHTENBERG
Con MARY ELIZABETH WINSTEAD, JOHN GOODMAN, John Gallagher, jr. .
FANTASCIENZA
"Cloverfield" nel 2008, fu un successo dovuto, per la maggior parte, ad una strategia di marketing virale, tra le più azzeccate, insieme a quella di "The Blair Witch project": artisticamente parlando, due prodotti che, per quanto si possa essere di mentalità aperta a livello cinematografico, definire "film" è perlomeno azzardoso. Otto anni dopo, è stato generato uno "spin-off" che vede una giovane donna perdere conoscenza in un incidente d'auto ( ha appena deciso di lasciare il suo uomo e sta abbandonando casa), e ritrovarsi convalescente e incatenata al letto che la ospita. Chi la tiene così è un corpulento uomo oltre i cinquanta, che le spiega che l'ha fatto per precauzione, e perchè rischiava di farsi male ulteriormente: liberata, scopre che si trova in un bunker sotterraneo costruito dallo sconosciuto, e che anche un giovane vive lì. E che fuori si è scatenato qualcosa di apocalittico, che potrebbe durare un lasso di tempo incalcolabile. Ma è tutta la verità? Perchè segnali poco rassicuranti mettono la protagonista in allarme ben presto.... Va detto che, anche se era abbastanza facile il confronto, il derivato batte l'originale e di gran lunga. C'è una tensione costante, uno spazio chiuso ben sfruttato e una buona prova degli attori, con la mossa molto intelligente di prendere il naturalmente simpatico John Goodman ed assegnargli un personaggio che fin dall'ingresso in scena si mantiene ambiguo e difficile da decifrare. Solo nell'ultimo terzo di film vero e proprio emerge la parte fantascientifica, ed è parte del fascino di questo thriller a sfondo fantastico, con esplosioni di violenza inconsulta e un finale che potrebbe ampliare il discorso, verso nuovi sviluppi, che potrebbero anche portare a una saga vera e propria.
QUESTA VOLTA PARLIAMO DI UOMINI ( I, 1965)
DI LINA WERTMULLER
Con NINO MANFREDI, Margaret Lee, Milena Vukotic, Luciana Paluzzi.
COMMEDIA
A seguire "Se permettete parliamo di donne", esordio registico di uno sceneggiatore che poi avrebbe fatto molta strada nel cinema italiano, Ettore Scola, uscì questa "risposta" diretta da una delle prime registe di casa nostra, Lina Wertmuller: anche qui si tratta di un film a episodi, collegati da una cornice in cui un poveraccio, tutto insaponato, rimane chiuso fuori di casa, per le scale di un condominio. Unico protagonista, di tutti e quattro i segmenti, e delle parti che li uniscono, Nino Manfredi: in uno è un riccastro che, di fronte alla prospettiva di impoverirsi, incita la propria signora nel suo vizio di rubare gioielli, nel secondo un rozzo lanciatore di coltelli maltratta la sua fedelissima e straziata compagna, nell'episodio seguente un rigido professore elabora uno strampalato piano per "farsi uccidere" dalla bella moglie ( ma è una finta), e nell'ultimo pezzo un contadino fannullone e avvezzo al fiasco passa oziosamente la propria giornata per tornare a casa e trattare malamente, e come donna oggetto la propria sposa. Al di là della visione antimaschio quasi radicale, perchè di ironia ce n'è veramente poca, in sceneggiatura e regia, il che sinceramente alla lunga risulta irritante, questo film della Wertmuller è di una noia esponenziale, porge al povero Manfredi quattro personaggi di un'antipatia sonora, nonostante la bravura e la naturale umanità dell'attore, che poco può fare con tal materiale a disposizione. Quattro capitoli di cui forse il meno peggiore è l'ultimo, anche perchè l'attore è un pò più a suo agio: ma se l'intenzione era far sorridere con sarcasmo, la direzione è completamente errata...
ONDA SU ONDA ( I, 2016)
DI ROCCO PAPALEO
Con ROCCO PAPALEO, ALESSANDRO GASSMAN, Luz Cipriota, Massimiliano Gallo.
COMMEDIA
Regia numero tre di Rocco Papaleo, che colse un buon successo nel 2010 con il suo esordio registico, "Basilicata Coast to coast", e la cui opera seconda ( sempre il passaggio più complicato, che sia conferma o rilancio) "Una piccola impresa meridionale" passò maggiormente inosservata presso pubblico e critica, "Onda su onda" prende il titolo dal celebre brano di Conte-Lauzi, e racconta di un'accoppiata balzana. Che prevede, in un viaggio per mare verso l'Uruguay, l'incontro tra un cantante di bassa categoria, ed il cuoco del vascello, che non mette piede sulla terraferma da quattro anni: tra i due sono scintille, battutacce e stizze varie, per poi stringere una strana alleanza, la quale, forse, potrà diventare un'amicizia. Infatti, dovranno scambiarsi i ruoli, e ci sarà una sorpresa per entrambi. Il film ha un andamento leggero che non dispiace, e che, non spesso, porta lo spettatore a sorridere più di una volta, ed è un peccato che nell'ultima parte ci sia una sterzata netta verso una sorta di patetismo che è poco congruo con quel che è stato il lungometraggio fino ad allora. Da apprezzare l'ambientazione in un Paese un pò troppo trascurato dal cinema, come l'Uruguay, e la tendenza di Papaleo a non costruirsi addosso i film da lui stesso diretti, però qui si notano degli scompensi narrativi fin troppo marcati, a definire una pellicola altalenante nella riuscita.
BEFORE I GO TO SLEEP ( Before I go to sleep, USA/GB 2014)
DI ROWAN JOFFE
Con NICOLE KIDMAN, Colin Firth, Mark Strong, Anne-Marie Duff.
THRILLER
Sempre più spesso capita di produzioni con nomi di peso, nel caso Nicole Kidman, Colin Firth, ma anche Mark Strong, faccia nota più dell'appellativo, che non vengono distribuite nelle sale europee: conta, certo, anche l'esito commerciale in patria, ma dirottare film progettati per incassi di un certo rilievo verso i canali tv o le uscite in video è abbastanza curioso. "Before I go to sleep" è tratto dal romanzo omonimo di S.J. Watson, da noi reintitolato "Non ti addormentare": la protagonista Christine si sveglia ogni mattina senza sapere dove sia, chi sia, e cosa rappresenti l'uomo che le dorme accanto. Soffre di un disturbo della memoria, che ha rimosso tutto il suo vissuto, e tutti i giorni deve riapprendere cose, purtroppo, spesso dolorose. Ma c'è anche uno psichiatra che la chiama, e le insinua il dubbio che quello di cui viene a conoscenza potrebbe essere non corretto.... Il regista Rowan Joffe si è anche riscritto la sceneggiatura, e peraltro il film è molto simile al romanzo, in ogni passaggio, pure quelli decisivi. Benchè lo spunto sia interessante, gli attori facciano il loro mestiere senza sbavature e la pellicola abbia sostanzialmente un' impostazione curata, è la storia che ha poco nerbo, e la suspence, che in un thriller è essenziale, è latitante, anche perchè lo spettatore, come il lettore del romanzo da cui è tratto il film, ha modo eccome di arrivare al quadro della situazione prima della protagonista, e lo snodo si regge davvero su un risvolto poco probabile da reggere. Il finale ai limiti del melenso, poi, è un inciampo che si poteva risparmiare.
NATALE COL BOSS ( I, 2015)
DI VOLFANGO DE BIASI
Con LILLO E GREG, Francesco Mandelli, Peppino Di Capri, Paolo Ruffini.
COMMEDIA
Ammettiamolo: l'idea di far ruotare un film intorno ad un capo camorrista che, per sfuggire all'arresto, si fa mettere la faccia di Peppino Di Capri, è da dopocena un pò brilli, ma ha qualcosa di intrinsecamente geniale. La nuova fase delle commedie di Natale italiane, da qualche anno a questa parte, contempla facce relativamente nuove come Lillo e Greg, Paolo Ruffini e Francesco Mandelli, e in una parodia sia del film carcerario, che del sottogenere d'azione intrecciato alla lotta alle mafie, ci possono stare tutti questi neobeniamini delle grandi platee. Compreso un Di Capri che sta al gioco e interpreta, come Villaggio in "Fracchia la belva umana", un personaggio buono ed uno fetente. Sceneggiato da sei persone ( un pò troppe, sempre e comunque, ma soprattutto visto l'ambito leggero), "Natale col boss" ha incassato piuttosto bene, e la rocambolesca vicenda del chirurgo plastico e del suo anestesista, che sono due cialtroni, che sono costretti a cambiare il volto ad un capoclan, capendo male ( da Di Caprio a Di Capri...) le fattezze desiderate, non farà scompisciare dalle risa, ma qua e là funziona. Magari, per essere il tipo di parodia che voleva essere, doveva buttarla ancor più sul demenziale più che mai pronunciato, senza buonismi volti solo a rassicurare lo spettatore entrato in sala per farsi due risate, ma senza voglia di particolari novità. Dei presenti sullo schermo, sempre buono l'affiatamento tra Lillo e Greg, che forse però dovrebbero lavorare un pò sui tempi comici, e meglio figura Ruffini che Mandelli, nelle vesti di due poliziotti imbranati eppure meno fessi di quanto preventivato. Niente di che, per carità, ma già non passare la seconda metà di film a sperare che finisca presto, come accade per altri titoli similari, è già un risultato.
LE CONFESSIONI ( I/F, 2016)
DI ROBERTO ANDO'
Con TONI SERVILLO, Daniel Auteuil, Connie Nielsen, Pierfrancesco Favino.
DRAMMATICO
Un summit di altissime personalità delle economie più potenti (c'è anche l'Italia, ma si sa, il G7 ci riguarda ancora...) volto a prendere decisioni cruciali sul futuro, con il progetto di una strategia che estremizzerà ancora di più il divario tra nazioni ricche e povere, in pratica, schiacciando i Paesi più deboli. Sono invitati anche una scrittrice, un ex divo del pop, ed un frate, il quale raccoglierà la confessione del più potente tra gli uomini di Stato ( e non solo da lui, via via che il film scorre), che si suiciderà subito dopo, anche se c'è il sospetto che qualcuno possa averlo soppresso. Roberto Andò ha ambientato questo suo lavoro dando di nuovo a Toni Servillo il ruolo chiave, anche se qui l'attore non si sdoppia, semmai gioca di sottrazione, con il minimo ricorso alla parola: il cast, cui non mancano nomi internazionali di spicco, quali Daniel Auteuil, Connie Nielsen, lo stesso Pierfrancesco Favino, interprete non nuovo a lavorare in pellicole estere, è al centro de "Le confessioni". Ad un certo punto, pare che il film viri verso una sorta di thriller etico, e che ambisca a diventare un "Todo Modo" versione 2000, ma il lungometraggio tratto da Sciascia era più feroce, e senza speranza: in questo senso, il finale sardonico sciupa parzialmente l'assunto dell'opera. Che rimane ben recitata, che esprime cose condivisibilissime con garbo e decisione insieme, ma "Viva la libertà" risultava un film più ben congegnato, al quale l'ironia marcata giovava molto. Un titolo interessante, ma migliore nelle intenzioni che nel risultato.
CRONACA FAMILIARE ( I, 1962)
DI VALERIO ZURLINI
Con MARCELLO MASTROIANNI, JACQUES PERRIN, Sylvie, Salvo Randone.
DRAMMATICO
Dal classico della letteratura italiana moderna di Vasco Pratolini, autore che nel dopoguerra fornì materiale per lungometraggi importanti come risultarono anche "Le ragazze di San Frediano" e "Cronache di poveri amanti", forse il titolo più celeberrimo degli adattamenti dei libri dello scrittore fiorentino. Storia di due fratelli perdutisi e ritrovati, per via della miseria e degli accadimenti tortuosi sullo sfondo dell'Italia fascista proiettata verso il secondo conflitto mondiale, "Cronaca familiare" è molto concentrato sul rapporto tra Enrico, giornalista di sinistra, e Lorenzo, cui era andata meglio inizialmente, essendo stato preso da una famiglia borghese, ma viziato fino a diventare un giovanotto imbelle e passivo, e la complessità di una fratellanza quasi di peso ma indissolubile viene esplorata dalla sceneggiatura e dalla regia con sensibilità e una coscienza di un sentimento forte quanto doloroso così intensi, da risultare toccanti. Il passo scelto da Zurlini è dolente fino dalle prime inquadrature, che in realtà raccontano la conclusione della storia, e la narrazione procede riprendendo le fila da quando i due coprotagonisti, bambini, vengono divisi. Se al regista c'è da fare un appunto, è sulla scelta di sottolineare, fin troppo, con una musica melodrammatica quasi ridondante, ogni scena, ma per il resto "Cronaca familiare" è un film da vedere, cui l'interpretazione sofferta e calibrata di un Marcello Mastroianni impasta rancore tenuto a freno, affetto appena celato, e la frustrazione di non potere rimediare alle svolte più tristi, giova enormemente. Certo, Zurlini è stato un autore capace nel dramma, quanto ingiustamente poco ricordato da cinefili, però gli va riconosciuta una mano nel raccontare i drammi di legami e la vulnerabilità di certe sensibilità fin troppo scoperte, rara da riscontrare.
THE CONJURING-Il caso Einfeld ( The Conjuring 2, USA 2016)
DI JAMES WAN
Con VERA FARMIGA, PATRICK WILSON, Madison Wolfe, Frances O'Connor.
HORROR
Che James Wan sia "il nuovo Maestro del terrore" è un concetto piuttosto discutibile, che sia un regista abile a saper allestire pellicole di genere horror che attirino diversi spettatori, è invece una definizione abbastanza sensata. A tre anni di distanza dai circa 320 milioni di dollari incassati da "The Conjuring" a livello mondiale, ecco il sequel, questa volta ambientato quasi tutto in Inghilterra: in cui si racconta una nuova ventura spettrale e malevola dei coniugi Warren, che vengono chiamati in causa dalla vicenda paurosa di una famiglia composta da una madre abbandonata e quattro figli, in disagiate condizioni finanziarie, la cui abitazione pare proprio infestata da presenze nefaste. Siamo nel 1977, l'esorcismo è materia di cui si dibatte su tv e giornali, visto il recente successo del film di William Friedkin, e l'ambientazione vintage è tra le cose che risaltano nel positivo riscontrabile in questo seguito: la tensione, molto qua e là, si avverte, ma sono fin troppi i clichès e le cose che puntuali ritornano come in ogni pellicola scelta da uno spettatore mediamente appassionato dal cinema horror. Aggiungiamoci una sempre più sostanziosa e rimarcata, dallo script e dalla regia, benigna presenza della Chiesa e dei suoi agenti, a tramutare un film acchiappaincassi in una retorica operazione filocattolica, da risultare stucchevole per il pubblico non così osservante, ed un finale quasi edificante, che ammoscia non poco la potenziale dose di inquietante immessa nel racconto. Inoltre, i due cacciatori di spiriti hanno una risposta cruciale esposta sotto gli occhi nella propria casa, e si nota eccome, ma curiosamente ci mettono tutto il film ad arrivarci, con tanto di sogni rivelatori e intuizioni folgoranti. Coppia funzionale sullo schermo Vera Farmiga e Patrick Wilson, come da copione ogni segnale malvagio e espressione di possessione nella famigliola inglese: probabile un terzo atto, visto che al box-office planetario siamo già oltre i 280 milioni incassati. Dato che i titoli specificano che il tutto è basato su fatti realmente accaduti e documentati, vediamo dove si trasferirà l'indagine-raid liberatorio la prossima volta...
LA MORTE CAMMINA CON I TACCHI ALTI ( I/ES 1971)
DI LUCIANO ERCOLI
Con FRANK WOLFF, SUSAN SCOTT, Simon Andreu, Josè Manuel Martin.
THRILLER
Il titolo, va da sè, ha diritto all'ideale catalogo dei più pittoreschi messi ad un film italiano: c'è da dire che era un pò la moda, soprattutto nel genere puro, e specialmente nel thriller e nel western, ma anche nell'erotico, di appioppare un titolo che dovesse "colpire" il pubblico. Qui si narra di una bella spogliarellista che campa un perdigiorno, e accetta la corte di un ricco medico per fare il "salto di qualità" e districarsi da una vita che non le piace più: trasferitasi con l'uomo in una bella casa vicino al mare, ma nel passato della donna c'è l'assassinio del padre, commesso da ignoti su un treno, per un furto di diamanti...e qualcuno vestito in calzamaglia, tipo Diabolik, uccide armato di pugnale. Coprodotto tra Italia e Spagna, il thriller firmato da Luciano Ercoli barcolla alquanto, con una coppia di detectives piuttosto balzana e inefficace, uno snodo che smaschera il colpevole dei delitti relativamente casuale, e una ricerca della suspence abbastanza loffia, che fa apparire il lungometraggio più lungo di quanto in effetti sia. Una produzione di serie B marcatamente tale, di cui si ricorda più che altro il bel viso della Scott.